La fabrique du chef-d’œuvre. Comment naissent les classiques, dir. Sébastien Le Fol
La fabrique du chef-d’œuvre. Comment naissent les classiques, dir. Sébastien Le Fol, Paris, Perrin, 2022, 419 pp.
Testo integrale
1Collegando nel titolo i termini di “costruzione” e “nascita” a quelli di “capolavoro” e “classici”, Sébastien Le Fol si propone, in questo corposo volume, di sviscerare i segreti di fabbricazione di alcuni tra i romanzi francesi più noti, a partire dal xvi secolo con il Gargantua di Rabelais fino ai Mémoires di De Gaulle. L’impresa, quella di carpire le modalità di scrittura degli autori, di comprendere ciò che passa loro per la mente quando si trovano di fronte alla pagina bianca («j’exige qu’ils m’ouvrent grande la porte de leur cabinet de travail», afferma l’A.), non è naturalmente di semplice attuazione. Come non deve essere stato facile per Le Fol fare una cernita tra gli innumerevoli volumi “classici” degni di apparire nella raccolta. L’A. afferma di comprendere chi si opporrebbe alla scelta di non aver inserito opere poetiche, e di aver piuttosto voluto includere un trattato sulla gastronomia, o ancora di aver inserito nel panthéon due scritti di eroi storici come Bonaparte e De Gaulle. La volontà è stata quella di tentare di inglobare le opere maggiori, specialmente in prosa, di tutte le generazioni, prendendo sia testi cardine per la loro epoca, sia testi che hanno attraversato i secoli, e per questo considerabili come “very long sellers”. Quale che sia l’opera scelta, quello che conta è curiosare nell’atelier dello scrittore per comprendere, il più possibile, la genesi del testo, la sua ricezione e la sua posterità. L’atelier come luogo di costruzione, dunque, perché ogni scrittura è un lavoro fisico, uno sport di combattimento e una sofferenza morale. Il primo capolavoro preso in considerazione è dunque il Gargantua di Rabelais (Sébastien Lapaque, pp. 21-34), ponte tra Medioevo e Rinascimento di cui è l’emblema, in grado di coniugare superlativi e paradossi, truculenza e gioia di vivere. Seguono Les Essais di Montaigne, di Antoine Compagnon (pp. 35-50): Montaigne lavorò assiduamente alla stesura dell’opera nelle campagne intorno a Bordeaux, modificando, limando e aggiungendo note marginali nelle diverse versioni dei livres 1 e 2, fino all’edizione del 1588. Ci sono poi Les Fables de La Fontaine, di Jean-Michel Delacomptée (pp. 51-73), opera che ha riscosso un successo tardivo, in una società in cui beneficiavano di un grande prestigio generi considerati più nobili come l’epopea, la tragedia e la commedia, ai quali Louis XIV riservava maggiori attenzioni. Come le riservava a Molière, ma non al suo Tartuffe (Stéphane Hoffmann, pp. 74-90): creata in piena querelle giansenista, la pièce infastidiva il potere in una società clericale. Molière trionfò decretando la vittoria della commedia, della derisione, dando vita alla “guerre de Tartuffe” giunta fino a noi. Ancora al Grand Siècle appartengono Les Pensées di Pascal, di Laurence Plazenet (pp. 91-114), volume messo in vendita a una somma molto elevata per l’epoca, e che conobbe un successo folgorante; la sua genesi fu tuttavia segnata da molte metamorfosi e numerose incertezze. Nel secolo successivo c’è Candide di Voltaire, di Pierre-Henri Tavoillot (pp. 115-132), un viaggio ironico all’interno della condizione umana, che offre una massima semplice ed efficace: “Cultivons notre jardin”. Segue di pochi anni Le contrat social di Rousseau, di Mathieu Bock-Coté (pp. 133-148): il “citoyen de Genève” ha creato, ci dice l’A., uno dei miti più potenti del nostro tempo, svelando il nodo esistenziale di un’epoca, la coscienza di una nazione e di una civiltà, ponendo le basi filosofiche della modernità. Si passa poi a Le mariage de Figaro di Beaumarchais (Héléna Marienské, pp. 149-174), erede della commedia dell’arte, prima pièce femminista, opera rivoluzionaria alle porte della Rivoluzione. Segue il Mémoriale de Saint-Hélène di Napoléon (Thierry Lentz, pp. 175-188), apparso nel 1823, Journal dove si leggono, giorno dopo giorno, le imprese di Napoleone nel corso di diciotto mesi; passò alla storia come la voce dell’Imperatore, deceduto tuttavia due anni prima. Di pochi anni dopo è la Physiologie du goût di Brillat-Savarin (Nicolas d’Estienne d’Orves, pp. 189-203), che risale a un’epoca nella quale la Francia domina, sotto la Restaurazione, le arti e il gusto, la gourmandise e la gastronomia, di cui il volume si fa breviario. Appare negli stessi anni Le rouge et le noir di Stendhal (François-Guillaume Lorrain, pp. 204-221): nonostante il fiasco del suo primo romanzo Armance, Stendhal riprova ancora una volta con questo genere, colpito da un fait divers avvenuto nella sua Isère natale. La violenza della scrittura e il suo stile dividono i critici, trovando detrattori del rango di Flaubert e Hugo, ma diventerà il simbolo di una doppia rivoluzione, politica e romantica, incarnando in Julien Sorel l’eroe tragico. Segue di pochi anni De la démocratie en Amérique d’Alexis de Tocqueville, di Laetitia Strauch-Bonart (pp. 222-239), simbolo dell’uguaglianza, potenza dell’individualismo e tirannia della maggioranza, opera che, ci dice l’A., ha segnato il suo e il nostro tempo, frutto della ricerca di uno scrittore di talento che ha combinato idee e azione politica. Segue Splendeurs et misères des courtisanes di Balzac, di Marie Fontana-Viala (pp. 240-258): perché non scegliere piuttosto Père Goriot o Eugénie Grandet? Splendeur et misères des courtisanes è un mostro sacro e un classico, spiega l’A., ricco di personaggi, il più complesso e sarcastico dei romanzi di Balzac, dalla genesi epica e rocambolesca. E ancora, Les trois mousquetaires d’Alexandre Dumas di Christian Authier (pp. 259-272), lettura giovanile indispensabile, per i duelli, le cavalcate, le macchinazioni, la nobiltà dei sentimenti; si collocano anche a metà dell’Ottocento con i Mémoires d’outre tombe di Chateaubriand di Olivier Frébourg (pp. 272-290), volume che erroneamente può essere considerato sorpassato; è invece labirintico, un caleidoscopio che mescola i grandi miti, dall’Iliade alle Confessions. Capolavoro senza tempo, Catherine Vigourt propone Madame Bovary di Flaubert (pp. 291-303): il romanzo impone la banalità dei sogni e la noia provinciale, suscitando scandalo dopo un lavoro di scrittura ininterrotto di cinque anni. Segue Jean François Kahn con Les Misérables di Hugo (pp. 304-319), romanzo-fiume del profeta ed emblema del Romanticismo, opera ricca e interminabile che coniuga paradossi, riadattata ed edita senza sosta. Con la fine del secondo Impero troviamo Vingt mille lieues sous les mers de Verne (Benoît Heimermann, pp. 320-333), il più conosciuto e amato tra i viaggi dello scrittore. Proposto inizialmente come feuilleton, esso consacra la passione per i misteri e le promesse del mare, dopo studi geografici e matematici approfonditi. Non poteva mancare A la recherche du temps perdu di Proust di Mathilde Brézet (pp. 334-351), la cui creazione ha occupato gran parte della vita del suo autore: ogni opera precedente è una tappa alla ricerca del soggetto, della forma, della patria interiore, come gli anni passati nei salotti in voga ne sono un incipit. Segue il Voyage au bout de la nuit de Céline di Jérome Dupuis (pp. 354-367), quasi novecento fogli manoscritti che, ci dice l’A., hanno cambiato la letteratura mondiale; una pubblicazione tumultuosa rivelatasi subito di grande importanza per il patrimonio nazionale. Del Premio Nobel del 1957 Albert Camus, Marylin Maeso ricorda La peste (pp. 368-382), che non si smette mai di scoprire e rileggere in epoche e situazioni diverse, perché il tema trattato è ciò “que tout le monde connaît”. Gli avvenimenti esprimono esperienze umane formatrici e vissuti dove ognuno si ritrova. Gli ultimi due Mémoires sono molto differenti: per i primi, i Mémoires d’Hadrien di Marguerite Yourcenar, Josyane Savigneau (pp. 382-394) ricorda le difficoltà nella redazione del romanzo e nella sua pubblicazione, peripezie che riflettono l’ostinazione e l’inflessibilità dell’autrice. I secondi sono i Mémoires de guerre di Charles de Gaulle di Arnaud Teyssier (pp. 395-414), un politico-scrittore oggetto di controversia, il cui stile venne definito all’epoca come “rapport de gendarme”, ma entrato tuttavia a far parte della Bibliothèque de la Pléiade.
Per citare questo articolo
Notizia bibliografica
Francesca Forcolin, «La fabrique du chef-d’œuvre. Comment naissent les classiques, dir. Sébastien Le Fol», Studi Francesi, 200 (LXVII | II) | 2023, 505-506.
Notizia bibliografica digitale
Francesca Forcolin, «La fabrique du chef-d’œuvre. Comment naissent les classiques, dir. Sébastien Le Fol», Studi Francesi [Online], 200 (LXVII | II) | 2023, online dal 01 août 2023, consultato il 27 mars 2025. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/studifrancesi/54753; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/studifrancesi.54753
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