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HomeNumeri182 (LXI | II)Discussioni e comunicazioniDella questione epica

Discussioni e comunicazioni

Della questione epica

Gabriella Bosco
p. 320-326

Abstract

To mark the occasion of the release of Giorgetto Giorgi’s anthology volume on Les poétiques de l’épopée en France au xviie siècle, the article focuses on the advancement of critical studies related to the epic genre in the 17th century, the influence of Tasso’s theoretical writings on French treatises, the as yet insufficiently recognized elaboration of a modernization project by the Modernists in France and the frequent contradictions between the authors’ statements in the preliminary texts and their literary products, or rather, between poetics and poems.

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Testo integrale

  • 1 Les poétiques de l’épopée en France au xviie siècle. Textes choisis, présentés et annotés par Giorg (...)

1Il volume di Giorgetto Giorgi sulle poetiche secentesche edito da Champion nella collana «Sources Classiques» diretta da Philippe Sellier e Dominique Descotes1 mette finalmente a disposizione testi in alcuni casi ancora di difficile reperimento – spesso leggibili solo in edizione originale alla BnF – essendo rimasti per lo più, per adesso, esclusi dalla grande campagna di digitalizzazione dei documenti del passato.

2Non è che uno dei grandi meriti di questo libro, il cui altro pregio inestimabile, per lo specialista, è quello di raccogliere e studiare, rendendo possibile la comparazione e l’individuazione di un sistema, prefazioni e trattati sotto forma di un’antologia (agile nonostante il numero di pagine grazie a una concezione strutturale leggera), scelti sull’arco di un ampio secolo, che solo se letti nel loro insieme possono svelare la consistenza e la natura di un preciso progetto culturale spesso ancora sottovalutato anche dalla critica più attenta.

  • 2 Giorgi fa riferimento alle traduzioni secentesche dei Discorsi tassiani realizzate da Jean Baudoin (...)
  • 3 I testi antologizzati sono trenta. Il primo, L’art poétique di Jean Vauquelin de la Fresnaye, è dat (...)

3Nella sua analitica introduzione, Giorgi individua le tappe fondamentali del delinearsi di tale progetto epico, specificamente francese e secentesco, nei suoi rapporti di discendenza e derivazione dal modello tassiano. Ben mette in evidenza il delicato passaggio della teorizzazione di Torquato Tasso dalla prima stagione dei Discorsi sull’arte poetica nei loro rapporti con il capolavoro della Gerusalemme liberata a quella tarda della revisione, rappresentata in sede teorica dai più rigidi Discorsi sul poema eroico e in poesia, in certa misura, dalla Gerusalemme conquistata2. Ed evidenzia, sulla scia di questa rielaborazione che in alcuni punti assume le caratteristiche di una vera e propria ritrattazione (un esempio tra i più espliciti è la rimozione da parte di Tasso del fine dell’epopea, inizialmente individuato aristotelicamente nel piacere e poi tramutato – travestito? – orazianamente nel suo opposto, l’edificazione, sia pure ritenuta quest’ultima dipendere proporzionalmente dal piacere che i versi procurano), il posizionamento per gruppi dei succedanei francesi, chi condividendo chi contestando la precettistica tassiana3.

4Uno dei punti cruciali dell’intera vicenda, Giorgi lo tocca alludendo alla “questione del barocco” (alla polemica su di esso, verrebbe ancora da dire, citando Giovanni Getto). La modernizzazione dell’epopea, sulla scia di quanto Tasso preconizzava, doveva passare, per buon numero di trattatisti francesi del Seicento, attraverso la sostituzione del meraviglioso pagano con quello cristiano, l’unico verosimile – parafrasando uno degli autori antologizzati, uno dei più significativi sotto questo aspetto, Jean Desmarets de Saint-Sorlin – per un popolo di cristiani. Giorgi ripercorre gli stadi teorici di questo tentativo di sostituzione. E osserva poi che il trionfo in qualche modo effimero del meraviglioso cristiano, già giudicato negativamente da Segrais sin dal 1668 nella prefazione della sua traduzione dell’Eneide, fu bloccato con forza dall’Art poétique di Boileau, nel 1674. Testo in cui, come si ricorderà, Boileau afferma che la mescolanza della finzione con il meraviglioso cristiano rischia di far apparire false le verità della religione, mentre il meraviglioso pagano, in quanto frutto dell’immaginazione, si sposa perfettamente con la dimensione finzionale. E Giorgi precisa che i numerosi e importanti teorici che scrissero i loro testi dopo la pubblicazione dell’Art poétique ignorarono («et pour cause», commenta, a p. 26 dell’introduzione) la questione del meraviglioso cristiano. Tra gli autori che cita a testimonianza di questo ritorno al pagano, figurano Le Bossu, Carel de Sainte-Garde, Rapin. Opportunamente ricorda però che ancora a fine secolo ci sarà chi difenderà il meraviglioso cristiano, ad esempio, scrive, Charles Perrault, che egli considera il «successeur de Desmarets de Saint-Sorlin» (Ibid.).

5Giorgi scinde, facendo sua la scansione per argomenti di buon numero dei trattati che antologizza, il discorso sullo stile epico da quello sul soprannaturale, sul meraviglioso, e scrive a questo proposito:

Il faut souligner que l’emploi des figures de rhétorique (dans l’épopée, mais aussi dans les autres genres littéraires) est vivement critiqué dans la deuxième moitié du dix-septième siècle, et que c’est surtout le Tasse, considéré comme le représentant le plus illustre du style imagé, qui est pris à partie par les théoriciens (Ivi, pp. 29-30).

6Accenna quindi alle osservazioni critiche in merito di Boileau, del Père Bouhours, e di Rapin. Due su tre, teorici che non sono d’accordo con il meraviglioso cristiano: per Boileau è necessario che la poesia sia ornata, e il meraviglioso cristiano – come riporta lo stesso Giorgi – non sopporta a suo avviso il peso degli ornamenti.

7Ma qui il discorso si complica.

8Giorgi osserva, per commentare l’attacco allo stile di Tasso da parte dei teorici citati, che «l’âge baroque, avec ses profusions ornamentales – si riferisce agli anni dopo il 1670, e comunque a quelli successivi alla pubblicazione dell’Art poétique di Boileau – était désormais révolu» (Ibid.).

9Ora: l’impressione, supportata dai testi, è che l’opposizione dei teorici francesi sostenitori degli Anciens fosse solo superficialmente indirizzata alla forma, allo stile, di Tasso, e molto più profondamente diretta alla sostanza della sua poesia, sostanza cristiana per l’appunto, illimitatamente ornata, nelle intenzioni dei Modernes innovatori, di meraviglioso a sua volta cristiano.

  • 4 Giorgi opportunamente cita di Philippe Sellier Le myhte du héros ou le désir d’être dieu (Paris, Bo (...)

10Le conclusioni che Giorgi trae, avallando un’impostazione critica che ha al suo attivo illustri sostenitori – da Philippe Sellier a Anne-Elisabeth Spica4 – ribadiscono in certo qual modo quello che già Voltaire aveva affermato sul poema epico del Grand Siècle, ovvero che la volontà di poeti e teorici secenteschi di regalare alla Francia una produzione epica comparabile per vigore e valore a quella degli Antichi si era risolta in un échec. Per Giorgi il fallimento è sostanzialmente da imputare a un eccesso di regolamentazione. Il che è incontestabile se l’ottica è quella, qui proposta, dei testi teorici. E se si prende per totalmente onesta, senza aprire il capitolo della dissimulazione, l’argomentazione che i poetologi – come li definisce Giorgi – di quel secolo, avanzano con tanta precisione nei loro trattati e nelle loro prefazioni quanto alle regole. Voltaire, pur della stessa idea quanto ai risultati, la motivava in maniera diversa. Distingueva due parti nella poesia epica: da un lato i fatti reali nel cui ambito anche per sua opinione andava scelto il soggetto dell’epopea; d’altro lato le fictions. Se la parte del poema relativa al soggetto, dunque ai fatti reali, era rigorosamente regolamentata oltre che fondata sul giudizio, non altrettanto si poteva dire a suo avviso della parte che riguarda le finzioni, ovvero della parte abbellita con l’immaginazione:

  • 5 Voltaire, La Henriade, avec des variantes et des notes et l’Essai sur le poème épique. Nouvelle édi (...)

[…] mais la machine du merveilleux, l’intervention d’un pouvoir céleste, la nature des épisodes, tout ce qui dépend de la tyrannie de la coutume, et de cet instinct qu’on nomme goût, voilà sur quoi il y a mille opinions, et point de règles générales5.

  • 6 Sulla celebre frase attribuita a Voltaire e in realtà da lui ripetuta ma pronunciata da M. de Maléz (...)

11Se il xvii secolo aveva fallito, la ragione andava cercata a suo avviso nel fatto che «les Français n’ont pas la tête épique»6. Per lo meno non l’avevano prima di lui. E questo essenzialmente per via di una tendenza dei francesi a far loro certi eccessi d’immaginazione di cui lo stesso Tasso si era macchiato, benché ai suoi occhi grandissimo poeta:

  • 7 Voltaire, La Henriade, avec des variantes et des notes et l’Essai sur le poème épique, ed. cit.

Dix princes chrétiens métamorphosés en poissons, et un perroquet chantant des chansons de sa propre composition, sont des fables bien étranges aux yeux d’un lecteur sensé, accoutumé à n’approuver que ce qui est naturel7.

12Ovvero per una ragione opposta rispetto all’eccesso di regolamentazione, che Voltaire avrebbe anzi visto come una garanzia di riuscita. Quella riuscita che pensava di aver realizzato con la sua Henriade, proprio grazie a un sistematico procedimento di reductio ad verum. Non della stessa opinione sarebbe stato Théophile Gautier, rispetto alla Henriade, a giudicare da quel che ne scrisse:

  • 8 Th. Gautier, La Divine Epopée de M. Alexandre Soumet, dans «La Revue des Deux Mondes», avril 1841, (...)

Les Grecs ont l’Iliade et l’Odyssée, les Latins l’Enéide, les Italiens la Divine Comédie, le Roland furieux, la Jérusalem délivrée; l’Angleterre a le Paradis perdu, l’Allemagne les Niebelungen et la Messiade, le Portugal la Lusiade, l’Espagne l’Araucana, l’Inde Nal et Damayanti, la Perse le livre des Rois; nous autres nous n’avons rien, c’est-à-dire la Henriade8.

13D’accordo con Voltaire nel negare ai francesi la capacità di cimentarsi con l’epopea, molto critico tuttavia nei suoi confronti quanto alla sua ipotesi di aver colmato la lacuna riconducendo il meraviglioso negli argini ragionevoli dell’allegorico.

 

  • 9 L. Sozzi, «L’influence en France des épopées italiennes et le débat sur le merveilleux», in Mélange (...)
  • 10 «Variante que Pietro Vettori propose dans son Commentaire à la Poétique d’Aristote de 1560» (Ivi, p (...)

14Ma per riprendere la questione a monte: Giorgetto Giorgi cita in bibliografia l’articolo che Lionello Sozzi consacrò nel 1981 all’influenza delle epopee italiane in Francia e al dibattito sul meraviglioso9. In quell’imprescindibile articolo Lionello Sozzi si soffermava su un punto delicato e cruciale: ovvero la differenza di lettura di un passo della Poetica di Aristotele da parte di certi trattatisti e volgarizzatori cinquecenteschi, quello in cui lo Stagirita afferma che il meraviglioso nell’epopea può andare fino all’irrazionale, ἄλογον, trascritto però da alcuni, segnatamente da Pietro Vettori, come ἀνάλογον10, con chiara trasformazione del senso nel suo contrario. Non meraviglioso consentito fino all’irrazionale secondo questa lectio, ma meraviglioso necessariamente coerente. Interessante è in effetti osservare chi si adegua a questa correzione e chi no, tra i poetologi antologizzati; ma, in seconda battuta, ancora più rivelatrice è poi la verifica della corrispondenza di tale adeguamento con la sua messa in pratica, ovvero andare a sondare l’effettiva coerenza o non piuttosto l’incoerenza del meraviglioso in poesia, nei poemi veri e propri, anche da parte di chi ne limita rigorosamente l’impiego in sede teorica.

15Un’osservazione di grande interesse che Sozzi faceva in quell’articolo stava nel passaggio che egli riservava a Le Bossu. Sozzi notava infatti che se nel riportare il precetto aristotelico relativo al meraviglioso epico Le Bossu forniva la versione francese corretta, quella cioè che presupponeva nella versione originale il termine ἄλογον, e correttamente dunque dava per possibile un meraviglioso illimitato, nelle note in margine riportava invece il testo greco della lezione del Vettori, ovvero quella che limitava il θαυμαστόν al verosimile. Senza accorgersi della discrepanza, osservava Sozzi:

  • 11 Ivi, p. 69.

Une insuffisante connaissance du grec a-t-elle obligé notre bon père à utiliser une traduction faite par d’autres, sans qu’il se rende compte qu’elle divergeait du texte grec dont il disposait? C’est bien possible. De toute manière, Le Bossu est intimidé par la hardiesse de la page d’Aristote qu’il cite. Il serait, pour sa part, bien plus prudent, bien plus enclin à souligner la nécessité de rester dans les bornes rassurantes du vrai et du raisonnable11.

16L’incidente in cui Le Bossu incappò, segnalato da Sozzi, va comunque interpretato come un segno: la tendenza generale era quella di seguire in apparenza i precetti aristotelici, ma di farne poi ciò che meglio si credeva. Per i sostenitori degli Anciens, tra i quali Le Bossu va annoverato, anche in merito alla scelta del meraviglioso pagano rispetto a quello cristiano, divinità mitologiche peraltro da lui spiegate come allegorie delle varie e numerose prerogative dell’unico vero Dio, la possibilità di spingersi fino all’irrazionale era sentita come pregiudizievole per il rispetto della verosimiglianza, e quindi addomesticata tramite l’accoglimento del prefisso introdotto dal Vettori. Viceversa, per coloro che nel capolavoro del Tasso e nei suoi Discorsi teorici avevano trovato la migliore dimostrazione di una possibile applicabilità piena del dettato aristotelico, la difesa dell’ἄλογον andava portata avanti anche con la rivendicazione di un meraviglioso obbligatoriamente cristiano, figura poetica – come insegnava proprio Torquato Tasso – dell’onnipotenza divina, senza dover dunque temere di andar contro il verosimile.

  • 12 J.-M. Roulin, introduzione alla giornata di studi sull’Epopée en vers dans la littérature française (...)
  • 13 Era in effetti già questa la conclusione cui ero giunta con il mio primo studio sull’epica secentes (...)

17Il doppio veto contro il clinquant del Tasso da un lato e contro l’applicazione del meraviglioso alle verità della religione cristiana dall’altro, ossequiato da molti in sede teorica, si può affermare che lo sia stato assai meno nella pratica. Come dimostra peraltro il fatto che, nella pratica, ovvero nella composizione dei poemi veri e propri, gli esiti felici, per nulla rari, sono riscontrabili là dove i rigidi precetti non vennero rispettati, spesso contraddicendo quanto affermato con forza in prefazioni e trattati. Lo afferma autorevolmente lo stesso Jean-Marie Roulin, che Giorgi cita, acuto studioso del genere epico, quando dice che «les épopées françaises les plus remarquables sont des textes qui jouent avec le code épique et le transgressent»12. Roulin si riferiva, con spettro ampio, alle Tragiques di Agrippa d’Aubigné e alla Légende des siècles di Victor Hugo, ma l’osservazione è valida in assoluto13.

18C’è enorme discrepanza, in molti casi, tra i precetti enunciati nei testi teorici, nelle premesse, nelle epistole dedicatorie, negli avvisi, e il contenuto effettivo dei poemi. Quasi fossero i primi, in molti casi, l’armatura di ferro di cui rivestire corpi altrimenti vulnerabili, se esposti privi di corazza agli attacchi dei legislatori del Parnaso.

  • 14 Testo del 1654 (Paris, A. Courbé) antologizzato e analizzato da Giorgi alle pp. 141-161 del suo vol (...)

19Si può constatare come ci sia frequente tendenza, da parte degli autori francesi, a ricusare nelle loro prefazioni e nei loro trattati ciò che in realtà accettano nella pratica. Non è raro il caso di autori che non riconoscono il Tasso come modello, che arrivano anche a criticarne apertamente certe prese di posizione, e che poi lo seguono alla lettera nei loro poemi. Colpisce il fatto che spesso lo imitano, e si tratta anche di vere e proprie parafrasi, di riprese parola per parola non segnalate, proprio negli aspetti che in teoria affermano di non apprezzare. Anche rimanendo in ambito prettamente teorico, può fungere efficacemente da esempio il comportamento di Georges de Scudéry che nella Préface del suo Alaric ou Rome vaincue14, pur dichiarandosi seguace del Tasso afferma senza remore che egli si deve essere sbagliato nell’affermare che lo scopo principale della poesia è quello di piacere (Scudéry si riferisce alla prima versione dei Discorsi tassiani) e che verosimilmente quando lo ha pensato e scritto doveva trovarsi «dans un de ces intervalles peu lucides où sa raison n’était pas libre». Senza rinunciare tuttavia, subito dopo e senza dichiarare il prestito, a utilizzare un lungo paragrafo del Tasso relativo proprio allo scopo della poesia.

20Nel secondo dei suoi Discorsi dell’arte poetica, Tasso spiegava che per raggiungere il suo unico scopo, quello di piacere al lettore, il poeta eroico deve introdurre nel suo poema la varietà, e stabiliva a questo proposito il celebre paragone tra l’opera di Dio e quella del poeta:

  • 15 L’edizione che qui utilizzo è quella dei Classici Ricciardi in due tomi, a cura di Ettore Mazzali: (...)

… sì come in questo mirabile magisterio di Dio, che mondo si chiama, e ’l cielo si vede sparso o distinto di tanta varietà di stelle; e, discendendo poi giuso di mano in mano, l’aria e ’l mare pieni d’uccelli e di pesci; e la terra albergatrice di tanti animali così feroci come mansueti, nella quale e ruscelli e fonti e laghi e prati e campagne e selve e monti si trovano; e qui frutti e fiori, là ghiacci e nevi, qui abitazioni e culture, là solitudini ed orrori: con tutto ciò uno è il mondo che tante e sì diverse cose nel suo grembo rinchiude, una la forma e l’essenza sua, uno il modo dal quale sono le sue parti con discorde concordia insieme congiunte e collegate; e non mancando nulla in lui, nulla però vi è di soverchio o di non necessario: così parimente giudico che da eccellente poeta (il quale non per altro divino è detto se non perché, al supremo Artefice nelle sue operazioni assomigliandosi, della sua divinità viene a partecipare) un poema formar si possa nel quale quasi in un picciol mondo, qui si leggano ordinanze d’eserciti, qui battaglie terrestri e navali, qui espugnazioni di città, scaramucce e duelli, qui giostre, qui descrizioni di fame e di sete, qui tempeste, qui incendi, qui prodigi; là si trovino concilii celesti e infernali, là si veggiano sedizioni, là discordie, là errori, là venture, là incanti, là opere di crudeltà, di audacia, di cortesia, di generosità; là avvenimenti d’amore, or felici or infelici, or lieti or compassionevoli; ma che nondimeno uno sia il poema che tanta varietà di materie contegna, una la forma e la favola sua, e che tutte queste cose siano di maniera composte che l’una l’altra riguardi, l’una a l’altra corrisponda, l’una da l’altra o necessariamente o verisimilmente dependa: sì che una sola parte o tolta via o mutata di sito, il tutto ruini15.

21Georges de Scudéry scrive, quanto a lui:

  • 16 Nel volume di Giorgi il passo della Préface di Scudéry qui riportato figura alla p. 152.

Le Ciel est tout semé d’Etoiles, l’Air et la Mer sont plein d’Oyseaux et de Poissons; la Terre a des Animaux sauvages et des domestiques; des Ruisseaux, des Fontaines et des Lacs, des Prez, des Campagnes, des Monts et des Bois; des Fruits, des Fleurs, des Glaçons, et de la Neige; des Habitations, et des Champs cultivez, des solitudes, des Roches et des Precipices; et tout cela ne fait qu’un Monde. De même dans un Poeme Epique on voit des Armées rangées ou campées; des Batailles sur la Terre ou sur la Mer, des prises de Villes, des Escarmouches, et des Duels; des Descriptions de la Faim, de la soif, des tempestes, et des embrazements, des séditions, des Enchantemens; des actions cruelles, et des actions genereuses, des evenemens d’amour, tantost heureux, et tantost infortunez; et cependant au milieu d’une si grande diversité de choses, l’unité ne laisse pas d’estre en la Fable comme au monde, si elle est faite selon la Regle de l’Art16.

  • 17 L’antologia, in due volumi, è a un buon punto di realizzazione, e ritengo che sarò in grado di pubb (...)

22Risulta insomma che la lezione tassiana, quando viene messa in discussione dagli autori francesi, lo è soltanto nelle loro dichiarazioni d’intenti, mentre è poi ripresa parola per parola nel suo aspetto più moderno, ovvero l’assimilazione del poeta eroico al Creatore. Efficace testimonianza di questa frequente divaricazione tra teoria e prassi potrà essere fornita da un’antologia in qualche modo complementare a quella qui presentata di Giorgi, relativa ai principali poemi epici del Seicento francese, composti e pubblicati dagli stessi autori che Giorgi prende in considerazione, e di cui offre in lettura prefazioni e testi liminari e d’accompagnamento17.

  • 18 G. Giorgi, Les poétiques italiennes du roman, Paris, Honoré Champion, 2005, 271 pp.
  • 19 Id., Romanzo e poetiche del romanzo nel Seicento francese, Roma, Bulzoni, 2005, 164 pp.

23Ma mi piace concludere ricordando che il volume di Giorgi da me recensito è stato preceduto, un po’ più di una decina d’anni fa, da un altro volume di analoga concezione dedicato alle poetiche italiane dei romanzi18, e lo stesso anno da un volume dedicato al romanzo francese e alle relative poetiche19. Nel loro insieme, questi ampi studi di Giorgetto Giorgi forniranno al lettore il quadro di una teorizzazione del genere narrativo in senso lato e la possibilità di cogliere i nessi mai abbastanza evidenziati tra romanzo ed epopea tra Cinque e Seicento.

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Note

1 Les poétiques de l’épopée en France au xviie siècle. Textes choisis, présentés et annotés par Giorgetto Giorgi, Paris, Honoré Champion, 2017, 576 pp.

2 Giorgi fa riferimento alle traduzioni secentesche dei Discorsi tassiani realizzate da Jean Baudoin (p. 12 dell’Introduzione e nota 25), ma utilizza poi per le sue citazioni da quei testi la loro traduzione moderna: Le Tasse, Discours de l’art poétique. Discours du poème héroïque, traduit de l’italien, présenté et annoté par Françoise Graziani, Paris, Aubier, 1997. Anticipo qui che, studiando i testi dei Discorsi nella versione di Baudoin, ho potuto constatare importanti interventi effettuati dal traduttore, finalizzati a un loro adeguamento culturale – questa la spiegazione di Baudoin – per la Francia, e che l’importanza di questi interventi mi ha convinta della necessità di pubblicare quelle traduzioni. Sto quindi preparando l’edizione critica delle parti dei Discorsi che, in due fasi distinte, Baudoin ha trasposto in francese. Il confronto con i testi originali dà adito a considerazioni non irrilevanti dal punto di vista proprio dell’influenza del pensiero teorico di Tasso sugli autori francesi.

3 I testi antologizzati sono trenta. Il primo, L’art poétique di Jean Vauquelin de la Fresnaye, è datato 1605; l’ultimo, di François de Salignac de La Mothe Fénelon, venne pubblicato nel 1710. La scansione cronologica è regolare e dipanata lungo tutto il secolo: il secondo testo presentato è L’Académie de l’art poétique di Pierre de Deimier, del 1610; seguono l’epistola ai Lettori delle Tragiques di Agrippa d’Aubigné (1616); il Jugement sur l’Amédeide di Honoré d’Urfé (1618); la Lettre de Monsieur Chapelain sur le poème d’Adonis du Chevalier Marino (1623); il Traité péripatéticien sur le poème héroïque di Pierre Mambrun (1652); la Préface del Moïse sauvé di Saint-Amant (1653); la Préface dell’Alaric ou Rome vaincue. Poème héroïque di Georges de Scudéry (1654); la Préface de La Pucelle ou la France délivrée di Jean Chapelain (1656); la Lettre du Sieur du Rivage, ovvero di Jules de la Mesnardière, sur le poème épique et sur le poème de la Pucelle (1656); la Réponse du Sieur de la Montagne, ovvero di Jean Chapelain, où ses observations sur le poème de la Pucelle sont examinées (1656): l’Avis preposto al Clovis ou la France chrétienne di Jean Desmarets de Saint-Sorlin (1657); il Traité du poème héroïque pubblicato insieme al Saint Louis ou la Sainte Couronne reconquise di Pierre Le Moyne (1658); il Traité du poème épique apposto al Virgile chrétien di Laurent Le Brun (1661); il Traité du poème épique di Michel de Marolles (1662); la Préface al Jonas ou Ninive pénitente, poème sacré di Jacques de Coras (1663); la Préface al Charlemagne di Louis Le Laboureur (1664); la Préface de La Pucelle ou la France délivrée, livres XIII-XXIV di Jean Chapelain (1667); la Préface alla Traduction de l’Enéide de Virgile di Jean Regnault de Segrais (1668); L’Excellence et les plaintes de la poésie héroïque, testo pubblicato insieme all’Esther, poème héroïque di Jean Desmarets de Saint-Sorlin (1670); il Discours pour prouver que les sujets chrétiens sont les seuls propres à la poésie héroïque, pubblicato dallo stesso Desmarets con la seconda edizione del Clovis ou la France chrétienne (1673); L’Art Poétique di Nicolas Boileau-Despreaux (1674); il Traité du poème épique di Le Bossu (1675); la Défense d’Homère et de Virgile, ou la belle manière de composer un poème héroïque, inclusa nelle Réflexions académiques sur les orateurs et les poètes di Jacques Carel de Sainte-Garde (1676); il trattato Du poème épique, contenuto nelle Nouvelles réflexions sur l’art poétique di Bernard Lamy (1678); Les Réflexions sur la poétique et sur les ouvrages des poètes anciens et modernes, tratte dalle Réflexions sur l’éloquence, la poétique, l’histoire et la philosophie di René Rapin (1684); il trattato Du merveilleux qui se trouve dans les Poèmes des Anciens incluso nelle Œuvres mêlées di Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Evremond (1692); e la Préface all’Adam ou la création de l’homme, sa chute et sa réparation, poème chrétien di Charles Perrault (1697). Chiude, come detto, il Mémoire au Père Michel Le Tellier di François de Salignac de la Mothe Fénelon (1710).

4 Giorgi opportunamente cita di Philippe Sellier Le myhte du héros ou le désir d’être dieu (Paris, Bordas, 1970), e di Anne-Elisabeth Spica Lectures françaises du système épique tassien: un enfer pavé de bonnes intentions? («Papers on French Seventeenth Century Literature», vol. XL, 79, 2013), e altresì di Daniel Madelénat il volume L’épopée (Paris, Presses Universitaires de France, 1986), di Siegbert Himmelsbach L’épopée ou la «case vide». La réflexion poétologique sur l’épopée nationale en France (Tübingen, Max Niemeyer Verlag, 1988) e di Klara Csúrös Variété et vicissitudes du genre épique de Ronsard à Voltaire (Paris, Champion, 1999). Testi tutti di riferimento, salvo il più recente articolo di A.-E. Spica, già per il mio Tra mito e storia. L’epopea in Francia nel xvii secolo (Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1991), che Giorgi ha del resto la gentilezza di citare e utilizzare nella sua introduzione e nelle sue note critiche.

5 Voltaire, La Henriade, avec des variantes et des notes et l’Essai sur le poème épique. Nouvelle édition, publiée à Londres chez Innis, 1733.

6 Sulla celebre frase attribuita a Voltaire e in realtà da lui ripetuta ma pronunciata da M. de Malézieux, in base al resoconto fornito da M.-L. Boutteville nelle sue Antiquités Nationales (ch. XLV, «De l’ancienne épopée nationale», à Paris et Lyon, Librairie d’Education de Périsse Frères, 1841, p. 189), cfr. G. Bosco, «Voltaire lecteur du Tasse, ou bien la célèbre histoire de la tête épique» in Destini incrociati. Intrecci e confluenze nelle culture romanze, a cura di G. Bosco, Torino, Trauben, 2014.

7 Voltaire, La Henriade, avec des variantes et des notes et l’Essai sur le poème épique, ed. cit.

8 Th. Gautier, La Divine Epopée de M. Alexandre Soumet, dans «La Revue des Deux Mondes», avril 1841, première quinzaine, p. 107.

9 L. Sozzi, «L’influence en France des épopées italiennes et le débat sur le merveilleux», in Mélanges offerts à Georges Couton, textes réunis et présentés par Jean Jehasse, Claude Martin, Pierre Rétat et Bernard Yvon, Lyon, Presses Universitaires, 1981.

10 «Variante que Pietro Vettori propose dans son Commentaire à la Poétique d’Aristote de 1560» (Ivi, p. 67).

11 Ivi, p. 69.

12 J.-M. Roulin, introduzione alla giornata di studi sull’Epopée en vers dans la littérature française du xvie au xixe siècle («Cahiers de l’Association Internationale des Etudes Françaises», 65, mai 2013, p. 253). A quella giornata di studi dell’AIEF, G. Giorgi partecipò con un intervento intitolato Présence des Anciens et des Modernes dans “Alaric, ou Rome vaincue” de Georges de Scudéry, e io stessa parlando di Jean Desmarets de Saint-Sorlin, ou bien de la diversité épique. A propos du “Clovis”, de la “Marie-Madeleine” et d’“Esther”.

13 Era in effetti già questa la conclusione cui ero giunta con il mio primo studio sull’epica secentesca: G. Bosco, Il meraviglioso barocco come segno della trasgressione, Albert Meynier editore, Torino, 1985 (un volume dedicato in particolare al Saint Louis di Pierre Le Moyne, ma che prendeva in considerazione gli scritti teorici relativi al genere nella Francia del xvii secolo).

14 Testo del 1654 (Paris, A. Courbé) antologizzato e analizzato da Giorgi alle pp. 141-161 del suo volume.

15 L’edizione che qui utilizzo è quella dei Classici Ricciardi in due tomi, a cura di Ettore Mazzali: Torquato Tasso, Scritti sull’arte poetica, Torino, Einaudi, 1977, pp. 41-42.

16 Nel volume di Giorgi il passo della Préface di Scudéry qui riportato figura alla p. 152.

17 L’antologia, in due volumi, è a un buon punto di realizzazione, e ritengo che sarò in grado di pubblicarla nel corso del 2018.

18 G. Giorgi, Les poétiques italiennes du roman, Paris, Honoré Champion, 2005, 271 pp.

19 Id., Romanzo e poetiche del romanzo nel Seicento francese, Roma, Bulzoni, 2005, 164 pp.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Gabriella Bosco, «Della questione epica»Studi Francesi, 182 (LXI | II) | 2017, 320-326.

Notizia bibliografica digitale

Gabriella Bosco, «Della questione epica»Studi Francesi [Online], 182 (LXI | II) | 2017, online dal 01 août 2018, consultato il 13 janvier 2025. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/studifrancesi/9775; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/studifrancesi.9775

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Autore

Gabriella Bosco

Università di Torino

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