À quoi bon la littérature?, dir. U. Bähler, P. Frölicher, R. Zöllner
À quoi bon la littérature?, dir. U. Bähler, P. Frölicher, R. Zöllner, Paris, Garnier, 365 pp.
Testo integrale
1Il volume a cura di Ursula Bähler, Peter Frölicher e Reto Zöllner intende riattualizzare il dibattito intorno alla questione della finalità della creazione letteraria nei secoli, attraverso l’analisi di opere dall’esplicita valenza metaletteraria, per dimostrare come gli scopi attengano alle specificità dei singoli testi.
2Il lavoro si apre con un contributo di Olivier Pot (L’énigme de la littérature ou l’éloge du «gai savoir». Le «Prologue» du “Gargantua” de Rabelais, pp. 17-45) in merito allo sconcertante prologo del Gargantua di Rabelais nel quale l’autore e il lettore sono invitati a partecipare allo stesso gioco di finzioni, ad unirsi in un immaginario collettivo. La letteratura funge così da promotrice di egalitarismo attraverso l’esistenza di un cogito gustativo, poiché il sapere e la letteratura passano da un apprendimento corporale, dal basso, incontrollabile.
3Patrick Labarthe si addentra invece ne L’illusion cominque di Corneille (“L’Illusion cominque” ou Corneille et le statut socio-moral de l’illusion, pp. 47-63), dimostrando come l’opera, concepita come un’apologia del teatro e viagio attraverso la scoperta della legittimità socio-morale dell’illusione teatrale, sia in realtà un viaggio attraverso gli stili.
4Dall’apologia del teatro, alle proprietà estetiche e morali del romanzo di cui è questione nell’articolo di Ursula Bähler dal titolo Le “Traité de l’origine des romans” de Pierre-Daniel Huet, une apologie ambiguë du roman moderne (pp. 65-89). Ursula Bähler illustra come la definizione di “apologia del romanzo”, attribuita tradizionalmente al testo, sia in realtà inadeguata: l’incipit del Traité dà del romanzo una definizione restrittiva secondo la quale il suo scopo principale sarebbe quello di istruire il lettore in accordo con la morale vigente.
5Racine, nella prefazione della di Fedra, non parla direttamente delle passioni umane, del male e del libero arbotrio, ovvero non espone il contenuto della pièce, la materia che tratta ma, come spiega Karin Westerwelle (Entre exposition et dissimulation des passions. La “Préface” de “Phèdre” de Jean Racine, pp. 91-107), ne accentua l’aspetto. Racine sostiene la trasformazione della passione prima di tutto rendendola visibile attraverso la sensibilità artistica che non è mai separata dalla sensazione.
6Nel contributo di Michèle Crogiez Labarthe (La première “Promenade” des “Rêveries du promeneur solitaire”. Invocation à la lecture ou Rousseau lecteur de lui-même, pp. 109-122), vengono analizzate le Rêveries du promeneur solitaire in cui Rousseau si fa lettore di se stesso. In un momento cruciale della sua esistenza, quello che lo vede fare i conti con la volontà di abbandonare la letteratura, Rousseau trova conforto nella postura del lettore, o meglio, del ri-lettore, recuperando così quello stato di serenità che porta alla letteratura e viceversa.
7L’articolo di Reto Zöllner (L’écrivain et son miroir concentrique. La “Préface” de “La Peau de chagrin” d’Honoré de Balzac, pp. 123-140) si concentra sulla prefazione della Peau de chagrin, in cui Balzac rifiuta la falsa affinità tra autore e narratore. La metafora del miroir concentrique gli serve per spiegare ai lettori lo scopo della letteratura, ossia quello di riprodurre la natura attraverso il pensiero, senza però trascurare il fatto che, durante il processo di riproduzione, la realtà, sebbene fedelmente osservata, cede a un inevitabile influsso dell’immaginazione.
8Nella prefazione di Le Dernier jour d’un condamné (Peter Frölicher, Construire l’ethos de l’engagement. La “Préface” du “Dernier jour d’un condamné” de Victor Hugo, pp. 141-159), il ruolo del lettore, stabilito da Hugo, è quello di farsi autore virtuale del testo, indotto ad aderire ai principi morali da esso espressi. Sempre sulla questione della moralità si orienta anche lo studio di Maxence Mosseron (Un sermon laïque sur la liberté de l’artiste. La “Préface” de “Mademoiselle de Maupin” de Théophile Gautier, pp. 161-181). La prefazione del romanzo è vista da Mosseron come manifesto estetico capace di rivendicare l’assoluta libertà della creazione artistica dalle strette maglie imposte della morale.
9Denis Bertrand (La littérature justifiée. “Le Roman expérimental” d’Émile Zola, pp. 183-208) risponde all’interrogativo posto a titolo del volume, con una riflessione sulla concezione della scrittura e dello stile secondo Zola per come viene formulata nel suo Roman expérimental, trattato di militanza a favore del romanzo naturalista che mette in luce il legame tra la letteratura e la più incontestabile delle scienze: la medicina.
10Da Mallarmé e la sua “crise de vers” verso una nuova concezione del fare poetico analizzata nell’articolo di Bertrand Marchal (“Crise de vers” de Mallarmé ou comment commencer, pp. 209-219), si passa a André Breton e all’antropologia pessimistica espressa dal movimento Surrealista alla fine del primo conflitto mondiale. Markus Messling (“Devenir humain” après la fureur anthropophage. Les “Manifestes du surréalisme” d’André Breton, pp. 221-245) spiega come il Surrealismo cerchi di stabilire una politica dell’estetica volta a sradicare l’uomo da se stesso al fine di cambiarne interamente la vita.
11Nel contributo di Rita Catrina Imboden (La poésie, “une nécessité de la condition de l’homme”. “La Fonction poétique” de Pierre Reverdy, pp. 247-260), vengono espresse le idee di Reverdy sulla funzione della poesia e del poeta nella società e sul valore essenziale che occupano nella vita dell’individuo.
12Nel 1952 Samuel Beckett scrive la Lettre à Michel Polac, una sorta di presentazione promozionale dello spettacolo Aspettando Godot, in cui l’autore cerca di rispondere alla domanda su che cosa sia per lui il teatro. Marie Burkhardt (Beckett face à “En attendant Godot”. Une leçon de lecture, malgré tout, pp. 261-275) analizza il testo cercando di mettere in evidenza quali sono per l’autore le sfide che la letteratura deve affrontare e il ruolo del lettore/spettatore di fronte all’arte.
13Il contributo di Markus Lenz (La lourde liberté de l’écrivain. Les “Discours de Suède” d’Albert Camus, pp. 277-296) si focalizza sui due discorsi svedesi tenuti da Albert Camus, in occasione della consegna del premio Nobel. Camus insiste sul ruolo della letteratura come atto riflessivo, come estetizzazione della miseria umana e su quello dello scrittore come colui che fa letteratura.
14La riflessione proposta da Camus fa eco al Discours de Stockholm di Claude Simon (Christine Vogel, Claude Simon, Discours de Stockholm. Un parti pris poïétique, pp. 297-308), nel quale l’autore si interroga proprio sulla differenza tra il dire e il fare letteratura, decretando quest’ultima azione come l’unica in grado di poter dire qualcosa.
15In chiusura del volume, l’articolo di Wolfgang Asholt (Yves Ramey, “l’écrivain expulsé du paysage” et le roman de l’extrême contemporain, pp. 309-325) sull’opera dello scrittore Yves Ramey e sulla sua personale risposta all’interrogativo sull’utilità della letteratura contemporanea, e quello di Odile Bombarde (Entre espérance et lucidité, la poésie selon Yves Bonnefoy, pp. 327-350) sulla distinzione, operata da Bonnefoy, tra poesia e letteratura. Per il poeta francese, la poesia è il luogo in cui si disvela il rapporto io-mondo e costituisce l’unico mezzo letterario in grado di condurre l’uomo alla salvezza.
Per citare questo articolo
Notizia bibliografica
Luana Doni, «À quoi bon la littérature?, dir. U. Bähler, P. Frölicher, R. Zöllner», Studi Francesi, 193 (LXV | I) | 2021, 265-266.
Notizia bibliografica digitale
Luana Doni, «À quoi bon la littérature?, dir. U. Bähler, P. Frölicher, R. Zöllner», Studi Francesi [Online], 193 (LXV | I) | 2021, online dal 01 juillet 2021, consultato il 18 mai 2025. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/studifrancesi/44314; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/studifrancesi.44314
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