Navigazione – Mappa del sito

HomeNumeri200 (LXVII | II)Nuove ricerche sulle traduzioni i...

Abstract

Studies concerning the first reception of Molière’s comedies in Italy need to be updated, due to the renewal of research methodologies. In this paper we present and analyse an unknown manuscript conserved in Florence National Library (Capponi viii): probably dated of the 18th century, and accomplished for stage performances, this manuscript shows how L’Avare, influenced by Commedia dell’Arte and not very respectful of classical theatrical aesthetic, was perceived in Italian theatres in that century, when Italian comedy was in search of renewal, to overpass the clichés of masks and the invraisemblances of the commedia all’improvviso.

Torna su

Testo integrale

I

  • 1 P. Toldo, Molière et sa fortune en Italie, Torino, Loescher, 1910; C. Levi, Studi Molieriani, Paler (...)
  • 2 G. Santangelo, C. Vinti, Le traduzioni italiane del teatro comico francese dei secoli xvii e xviii,(...)
  • 3 S. Ingegno Guidi, Per la storia del teatro francese in Italia: L.A. Muratori, G.G. Orsi e P.J. Mart (...)
  • 4 Manus Online manoscritti delle biblioteche italiane; https://manus.iccu.sbn.it.

1Il campo di studi relativo alla prima ricezione dell’opera di Molière in Italia tra la fine del xvii e il xviii secolo ha prodotto numerosi frutti, che necessitano tuttavia di un aggiornamento. Se Pietro Toldo e Cesare Levi all’inizio del xx secolo hanno dedicato studi pionieristici alle traduzioni italiane di Molière1, sarà soltanto nel 1981 che la bibliografia di Santangelo e Vinti2, relativa alle traduzioni del teatro comico francese dei secoli xvii e xviii, completerà le indagini precedenti, diventando lo strumento più completo dedicato a questo fenomeno: pur essendo ancor oggi un punto di riferimento imprescindibile, il repertorio prende tuttavia in considerazione prevalentemente le traduzioni a stampa, e soltanto occasionalmente quelle manoscritte. Si tratta inoltre di uno strumento bibliografico che non offre un commento analitico dei testi reperiti. Dagli anni Ottanta a oggi, diversi studi hanno fatto riemergere testimoni manoscritti di traduzioni di pièces molieresche3; e, come noto, la costruzione, dagli anni Novanta ad oggi, di cataloghi informatizzati, quale il recente manus4, ha contribuito a far emergere altri testimoni, che permetteranno oggi di compiere indagini e studi più approfonditi e ampliare il corpus.

  • 5 Si ricorderà soprattutto l’innovativa genetica del testo teatrale di G. Forestier, Essai de génétiq (...)
  • 6 Si vedano tra gli altri gli studi di C. Fahy, Saggi di bibliografia testuale, Padova, Antenore, 198 (...)
  • 7 R. Chartier, In scena e in pagina. Editoria e teatro in Europa tra xvi e xviii secolo, Milano, Bonn (...)

2Occorre inoltre considerare l’attuale evoluzione della metodologia della ricerca per quanto riguarda il testo drammaturgico: lo studio delle influenze delle condizioni materiali della rappresentazione teatrale ha permesso di rinnovare gli studi e i criteri di edizione del teatro classico francese5. Parallelamente, la lezione della bibliografia testuale di scuola anglosassone6 e gli studi di storici come Roger Chartier7 hanno valorizzato il concetto di copia anche nei testi a stampa, e chiarito la necessità di distinguere la destinazione e il contesto d’uso del libro, ponendo l’accento sull’influenza del destinatario.

  • 8 G. Toury, Descriptive Translation Studies and Beyond, Amsterdam, John Benjamins, 1995.
  • 9 Basterà ricordare gli studi fondativi di A. Berman, La retraduction comme espace de la traduction, (...)
  • 10 Nell’ambito del gruppo di Studi Internazionali Franco-Italiani, recentemente costituitosi nel Dipar (...)

3Altrettanto è possibile affermare per quanto riguarda l’approccio traduttologico: grazie agli studi sulla ricezione, quali la teoria del polisistema8 in cui si postula la necessità di studiare il testo d’arrivo nella sua autonomia, in una visione culturale non strettamente logocentrica, è stato possibile oltrepassare il problema della fedeltà al testo di partenza. Non vanno inoltre trascurate le problematiche precipue della ritraduzione9, che riguardano i testi più celebri: lo studio della sequenza traduttiva offre spunti che innovano il tradizionale approccio critico. I repertori delle traduzioni del teatro classico francese attendono dunque di essere da un lato arricchiti, dall’altro esplorati10. L’obiettivo del presente studio è assai più modesto e ridotto, limitandosi ad analizzare i tratti caratteristici di un manoscritto, inedito e mai segnalato né studiato precedentemente, un adattamento dell’Avare conservato nel fondo Palatino Capponi della Biblioteca Nazionale di Firenze. Si tratta di uno studio in divenire, ma che vorrebbe dimostrare già in questa prima fase l’interesse del nostro orientamento di ricerca.

II

  • 11 C. Bourqui, “L’Avare” de Molière à la lumière de la Commedia dell’Arte, in La Commedia dell’Arte tr (...)
  • 12 Id., Les Sources de MolièreRépertoire critique des sources littéraires et dramatiques de Molière, (...)
  • 13 C. Bourqui, G. Forestier, L’Avare. Notice, dans Molière, Œuvres complètes, Paris, Gallimard, 2010, (...)
  • 14 Ivi, p. 1331.
  • 15 D. Gambelli, Il vecchio avaro nella Commedia dell’Arte e nel teatro di Molière, in Ead., Vane Carte (...)

4A lungo considerato dalla critica come una comédie de caractère, in cui Molière avrebbe organizzato la fabula intorno al dipinto dell’avarizia, non senza difetti nell’intreccio, soprattutto in relazione al principio aristotelico della coerenza e della verosimiglianza, L’Avare è stato da qualche anno riletto sotto una luce differente. Uno studio di Claude Bourqui, pubblicato nel 199711, e seguito due anni dopo dal più celebre repertorio sulle fonti di Molière12, aveva infatti prospettato che dal lascito della commedia ridicolosa il drammaturgo avesse tratto dei principi estetici volutamente in assoluta controtendenza rispetto alle poetiche dominanti nella Francia teatrale del xvii secolo. Secondo Bourqui, a cui si è aggiunto Forestier nell’introduzione redatta per la «Bibliothèque de La Pléiade», il drammaturgo francese avrebbe operato una trasposizione selettiva a partire non solo dalla fonte plautina, quanto piuttosto dalla Commedia dell’Arte e della commedia francese coeva, dando luogo a una concatenazione di situazioni comiche, intervallate da digressioni, e culminanti in un finale che, attraverso l’agnizione, scioglie il nodo dell’intrigo, senza alcuna preoccupazione di verosimiglianza13. Le sue scelte drammaturgiche non sarebbero dunque state operate in funzione della creazione di un avaro verosimile, al fine di castigarne il vizio ridendone, bensì per dar vita a una commedia eterogenea, alla ricerca della pura comicità, al centro della quale la dimensione dell’avarizia esiste come tema conduttore, che può certo essere letto nella direzione di un significato morale ma a partire da azioni e situazioni che derivano da semplici lazzi. Uno degli esempi citati dai due studiosi è quello della scena dell’anello con diamante, quando all’atto III, scena 7, Cléante approfitta della situazione creatasi per far dono a Mariane del prezioso anello che Harpagon porta al dito, senza che questo possa opporsi. Bourqui e Forestier sottolineano che «les grimaces d’inquiétude, de fureur et de désespoir d’Harpagon sont révélatrices des mouvements passionnels non pas tant d’un avare […] que d’un homme désespéré de se voir subtiliser un magnifique diamant sans pouvoir protester à haute voix»14. Se la sequenza sembra prendere un significato morale – allontanandosi dalla sua origine di semplice lazzo – ciò sarebbe dovuto alla continuità tematica e al riverberarsi del principio Castigat ridendo mores sull’insieme della commedia. Per altro è da ricordare che l’esemplare saggio di Delia Gambelli, dedicato al rapporto tra il personaggio dell’avaro nella Commedia dell’Arte e in Molière, definisce la pièce come la «vicenda trasandata e rappezzata di un usuraio spilorcio», «una rassegna dei topoi più abusati», di cui colpisce «l’inverosimiglianza delle agnizioni, la trasandatezza delle trame, l’accumulo gratuito di furberie non utilizzate»15, per giungere poi a considerare come anche da questa banale e abusata trama Molière abbia tratto una pièce dalla oscura fascinazione.

5La validità di tali posizioni critiche può utilmente essere messa alla prova attraverso l’analisi del manoscritto che presentiamo oggi, volta a decifrare il valore e il significato delle scelte traduttive e adattative dell’anonimo autore, in un’ottica ricettiva: come vedremo, con estrema libertà egli si muove tra le pieghe del testo, attraverso una serie di manipolazioni (omissioni, aggiunte, condensazioni, riformulazioni, riprese di dialoghi tra scene e personaggi diversi) che sembrano obbedire a un disegno che si delinea in controluce. L’osservazione di tali strategie ci consentirà di comprendere come venga percepito l’Avare molieresco nel xviii secolo in Italia, allorquando la commedia sta cercando nuove vie per allontanarsi dalle stereotipie delle situazioni delle maschere e della commedia all’improvviso. A qualche semplice osservazione di carattere linguistico ne abbiamo affiancate altre più specificamente strutturali, tentando di distinguere il lavoro del traduttore da quello dell’adattatore, e ricostruirne il progetto di fondo.

III

  • 16 Sulle caratteristiche di queste traduzioni, cfr. L. Rescia, Molière e l’Italia cit., pp. 56-61.
  • 17 La prima rappresentazione del 1708 sarà pubblicata nel primo volume delle commedie del 1734, a Lucc (...)
  • 18 Milano, Malatesta, 1735.
  • 19 Magliabechiano VII, 915: L’Avaro / Comedia di Moliere / Tradotta dal 4° tomo / Delle sue Opere / St (...)
  • 20 Cfr. A.M. Russo, Palatino Capponi, in I manoscritti datati della Biblioteca Nazionale Centrale di F (...)

6Fin dalla fine del xvii secolo, e nel corso del successivo, L’Avare conosce diverse trasposizioni italiane: quattro all’interno delle traduzioni dell’intera opera molieresca, di cui tre a stampa e una manoscritta16; un adattamento in versi, L’Avaro Punito ad opera di Giovan Battista Fagiuoli (1708)17, una traduzione in versi di Gian Pietro Riva L’Arpagone (1735)18, una traduzione manoscritta in prosa, già segnalata da Toldo e conservata a Firenze nel Fondo Magliabechiano19, e l’adattamento manoscritto di cui ci occupiamo oggi. Il Fondo Capponi, confluito nella Biblioteca Palatina di Firenze, fu acquisito dalla Biblioteca Nazionale nel 1862 dall’allora direttore Vannucci, che ne stilò anche l’inventario, grazie al quale è stato possibile identificare il manoscritto 8, dal titolo L’avaro. Tale fondo20 deriva per la maggior parte dai libri raccolti da Giovan Vincenzio Capponi (1691-1748), canonico metropolitano, appartenente alla nobile famiglia dei marchesi di Altopascio, detti Capponi di San Frediano. Il prelato fu, oltre che appassionato di studi botanici, letterato illuminato, membro dell’Accademia della Crusca e dell’Accademia Fiorentina, i cui interessi letterari si rivolsero anche alla poesia e al teatro. La raccolta venne poi ampliata da un nipote, Vincenzio Maria Capponi (1726-1793) il quale non coltivava però interessi nella stessa direzione: con ogni probabilità quindi il manoscritto 8 deriva dal lascito di Giovan Vincenzio, e può presumibilmente risalire alla prima metà del xviii secolo. Si tratta di un codice cartonato (cm. 23 x 33,5 x 1), le cui pagine non sono numerate, composto da quarantasei carte, sul quale l’inventario Vannucci è laconico, riportando soltanto la sommaria datazione relativa al secolo. È possibile scorgervi una filigrana – un leone rampante il cui capo è sovrastato da una corona – che però a tutt’oggi non risulta repertoriata dagli strumenti che abbiamo potuto consultare. Come si rileva dallo schema comparativo che alleghiamo, il testo è costituito all’incirca per due terzi dalla traduzione del testo di partenza o, per meglio dire, dalla ripresa del nucleo semantico del discorso molieresco.

  • 21 La prima traduzione italiana dell’Avare, apparsa nella prima traduzione del teatro ad opera di Nico (...)

7Nella sua macrostruttura, la pièce si articola su tre atti, a fronte dei cinque dell’originale, procedimento di per sé non inusuale negli adattamenti sei e settecenteschi, ma che si distingue per una copiosa frammentazione delle scene, (rispettivamente quattordici, tredici e dodici, a fronte della scansione molieresca in cinque-cinque-sette-sette-cinque)21, nessuna delle quali raggiunge la ragguardevole lunghezza di molte scene dell’ipotesto: una scelta drammaturgica che, unita alla condensazione, crea un grande dinamismo, moltiplicando le entrate e le uscite di scena.

  • 22 A titolo di esempio, citeremo anco: anche; prosare: ragionare; valente (sost.): pregio, valore; mos (...)
  • 23 Numerose le forme tronche, quali fò, vò, dè, dì; i raddoppiamenti del tipo “te ti ho destinata”, “L (...)
  • 24 M.L. Altieri Biagi, La lingua in scena, Bologna, Zanichelli, 1980.
  • 25 Ci riferiamo alla quarta edizione del Vocabolario della Crusca, 1729-1738.
  • 26 Colpirà ancor più l’inserimento del termine andrienne, unico francesismo, non presente nel testo di (...)

8La lingua del traduttore è una koinè che possiamo descrivere, soprattutto in raffronto alle commedie coeve dei pregoldoniani e toscanissimi Gigli, Nelli, Fagiuoli, come fondata su un presupposto di intelligibilità sul territorio nazionale; se non priva di caratteristiche che la connotano come lingua del centro Italia, sul piano lessicale22 prima ancora che morfologico23 e sintattico, non va nella direzione di una ipercaratterizzazione di questi tratti. Capace di realizzare il binomio tra personaggi bassi, che si esprimono con ricchezza di tratti tipici dell’oralità, di locuzioni e proverbi, e altri che utilizzano una lingua più aulica, risulta nel suo complesso già anticipare una sorta di riforma del linguaggio. Colpisce in particolare una quasi totale assenza di francesismi, proprio in un’epoca in cui, a livello lessicale in modo specifico, la lingua della commedia italiana è estremamente permeabile a tale impiego, e in particolare lo sono le commedie toscane dei drammaturghi appena citati, ben studiati da Altieri Biagi24. Il nostro traduttore, invece, sorveglia sistematicamente il rischio di calchi o prestiti quand’anche essi siano già entrati nell’uso25, allontanandosene puntualmente; è il caso dei lemmi perruque e mariage, i cui traducenti parrucca e maritaggio vengono sistematicamente scartati, nel primo caso omettendo il termine o sostituendolo con una perifrasi (polvere per i capelli), nel secondo optando per parentado. Sembra dunque, l’anonimo, un oppositore di quella gallomania che gli storici della lingua italiana riconoscono a questa altezza cronologica26.

9Il traduttore, che è un ottimo conoscitore della lingua francese, non commettendo alcun errore interpretativo, è particolarmente fedele alla fabula, e talvolta anche alla lettera del testo, mantenendosi tuttavia sempre degli spazi di inventività e di allontanamento dalla fonte.

  • 27 L’Avaro, in Biblioteca teatrale della nazione francese…, Venezia, Stella, 1793.

10Sarà sufficiente esaminare pochi esempi per comprendere il tipo di postura traduttiva, che presentiamo a confronto anche con una importante traduzione, quella dell’Abate Tortosa, comparsa nel 1793 all’interno della Biblioteca teatrale della nazione francese27, che come noto intendeva incentivare la messa in scena di testi stranieri.

11Nel primo passaggio, come in molti altri dell’intero testo, l’anonimo traduttore rimane fedele al nucleo semantico del testo, ma introduce, anche se non sarebbe strettamente necessario, una locuzione di registro medio, il riferimento mitologico implicito a Eros, e modifica in parte il personaggio di Elise, che nelle vesti di Isabella sembra in difficoltà a non rivelare il suo segreto amoroso al fratello. La traduzione del 1793 risulta invece assolutamente rispettosa della lettera del testo:

  • 28 Il testo a cui ci riferiamo è quello stabilito da G. Conesa e adottato in Molière, Teatro, a cura d (...)

Molière28

Atto I, s. 2, p. 2086

Ms. VIII Capponi, [2/r]

Tr. Tortosa, 1793, p. 11

Cléante: Non ma sœur, mais vous n’aimez pas, vous ignorez la douce violence qu’un tendre amour fait sur nos cœurs; et j’appréhende votre sagesse.

Elise: Hélas! mon frère, ne parlons point de ma sagesse. Il n’est personne qui n’en manque du moins une fois en sa vie; et si je vous ouvre mon cœur, peut-être serai-je à vos yeux bien moins sage que vous.

Orazio: No, ma voi che non siete in questi piedi non sapete qual violenza fa l’amore di un cuore che ama.

Isabella: Eh Orazio, di grazia non parlate. E chi è nel mondo che questo bendato ragazzo non l’abbia tirato ne’ suoi lacci? E se io ancor vi palesassi… oh, quasi ebbi a palesarli il mio stato (da sé). Basta, discorriamo del vostro affare.

Cleante: No, sorella cara; ma voi non siete innamorata. Voi non provate la dolce violenza che un tenero amore esercita su i nostri cuori; e la vostra saviezza mi fa paura.

Elisa: Ah! fratello mio, lasciamo pur andare la mia saviezza. Non c’è nessuno, a cui questa non venga meno almeno una volta in sua vita. E se v’apro il mio cuore, vi comparirò forse men saggia di voi.

12Nell’esempio successivo osserviamo una riformulazione del primo periodo, che aggiunge ironia alla constatazione del servo; e un’amplificazione della semantica della seconda frase, che rende più marcata retoricamente la frase stessa:

Atto I, s. 3, p. 2090

Ms Capponi, [c.3/r]

Tr. Tortosa, p. 16

La Flèche: Comment diantre voulez-vous qu’on fasse pour vous voler? Êtes-vous un homme volable, quand vous renfermez toutes choses, et faites sentinelle jour et nuit?

Lesbino: Oh certo che voi siete uomo da lasciarvi portar via la roba! Serrate fino a chiave la smoccolatura delle candele, e fate la sentinella da voi per casa.

Saetta: Come diavolo volete voi, che si faccia a rubarvi? Siete voi un uomo, a cui si possa rubare, mentre tenete sotto chiave ogni cosa, e giorno e notte state in sentinella?

13La tendenza all’amplificazione si evidenzia anche nell’estratto successivo: è il passaggio in cui Frosine, la mezzana, deve convincere Harpagon della predilezione della giovane Mariane per gli uomini anziani, e del suo odio per i giovani; dove il traduttore inserisce il riferimento alla pastorale, che il pubblico italiano aveva probabilmente più chiaro, e amplifica la comicità, con la modifica (le basette, termine che all’epoca poteva anche indicare i baffi) che Mariane avrebbe effettuato sull’immagine di Enea per eliminare l’eccesso di giovinezza:

  • 29 Il riferimento al personaggio del Pastor Fido di Guarini poteva probabilmente essere più comprensib (...)

Atto II, s. 5, p. 2134

Ms Capponi, [c.22/r]

Tr. Tortosa, p. 69

Frosine: On lui voit dans sa chambre quelques tableaux, et quelques estampes; mais que pensez-vous que ce soit? Des Adonis? des Céphales? des Pâris? et des Apollons? Non. De beaux portraits de Saturne, du roi Priam, du vieux Nestor, et du bon père Anchise sur les épaules de son fils.

Conte: Di più, in camera sua ci erano certi quadretti dove erano dipinti certi pastori come Mirtillo29, Paride, e che so’ io, li fece levare, in quel luogo ci ha posto il ritratto di Saturno, di Priamo, e del Vecchio Anchise che stà a cavalluccio del suo figliolo Enea, e perché questo Enea gli pareva troppo giovane gli ha fatto far le basette.

Frosina: Nella sua camera ci sono alcuni quadri, ed alcune stampe; ma quali credete che sieno? Di Adoni, di Cefali, di Paridi, di Apollini? Pensate. Sono bei ritratti di Saturno, del re Priamo, del vecchio Nestore, e del buon padre Anchise sulle spalle di suo figliuolo.

14Di particolare interesse è la comparazione della prima scena in cui compare Harpagon, diffidente nei confronti di chiunque possa mettere a repentaglio i suoi beni:

Atto I, s. 3, pp. 2090-2092

Ms. Capponi, [c.3/r]

Tr. Tortosa, p. 17

Harpagon: Attends. N’emportes-tu rien?

La Flèche: Que vous emporterais-je ?

Harpagon: Viens çà, que je voie. Montre-moi tes mains.

La Flèche: Les voilà.

Harpagon: Les autres.

La Flèche: Les autres ?

Harpagon: Oui.

La Flèche: Les voilà.

Pancr: Aspetta: porti tu via niente?

Lesb: Che poss’io portar via.

Pancr: Voglio veder da me. Mostra le mani.

Lesb: Eccola.

Pancr: L’altra.

Lesb: Eccola.

Pancr: Tutte e due insieme.

Lesb: Tenete.

Arpagone: Ma piano. Non mi porteresti già via qualche cosa tu?

Saetta: Che volete ch’io vi porti via?

Arpagone: Vieni un po’ qua, che vegga. Mostrami le mani.

Saetta: Eccole.

Arpagone: Le altre.

Saetta: Le altre?

Arpagone: Si.

Saetta: Eccole.

  • 30 Fénelon, Lettre à l’Académie, éd. A. Cahen, Paris, Hachette, 1899, p. 106.

15È un celebre passo tratto dall’Aulularia, nel quale Plauto immagina che Euclione faccia mostrare le mani a Strobilio, chiedendogli poi di far vedere anche la terza. Molière recupera l’effetto straniante e surreale di questa comicità, perché immagina che Harpagon pretenda di vedere anche le altri mani del servo, sequenza comica criticata come inverosimile da Fénelon nella sua Lettre à l’Académie (1716)30, e che era già presente nell’Avare dupé di Chappuzeau (1662). La soluzione dell’anonimo traduttore prevede una modifica che rende la sequenza assolutamente logica, facendo richiedere di mostrare una mano per volta, e poi tutte due insieme. Il traduttore appare dunque sensibile al criterio della vraisemblance, che Molière invece non sembra voler rispettare, qui come in altri passaggi del testo.

  • 31 Si vedano a titolo di esempio la commedia di G.B. Fagiuoli Amore non vuole avarizia (1738), o la co (...)

16La vicenda è ambientata a Bologna, e i procedimenti di domesticazione si moltiplicano nel testo, implicando delle equivalenze traduttive, alle quali il traduttore si presta volentieri: non si gioca a trente-quarante bensì alla bambara; il ricco pranzo che sogna di preparare il servo di Harpagon è composto da quatre grands potages, un roti, des entremets, che nella versione italiana diventano due arrosti, frittura, paste frolle; mentre un parco pranzo non è costituito da salade, fromage et pommes bensì da un tortino di latte e una pappa. Anche la scelta antroponimica segue il processo di domesticazione: dei dieci personaggi, quattro ereditano nomi derivanti dalla Commedia dell’Arte (Pancrazio, il vecchio avaro; Orazio e Isabella, figli dello stesso; Lelio, innamorato di Isabella); uno dalla tradizione italica (Fulvia, innamorata di Orazio); in un solo caso si rileva la scelta di un nome parlante o allegorico, quello del Marchese Cornetta, la cui sordità funziona da motore dei malintesi comici; restano il Conte Spannocchi, cognome nobile diffuso largamente in Emilia Romagna e in Toscana; e il servo di Pancrazio, che l’anonimo adattatore ribattezza Lesbino, antroponimo nato come noto dalla fantasia del Tasso, che ne fa il paggio amato da Solimano nella Gerusalemme Liberata, e che entra abbondantemente nell’uso della commedia italiana della prima metà del Settecento31.

17Consideriamo ora il lavoro dell’adattatore, significativo sia nei procedimenti di condensazione, riduzione e omissione di parti del testo di partenza, sia in quelli di aggiunta.

18Osservando la lista degli interlocutori, rileviamo che i personaggi, da quindici del testo molieriano, diventano sette, a cui occorre aggiungerne altri tre che in questo elenco non appaiono, pur se presenti su scena, e non soltanto come personaggi muti: questa caratteristica è un primo indizio che depone a favore di una probabile destinazione teatrale della traduzione, forse prevista per una compagnia di attori non numerosa, nella quale alcuni avrebbero interpretato più di un ruolo. Ci sono ancora tre peculiarità del testo che depongono a favore della stessa ipotesi: ci riferiamo all’incremento delle didascalie, alla presenza di un inserto minore musicale, e all’utilizzo di uno specifico congegno per le entrate dei personaggi.

  • 32 Qui nel significato di “con stupore”.

19Per quanto attiene alle prime, non solo tutte le didascalie molieresche sono recuperate nella traduzione (ad eccezione di una, che viene tuttavia trasformata in didascalia interna), ma esse vengono ampiamente incrementate. La più frequente è quella che segnala l’utilizzo dell’aparte, seguite da quelle che indicano le entrate e uscite di scena (parte, oppure torna) ma numerose sono anche quelle volte a indirizzare la recitazione degli attori a livello espressivo (con grande ammirazione32 e pensosa, a. I, s. 5), o di actio (nell’atto che Pancrazio dice queste parole, che le figura dirle come da sé, Lelio dice, a. I, s. 6; si prende da sé, a. III, s. 5) o di vera e propria regia scenica (nel monologo dell’avaro; gira pel teatro guardando nelle scene per vedere se trova Isabella, a. I, s. 4 : vuole andar via quando vede il Conte che lo ferma, a. I, s. 4; Pancrazio affacciandosi da quella parte ove è partito Lesbino, a. I, s. 3).

20Il secondo indizio di tale destinazione riguarda un breve inserto musicale, d’invenzione del traduttore, posto al termine dell’a. I, s. 9, un dialogo tra Isabella e Lelio, ove ognuno canta la sua parte, per terminare poi con un duetto. Ci si chiederà legittimamente perché tale modalità drammaturgica sia confinata a una sola occorrenza: un’ipotesi plausibile può suggerirci che è proprio a partire dalle capacità canore degli attori individuati per questi ruoli che la parte è stata scritta, mentre per gli altri non sarebbe stato opportuno prevederla. Si tratterebbe dunque di un caso di “drammaturgia per attore”.

21La terza osservazione riguarda un meccanismo scenico che l’adattatore introduce e che non si riscontra nel testo di partenza. È frequente, al momento del cambio di scena, e prima dell’uscita dei personaggi che hanno concluso la loro parte, l’irrompere di una voce fuori scena, che viene segnalata con una didascalia, come nell’a. I, s. 2, quando il discorso di Isabella viene interrotto dall’esclamazione: «Fuora briccone», e una didascalia ci informa che si tratta di Pancrazio di dentro la scena; o ancora alla scena 8 dell’atto III, mentre Pancrazio è solo, subito dopo il monologo di disperazione per aver subito il furto della cassetta, e il pubblico sente la voce di Lesbino:

Lesbino (di dentro le scene) Or ora torno. Scannatemelo e abbrustolitelo sulla brace, mettetelo nell’acqua bollita, attaccatelo per i piedi alla trave (esce fuori).
Pancrazio: chi il ladro?
Lesbino: io dico un porcellino di latte che vi è stato regalato. [c.37 r-v]

22Questo congegno, che si configura come uno stilema del traduttore, ci riporta nuovamente all’esigenza di creare una situazione teatrale di anticipazione, che solo può essere immaginata da chi abbia pratica di teatro e pensi a una trasposizione non per la lettura ma per la scena.

  • 33 Nella nota 5 al testo, contenuta nelle Osservazioni del Traduttore, p. 170.

23Le operazioni maggiormente significative della trasposizione dell’ipotesto molieresco riguardano le aggiunte e i tagli. Alcune modifiche sono imposte dalla riduzione del numero dei personaggi: si creano così delle scene di raccordo, necessarie a far comprendere l’evoluzione della fabula. Ma non tutto si giustifica con questo: si nota una cospicua riduzione del tempo passato sulla scena da Pancrazio, e una moltiplicazione di scene in cui sono i giovani innamorati a incontrarsi, per dolersi della loro situazione, creando un’amplificazione dei tempi delle loro parti: anche dietro a questa scelta è possibile immaginare la necessità di concepire ruoli significativi non solo per il protagonista principale. Il profilo di Pancrazio, poi, si differenzia da quello di Harpagon, il quale ha come fonte di reddito l’usura; non così nell’adattamento italiano, in cui il figlio Orazio cerca di prendere a prestito del denaro ma da un usuraio terzo; nei dissidi tra padre e figlio, che avevano colpito anche un estimatore di Molière come Riccoboni per l’assoluta mancanza di rispetto del figlio, rileviamo un ammorbidimento delle liti: Orazio non arriva ad augurarsi la morte del padre, il padre altrettanto non prende come un augurio di buon auspicio il fatto di sopravvivere a figli e nipoti, non maledice il figlio, limitandosi a minacciare la perdita dell’eredità. In queste modifiche non è difficile leggere il timore del traduttore a fronte del pubblico italiano, che era sì abituato a un tradizionale scontro tra padri e figli, più che presente nella Commedia dell’Arte, ma mai raggiungendo i toni brutali del confronto molieresco. Non a caso, nella traduzione dell’abate Tortosa, che non modifica la lettera del testo, egli sente il bisogno di inserire una nota per condannare sia l’atteggiamento del padre che quello del figlio33. E infine, l’ultima parola non spetta ad Harpagon, bensì a Lelio, che riassume così la morale della commedia: «Non si smarrisca alcuno se si vede dal tiranno destino chiusa la strada per arrivare al compimento dei suoi desideri, perché col tempo e con l’arte si superano fino gli ostacoli della più fine avarizia».

24Le scene aggiuntive più significative, che sintetizzano l’estetica dominante l’intero adattamento, sono la tredicesima e quattordicesima del primo atto. Pancrazio si è già scontrato con Orazio, rimproverandogli un tenore di vita troppo elevato, e la tendenza al gioco d’azzardo. Il padre risolve poi di recarsi a casa di Fulvia, travestito da barone Arfusi, per assistere a una serata di gioco, e tentare di allontanarne il figlio, presupposto essere presente. Una didascalia illustra l’ambientazione, non senza somiglianze con quella prevista per l’avvio del goldoniano Le Avventure della villeggiatura: camera con tavolino, lumi, carte e seggiole d’intorno. Dopo un monologo di Fulvia, che lamenta il suo destino, e l’arrivo di Orazio, che tenta di rassicurarla, si manifestano i partecipanti della serata, tutti anziani, che entreranno uno per volta. Il conte Spannocchi per primo, che si accomoda e racconta le novità, un aneddoto occorso a teatro (siamo a Carnevale) con uno scontro fisico tra due spettatori, a cui seguono i commenti degli astanti; si introduce poi il marchese Cornetta, la cui debolezza d’orecchio causa i consueti malintesi comici; un tempo lungo viene dedicato alla distribuzione del caffè da parte del servo Lenticchia, un caffè lodato dai presenti perché, non è «come quello del Bottegone che sa di risciacquatura». Viene poi deciso a cosa e come giocare: si tratterà della bambara, gioco al quale si punterà una posta limitata a una lira. A questo punto arriva il falso conte Arfusi, ovvero Pancrazio, e si introduce la scena comica: Pancrazio soffre per il rischio di perdere anche una puntata tanto modesta, e non appena vince una mano trova una scusa per allontanarsi di corsa.

  • 34 Rimandiamo per questo aspetto al volume Spazi e tempi nel gioco del Settecento, a cura di B. Alfonz (...)

25L’evocazione della passione per il gioco d’azzardo, posseduta da Cléante nel testo molieresco, non viene tuttavia utilizzata nella direzione moralistica della condanna, che tanta parte ebbe nella letteratura tra fine Seicento e per tutto il Settecento34, bensì per mostrare un piacere lecito, di cui Pancrazio non riuscirà però a godere; viene descritto un interno borghese, dove si svolge un innocente gioco di carte, unito alla conversazione, che non a caso include un aneddoto teatrale, e ai rituali sociali del caffè, creando una di quelle scene realistiche a cui la commedia italiana si stava avvicinando, e agganciandovi poi un doppio gioco comico, quello del malinteso a causa della sordità di Cornetta, e della sofferenza di Pancrazio, che conferisce a questo dittico una completezza e una esemplarità di quanto l’adattatore aveva in mente come direzione estetica privilegiata.

26Concludiamo con la questione delle omissioni, abbreviazioni e tagli, per consentirci un bilancio finale. L’adattatore, oltre a eliminare le scene che non avevano più significato in base alla riconfigurazione dei personaggi, abbrevia considerevolmente la prima scena dell’atto I, spesso riprovata dalla critica francese secentesca per la sua inutilità e lunghezza, annullandone poi la riflessione morale generale, riconducendola dunque ad una situazione puntuale; ed elimina un buon numero di passaggi in cui i lazzi di Pancrazio prendono corpo, come la scena dell’anello con brillante e soprattutto il monologo di disperazione alla scoperta della sparizione della cassetta, qui ridotto a un terzo della lunghezza dell’originale. A questo aggiungiamo che la scena finale dell’agnizione, che in Molière si verifica in modo assolutamente inverosimile, con l’apparizione di Anselme, padre di Valère e Mariane, viene qui invece rimodellata: si immagina per Lelio l’acquisizione di un’eredità che gli permette di rivelare la sua identità nobile, proporsi come marito per la figlia di Pancrazio, e addirittura elargire doni in denaro a diversi presenti; e l’ostacolo alle nozze di Fulvia e Orazio, ovvero la pretesa di matrimonio dello stesso Pancrazio, viene rimosso grazie ad un ricatto, poiché il figlio acconsente di rivelare a Pancrazio dove sia la cassetta a condizione di ottenere il consenso per sposare Fulvia.

27Possiamo dunque constatare che, sia come traduttore che come adattatore, l’anonimo si orienta decisamente verso una riconfigurazione più verosimile del testo molieresco, limitando le scene in cui i lazzi predominano, aggiungendone altre non unicamente comiche, ma che inseriscono elementi di realtà: l’Avare molieriano è ben percepito come dipendente dalla Commedia dell’Arte, il cui ritorno sul teatro italiano comporta un tentativo di limitare e ammorbidire tale lascito.

28Se queste osservazioni saranno supportate da indicazioni derivate da ricerche d’archivio, che potrebbero permetterci di dare un nome all’adattatore e trovare notizie sulla rappresentazione della commedia, potremo senz’altro affermare che questo testimone, di sicura destinazione teatrale, dimostra, una volta di più, come la straordinaria eredità di Molière si riveli capace di innestare un nuovo processo creativo, nella direzione dell’evoluzione teatrale della cultura ricevente.

Torna su

Allegato

 

Allegato

 

Molière, L’Avare (1669)

(scene in corsivo: omesse nel Ms. Capponi)

Ms. Capponi VIII

(scene in grassetto: aggiunte al testo francese)

Atto I, s. 1: Valère, Élise

s. 2: Cléante, Élise

s. 3: Harpagon, La Flèche

s. 4: Élise, Cléante Harpagon

s. 5: Valère, Harpagon, Élise

 

Atto II, s. 1: Cléante, La Flèche

s. 2: Maître Simon, Harpagon, Cléante, La Flèche

s. 3: Frosine, Harpagon

s. 4: La Flèche, Frosine

s. 5: Harpagon, Frosine

Atto III, s. 1: Harpagon, Cléante, Élise, Valère, Dame Claude, Maître Jacques, Brindavoine, La Merluche

s. 2: Maître Jacques, Valère

s. 3: Frosine, Mariane, Maître Jacques

s. 4: Mariane, Frosine

s. 5: Harpagon, Frosine, Mariane

s. 6: Élise, Harpagon, Mariane, Frosine

s. 7: Cléante, Harpagon, Élise, Mariane, Frosine

s. 8: Harpagon, Mariane, Frosine, Cléante, Brindavoine, Élise

s. 9: Harpagon, Mariane, Cléante, Élise, Frosine, La Merluche

Atto IV, s. 1: Cléante, Mariane, Élise, Frosine

s. 2: Harpagon, Cléante, Mariane, Élise, Frosine

s. 3: Harpagon, Cléante

s. 4: Maître Jacques, Harpagon, Cléante

s. 5: Cléante, Harpagon

s. 6: La Flèche, Cléante

s. 7: Harpagon

Atto V, s. 1: Harpagon, le Commissaire, son Clerc

s. 2: Maître Jacques, Harpagon, Le Commissaire, son Clerc

s. 3: Valère, Harpagon, Le Commissaire, son Clerc, Maître Jacques

s. 4: Élise, Mariane, Frosine, Harpagon, Valère, Maître Jacques, Le Commissaire, son clerc

s. 5: Anselme, Harpagon, Élise, Mariane, Frosine, Valère, Maître Jacques, Le Commissaire, son Clerc.

s. 6: Cléante, Valère, Mariane, Élise, Frosine, Harpagon, Anselme, Maître Jacques, La Flèche, Le Commissaire, son Clerc.

Atto I, s. 1: Lelio, Isabella

s. 2: Orazio, Isabella

s. 3: Pancrazio, Lesbino

s. 4: Lelio, poi il conte della Rocchella

s. 5: Pancrazio, Orazio e Isabella

s. 6: Lelio, e detti

s. 7: Orazio, Lesbino

s. 8: Fulvia e Isabella

s. 9: Isabella e poi Lelio

s. 10: Pancrazio e Lesbino

s. 11: Pancrazio, Conte della Rocchella

s. 12: Pancrazio, Lesbino

s. 13: Fulvia, poi Orazio

s. 14: conte Spannocchi, Marchese Cornetta, in ultimo Pancrazio travestito sotto il nome del Barone Arfusi

 

Atto II, s. 1: Pancrazio e Orazio

s. 2: Lesbino e conte della Rocchella

s. 3: Conte della Rocchella e Pancrazio

s. 4: Pancrazio che fa capolino, Orazio, Isabella, Lesbino, Lelio.

s. 5: Pancrazio, Lelio, Lesbino

s. 6: Fulvia, poi Orazio

s. 7: Lesbino, poi Lelio

s. 8: Lesbino, poi conte della Rocchella e Fulvia

s. 9: Pancrazio e detti

s. 10: Isabella, poi Orazio e detti

s. 11: Lesbino e detti

s. 12: Orazio, Isabella e Fulvia

s. 13: Orazio e poi il capitano Frixomene

Atto III, s. 1: Pancrazio, poi Orazio

s. 2: Lelio e detti

s. 3: Pancrazio e Orazio

s. 4: Orazio e poi Lesbino (con una cassetta in mano)

s. 5: Pancrazio solo

s. 6: Lelio e Isabella

s. 7: Conte della Rocchella e Pancrazio

s. 8: Lesbino e detto

s. 9: Lelio e Pancrazio

s. 10: Pancrazio, Lelio e Isabella

s. 11: Fulvia, Conte della Rocchella e detti

s. 12: Orazio, Lesbino e detti

 

Torna su

Note

1 P. Toldo, Molière et sa fortune en Italie, Torino, Loescher, 1910; C. Levi, Studi Molieriani, Palermo, Sandron, 1922.

2 G. Santangelo, C. Vinti, Le traduzioni italiane del teatro comico francese dei secoli xvii e xviii, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1981. Ricordiamo lo studio di Vinti, Intorno a una traduzione inedita delle opere di Molière, in Id., La valigia di Molière. Saggi sul teatro francese tra Sei e Settecento, Napoli, E.S.I., 1997, pp. 63-76, relativo al Ms 1669, Biblioteca Universitaria di Bologna, da noi in seguito ripreso nell’articolo L. Rescia, Molière e l’Italia: appunti sulle traduzioni de “L’Amour médecin” tra Sei e Settecento, in L. Rescia (a cura di), Traduzioni, riscritture, poetiche del testo teatrale nelle culture romanze, Torino, Nuova Trauben, 2019, pp. 50-68.

3 S. Ingegno Guidi, Per la storia del teatro francese in Italia: L.A. Muratori, G.G. Orsi e P.J. Martello, “La Rassegna della Letteratura italiana”, 1974, vol. 78, pp. 64-94; B. Innocenti, M. Lombardi, D. Tubercoli, A. Gori, Il viaggio della traduzione: alcuni percorsi di ricerca nei Fondi Martini e Magrini della Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, in Il viaggio della traduzione, Atti del Convegno di Firenze, 13-16 giugno 2006, a cura di M.G. Profeti, Firenze University Press, 2007, pp. 177-205; M. Lombardi, “Le furberie di Scapino”. Manoscritto della Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, “Seicento e Settecento”, 3, 2008, vol. 78, pp. 29-44; E. De Luca, Une commedia tradotta male. Molière sous la plume de Mezzetin (1693), “Littératures classiques” 106, 2021/3, pp. 179-195.

4 Manus Online manoscritti delle biblioteche italiane; https://manus.iccu.sbn.it.

5 Si ricorderà soprattutto l’innovativa genetica del testo teatrale di G. Forestier, Essai de génétique théâtrale. Corneille à l’œuvre, Paris, Klincksieck, 1996, nonché il nuovo approccio declamatorio alla punteggiatura, che fa la sua comparsa nell’edizione delle opere di Racine curate dallo stesso Forestier per La Pléiade, J. Racine, Œuvres complètes: Théâtre-Poésie, éd. G. Forestier, Paris, Gallimard, 1999, «Bibliothèque de La Pléiade», t. I.

6 Si vedano tra gli altri gli studi di C. Fahy, Saggi di bibliografia testuale, Padova, Antenore, 1988.

7 R. Chartier, In scena e in pagina. Editoria e teatro in Europa tra xvi e xviii secolo, Milano, Bonnard, 2002.

8 G. Toury, Descriptive Translation Studies and Beyond, Amsterdam, John Benjamins, 1995.

9 Basterà ricordare gli studi fondativi di A. Berman, La retraduction comme espace de la traduction, “Palimpsestes” 4, 1990, pp. 1-7; Id., Pour une critique des traductions: John Donne, Paris, Gallimard, 1995; e il più recente Autour de la retraduction. Perspectives littéraires européennes, dir. E. Monti, P. Schneider, Paris, Orizons, 2011.

10 Nell’ambito del gruppo di Studi Internazionali Franco-Italiani, recentemente costituitosi nel Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Torino, si è cominciato un lavoro di ricerca volto, attraverso un’indagine di prima mano delle principali biblioteche italiane, ad integrare i repertori già esistenti e operare uno spoglio analitico delle traduzioni più interessanti.

11 C. Bourqui, “L’Avare” de Molière à la lumière de la Commedia dell’Arte, in La Commedia dell’Arte tra Cinque e Seicento in Francia e in Europa, Atti del Convegno Internazionale di Studio, Verona-Vicenza 19-21 ottobre 1995, a cura di E. Mosele, Fasano, Schena, 1997, pp. 277-289.

12 Id., Les Sources de MolièreRépertoire critique des sources littéraires et dramatiques de Molière, Paris, SEDES, 1999.

13 C. Bourqui, G. Forestier, L’Avare. Notice, dans Molière, Œuvres complètes, Paris, Gallimard, 2010, «Bibliothèque de La Pléiade», pp. 1313-1334.

14 Ivi, p. 1331.

15 D. Gambelli, Il vecchio avaro nella Commedia dell’Arte e nel teatro di Molière, in Ead., Vane Carte. Scritti su Molière e il Teatro francese del Seicento, Roma, Bulzoni, 2010, pp. 47-67; p. 65.

16 Sulle caratteristiche di queste traduzioni, cfr. L. Rescia, Molière e l’Italia cit., pp. 56-61.

17 La prima rappresentazione del 1708 sarà pubblicata nel primo volume delle commedie del 1734, a Lucca, per i tipi di Salvatore e Giandomenico Marescandoli.

18 Milano, Malatesta, 1735.

19 Magliabechiano VII, 915: L’Avaro / Comedia di Moliere / Tradotta dal 4° tomo / Delle sue Opere / Stampato in / Lione / L’anno 1692 [nn., 1/r-53/v]; databile intorno al xviii secolo, poiché il manoscritto, nelle carte 56 r./113 r., contiene una traduzione italiana del Catone di Addison, tratta dalla traduzione francese dell’abate Boyer del 1713.

20 Cfr. A.M. Russo, Palatino Capponi, in I manoscritti datati della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. III. Banco Rari, Landau Finaly, Landau […], a cura di S. Pelle et al., Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2011, pp. 37-39.

21 La prima traduzione italiana dell’Avare, apparsa nella prima traduzione del teatro ad opera di Nicolò Castelli, pseudonimo di Biagio Anguselli (Lipsia, Gledisch, 1697), poi ristampata nel 1739-40, si basa sull’editio princeps; come noto, l’edizione molieresca di Prault del 1734 comporta una maggiore frammentazione di scene all’interno dei cinque atti, che non implica tuttavia alcuna aggiunta, e non sembra aver influenzato il manoscritto di cui ci occupiamo. Prenderemo dunque come riferimento il testo francese del 1669.

22 A titolo di esempio, citeremo anco: anche; prosare: ragionare; valente (sost.): pregio, valore; mosca culaia: (dialettale toscano per mosca cavallina), fig. persona molto fastidiosa.

23 Numerose le forme tronche, quali fò, vò, dè, dì; i raddoppiamenti del tipo “te ti ho destinata”, “La mi scusi sig. Padre”, e vezzi del parlato, come O’ che volete.

24 M.L. Altieri Biagi, La lingua in scena, Bologna, Zanichelli, 1980.

25 Ci riferiamo alla quarta edizione del Vocabolario della Crusca, 1729-1738.

26 Colpirà ancor più l’inserimento del termine andrienne, unico francesismo, non presente nel testo di partenza, che utilizza un semplice habit. Il termine deriva dal lessico della moda, a indicare una lunga veste da camera femminile introdotta dall’attrice Thérèse Dancourt nella prima messa in scena della riscrittura dell’Andria di Terenzio, appunto l’Andrienne, ad opera di Michel Baron, del 1703. L’adattatore utilizza dunque un termine di derivazione teatrale, forse prima ancora che esso diventi di uso comune.

27 L’Avaro, in Biblioteca teatrale della nazione francese…, Venezia, Stella, 1793.

28 Il testo a cui ci riferiamo è quello stabilito da G. Conesa e adottato in Molière, Teatro, a cura di F. Fiorentino, Milano, Bompiani, 2013, pp. 2078-2214.

29 Il riferimento al personaggio del Pastor Fido di Guarini poteva probabilmente essere più comprensibile a un pubblico italiano che francese.

30 Fénelon, Lettre à l’Académie, éd. A. Cahen, Paris, Hachette, 1899, p. 106.

31 Si vedano a titolo di esempio la commedia di G.B. Fagiuoli Amore non vuole avarizia (1738), o la commedia anonima La Zitella dotata senza dote, Milano, Agnelli, 1746.

32 Qui nel significato di “con stupore”.

33 Nella nota 5 al testo, contenuta nelle Osservazioni del Traduttore, p. 170.

34 Rimandiamo per questo aspetto al volume Spazi e tempi nel gioco del Settecento, a cura di B. Alfonzetti, R. Turchi, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2011, e in particolare agli articoli di A. Salerno, Gioco e morale nella commedia: “Il giocatore” di Luigi Riccoboni, pp. 309-324, e di R. Turchi, B. Alfonzetti, Goldoni e il gioco fra dediche e commedie, pp. 325-351.

Torna su

Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Laura Rescia, «Nuove ricerche sulle traduzioni italiane manoscritte del xviii secolo. Il caso dell’“Avaro”»Studi Francesi, 200 (LXVII | II) | 2023, 240-251.

Notizia bibliografica digitale

Laura Rescia, «Nuove ricerche sulle traduzioni italiane manoscritte del xviii secolo. Il caso dell’“Avaro”»Studi Francesi [Online], 200 (LXVII | II) | 2023, online dal 01 août 2024, consultato il 07 février 2025. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/studifrancesi/54798; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/studifrancesi.54798

Torna su

Diritti d'autore

CC-BY-NC-ND-4.0

Solamente il testo è utilizzabile con licenza CC BY-NC-ND 4.0. Salvo diversa indicazione, per tutti agli altri elementi (illustrazioni, allegati importati) la copia non è autorizzata ("Tutti i diritti riservati").

Torna su
Cerca su OpenEdition Search

Sarai reindirizzato su OpenEdition Search