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Rassegna bibliografica
Ottocento b) dal 1850 al 1900

Autobiographie et roman réaliste ou naturaliste en France au xixe siècle, textes assemblés et présentés par S. Disegni et M. Lo Feudo

Maria Emanuela Raffi
p. 395-396
Notizia bibliografica:

Autobiographie et roman réaliste ou naturaliste en France au xixe siècle, textes assemblés et présentés par S. Disegni et M. Lo Feudo, Napoli, Libreria Dante & Descartes, 2020, 159 pp.

Testo integrale

1Il volume di Atti (convegno del 2016) si apre con uno studio di Silvia Disegni che va subito al cuore del rapporto – «à la fois explicite et paradoxal», come lo definisce la stessa autrice nella «Présentation»,scelto per il Convegno: Autobiographie et roman réaliste ou naturaliste (pp. 3-20). Cercando i luoghi e i modi in cui la componente autobiografica entra in gioco in una scrittura che si vuole per sua natura ‘oggettiva’, l’A. identifica anzitutto tre modalità principali estranee al testo narrativo («l’écriture intime», «l’avant-texte d’un roman» e infine il contenuto del «paratexte»), mentre più complessa appare la presenza della scrittura autobiografica all’interno di un testo che dovrebbe rifiutarla per suo statuto esistenziale. Di questa seconda tipologia fanno parte gli «effets autobiographiques» (trilogia di Vallès), il «naturalisme ‘subjectif’» (Daudet soprattutto in Le Petit Chose), l’approfondimento psicologico personale (Huysmans), quando non sono riconoscibili nella narrazione veri e propri episodi della biografia dell’autore (Goncourt e soprattutto Zola). I concetti di «document humain» e di «vérité commune» sono i nodi individuati da Silvia Disegni per comprendere la problematica inclusione della componente autobiografica nei romanzi realisti e naturalisti e la specifica tensione che ne deriva.

2Nel contributo successivo (Jules Champfleury: spécificités d’un projet réaliste entre autobiographie et écriture fictionnelle, pp. 21-46), Michela Lo Feudo prende in esame le raccolte di Champfleury in cui progressivamente si affermano i principi del realismo: i Contes d’automne, nei quali la «présence du moi de l’écrivain» appare sempre iscritta in un registro comico e in una prospettiva critica di distacco dal romanticismo, il più consapevole Le Réalisme e, infine, i Souvenirs et portraits de jeunesse. Nella raccolta Le Réalisme, soprattutto nel saggio su Robert Challe, la prospettiva autobiografica è indicata dall’A. come un elemento che consente di dare forza alla realtà nel romanzo, poiché permette di creare l’importante tensione «entre “vérité de l’art” et”vérité de la nature”» che per Champfleury è la ragione stessa della letteratura. I Souvenirs, pubblicati diversi anni più tardi, «réseau de relations amicales et artistiques» del giovane Champfleury fino al racconto della sua infanzia, rendono particolarmente evidente la presenza «d’un point de vue aussi bien émotif qu’intellectuel, d’une quête d’authenticité perdue que l’auteur ne cesse pourtant de poursuivre».

3Con «Madame Bovary c’est moi»: quelques apparitions d’un romancier impersonnel (pp. 47-67) Yvan Leclerc riprende la celebre e controversa affermazione di Flaubert per approfondirne la nozione di «impersonnalité», fondata sull’«absentement de l’auteur» in tutte le sue forme, a partire dalla rinuncia all’autobiografia e alla prima persona nella narrazione. Leclerc indentifica i diversi modi in cui Flaubert ha cercato, nelle sue opere più mature, il distacco dalla persona dell’autore (scelta di protagoniste femminili, distanziamento nello spazio e nel tempo, ironia e auto-ironia, tipizzazione dei personaggi), pur ammettendo a volte, nelle lettere a Louise Colet o nei suoi Souvenirs littéraires, di riconoscersi pienamente in alcuni personaggi. Ciò che conta, tuttavia, è che, come mostra Leclerc, la presenza di elementi autobiografici è iscritta per Flaubert in un orizzonte di «dépersonnalisation» dell’autore, in cui «la vie n’a d’utilité qu’à condition [...] de se généraliser en fiction».

4Unissons et clivages de l’énonciation dans les écrits de jeunesse des Goncourt (pp. 68-84) de Jean-Louis Cabanès mette al centro dell’analisi i soggetti dell’enunciazione utilizzati dai Goncourt nelle opere giovanili e in particolare la complessa alternanza fra «je» e «nous», talvolta anche nella stessa frase. A partire da En 18..., primo romanzo dei Goncourt e via via nei testi che si succedono fino a Les Hommes de lettres, avendo sempre sullo sfondo il Journal, la Correspondance e le pubblicazioni brevi nelle riviste letterarie, Cabanès traccia una sorta di inventario delle forme di quello che definisce «un narcissisme énonciatif». L’ossessione «d’un “deux” cherchant à devenir “un” par le truchement de l’écriture diaristique ou par les moyens de la fiction» e la necessità di interromperla con una «altérité» (nella cerchia di amici artisti o in un personaggio) che consenta di introdurre la terza persona, «il» o «ils», costituisce per Cabanès il segno distintivo e caratterizzante delle opere dei Goncourt, «une forme de beauté».

5Edmond e Jules sono i protagonisti anche del saggio successivo (La relation fraternelle dans l’œuvre des Goncourt: “Les Frères Zemganno”: autobiographie et fiction, pp. 85-103), in cui Pierre-Jean Dufief evidenzia i diversi livelli di lettura possibili per Les Frères Zemganno. «Le ton intimiste du roman», che accantona la tranche de vie naturalista per farsi dichiaratamente autobiografico, traduce per Dufief il desiderio di confidare al lettore una materia dolorosa e privata, nonostante l’ambientazione circense e «la dimension fantaisiste». L’intreccio fra il vissuto e la creazione narrativa è reso evidente dal confronto costante con il Journal, che consente a Dufief di far emergere specifici «biographèmes», portatori di situazioni e sentimenti reali: un complesso intreccio di sensi di colpa di Edmond nei confronti del fratello e di sofferenza per la sua condizione di «mal aimé» da parte della madre. L’unico modo possibile per fuggire «les illusion de l’imagination» e creare un nuovo genere: il romanzo autobiografico.

6In Comment écrire l’intime? Confession? Conte bleu? Récit de vie? D’après “L’Œuvre” et “Le Rêve” de Zola (pp. 104-121) Colette Becker continua qui il suo ormai lungo lavoro di ricerca sui «dossiers préparatoires» zoliani, intesi come unica vera fonte di elementi autobiografici amplificati poi nella narrazione, concentrandosi su due romanzi: L’Œuvre e Le Rêve. Nel primo, i tre personaggi principali di Bongrand, Lantier e Sandoz si fanno portavoce delle opinioni di Zola sull’arte e sulla letteratura «lui servant avant tout à dire ses doutes, ses insatisfactions, ses peurs, sa hantise de la page blanche, de l’émiettement quotidien de soi» fino alla dolorosa confessione finale di Sandoz, e dello scrittore che il lui si riconosce: «pour consruire une œuvre, dont il doute de la valeur, il n’a pas vécu». Due anni più tardi con Le Rêve, formato da tre racconti di passione estrema, la vita sembra riprendere i suoi diritti, ma ancora una volta Zola ci parla «de ce qui lui est plus intime, [...], et surtout de son désir de tendresse, d’amour, de son besoin de vivre, enfin!».

7Il tentativo di Zola di sottrarsi allo stretto dogma del naturalismo ortodosso dopo i Rougon-Macquart, in particolare nel romanzo Lourdes («Me mettre moi-même sous une incarnation»: le romancier et son personnage dans “Lourdes”, d’Émile Zola, pp. 122-142), è l’oggetto dello studio di Jacques Noiray, che mostra il rinnovamento di prospettiva soprattutto attraverso la figura del protagonista, l’abate Pierre Froment, ‘incarnazione’ dell’autore e delle sue ricerche su Lourdes. Mossi dallo stesso desiderio di osservare e capire il ‘fenomeno’ Lourdes, in preda allo stesso stupore e a un certo disagio «devant l’absurdité tranquillement acceptée», entrambi, autore nel Journal e personaggio nel romanzo, passano dalla collera ad una «immense pitié» per l’umanità sofferente e illusa. L’ultima parte dell’articolo è dedicata da Noiray alle forme, come «le style indirect libre», in cui Zola riesce a realizzare «l’infusion de la personne du romancier» nel suo personaggio.

8Ultimo contributo del volume, “Le Petit Chose”, un faux-vrai récit de vocation (pp. 143-157) di Anne Simone Dufief vuole ricollocare nella giusta prospettiva «un roman réaliste et une autobiographie qui transgresse les règles de son genre» riuniti insieme nella prima e malgiudicata opera di Daudet. Svalutato in quanto autobiografia cammuffata, Le Petit Chose guadagna via via la sua riabilitazione nella critica, prima con la pubblicazione delle memorie del fratello Ernest Daudet, poi con la collocazione del romanzo nel quadro dell’«autofiction» che comincia ad affermarsi con i Goncourt e che fa di Petit Chose, come scrive l’A., «un récit de vocation» in cui «la confidence intime sur la création passe par un personnage imaginaire».

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Notizia bibliografica

Maria Emanuela Raffi, «Autobiographie et roman réaliste ou naturaliste en France au xixe siècle, textes assemblés et présentés par S. Disegni et M. Lo Feudo»Studi Francesi, 194 (LXV | II) | 2021, 395-396.

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Maria Emanuela Raffi, «Autobiographie et roman réaliste ou naturaliste en France au xixe siècle, textes assemblés et présentés par S. Disegni et M. Lo Feudo»Studi Francesi [Online], 194 (LXV | II) | 2021, online dal 09 novembre 2021, consultato il 15 février 2025. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/studifrancesi/45365; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/studifrancesi.45365

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