La Penna e il Pennello. “Le Chef-d’oeuvre inconnu” di Balzac. Cinque lezioni, L. Pietromarchi (dir.)
La Penna e il Pennello. “Le Chef-d’oeuvre inconnu” di Balzac. Cinque lezioni, a cura di Luca Pietromarchi, Roma, Biblink Editori, 2015, «Didascalie», 113 pp.
Testo integrale
1Tra i romanzi e i racconti della Comédie humaine, Le Chef-d’oeuvre inconnu ha suscitato e continua a stimolare l’interesse della critica in un contesto esegetico che va al di là dell’esclusivo orizzonte letterario, ma che abbraccia trasversalmente generazioni di autori che, dalla seconda metà del xix secolo ai giorni nostri, si pongono, spesso come protagonisti del loro tempo, in un rapporto privilegiato con le forme e le tecniche della letteratura, della critica artistica o dell’arte cinematografica. Come rileva Luca Pietromarchi nella brillante «Introduzione» (pp. 9-16) che precede e presenta i cinque studî raccolti in questo volume, questi interventi «prolungano l’infinito dialogo sulla creazione che il Chef-d’oeuvre ha alimentato da quasi due secoli» (p. 11) generando una pluralità di interpretazioni quanto mai illuminanti per cogliere appieno la modernità del racconto balzachiano in merito ai rapporti tra «imitazione ed espressione, tra raffigurazione e creazione, tra la dimensione tecnica della pittura e la sua vocazione spirituale» (p. 9).
2Mariolina Bertini (“Le Chef-d’oeuvre inconnu” e l’estetica della modernità, pp. 17-31) mette in luce i legami tra la trama narrativa dell’opera di Balzac e i racconti fantastici di Hoffmann e ricostruisce con acume il tessuto delle relazioni tra ideali artistici di cui Frenhofer si fa portavoce e la loro proiezione nell’estetica della modernità attraverso gli esempi di Cézanne e di Picasso. La riscrittura del racconto nel 1836-37 trasforma radicalmente il testo pubblicato nel 1831: nella nuova versione del racconto, entro il quale si intrecciano, agli elementi del fantastico, quelli di un erotismo del tutto assente nella Leçon de violon di Hoffmann, Frenhofer espone la propria teoria dell’arte. Il destino di questo personaggio si configura, sotto il segno di una sostanziale ambiguità, come «la parabola stessa dell’arte moderna» (p. 22) ed è proprio dalla «misteriosa ambivalenza» del suo fallimento che prenderà avvio la «fortuna postuma del racconto presso i critici e soprattutto presso gli artisti del Novecento» (ibid.). Suggestiva è, in questo senso, la ricostruzione che l’A. fornisce delle vicende che porteranno Picasso a scegliere, nel 1936, l’atelier in cui è ambientato Le Chef-d’oeuvre inconnu come suo studio parigino.
3Paolo Tortonese (Copiare, esprimere, creare: i verbi dell’arte, pp. 33-53) esamina le vicende di Frenhofer in relazione ai fondamenti ed alle finalità della creazione artistica: il problema essenziale è «quello di come fare un’opera d’arte» (p. 34), vale a dire in quale misura concepire l’arte e le sue funzioni: come creazione assoluta, come espressione o come semplice imitazione. Da questo punto di vista, il rapporto tra colore e disegno, tra la dimensione codificata dei segni, la forza energetica e il movimento insiti nella natura intima della pittura si pone come una questione assolutamente centrale nel racconto di Balzac. Frenhofer cerca questo perfetto legame tra forma e colore attraverso il «modello della termodinamica» (p. 38): la sua (estrema) visione energetica del reale (alquanto prossima, del resto, a quella di Balzac) per la quale il «calore del colore si trasformerebbe […] in movimento» (p. 39) gli impedisce tuttavia di realizzare quell’equilibrio tra disegno e pittura, tra linea e colore che gli avrebbe impedito di sprofondare nel caos della forma. Le Chef-d’oeuvre inconnu è, dunque, la «storia di un fallimento» (p. 33) in quanto l’«utopia di una scomparsa della tecnica attraverso lo sviluppo estremo della tecnica stessa si rivela fallimentare» (p. 51).
4Tra i più stimolanti contributi compresi in questa silloge, si annovera lo studio di Pierluigi Pellini (L’economia del capolavoro. Appunti per una rilettura di un racconto troppo famoso, pp. 55-76): l’A., ripercorrendo la storia e l’evoluzione del testo balzachiano attraverso l’analisi delle varianti dalla prima versione (1831) del racconto fino alla sua edizione definitiva nel 1836-37, concentra la sua attenzione sulla figura dell’artista rinvenendo, nel Chef-d’oeuvre inconnu, una problematica non soltanto estetica, ma economica. All’origine del racconto di Balzac, vi sarebbe l’opposizione tra i personaggi di Poussin, giovane, povero, ambizioso che è costretto a confrontarsi con le leggi del mercato e con le costrizioni della società, e Frenhofer, il quale, al contrario, è ricco, lavora solo per diletto e non vuole concedere la sua opera allo sguardo altrui. Geloso della sua arte, quanto lo è Gobseck dei suoi averi, Frenhofer manifesta un’ansia di perfezione artistica che lo avvicina (e non solo ideologicamente) al celebre usurario per una «passione totalizzante che si afferma a discapito di ogni altro investimento libidico» (p. 70).
5Franca Franchi (Alla ricerca di Euridice: la discesa agli inferi di Frenhofer, pp. 77-96) considera, riferendosi all’importante studio di Georges Didi-Huberman sul Chef-d’oeuvre inconnu, le riflessioni di Frenhofer sulla pittura di Tiziano attraverso le quali l’eroe romantico balzachiano si misura con il colore, mette in discussione «i codici collaudati della visibilità», si misura con l’estremo e «corre il rischio dell’incomprensione» (p. 81). La questione della leggibilità dell’opera d’arte investirà vasti orizzonti della storia dell’arte moderna e contemporanea e costituirà il nucleo essenziale di due romanzi: L’Œuvre e Là-bas in cui Zola e Huysmans faranno del discorso estetico il fondamento dello svolgersi narrativo di queste due opere.
6Rosa Romano Toscani (Arte e psicoanalisi: a proposito del “Chef-d’oeuvre inconnu”, pp. 97-108) offre una rilettura del testo di Balzac in chiave psicoanalitica: l’A. interpreta Le Chef-d’oeuvre inconnu come «un’opera filosofica sulla vita, sull’arte e sull’amore» (p. 105) nella quale la genialità di Frenhofer, nella sua ossessiva ricerca della rappresentazione perfetta, è molto prossima ai confini della follia. Con Le Chef-d’oeuvre inconnu, osserva l’A., siamo di fronte ad una storia di illusioni, alla rappresentazione della perdita dell’Ideale da parte di chi, «incontrata una bellezza reale – abbandona la bellezza ideale che, attraverso la sua arte, ha inseguito per tutta la vita» (ibid.).
7L’accurato repertorio bibliografico – curato da Paolo Breda (Bibliografia delle traduzioni italiane del “Chef-d’oeuvre inconnu”, pp. 109-111) – delle traduzioni del racconto balzachiano pubblicate in Italia dal 1838 al 2013 chiude le pagine di questo interessante e fondamentale volume nel quale è pubblicato il ciclo di cinque lezioni sul Chef-d’oeuvre inconnu svolte presso il Centro di Studi italo-francesi dell’Università di Roma Tre.
Per citare questo articolo
Notizia bibliografica
Marco Stupazzoni, «La Penna e il Pennello. “Le Chef-d’oeuvre inconnu” di Balzac. Cinque lezioni, L. Pietromarchi (dir.)», Studi Francesi, 182 (LXI | II) | 2017, 375-376.
Notizia bibliografica digitale
Marco Stupazzoni, «La Penna e il Pennello. “Le Chef-d’oeuvre inconnu” di Balzac. Cinque lezioni, L. Pietromarchi (dir.)», Studi Francesi [Online], 182 (LXI | II) | 2017, online dal 01 août 2017, consultato il 20 janvier 2025. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/studifrancesi/9996; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/studifrancesi.9996
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