Élise Hugueny-Léger, Projections de soi. Identité et images en mouvement dans l’autofiction
Élise Hugueny-Léger, Projections de soi. Identité et images en mouvement dans l’autofiction, Lyon, Presses Universitaires de Lyon, 2022, 324 pp.
Testo integrale
1Senior lecturer presso la University of St Andrews, in Scozia, e già autrice di un saggio di rilievo sull’opera di Annie Ernaux (Annie Ernaux, une poétique de la transgression, Peter Lang, 2009), Élise Hugueny-Léger considera ora un corpus ampio per interrogarsi sulle relazioni che la scrittura autofinzionale (intesa come rapporto alla scrittura e alla vita più che come genere a sé stante) intrattiene con l’immagine in movimento: le Projections de soi cui il titolo allude sono, infatti, quelle che prendono forma nell’incontro dell’individuo con il grande schermo della sala cinematografica nonché – elemento secondario nel saggio, benché presente – con lo schermo piccolo del televisore. Nel panorama narrativo su cui l’autrice si sofferma, l’incontro con il cinema è spesso identificato come un momento decisivo nella formazione del soggetto: introducendo una dimensione onirica dell’esistenza e scardinando le opposizioni nette tra realtà e finzione, l’immagine in movimento apre le porte alla creazione artistica e a quei processi di reinvenzione di sé in cui molti studiosi individuano i fondamenti dell’autofiction.
2I mutamenti in atto nell’accesso ai media e alla scrittura, osserva Hugueny-Léger, sollecitano l’adozione di approcci metodologici propriamente intermediali, utili per comprendere le produzioni tanto del presente, quanto del passato: ed è secondo questa prospettiva, per la quale l’autofiction è studiata in relazione al contesto composito delle trasformazioni culturali e mediatiche, che procede l’indagine sviluppata nei cinque capitoli di cui si compone il volume (Introduction. Le moment de l’autofiction, pp. 5-50).
3Intitolato L’autofiction des Nouveaux Romanciers. Duras et Robbe-Grillet, sur papier et sur écran (pp. 51-88), il primo capitolo mette in luce l’immaginario visivo che consente alle opere dei nouveaux romanciers di presentarsi come riflessioni su «ces images qui construisent l’identité personnelle». Muovendo da un’analisi della trilogia dei Romanesques di Alain Robbe-Grillet, l’autrice dimostra come la trasformazione radicale avvenuta nella scrittura autobiografica nel secondo Novecento non risieda tanto nel passaggio da una (presunta) concezione stabile dell’identità a una frammentaria, quanto nel diverso statuto accordato all’immaginario all’interno della costruzione dei testi. Le apparizioni televisive di Marguerite Duras, accostate alle posizioni critiche assunte dall’autrice rispetto alle possibilità e ai limiti delle immagini in movimento, costituiscono poi il nucleo di un’indagine da cui emerge un movimento discontinuo di «projection du spectateur sur les images proposées à l’écran, et projection de leur reflet persistant, comme par phénomène de réverbération, sur la vie réelle».
4Per i tre autori su cui si concentra il capitolo Filer, filmer. Le sujet autofictionnel chez Calle, Laurens et Perec (pp. 89-139), il cinema rappresenta allo stesso tempo una tecnica e una metafora. Muovendo dall’affermazione di Philippe Gasparini secondo la quale l’autofiction corrisponde alla proiezione dell’autore in situazioni immaginarie, la studiosa afferma che Sophie Calle, Camille Laurens e Georges Perec sono accomunati da una certa propensione a «vivre la vie comme un roman», ovvero a costruire la loro soggettività, così come la loro opera, attingendo a un serbatoio di riferimenti culturali e narrativi disparati. È soprattutto in riferimento al cinema – praticato in prima persona o integrato all’interno della scrittura romanzesca – che nelle opere dei tre autori si manifesta il vuoto della perdita, della sparizione, del lutto.
5Il capitolo dedicato all’opera di Emmanuel Carrère (Disparition et quête des origines. L’empreinte des formes cinématographiques et romanesques chez Carrère, pp. 141-177) sviluppa una riflessione in cui la forma narrativa dell’indagine ricopre un ruolo centrale. Nelle relazioni tra il film Retour à Kotelnitch e il romanzo, cronologicamente successivo, Un roman russe, e in particolare nelle maniere in cui entrambi danno a vedere le azioni autoriali di invenzione, concatenazione degli elementi e montaggio delle scene, si verifica un’articolazione complessa tra l’immaginario e il vissuto in cui sembrano coesistere le posizioni, apparentemente incompatibili, proposte da Vincent Colonna e da Serge Doubrovsky riguardo alla definizione dell’autofiction.
6In Adaptations et altérité. Allers-retours entre écrits et écrans chez Ernaux et Angot (pp. 179-230), Hugueny-Léger si sofferma sui romanzi L’Occupation di Annie Ernaux e Pourquoi le Brésil? di Christine Angot, e sui rispettivi adattamenti cinematografici realizzati da Pierre Trividic e Patrick Mario Bernard (L’Autre) e da Laetitia Masson (Pourquoi (pas) le Brésil). La domanda che innerva l’analisi è la seguente: se trasporre un testo da un medium all’altro implica aggiungervi una componente di soggettività propria, quando è possibile parlare di strategie cinematografiche autofinzionali? Una risposta univoca non sembra formulabile, ma ciò che emerge è l’idea che l’adattamento autofinzionale sia «bien plus une question d’altérité, de rencontre entre différentes subjectivités et sensibilités, que du passage d’un support artistique ou technique à un autre».
7La partecipazione dell’autore alle dinamiche mediatiche “di massa”, che siano televisive o di altro tipo, non va ricondotta a un semplice atteggiamento esibizionista o promozionale: le considerazioni presentate in Sujets médiatiques, figures publiques. Autofiction et télévision, de Doubrovsky à Delaume (pp. 231-282) ben mostrano come tali pratiche possano inscriversi all’interno di più vaste operazioni autofinzionali di tipo intermediale. Le modalità con cui scrittori come Doubrovsky, Ernaux, Nothomb, Carrère, Delaume, Toussaint, Angot e de Vigan si relazionano al mezzo televisivo – prendendovi parte o sottraendovisi, tematizzandolo nella scrittura o integrandone le forme e i linguaggi – sono rappresentative di uno spettro variegato di posture possibili e permettono di ipotizzare che, passato di moda il televisore in quanto oggetto, saranno le nuove varietà di dispositivi portatili, dagli smartphone in poi, a perpetuare il potere di penetrazione del piccolo schermo nell’ambito letterario.
8Un’affermazione forte, che ben condensa il senso globale di tutta l’argomentazione, chiude il volume: in un contesto culturale caratterizzato dalla democratizzazione della parola e dalla diffusione sempre più capillare degli schermi, «l’autofiction doit en partie sa fortune, sa longévité et ses capacités de renouveau au lien qui l’unit aux modes de représentation sur petit ou grand écran». E se parole come “influenza” o “intreccio” non bastano a esprimere la complessità delle relazioni che uniscono la parola all’immagine in movimento, il concetto di “proiezione” – nelle sue accezioni plurime – emerge come chiave di comprensione privilegiata delle pratiche autofinzionali (Conclusion. Mouvement, mutation et mutabilité: vers des écritures cinétiques, pp. 283-290).
Per citare questo articolo
Notizia bibliografica
Roberta Sapino, «Élise Hugueny-Léger, Projections de soi. Identité et images en mouvement dans l’autofiction», Studi Francesi, 201 (LXVII | III) | 2023, 746-747.
Notizia bibliografica digitale
Roberta Sapino, «Élise Hugueny-Léger, Projections de soi. Identité et images en mouvement dans l’autofiction», Studi Francesi [Online], 201 (LXVII | III) | 2023, online dal 01 mars 2024, consultato il 15 février 2025. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/studifrancesi/56167; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/studifrancesi.56167
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