Il rapporto tra mafia e imprenditorialità in un’area della Calabria
Abstract
This essay was derived from a study which analysed the relationship existing between the Mafia and entrepreneurs in the Piana di Gioia Tauro, in Calabria. All economie activities carried out in a certain territory being controlled, either directly or indirectly, by the mafiosi, a typology can be identified which distinguishes various types of entrepreneurs based on the nature of their relationship with the Mafia. By investigating the reasons which force economic agents to cooperate with the Mafia, it was possible to make a distinction between subordinate entrepreneurs and collusive entrepreneurs. The former have their activities controlled by the mafiosi through an extortion-protection mechanism governed by coercion. The latter, on the other hand, can obtain an active protection thanks to their establishing a relationship with the Mafia based on loyalty ties or on their sharing the same economic interests. Hence, while being a bond for some economic agents, the Mafia represents an opportunity for others. Whereas collusive entrepreneurs have a voice chance, though a restricted one, towards the mafiosi, subordinate entrepreneurs can only escape what is imposed on them by the Mafia by making a hard choice, the exit choice. The presence of the Mafia also discourages productive investments and seriously hinders entrepreneurial formation.
The typology illustrated can be useful to shed some light on the “gray zones”, to draw a distinction between those who are against the Mafia and those who are with the Mafia, between those who suffer it and those who support it.
Piano
Torna suTesto integrale
- 1 Sul concetto di forma come «distinzione», come «linea di confine che segna una differenza» si veda: (...)
- 2 S. Lupo, Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri, Roma, Donzelli, 1993, p. 16.
1Nell’analisi del fenomeno mafioso può essere utile considerare, oltre ai rapporti interni alle organizzazioni criminali, le loro relazioni esterne ovvero i rapporti che «altri soggetti» instaurano con i mafiosi. In tal modo è possibile distinguere gli uni e gli altri nella forma1, nel contenuto e nel contesto. Questa prospettiva di analisi permette di «soddisfare l’esigenza di distinguere il fenomeno dai suoi contesti»2, evitando, come spesso si è fatto, di ridurre il primo ai secondi e cercando, invece, di cogliere soprattutto le dinamiche che si sviluppano dalla loro reciproca interazione. Le riflessioni che seguono intendono muoversi lungo questa via, cercando di percorrerla attraverso l’analisi dei rapporti tra mafia e imprenditorialità in un’economia locale.
- 3 S. Lupo - R. Mangiameli, Mafia di ieri, mafia di oggi, «Meridiana», 7-8, 1990, p. 34.
2In questa sede si riportano alcuni risultati di una ricerca sugli effetti e le implicazioni di una forte presenza mafiosa sull’imprenditorialità, tenuto conto che i mafiosi tentano «di controllare tutte le attività economiche, legali o meno, praticate su un dato territorio»3.
- 4 Per una ricostruzione storica della presenza mafiosa nella Piana si veda: E. Ciconte, 'Ndrangheta d (...)
3L’area in cui è stata condotta l’indagine è la Piana di Gioia Tauro, situata nella Calabria tirrenica meridionale: una zona che si può definire certamente ad alta concentrazione mafiosa4. In questa zona, gli operatori economici devono «fare i conti» con la mafia. Tuttavia, il rapporto con i mafiosi non va inteso «a senso unico», bensì come un’interazione che si sviluppa in un quadro di vincoli e di opportunità in cui c’è spazio per le valutazioni e le preferenze degli imprenditori e anche per il calcolo dei costi e dei benefici connessi al tipo di relazione da attivare. Infatti, lo stesso comportamento degli imprenditori incide in modo specifico sul contenuto e sulla forma del rapporto intrattenuto con i mafiosi, sulle sue manifestazioni esplicite e su quelle latenti.
- 5 II concetto di cooperazione è inteso qui nel senso indicato da B. Williams (Strutture formali e rea (...)
4In linea generale, si può dire che i mafiosi inducono gli imprenditori a essere - nei loro confronti - cooperativi5, anche se tale cooperazione, come vedremo, può assumere diversi gradi e tonalità, andando dalla cooperazione passiva - subita e imposta dall’alto - a quella attiva - concordata tra le parti e reciprocamente vantaggiosa. Questi imprenditori valutano razionalmente la realtà: prendono in considerazione le condizioni dell’ambiente, le concrete alternative di azione a loro disposizione e si comportano di conseguenza. La situazione è tale che per molti di essi è razionale adottare una strategia di cooperazione nei confronti dei mafiosi. Come vedremo, per alcuni operatori economici la mafia rappresenta un vincolo, mentre per altri può essere un’opportunità.
- 6 Rispetto alla politica degli investimenti pubblici nella zona, significative sono le vicende del «q (...)
5Per quanto riguarda la struttura produttiva della Piana, essa presenta spiccati tratti di marginalità e dipendenza ed è segnata dalla prevalenza della piccola impresa che opera in settori tradizionali a bassa tecnologia e con forti vincoli localizzativi. Si registra, inoltre, un’elevata presenza di servizi commerciali poco qualificati. Le principali attività sono, da un lato, l’edilizia e il suo indotto, dall’altro, l’industria alimentare (soprattutto trasformazione degli agrumi e produzione e raffinazione di olio di oliva). D’altra parte, le iniziative imprenditoriali tendono a concentrarsi verso i settori più garantiti, specie in quelli sostenuti dall’intervento pubblico6.
1. Il fenomeno imprenditoriale in ambiente mafioso: un modello di analisi
- 7 C. Trigilia, Le condizioni ”non economiche” dello sviluppo: problemi di ricerca sul Mezzogiorno d’o (...)
- 8 L. Gallino, «Potere», in Dizionario di Sociologia, Torino, Utet, 1978, p. 533.
6La nostra ricerca si basa sul presupposto che la presenza mafiosa, in una determinata zona come quella da noi presa in considerazione, debba in qualche modo influenzare l’attività economica che si svolge in quell’area, ostacolando lo sviluppo di atteggiamenti orientati alla acquisitività di mercato7. La ricerca si è proposta di indagare, dunque, le modalità e le effettive possibilità che il mafioso [A] ha di condizionare, direttamente o indirettamente, l’agire dell’imprenditore [B], anche per il solo fatto che «prima di ricevere qualsiasi comando esplicito da A le scelte di B sono già limitate ad un ambito ristretto dal potere che A possiede sulla situazione in cui B è costretto ad agire»8.
- 9 L’indagine si è basata essenzialmente su interviste libere. L’individuazione dei soggetti intervist (...)
- 10 Seguendo la distinzione di Alan Block (East Side West Side. Organizing Crime in New York: ipjo-ipjo (...)
7Il nostro schema analitico distingue e raggruppa gli imprenditori della zona in categorie ideal-tipiche, definite in base alle caratteristiche e alle modalità dell’interazione con i mafiosi9. I tipi di imprenditori sono distinti e definiti in relazione a) alla maggiore o minore distanza che l’orientamento del loro agire manifesta rispetto all’«ordinamento» mafioso, b) rispetto alla «validità» riconosciuta o assegnata allo stesso. In considerazione di ciò possiamo delineare una tipologia analitica, individuante tre categorie imprenditoriali: definiremo, cosi, dal tipo più lontano a quello più vicino alla mafia, gli imprenditori subordinati, quelli collusi e gli imprenditori, in senso proprio, mafiosi (l’attività propriamente imprenditoriale di questi ultimi non verrà comunque considerata in questa sede10).
- 11 D. Gambetta, La mafia siciliana. Un ’industria della protezione privata, Torino, Einaudi, 1992. Gam (...)
- 12 R. Catanzaro, Il governo violento del mercato. Mafia, imprese e sistema politico, «Stato e Mercato» (...)
8Secondo la formulazione di Diego Gambetta, l’attività specifica dei mafiosi consiste nel produrre e vendere un tipo particolare di bene, la protezione privata, indispensabile per ridurre l’incertezza che caratterizza gran parte delle transazioni economiche e che le imprese mafiose offrono in concorrenza e in conflitto con lo Stato11. Attraverso l’offerta di protezione, i mafiosi impongono una regolazione violenta del mercato, cui non sfugge nessuna forma di transazione economica12. I mafiosi, infatti, offrono le loro garanzie sia nelle transazioni legali che in quelle illegali e si servono a tal scopo della violenza - reale o potenziale - con la costituzione di veri e propri apparati militari, attraverso i quali detengono monopoli, prevalentemente territoriali, della fiducia.
- 13 D. Gambetta, Mafia: I costi della sfiducia, «Polis», 2, 1987, p. 290.
- 14 Ibidem, p. 302. Cfr. anche Id., La mafia siciliana, cit., p. 18.
9L’uso della violenza nella sfera delle relazioni economiche e sociali ostacola non poco il regolare funzionamento del mercato e lo sviluppo economico, in quanto impedisce l’affermazione di rapporti fiduciari impersonali. Il mafioso si specializza nell’offerta di protezione, riuscendo a «trasformare la sfiducia in un affare remunerativo attraverso un’instancabile, e, se necessario, violenta, ricerca del monopolio su risorse e transazioni»13. Forse più che all’offerta di fiducia, i mafiosi si dedicano, infatti, allo sfruttamento di una sfiducia che essi hanno cura di alimentare, in modo da mantenere alta la domanda della merce che essi vendono, ossia la protezione14.
- 15 È questo il caso in cui l’offerta (violenta) di protezione crea la domanda: cfr. R. Catanzaro, Rece (...)
10Una prima caratteristica che ci permette di distinguere gli imprenditori in rapporto alla mafia può essere proprio il modo in cui essi si avvalgono dell’offerta di fiducia, ossia del tipo di protezione mafiosa di cui la loro attività economica è oggetto. Premesso che i mafiosi distribuiscono la loro protezione in maniera differenziata, a seconda del tipo di rapporto instaurato con gli imprenditori, a coloro che definiamo subordinati è imposta una protezione passiva, nel senso che costoro sono assoggettati alla mafia attraverso un rapporto non interattivo, fondato sull’intimidazione o sulla pura coercizione. Le attività di questi soggetti sono sottoposte al controllo dei mafiosi mediante il meccanismo della estorsione-protezione15. Viceversa, gli imprenditori che definiamo collusi possono usufruire di un tipo di protezione attiva, stabilendo con i mafiosi un rapporto interattivo fondato, anziché sulla coercizione, su legami personali di fedeltà o su un agire associativo motivato razionalmente rispetto allo scopo.
- 16 Gambetta, Mafia: i costi della sfiducia, «Polis», cit., p. 293. Sui meccanismi generali attraverso (...)
11La nostra tesi è che la mafia impone, o, comunque, riesce a ottenere la «cooperazione» degli imprenditori. Per gli imprenditori subordinati tale cooperazione è quasi completamente fondata sulla coercizione, sul timore di incorrere in sanzioni. Per gli imprenditori collusi la cooperazione è motivata «dalla prospettiva di un vantaggio economico, dalla fede nel codice dell’omertà o, infine, dal fatto che è un “amico” a chiederla»16. Gli imprenditori collusi sono legati ai mafiosi mediante incentivi, non solo materiali ma anche simbolici, che alimentano interazioni reciprocamente vantaggiose, che, cementate da legami personali di fedeltà, consentono agli imprenditori stessi anche un buon margine di voice a garanzia di difficoltà o necessità impreviste, o come maggiore possibilità di negoziare i termini della protezione.
12Inoltre, gli imprenditori subordinati tendono a orientare il proprio agire all’esterno in maniera statica. In quanto, fortemente vincolati dalla presenza mafiosa, si sentono impediti o limitati in ogni iniziativa o in qualsivoglia evoluzione della propria attività. Al contrario, quelli collusi sviluppano all’esterno un tipo di azione dinamica. Sono, cioè, più intraprendenti e rispondono con prontezza alle sollecitazioni provenienti dall’ambiente.
- 17 Tuttavia, dovremmo chiederci se nella Piana di Gioia Tauro esistano imprenditori autonomi, ossia im (...)
13Gli imprenditori si possono distinguere anche in base al tipo di prestazioni richieste dal mafioso: se dai subordinati si pretendono prestazioni specifiche (per esempio il pagamento della protezione), da quelli collusi si aspettano prestazioni diffuse17.
2.Gli imprenditori subordinati
- 18 Le informazioni sugli imprenditori subordinati derivano dalle interviste «dirette», ossia da quelle (...)
14Si è detto che i mafiosi controllano l’attività economica degli imprenditori subordinati18 attraverso il meccanismo della estorsione-protezione. Tale meccanismo è uno strumento molto flessibile e dinamico, che il mafioso applica in maniera differenziata ai diversi casi.
- 19 D’altra parte, la minaccia di ricorrere all’uso della violenza si può caratterizzare non solo come (...)
- 20 Cfr. R. Catanzaro, Imprenditori della violenza e mediatori sociali. Un'ipotesi di interpretazione d (...)
15Il mafioso offre la sua protezione in cambio di prestazioni specifiche, cercando di ottenere un profitto dall’erogazione di questo servizio. Tuttavia, l’elemento della violenza non può essere eliminato19; perché il sistema possa persistere e funzionare è necessario, infatti, che ci sia una domanda di protezione privata, che spesso è lo stesso mafioso a creare attraverso il meccanismo della estorsione20. Il dato più impressionante che risulta dalle interviste, è che tale sistema anche da parte degli imprenditori è stato «routinizzato» - al pari di altri fattori - nel calcolo economico e nella gestione d’impresa, tanto che le capacità di un imprenditore vengono misurate anche in base all’abilità che dimostra nell’ottenere al minor costo possibile la protezione della mafia.
- 21 Più in generale sulla capacità del mercato della protezione di autoraffozzarsi, si veda: Ibidem, pp (...)
- 22 Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza di rinvio a giudizio contro P. De Stefano più 59, (estensor (...)
16Una volta avviato, il meccanismo della estorsione-protezione si riproduce da sé e diviene sempre più difficile fuoriuscirne o semplicemente contenerlo21. Inoltre, le regole del gioco non sono date una volta per tutte, ma possono essere continuamente modificate dal mafioso senza interpellare l’imprenditore, per il quale la propria attività economica si prospetta in termini sempre più instabili e incerti. È evidente che gli imprenditori sono costretti ad accettare il rapporto di subordinazione con i mafiosi perché trovano «economicamente minore il costo di tale asservimento rispetto a quello degli inevitabili inconvenienti che si sarebbero verificati in caso contrario»22.
17Gli imprenditori subordinati possono essere suddivisi in tre sottocategorie, ciascuna delle quali corrisponde a un tipo diverso di rapporto con la mafia: si possono distinguere, così, gli imprenditori oppressi, dipendenti e in fuga (categoria che comprende anche quelli già fuggiti).
- 23 A questo proposito si può osservare tra sostegno diffuso e opposizione attiva l’esistenza di una te (...)
- 24 Tuttavia, costrizione e inutilità non devono essere necessariamente compresenti: è possibile che vi (...)
18Abbiamo ipotizzato che questi imprenditori abbiano fondamentalmente due possibili alternative di azione: una che prevede la continuità e una che prospetta la «rottura», o meglio la defezione. H primo tipo di strategia caratterizza gli imprenditori oppressi e i dipendenti, che si possono considerare gli uni una variante degli altri. Questi imprenditori sono quelli su cui più grava la presenza mafiosa, in quanto sono costretti, attraverso l’intimidazione di cui sono fatti oggetto, a riconoscere e sopportare passivamente quanto è imposto dal volere dei mafiosi23. Abbiamo definito oppressi gli imprenditori con cui la mafia intrattiene un rapporto di puro dominio: essi pagano la protezione mafiosa senza ricevere in cambio nulla di concreto se non una garanzia, peraltro del tutto provvisoria, di poter semplicemente continuare a svolgere la propria attività24. Questi operatori economici si sentono completamente indifesi di fronte alla mafia, anche perché il più delle volte hanno potuto verificarne, subendone direttamente le conseguenze, la potenza militare: ciascun soggetto che rientra in questa categoria è stato vittima, nel corso della sua attività imprenditoriale, di almeno un attentato di chiaro stampo mafioso a beni personali o dell’azienda. Inoltre, molti di questi imprenditori, intravedendo la possibilità di ulteriori sviluppi della propria attività economica, e pur essendo in possesso dei mezzi finanziari e tecnici per conseguirli, hanno evitato un ampliamento del campo dei loro interessi lavorativi. Dunque, questi operatori economici sono spinti a preferire una situazione di immobilismo, fino al punto di rifiutare le opportunità offerte dal mercato, auto-limitando la propria attività, in quanto la presenza mafiosa rende altamente rischiose nuove decisioni di investimento.
- 25 «È un dato di fatto rilevante, anche se quasi sempre trascurato, che nelle zone controllate dalla m (...)
19Gli imprenditori dipendenti, invece, non solo devono pagare la protezione ai mafiosi come fanno gli oppressi, ma devono ottenere la loro autorizzazione per poter svolgere la propria attività. Pur dovendo pagare entrambi la protezione mafiosa, gli oppressi sono autonomi sul mercato, mentre i dipendenti vedono selezionate le opportunità di impresa dalla mafia. Questi soggetti svolgono, infatti, la propria attività in settori in cui si concentrano gran parte degli interessi mafiosi della zona, come i lavori pubblici. Per poter operare in questi settori è necessario ottenere il «permesso» della mafia. Del resto, gli appalti pubblici che non siano gestiti direttamente dalla mafia, attraverso la creazione di imprese ad hoc, o attraverso quelle dei propri «amici» e clienti, sono in realtà distribuiti quasi sempre da quest’ultima alle altre imprese presenti sul mercato, secondo criteri che tendono a premiare gli imprenditori più disponibili ad accordarsi25.
- 26 Seguendo il nostro schema di analisi, i politici locali si possono considerare, a loro volta, subor (...)
20Spesso l’imprenditore dipendente, che svolge la sua attività nel campo dei lavori pubblici, è impegnato su due fronti: deve pagare le tangenti ai politici e la protezione ai mafiosi. Nella Piana di Gioia Tauro ci è stato riferito che il più delle volte la somma che l’imprenditore paga per aggiudicarsi un lavoro viene versata integralmente ai mafiosi, i quali, a loro volta, se è necessario, pensano alla retribuzione dei politici26. Nel campo dei lavori pubblici si stabilisce, insomma, una complessa interazione fra tre attori differenti, imprenditori, politici e mafiosi, fermo restando che su questi ultimi ruotano tutti i rapporti.
- 27 Già Franchetti aveva affermato che «se i malfattori usassero fino all’estremo la loro facoltà distr (...)
21È da tener presente che la richiesta di tributi da pagare in cambio di protezione deve avere dei limiti, in modo da non spingere gli imprenditori a interrompere la propria attività. Per consentire la riproduzione di tale meccanismo, il costo della protezione varia in base all’andamento degli affari dei protetti ed è proporzionale alle loro possibilità di guadagno27.
22In molti casi, invece dell’estorsione diretta, ossia del pagamento di una tangente in cambio di un’assicurazione di tranquillità, i mafiosi preferiscono richiedere agli imprenditori merce e prestazioni lavorative. Se il meccanismo della estorsione diretta e di quella che possiamo chiamare «indiretta» può apparire lo stesso, la logica che li sottende è diversa. Nel primo caso, il mafioso ricerca una rendita passiva, pretendendo - per così dire - una «percentuale» su attività produttive che controlla, ma cui non partecipa fattualmente in alcun modo. Nel caso dell’estorsione indiretta, può essere evidente, da parte del mafioso, un interessamento attivo per quelle attività economiche dalle quali vuole ottenere un’utilità immediata e non la semplice «mazzetta». E bene precisare che le attività economiche cui presta particolare attenzione il mafioso sono quelle che entrano in connessione con l’attività imprenditoriale che egli stesso eventualmente svolge. In altre parole, i mafiosi stabiliscono un «rapporto privilegiato» con quelle aziende che sono in grado di fornire il materiale e l’assistenza di cui necessitano le imprese mafiose.
23Molti imprenditori intervistati hanno osservato che è di gran lunga preferibile pagare la classica «mazzetta», il cui ammontare è almeno fissato per un certo periodo di tempo. Ciò permette un minimo di prevedibilità, giacché rende - dal punto di vista del calcolo economico - la protezione- estorsione mafiosa un servizio al pari degli altri di cui si avvale l’azienda.
- 28 È questa una «tattica» seguita, sia pure con sfumature diverse, da molti imprenditori della zona, c (...)
24Un’altra forma di subordinazione degli imprenditori alla mafia consiste nell’imporre alle aziende l’assunzione di persone legate da vincoli di varia natura ai mafiosi. Per gli imprenditori questo è un problema più grave di quanto si possa, di primo acchito, pensare. Intanto, sono costretti ad assumere forza-lavoro che non è loro necessaria o che non ha le competenze e le capacità richieste. Il fatto ritenuto più significativo è, però, la possibilità che all’interno dell’impresa venga collocato un soggetto, che, se non è propriamente mafioso (anche se non si può escludere che lo sia), è legato alla mafia e può essere da essa utilizzato per ottenere maggiori informazioni sull’attività dell’imprenditore, realizzando un controllo dall’interno e perciò diretto sull’azienda. Le imprese controllate dall’interno non possono attuare quella che si può chiamare la «tattica dei sotterfugi», la quale consiste nel cercare di sfuggire, mediante espedienti, alle richieste dei mafiosi o nel cercare di farvi fronte solo in minima parte. Questi imprenditori, ad esempio, per sottrarsi alle richieste di un mafioso non potranno sostenere né che una data merce non sia disponibile, né che essi non siano in grado di fornire determinate prestazioni di lavoro28, poiché il mafioso può facilmente verificare l’autenticità dei fatti, attraverso l’«emissario» collocato nell’azienda.
25Quanto finora descritto mostra la varietà dei modi attraverso cui si manifesta la subordinazione degli imprenditori alla mafia. Alcune imprese pagano in denaro la sola protezione e il loro rapporto con la mafia finisce qui. In altre imprese, invece, si combinano insieme varie forme di estorsione- protezione. L’associazione della semplice domanda di denaro a richieste di altro tipo - come prestazioni di lavoro specifiche, assunzione di forza-lavoro, guardiania, ecc. - non dipende soltanto da esigenze contingenti del mafioso - come per esempio ottenere dei benefici per l’impresa mafiosa o sistemare un amico - ma spesso può essere messa direttamente in relazione al volume di affari delle aziende subordinate, nel senso che quanto più alti sono i profitti di un’impresa, tanto più estese e pesanti saranno le pretese mafiose. Tutto ciò conduce al risultato di chiudere l’imprenditore in un vicolo cieco, poiché quanto più la sua azienda cresce tanto più sarà gravata dalle richieste dei mafiosi, per cui obiettivi desiderati, propri della funzione imprenditoriale, ossia realizzare più profitti ed estendere la propria attività, si scontrano con una realtà che fortemente li inibisce.
- 29 D’altra parte, gli imprenditori subordinati sarebbero quelli più incentivati, in presenza di condiz (...)
26In conclusione, la situazione di costrizione in cui si trovano gli imprenditori subordinati, oltre a gravare costantemente sul bilancio dell’azienda, pesa in maniera determinante non solo sul presente, ma anche sulle prospettive future. Una delle preoccupazioni principali degli imprenditori subordinati è che la loro attività non sia troppo vistosa, non dia troppo «nell’occhio». Questi imprenditori orientano, dunque, il loro agire economico all’esterno in maniera statica, sono rinunciatari e privi di ogni intenzione di sviluppare la propria attività economica per non essere costretti a soddisfare, nello stesso tempo, maggiori e insostenibili pretese mafiose. La loro funzione economica risulta, così, perpetuamente frustrata ed essi si sentono imprenditori «dimezzati» (decidono di «non fare più di tanto») e privati di qualsiasi autonomia. La loro è una scelta razionale che deriva però da un impedimento, un ostacolo, che non possono superare anche perché rifiutano a-priori qualsiasi tipo di accordo «attivo» con la mafia. Infatti, pur essendo continuamente costretti a subire i soprusi e le imposizioni dei mafiosi, questi imprenditori, qualora ne ravvisassero la possibilità o anche ne ricevessero esplicitamente l’offerta, assai difficilmente accetterebbero di entrare regolarmente in affari con essi. Come dire, meglio subordinati alla mafia che suoi clienti o, peggio ancora, suoi soci29.
2.1Un alternativa: la fuga
27Per alcuni imprenditori subordinati esiste una possibilità di modificare il proprio status di dipendenza nei confronti dei mafiosi. Questo passaggio avviene, comunque, solo a determinate condizioni: l’imprenditore abbandona ogni scrupolo ed entra in affari con i mafiosi, che lo accettano, però, come partner solo se la sua azienda è «ben piazzata» economicamente e se vi sono le premesse per un rapporto di scambio più esteso e soprattutto più fruttuoso. In questo modo, dunque, l’imprenditore entra a far parte della schiera dei clienti della mafia.
28Tuttavia, se alcuni (specie tra coloro che operano nel campo dei lavori pubblici che rientrano in genere nella categoria degli imprenditori dipendenti) possono ricercare un tipo di accordo che renda meno gravoso il peso della mafia, per la maggior parte non c’è altra alternativa per migliorare la propria condizione se non quella di rinunciarvi. Come abbiamo visto, gli imprenditori che si trovano in un rapporto di subordinazione rispetto alla mafia non hanno possibilità di voice: non possono permettersi di protestare, né tanto meno di defezionare, rivolgendosi all’autorità giudiziaria, perché in questo caso scatterebbe la violenta ritorsione mafiosa. Esiste comunque l’alternativa della defezione totale: l’exit. Invece di rassegnarsi a essere subordinato alla mafia, un imprenditore può scegliere la «fuga». Abbiamo incontrato molti imprenditori che ci hanno detto di pensare spesso che, per liberarsi dall’oppressione mafiosa, l’unica cosa da fare è di trasferire altrove la propria attività economica. Si tratta, comunque, di una scelta che comporta rischi e costi elevati, che pochi possono affrontare: trasferire un’impresa in una zona diversa da quella in cui è sorta, è un compito difficile per tutti. Inoltre, non è da sottovalutare il fatto che una scelta del genere verrebbe compiuta non per motivi strettamente economici, ma perché in un’altra zona si sarebbe finalmente liberi dal peso della mafia. La maggior parte degli imprenditori intervistati sarebbe entusiasta di poter stabilire la propria attività al Nord o al Centro (soprattutto in Toscana e in Emilia Romagna), ma ci sono anche quelli che si accontenterebbero di spostarsi in un’altra regione del Sud o addirittura solo in un’altra zona - «più tranquilla» - della stessa Calabria.
- 30 È il caso, per esempio, degli imprenditori che operano nel campo dell’edilizia e in quello dei mine (...)
- 31 Ci sono stati segnalati casi di imprenditori trasferitesi con successo nel Lazio, in Emilia Romagna (...)
29Sono, dunque, tanti gli imprenditori che pensano alla fuga, ma devono fare i conti con la realtà: una scelta del genere significherebbe ricominciare da capo, molti sanno che non potranno mai realizzare questo sogno, o perché non hanno a disposizione i mezzi (tecnici e finanziari), o perché la loro attività è troppo vincolata alla domanda locale per potersi inserire in un nuovo mercato30; mentre alcuni ci hanno detto che manca loro semplice- mente il coraggio per farlo o che non si sentono di compiere questo passo perché, nonostante tutto, sono molto legati alla loro terra. Non mancano, però, neppure coloro che ci hanno provato e ci sono riusciti31.
- 32 La fuga, inoltre, può innescare un «effetto di aggregazione a spirale»: «Poiché chi resta è meno po (...)
30La fuga è stata coronata dal successo generalmente per imprese che già avevano dimostrato una performance superiore alla media locale, con sbocchi commerciali già abbastanza estesi, con imprenditori adeguatamente preparati e forniti dei capitali necessari. La fuga per alcuni di questi imprenditori non ha solo comportato uno spostamento della propria attività, ma anche un suo potenziamento in termini economici. Il risultato di tutto ciò è estremamente negativo per la zona dal punto di vista sia economico, sia sociale: gli imprenditori fuggiti, anche se in termini quantitativi rappresentano una esigua minoranza, costituiscono, a livello qualitativo, la parte migliore della imprenditorialità locale. Bisogna considerare, inoltre, che gli imprenditori che imboccano la via della fuga molto probabilmente sono coloro che maggiormente avvertono l’insostenibilità della presenza mafiosa, per cui il risultato paradossale di questo processo è che «scappano via» proprio i soggetti più disponibili a opporsi alla mafia32. Il fatto è ancora più grave se si considera che gli imprenditori che prendono la decisione di «uscire» presentano, in genere, questa scelta come un fatto puramente privato, senza cioè che essa assuma il suo reale significato di «fuga» da un ambiente fortemente condizionato dalla mafia.
31Vi sono, poi, ancora altri soggetti che hanno tentato la fuga ma non hanno avuto successo e sono dovuti «tornare indietro». Si tratta di imprenditori che, dopo aver subito più volte la violenza mafiosa, hanno deciso di lasciare tutto per trasferirsi altrove, senza sottoporre questa scelta a un preciso calcolo economico. Questo ha comportato, il più delle volte, tornare sui propri passi e tornare a fare i conti con la mafia, con un notevole sperpero di risorse che ha appesantito la situazione economica di chi ha fatto tale scelta.
32I mafiosi, d’altra parte, cercano di contrastare l’exit degli imprenditori, in quanto ogni fuga realizzata significa per essi la perdita di una fonte di reddito e la riduzione del flusso di risorse di cui possono disporre. Per questo motivo, il mafioso pretende dalle aziende tributi proporzionali al loro peso economico, in modo da non chiedere più di quanto esse possano dare e indurle così a chiudere o spingerle alla fuga.
- 33 Infatti, quando si verifica un furto o una rapina nei confronti di aziende protette, si dice, nella (...)
33Abbiamo constatato che, nella Piana di Gioia Tauro, i mafiosi, per ostacolare la fuga e non renderla l’unica opzione che gli imprenditori subordinati possono praticare, mettono in atto una strategia del tutto particolare: sono in grado di creare ciò che potremmo chiamare «voice artificiale». Essi, da una parte, impediscono l’effettiva possibilità di voice e, dall’altra, ritenendo l’exit un’eventualità da scongiurare, per evitare di «soffocare» la società in cui operano, consentono forme di voice fittizie. Rileggendo alla luce di queste affermazioni il meccanismo della estorsione-protezione, possiamo notare che in questo processo i mafiosi offrono la possibilità agli imprenditori di dare vita a una voice che essi stessi pensano ad alimentare, costringendoli ad accettare la loro protezione. Vediamo di chiarire questi concetti con un esempio: se un’impresa che gode della protezione mafiosa - e in qualche modo paga per essa - subisce un furto da parte di «delinquenti comuni», l’imprenditore ha la possibilità di rivolgersi al mafioso per protestare per il mancato funzionamento della sua protezione. Il mafioso- protettore, allora, si adopererà in modo da far risarcire il danno all’imprenditore: nel caso del furto, lo sviluppo più comune è che i «ladri» - che molto probabilmente non sapevano della protezione mafiosa dell’impresa33 - restituiscano per esempio la merce rubata.
- 34 Tuttavia, in una vertenza tra due soggetti protetti, il mafioso tende a sostenere quello che per lu (...)
34È interessante notare che i «delinquenti» che commettono un furto ai danni di un imprenditore protetto possono essere a loro volta anch’essi protetti dalla mafia, che solitamente li utilizza nel ruolo di «manovalanza». Nel corso della ricerca, abbiamo verificato che spesso in cambio delle prestazioni che il «delinquente comune» compie per conto del mafioso, quest’ultimo può autorizzarlo a qualche azione «illecita» nei confronti di un’impresa da lui stesso protetta. Il mafioso non si fa molti problemi, perché in questo modo ha la possibilità di accontentare contemporaneamente due suoi protetti34. Riprendiamo il caso del furto visto in precedenza: il mafioso restituirà all’imprenditore protetto una parte della merce che gli è stata sottratta, mentre acconsentirà che la rimanente venga trattenuta per sé dall’altro suo protetto. Agendo in questo modo, il mafioso, da una parte, accontenterà il «delinquente», che all’occorrenza sarà disponibile a lavorare ancora per lui, e, dall’altra, potrà sottolineare all’imprenditore la necessità della sua protezione, perché senza di essa egli, nel caso del furto, avrebbe perso tutta la merce che, invece, ha in parte ricuperato.
35Si tenga presente, comunque, che se, da un lato, la protezione mafiosa può offrire spazi di opportunità, sia pur limitati e «artificiali», agli imprenditori subordinati (per esempio, nei confronti della delinquenza comune), dall’altro, può essere causa di danni irreparabili: così, per esempio, può succedere che un’azienda protetta venga distrutta a scopo simbolico da parte di un gruppo mafioso in ascesa. Ciò si può verificare quando, all’interno di un determinato territorio, alcuni individui sfidano la cosca dominante che lo controlla e vi si contrappongono come concorrenti. Si assiste, in questo caso, a una spietata e violenta competizione, in cui regole del gioco ed equilibri di potere sono messi in discussione e verranno ripristinati solo quando un gruppo prevarrà definitivamente sull’altro. Tuttavia, l’incertezza che, in questi periodi di conflitto, pervade i gruppi mafiosi colpisce anche gli imprenditori che «non sanno più chi è che comanda e non sanno soprattutto chi comanderà dopo» (Interv.: imprenditore). Infatti, un gruppo mafioso che vuole conquistare il controllo su un territorio in mano a un’altra famiglia, oltre a scontrarsi apertamente con essa, deve rendere poco credibile il suo potere di garantire agli operatori economici la protezione. Di conseguenza, i mafiosi che si contrappongono alla cosca dominante possono attuare una strategia che tende a colpire gli imprenditori da essa protetti. In questo modo, vengono colpiti gli interessi di quella cosca e allo stesso tempo si fa capire agli imprenditori che la protezione che offre non è più efficace. Molti imprenditori hanno riferito di aver subito, negli anni passati, una serie di attentati, anche molto gravi, alle proprie aziende, che apparivano in un primo tempo del tutto inspiegabili: questi imprenditori, infatti, non avevano ricevuto alcun avvertimento e pagavano «normalmente» la protezione mafiosa. In realtà, solo più tardi essi hanno potuto appurare la vera natura degli attentati: erano opera di una cosca rivale che voleva strappare all’altra il monopolio della protezione nella zona.
- 35 Quindi, in questo caso, possiamo dire che la minaccia di «uscita» apre spazi al meccanismo della vo (...)
- 36 Ibidem, p. 71.
36Molti imprenditori subordinati sono consapevoli del meccanismo perverso della protezione mafiosa, come pure del fatto che le voice che i mafiosi concedono loro di esprimere è quasi del tutto «artificiale» e che essa non fa altro che rendere le loro aziende ancora più dipendenti dalla mafia. Per questo motivo, gli imprenditori continuano a ritenere preferibile l’exit, anche se pochi, come abbiamo visto, sono in grado di attuarlo. Tuttavia, anche molti fra coloro che non possono permettersi la «fuga», preferiscono non dare luogo a quel tipo - artificiale - di voice, che li costringe a essere in debito con i mafiosi e, al limite, attuano un’altra strategia che consiste nel minacciare semplicemente la fuga, senza effettivamente realizzarla. Quando ritengono di non poter sopportare più le imposizioni mafiose, alcuni imprenditori minacciano comunque di chiudere la propria azienda e di trasferirsi in un altro luogo. Se la minaccia è credibile, si può verificare, così, che i mafiosi diminuiscano la loro pressione sull’azienda e pretendano da essa tributi più ragionevoli35. In alcuni casi, ci è stato riferito che la minaccia ha funzionato, anche se i suoi effetti, ossia la riduzione delle imposizioni mafiose, sono stati efficaci per un periodo di tempo circoscritto. D’altra parte, un comportamento di questo tipo è difficilmente credibile se viene ripetuto a breve distanza di tempo ed è, comunque, assai raro che la sua reiterazione possa ottenere buoni risultati. Bisogna, inoltre, considerare che da qualche imprenditore è stato pure sperimentato un meccanismo simile al «boicottaggio», che consiste in «un’uscita temporanea, senza una corrispondente entrata altrove»36. È il caso di quei soggetti che hanno chiuso temporaneamente la propria azienda, a seguito di attentati mafiosi, affermando che sarebbero stati disposti a riprendere la propria attività solo se le richieste dei mafiosi fossero state «ragionevoli». Come si può vedere, si tratta di una scelta assai simile alla «minaccia di fuga»: è un modo di far sentire la propria voice quando la fuga effettiva è difficile da realizzare.
37Un altro comportamento che, pur differenziandosi notevolmente dai casi precedenti, può essere associato alla fuga si verifica quando imprenditori di aziende già economicamente deboli e fortemente instabili, esasperati dalle costrizioni mafiose, decidono di «mollare tutto», cambiando addirittura attività lavorativa. In questa circostanza, più che di fuga si dovrebbe parlare di «abbandono»: si tratta, nella maggior parte dei casi, di imprenditori che conducono aziende da parecchio tempo in crisi, che non hanno né i mezzi, né la volontà per iniziare, anche in una zona diversa, un’altra attività imprenditoriale e, allora, rimangono, per lo più, nella Piana, impegnandosi in occupazioni ritenute «più sicure».
38Infine, dobbiamo osservare che se è vero che i mafiosi non gradiscono generalmente la fuga e cercano anzi di ostacolarla, è anche vero che in alcuni casi sono essi stessi non solo a provocarla, ma a pretenderla con forza. Ciò avviene quando il mafioso non si accontenta di ricevere una rendita passiva dall’imprenditore, o di controllare semplicemente la sua attività, ma desidera, invece, impossessarsi più o meno direttamente della sua azienda. In questo modo l’imprenditore mafioso si sostituisce a quello subordinato. Vicende di questo genere hanno interessato le attività più redditizie: l’imprenditore riceve una serie di minacce dirette a sé o alla sua famiglia, cui seguono concreti atti di violenza, sempre più duri, fino a quando giunge l’«offerta» di cedere l’attività. Solitamente risulta che l’imprenditore ha venduto la sua azienda a una persona del tutto «pulita», che altro non è che un prestanome dell’imprenditore mafioso. In casi del genere si deve parlare di una «fuga» indotta con la violenza, una fuga forzata e imposta.
39L’unico modo, per questi imprenditori, di evitare che i mafiosi si sostituiscano a loro, sarebbe quello di ricercare con essi un «accordo attivo», di mostrarsi disponibili a combinare affari in comune, di mettere al loro servizio la propria azienda. In poche parole, questi imprenditori potrebbero rimanere al loro posto, o meglio riuscirebbero a convincere i mafiosi a lasciarli al loro posto, solo se fossero disponibili a divenire loro clienti, ossia a entrare a far parte degli imprenditori collusi.
3.Gli imprenditori collusi
- 37 Tribunale di Reggio Calabria, Sentenza contro P. De Stefano più 59, (estensore G. Tuccio), 1979, p. (...)
40Gli imprenditori collusi sono disponibili a trovare con i mafiosi un accordo attivo, dal quale derivano obblighi reciproci di collaborazione, scambio e lealtà. In questo modo, tra mafiosi e imprenditori si instaurano interazioni reciprocamente vantaggiose, fondate sul conseguimento di interessi comuni, oppure sul raggiungimento di un compromesso fra partner che hanno utilità e convenienze differenti, ma complementari. Questi soggetti sono disposti a subire i vincoli della mafia «anche perché ritengono di poter utilizzare l’amicizia e la protezione mafiosa per altri scopi»37: essi cercano di volgere in benefici quei condizionamenti che per altri costituiscono un serio ostacolo all’esplicazione della propria attività economica.
- 38 Sul concetto di costo morale riferito, più in generale, alla disponibilità di un individuo a entrar (...)
- 39 Sulla selettività dell’offerta della protezione mafiosa e, più in particolare, sulla possibilità ch (...)
41Per molti di questi imprenditori essere collusi con la mafia è frutto di un calcolo razionale: significa stabilire un tipo di rapporto dal quale si possano trarre dei vantaggi non indifferenti, anche se limitati alla propria attività economica del tutto legale. Con questo non vogliamo dire che un imprenditore che operi nella Piana di Gioia Tauro possa liberamente scegliere di essere in collusione con la mafia. Perché ciò avvenga sono necessarie almeno due condizioni fondamentali: i) che l’imprenditore abbandoni ogni riserva di ordine culturale e morale38, per cui riconosca esplicitamente il potere mafioso e lo faccia non (o non solo) per evitare che la componente violenta e coercitiva di quel potere lo assoggetti completamente - lo faccia, cioè, non in modo passivo, per paura di sanzioni, come accade per gli imprenditori subordinati - ma perché si è convinto che una cooperazione attiva con la mafia possa essere, per motivi di vario genere e non necessariamente o esclusivamente economici, molto vantaggiosa; 2) che il mafioso, da parte sua, accetti questo rapporto di collaborazione39, anche se solitamente lo fa - anzi spesso è lui a richiederlo - solo quando da esso può trarre benefici maggiori rispetto a un rapporto di pura subordinazione oppure se è legato all’imprenditore da legami personali di fedeltà - soprattutto in forma di parentela naturale o artificiale - che nessuno dei due partner intende disconoscere. In questo modo il cerchio si chiude: la relazione è riconosciuta e accettata come reciprocamente vantaggiosa. E da notare, tuttavia, che gli imprenditori che, abbandonando ogni riserva mentale, instaurano una qualche forma di collaborazione con i mafiosi, restano del tutto indipendenti tra loro: ciascuno intrattiene rapporti di scambio con il mafioso indipendentemente da tutti gli altri.
- 40 Le informazioni relative a questi tipi imprenditoriali sono state ottenute, oltre che dall’analisi (...)
42Questa categoria di imprenditori collusi può essere suddivisa in due sottoclassi. Abbiamo chiamato le figure così individuate imprenditori strumentali e imprenditori clienti40.
3.1Imprenditori strumentali
43Abbiamo definito strumentali gli imprenditori che sono sufficientemente forti per instaurare con i mafiosi rapporti di scambio. Questi soggetti accettano preventivamente di collaborare con i mafiosi, assumendo un atteggiamento che si può spiegare essenzialmente con una valutazione strumentale e utilitaristica del contesto ambientale in cui svolgono la loro attività: perché - in altre parole - si rendono conto che la cooperazione promuove i loro interessi economici.
44Queste persone dicono: qui c’è la mafia, o ci facciamo sottomettere, oppure ci accordiamo con essa. La seconda soluzione è più vantaggiosa, per cui se si deve fare questa scelta è meglio giocare d’anticipo. Così sono gli stessi imprenditori che entrano in contatto con i mafiosi e si mostrano disponibili a collaborare. (Interv.: politico)
45Le imprese che si trovano in un rapporto strumentale con i mafiosi sono in genere di dimensioni nettamente più ampie rispetto alla media locale: si tratta per lo più di imprese esterne che operano nel campo dei lavori pubblici. Sono imprese relativamente forti perché in possesso di risorse e di forze radicate all'esterno, per cui anche la mafia può ritenere conveniente stringere con esse un patto di alleanza, in cui ciascun partner persegue i propri interessi.
46Solitamente gli imprenditori strumentali sono attratti nella Piana dagli appalti per la realizzazione di grandi opere pubbliche e pur essendo per la quasi totalità di provenienza esterna alla regione sono (quasi sempre) a conoscenza delle condizioni stabilite dalla mafia per lavorare nella zona. Con la decisione di prendere parte alle gare di appalto, gli imprenditori sono consapevoli di dover fare i conti con la mafia. Poiché sanno che sarebbe troppo rischioso opporsi alle sue pretese, ne accettano preventivamente la protezione.
47Per questi imprenditori è molto vantaggioso ricercare, quindi, la protezione mafiosa prima dell'espletamento della gara di appalto, perché nel caso si raggiunga un accordo positivo con i mafiosi, essi potranno essere garantiti da questi ultimi contro altri concorrenti. D'altra parte, queste imprese sono forti perché hanno le risorse e i mezzi necessari per partecipare a quel tipo di appalti e, dal momento che nessuna impresa locale risponde ai requisiti richiesti, si trovano in una situazione privilegiata nei confronti degli stessi mafiosi. Quindi, l’impresa che raggiunge l’accordo con la mafia è «forte» anche perché può porre, in virtù della posizione economica che occupa, delle resistenze nei confronti delle sue pretese e può, in un certo grado, «farsi sentire». Questi imprenditori hanno, dunque, possibilità, anche se ridotte, di voice, almeno nel senso - limitato - di poter contrattare il rapporto di scambio con i mafiosi.
- 41 Vale qui il concetto per cui: «Il compromesso è un impegno a tempo. È un risultato di strategie sce (...)
48Dobbiamo ancora dire che, nonostante l’intesa che questi imprenditori strumentali raggiungono con la mafia, ciascuna delle parti mantiene la propria peculiare fisionomia: anche se orientano in direzione reciproca il proprio atteggiamento per perseguire i propri interessi oggettivi, lo fanno con mezzi e su basi completamente diversi, escludendo una comunanza che non sia di natura assolutamente economica. Le interazioni fra mafiosi e imprenditori strumentali, regolate dalla logica dello scambio, non coinvolgono, quindi, le persone per intero, ma solo le loro prestazioni. Proprio per questo motivo il campo di azione di questi imprenditori resta limitato ai mercati legali. Si può allora dire che gli imprenditori strumentali raggiungono con il mafioso un «compromesso», che ha carattere condizionale e contingente, in quanto nessun accordo di questo tipo vale una volta per tutte, ma deve essere continuamente rinegoziato41.
- 42 «La situazione è talmente generalizzata e “normalizzata” che, (...), gli enti appaltanti di opere p (...)
- 43 Ibidem, p. 223.
49Il problema della presenza mafiosa viene vissuto da questi imprenditori come un dato dell’ambiente in cui dovranno svolgere la propria attività, per cui esso viene risolto, dal punto di vista aziendale, valutandolo alla stregua di un costo aggiuntivo preventivato sin dall’inizio. D’altro canto, tale costo aggiuntivo incide solo in minima parte direttamente sull’azienda e va a ricadere soprattutto sull’ente appaltante42. L’imprenditore strumentale sembra seguire il principio antropologico della doppia morale: la mafia è qualcosa di occasionale, che riguarda il suo lavoro per un periodo di tempo circoscritto, una necessità economica temporanea, ma non ha niente a che fare con il resto della sua vita e - così ragiona - con il passato e il futuro della sua attività. In questo modo, molti imprenditori «hanno giudicato la mafia una componente “economica” imprescindibile e l’hanno accettata valutandone il costo e l’utilità»43.
3.2 Imprenditori clienti
- 44 Come ha osservato P. Fantozzi (Politica Clientela e Regolazione Sociale. Il Mezzogiorno nella quest (...)
50L’altra categoria di imprenditori collusi con la mafia sono stati da noi definiti imprenditori clienti, in quanto stabiliscono con i mafiosi un rapporto di scambio che si configura come una particolare relazione clientelare44. Si tratta soprattutto di imprese locali che operano nei mercati legali, in attività abbastanza redditizie e, sul piano economico, relativamente affermate. La maggior parte di questi imprenditori agiscono nei settori più dinamici e sviluppati del sistema produttivo della Piana, soprattutto in quello alimentare, nell’edilizia e nelle attività ad essa collegate.
51Una caratteristica importante che distingue gli imprenditori clienti da quelli strumentali è la stabilità del rapporto intrattenuto con i mafiosi. Gli imprenditori strumentali cercano con la mafia un accordo limitato nel tempo e definito nei contenuti, in quanto la loro posizione nei confronti dei mafiosi viene negoziata caso per caso e la reiterazione del patto, anche se, in alcuni casi, molto probabile, non può essere considerata, da ambedue le parti, del tutto scontata. Invece, gli imprenditori clienti intrattengono con i mafiosi un rapporto stabile e continuativo, che coinvolge interamente la loro attività e spesso la loro stessa persona, secondo modalità ricorrenti, per lo più indefinite nel tempo e nei contenuti. Tra questi imprenditori e i mafiosi si instaura, infatti, un’interazione diadica asimmetrica, che ha natura di scambio e assume spesso un carattere altamente personalizzato.
- 45 R. Axelrod, Giochi di reciprocità. L’insorgenza della cooperazione, Milano, Feltrinelli, 1985, p. 1 (...)
52Nel suo rapporto di scambio con il cliente-imprenditore, il mafioso mantiene sempre una posizione privilegiata, che gli deriva essenzialmente dalla capacità coercitiva che egli è in grado di esprimere, ma che, in questo caso, resta sottintesa, cioè a uno stato puramente potenziale. Con questi imprenditori il mafioso ricerca un tipo di scambio basato sulla cooperazione reciproca, per instaurare il quale è restio a utilizzare la violenza. Tuttavia, come nota Axelrod, se «il miglior modo per indurre l’altro alla cooperazione è quello di farsi la fama di chi è deciso a non cooperare mai più se l’altro defeziona anche una sola volta»45, allora è molto probabile che il mafioso riesca a ottenere tutta la collaborazione che richiede, essendo questa fama, come si sa, una delle componenti fondamentali di ogni mafioso che si rispetti.
- 46 Si tenga presente, per esempio, che, come ha osservato A. Mastropaolo (Tra politica e mafia. Storia (...)
- 47 L’accordo con la mafia non è, come a prima vista si potrebbe pensare, una prerogativa delle sole im (...)
53La gamma di prestazioni rese da questi clienti ai mafiosi è molto varia e dipende soprattutto dal tipo di attività che svolge l’imprenditore e dalle opportunità che quella attività può offrire. Si va dalla semplice offerta di informazioni che l’imprenditore procura al mafioso (quindi di tutti quei dati privilegiati di cui egli è a conoscenza), all’accesso a determinati circuiti politici e finanziari (personaggi di queste sfere che l’imprenditore mette in comunicazione con il mafioso46), fino alla costituzione di vere e proprie società fra c/i^^-imprenditore e mafioso. Quest’ultimo caso è frequente nel campo delle opere pubbliche e rivela con la massima chiarezza come il tipo di scambio intrattenuto da certi imprenditori con la mafia sia di reciproco vantaggio e per niente fondato sulla pura coercizione47.
- 48 Cfr. Tribunale di Palmi, Sentenza contro G. Pesce più 145, 1985.
54Tuttavia, le prestazioni rese dai clienti ai mafiosi possono anche non avere alcun legame con l’attività lavorativa da loro svolta e possono persino non avere contenuto economico. Per esempio, il mafioso può richiedere all’imprenditore-cliente in cambio della sua protezione attiva o semplicemente della sua benevolenza, di ospitare (e nascondere) un latitante oppure di testimoniare a suo favore (o di altri «amici») in un procedimento penale48.
- 49 II mafioso, in cambio della protezione assicurata al suo c/ze«te-imprenditore, non vorrà necessaria (...)
55Anche se nel rapporto di scambio ciascuno dei contraenti può conservare la propria identità separata, non si può comunque escludere che tale relazione si configuri come un rapporto diffuso. Questo legame, poiché risponde a una pluralità di compiti eterogenei, anziché soddisfare una funzione specifica di tipo impersonale-contrattuale, può imporre, infatti, rapporti diffusi che investono l’intera persona49.
56Come si è detto, l’imprenditori-cliente ha un certo margine di contrattazione nei confronti del mafioso, che dipende dalla posizione socio-economica che egli occupa e in virtù della quale può offrire al mafioso determinati benefici. Solitamente, però, il margine di libertà di cui gode l’imprenditore-cliente è alquanto limitato, per il solo fatto che egli non può rivolgersi, a titolo di ritorsione, a eventuali concorrenti del mafioso nel caso in cui il rapporto instaurato non lo soddisfi.
57L’iniziativa per avviare un rapporto clientelare di scambio non viene sempre presa dal mafioso, ma può anche provenire dall’aspirante cliente- imprenditore. Quest’ultimo può concedere, senza che nessuno glielo chieda, dei favori al mafioso, in modo da precostituirsi un credito da sfruttare al momento opportuno. Il mafioso, però, accetta l’offerta dell’imprenditore soltanto se intravede la possibilità di ottenere grossi vantaggi dalla relazione.
58Gli imprenditori-clienti che operano nel campo dell’edilizia pubblica si distinguono spesso per le peculiari modalità di aggiudicazione dei lavori. Quando si sa che uno di questi operatori economici garantiti è interessato ad aggiudicarsi determinati lavori, nessun altro concorrente osa partecipare alle gare di appalto. Inoltre, i mafiosi possono fare da garanti sugli accordi di tipo oligopolistico stretti tra le imprese per aggiudicarsi gli appalti, curando che ogni soggetto tenga fede alla parola data. È il mafioso che organizza il patto tra gli imprenditori, lo gestisce, offre le sue garanzie perché venga rispettato e si raggiunga un buon esito finale.
- 50 Così, il mafioso può limitarsi a offrire la sua protezione contro eventuali «bidoni» che i contraen (...)
59Dal canto suo, l’imprenditore può instaurare un rapporto clientelare con il mafioso anche solo nell’aspettativa di trovare con maggiore facilità un canale di comunicazione privilegiato con l’ente appaltante. Il mafioso può agire come mediatore tra impresa-cliente ed ente appaltante, facilitandone la reciproca identificazione, garantendo la comunicazione delle informazioni necessarie per stabilire l’accordo e assicurando la fiducia di cui esso necessita per andare a buon fine50.
60È possibile distinguere una variante interna alla categoria dei clienti, individuabile in quegli imprenditori che instaurano con i mafiosi relazioni personali di fedeltà, in quanto a essi legati da rapporti di parentela, naturale o artificiale, o di amicizia, non esclusivamente strumentale. Si può supporre che ogni cliente aspiri a trasformare il rapporto di scambio intrattenuto con il mafioso in una relazione con contenuti più affettivi, in un legame più stretto in grado di offrire una condizione di gran lunga più favorevole. Quando ciò succede, al rapporto di scambio si potrebbe associare un processo di identificazione.
61Questi imprenditori, che potremmo chiamare appunto «identificati», realizzano con la mafia un’armonia di intenti che li spinge a combinare affari in comune nei mercati legali, in quelli illegali o in entrambi. Si stabilisce, così, un rapporto di «fratellanza economica», che è tenuto insieme dalla reverenza e dalla fedeltà personale continuamente manifestata nei confronti dei mafiosi. Questi soggetti possono, inoltre, richiedere, in cambio della disponibilità e dei favori che concedono ai mafiosi, contro-prestazioni di vario genere e possono utilizzare nei loro confronti il meccanismo delle voice, con possibilità più ampie rispetto ad altri. Tra essi e i mafiosi si manifesta un impegno reciproco, una relazione di cooperazione che non è dal principio limitata a particolari prestazioni oggettive, ma che sollecita ciascuna delle parti a una solidarietà partecipativa e a una immedesimazione soggettiva nelle vicende dell’altra.
62Il legame con i mafiosi assume, in questi casi, forme diverse ed è molto probabile che funzioni meglio. Dal punto di vista operativo si svolge, però, più o meno, allo stesso modo, consentendo cioè un rapporto di scambio reciprocamente vantaggioso, che si esplica, tuttavia, a un livello diverso da quello proprio della clientela mafiosa. Una delle differenze principali consiste nel fatto che, mentre il rapporto mafioso/cliente-imprenditore è essenzialmente diadico, la relazione in cui l’imprenditore-cliente è un parente o un amico del mafioso non lo è. In questo caso, il rapporto con il mafioso non coinvolge un solo individuo (l’imprenditore-cliente), ma un’intera famiglia: il rapporto di scambio coinvolge tutti i membri della famiglia del partner (il cliente-imprenditore-amico o parente) e spesso anche i membri della famiglia dello stesso mafioso.
63Questi imprenditori acconsentono, con relativa facilità, a mettere a servizio della mafia le proprie aziende e spesso può verificarsi il caso che si costituiscano delle imprese ad hoc per realizzare gli scopi economici del mafioso. Tuttavia, non si deve pensare che gli imprenditori «identificati» siano semplici strumenti nelle mani dei mafiosi, poiché, in realtà, giovandosi della copertura di questi ultimi, possono svolgere essi stessi transazioni, legali e illegali, assai redditizie.
- 51 È bene precisare, seguendo Rusconi (Scambio, Minaccia, Decisione, cit., p. 68), che: «L’identità no (...)
64Il comportamento degli imprenditori clienti e «identificati» trova, dunque, una spiegazione più adeguata in una logica di identità51 anziché di utilità, in quanto tali soggetti definiscono i propri interessi e danno senso alle proprie azioni attraverso meccanismi che tendono a privilegiare la dimensione dell’appartenenza piuttosto che altre. In questo processo, gli stessi mafiosi, prima che gli interessi economici, prendono in considerazione i legami sociali delle persone e le loro condotte di vita, in modo da valutarne il grado di affidabilità e disponibilità.
65Dal canto loro, questi imprenditori non nascondono più del necessario il loro legame con la mafia e anzi, qualora se ne presenti l’opportunità, ne fanno motivo di vanto e di prestigio sociale. Tuttavia, proprio perché essi sono «i più vicini» ai mafiosi, ne condividono le sorti sia in positivo, sia in negativo: le loro possibilità di affermazione sono connesse ai successi o agli insuccessi della cosca cui sono legati. Tutto ciò che, in un modo o nell’altro, interessa quest’ultima fa sentire i suoi effetti sulla loro attività.
66Proprio per questo motivo non è da escludersi, per questi soggetti, una trasformazione in senso mafioso delle loro imprese, ossia la possibilità, se si verificano determinate circostanze, di una loro piena integrazione nel sistema economico della mafia.
67Comunque vadano le cose, l’imprenditore che si lega alla mafia entra a far parte di un sistema di rapporti interpersonali che dà protezione, facilita le comunicazioni e generalmente costituisce un potente mezzo di ascesa sociale. Basti pensare che all’interno di questo reticolo, come ormai hanno provato numerose vicende giudiziarie, è possibile, seguendo determinati percorsi selezionati, entrare in contatto con i massimi centri decisionali, sia a livello locale che nazionale, del potere politico ed economico.
4.Impresa e mafia: alcune conclusioni
- 52 Cfr. P. Arlacchi - N. dalla Chiesa, La palude e la città, Milano, Mondadori, 1987, pp. XI sgg.; M. (...)
68Abbiamo presentato una tipologia che tende a ricostruire i rapporti tra mafiosi e imprenditori in un contesto locale. I primi fissano i termini del rapporto soprattutto attraverso la loro capacità di intimidazione; i secondi sottostanno alle imposizioni dei mafiosi, si accordano attivamente con essi, oppure scelgono la difficile alternativa dell’exit. La strategia adottata dal- l’imprenditore dipende anche dal tipo di azienda e dal suo legame con il territorio. Quel che sosterremo in sede di conclusione è che la tipologia presentata serve a orientarsi in quella grande «zona grigia»52 che si distende tra chi è contro la mafia e chi è con la mafia, tra chi la subisce e chi la sostiene.
- 53 Diversi osservatori hanno messo in evidenza i limiti e le difficoltà di una distinzione del genere. (...)
69Il nostro tentativo è stato quello di fissare, con tutti i limiti che un’operazione del genere comporta, una linea di demarcazione fra vittime e complici53, ossia, in altri termini, di comprendere le diverse logiche che spingono gli operatori economici a cooperare con i mafiosi. Proprio tenendo conto di ciò, abbiamo ritenuto opportuno distinguere imprenditori subordinati e collusi, individuando modalità diverse di rapportarsi alla mafia e agli imprenditori mafiosi, anche se siamo consapevoli che confini cosi netti nella realtà empirica non esistono e che un tipo di imprenditore può facilmente «sfumare» nell’altro.
- 54 C. Stajano (a cura di), Mafia. L'atto d'accusa dei giudici di Palermo, Roma, Editori Riuniti, 1986, (...)
- 55 Ibidem, p. 288.
- 56 P. Arlacchi, Gli uomini del disonore. La mafia siciliana nella vita del grande pentito Antonino Cal (...)
- 57 Arlacchi, Gli uomini del disonore, cit., p. 1961 Cavalieri del lavoro ricevevano, dunque, cospicui (...)
70Anche i magistrati di Palermo, pur ravvisando la difficoltà di stabilire «dove finisce Fazione necessitata dalla imposizione mafiosa e dove comincia il coinvolgimento e il fiancheggiamento delle attività mafiose»54, hanno osservato che se la condizione di molte imprese è triste, perché esse sono oppresse dai condizionamenti mafiosi, «il discorso cambia quando ci si accorge che il contatto con gli elementi mafiosi viene accolto di buon grado ed anzi sollecitato»55. Significative a questo proposito sono le vicende in cui sono coinvolti i Cavalieri del lavoro di Catania, che, seguendo il nostro schema di analisi, rientrano a tutti gli effetti nella categoria degli imprenditori collusi e, più precisamente, in quella degli imprenditori clienti. «I cavalieri del lavoro di Catania - dichiara il pentito Antonino Calderone - non sono mai stati vittime della mafia (...). Ma, in buona sostanza, si giovavano tutti della sola reputazione di essere collegati con noi»56. Queste imprese, aggiunge Calderone, «non erano sottoposte al rischio mafia perché la mafia ce l’avevano già dentro»57. Anche Giovanni Falcone, in un’intervista, aveva descritto una situazione assai simile a quella da noi osservata nella Piana, affermando che:
- 58 Intervista al giudice G. Falcone, «Panorama», n. 949, 23 giugno 1984.
Tutto il mondo imprenditoriale (...) ha rapporti con la mafia. È solo questione di livelli e di gradazioni. C’è l’imprenditore che collude e quello che subisce in silenzio. Quello che costruisce i palazzi con le narcolire e quello che accetta di buon grado il sostegno finanziario della mafia58.
71D’altra parte, possiamo dire che l’imprenditore mafioso, cambiando le condizioni e le stesse regole del gioco della competizione economica, è in grado di manipolare la prevedibilità del proprio comportamento e di quello degli altri imprenditori e, di conseguenza, di controllare la zona di incertezza che ne deriva. Così, mentre gli imprenditori non mafiosi hanno poche possibilità di agire a livello puramente economico, quelli mafiosi usufruiscono sul mercato di una rendita di posizione. Essi sono, peraltro, in grado di ottenere la cooperazione di altri soggetti economici, dalla quale ricavano vantaggi sconosciuti a qualsiasi altra categoria professionale. In un contesto in cui la violenza permea tuttora le sfere delle relazioni economiche e sociali, stenta ad affermarsi quel tipo di fiducia impersonale che è tipica dei rapporti di mercato ed è decisiva per lo sviluppo economico. In questa situazione, la mafia può rappresentare Tunica garanzia di fiducia e fidarsi della mafia - anche se dal punto di vista della collettività tale situazione è certamente disastrosa - può essere razionale dal punto di vista del singolo.
- 59 D. Gambetta, Possiamo fidarci della fiducia?, in Id. (a cura di), Le strategie della fiducia, cit., (...)
Possiamo essere incerti se fidarci o meno, oppure sapere perfettamente che qualcuno non è degno di fiducia, ma sapere anche che se non cooperassimo le nostre perdite sarebbero alte; volendo, possiamo evitare di agire, ma se lo facessimo la pagheremmo cara59.
72Date queste premesse, la soluzione migliore per un imprenditore che voglia permanere sul mercato non è riposta in decisioni e capacità puramente economiche, bensì consiste nell’attrezzarsi in modo adeguato per fronteggiare una concorrenza che si svolge sempre più in forme scorrette e violente, in ultima istanza, diventando mafioso o chiedendo e ottenendo la protezione attiva dei mafiosi.
- 60 M. Centorrino (I conti della mafia, cit.) ha messo in evidenza che l’incidenza dell’economia mafios (...)
73La presenza mafiosa, oltre a condizionare pesantemente le attività imprenditoriali, costituisce un grave ostacolo alla formazione di nuova imprenditorialità. Anche se è impossibile valutare la consistenza del fenomeno, è certamente rilevante il numero di operatori economici scoraggiati a-priori dal compiere investimenti nella zona60, poiché la presenza mafiosa riduce gli spazi e le motivazioni necessarie per intraprendere un’attività imprenditoriale.
74La mafia scoraggia gli investimenti produttivi e rende poco attraente Fattività imprenditoriale, in quanto può essere di impedimento all’affermazione di modelli di comportamento orientati all’acquisitività di mercato. Abbiamo visto, inoltre, che molti imprenditori subordinati attuano una autolimitazione della propria attività: anche se ne avessero l’opportunità, sono restii a impegnarsi in nuovi investimenti, preferiscono vivere alla giornata, non estendere il proprio campo di interessi. La loro preoccupazione principale - si è detto - è quella di «non dare nell’occhio», giacché nelle loro decisioni economiche sono costretti a calcolare i costi aggiuntivi che derivano dal pagamento della estorsione-protezione mafiosa. La conoscenza di questo stato di cose disincentiva gli individui dall’intraprendere un’attività imprenditoriale, indirizzando il loro interesse verso altre attività professionali o verso il settore dei beni illegali.
- 61 M. Centorrino, L’economia mafiosa, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1986, p. 104.
75In una situazione del genere, è stimolato a impegnarsi in un’attività imprenditoriale chi ricerca e riesce a ottenere il sostegno della mafia. Si tenga presente che gli imprenditori collusi, per il fatto di essere alleati economicamente con i mafiosi, godono di condizioni di gran lunga più favorevoli rispetto agli altri operatori economici. Le imprese di successo sono quelle dei mafiosi o degli imprenditori collusi con la mafia, che si assicurano la maggior parte dei finanziamenti pubblici: l’imprenditore vincente non è colui che dispone delle tecnologie migliori, di una maggiore propensione al rischio, di una capacità di innovazione, ma piuttosto colui che riesce a realizzare il rapporto migliore con il potere politico e con quello mafioso. In tal modo, la concorrenza non è più sui prezzi e sui costi, ma paradossalmente è una concorrenza sulle tangenti e sugli appoggi61. Le capacità imprenditoriali, quindi, anziché promuovere lo sviluppo, sono orientate alla creazione di appositi canali di comunicazione privilegiati con esponenti del mondo politico e amministrativo da un lato, e del mondo mafioso dall’altro. D’altronde, gli stessi imprenditori mafiosi, il più delle volte, non sono in grado di massimizzare le risorse di cui dispongono e non riescono a realizzare investimenti veramente produttivi, rivelando gravi carenze da un punto di vista cognitivo, oltre che scarse capacità e competenze sul piano propriamente economico.
- 62 Per un esempio significativo si veda: T. Grasso, Contro il racket. Come opporsi al ricatto mafioso, (...)
76La situazione di contesto svolge, dunque, nel Mezzogiorno un ruolo profondamente negativo di disincentivazione degli investimenti e non si può immaginare «condizione di contesto più sfavorevole di una qualsiasi variante locale di organizzazione mafiosa»62. Al Sud, in genere, si rende necessaria, accanto a una continua ed efficace attività di repressione, una maggiore opera di costruzione sociale di un contesto favorevole allo sviluppo, nella quale assume una grande rilevanza sin dall’inizio l’intervento di orientamento e di regolazione politica. Tale situazione si riflette in maniera più rilevante nelle zone mafiose, nelle quali i mafiosi, oltre a egemonizzare i circuiti economici, condizionano - e spesso subordinano ai propri fini - i sistemi politici locali.
- 63 Per un esempio significativo si veda: T. Grasso, Contro il racket. Come opporsi al ricatto mafioso, (...)
77D’altro canto, in un clima di maggior impegno e di più estesa e intensa mobilitazione contro la mafia da parte della società civile e delle istituzioni, non si può non guardare con ottimismo a quegli imprenditori, sempre più numerosi, che si oppongono direttamente ai mafiosi, si costituiscono in associazioni anti-racket, si rivolgono con coraggio alla magistratura63: trovando e creando nuovi spazi per l’esercizio della voice come resistenza e ribellione alla mafia, e segnando una rottura netta con il passato, quando la fuga era l’unica via di scampo.
Note
1 Sul concetto di forma come «distinzione», come «linea di confine che segna una differenza» si veda: N. Luhmann - R. De Giorgi, Teoria della società, Milano, Angeli, 1992, pp. 16 sgg.
2 S. Lupo, Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri, Roma, Donzelli, 1993, p. 16.
3 S. Lupo - R. Mangiameli, Mafia di ieri, mafia di oggi, «Meridiana», 7-8, 1990, p. 34.
4 Per una ricostruzione storica della presenza mafiosa nella Piana si veda: E. Ciconte, 'Ndrangheta dall'Unità a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1992. Cfr. anche: P. Arlacchi, Mafia, contadini e latifondo nella Calabria tradizionale, Bologna, Il Mulino, 1980; F. Piselli - G. Arrighi, Parentela, clientela e comunità, in P. Bevilacqua - A. Placanica (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall'Unità a oggi. La Calabria, Torino, Einaudi, 1985. Il termine mafia è usato, in questa sede, come categoria generale che include le diverse organizzazioni mafiose storicamente radicate in alcune aree del Mezzogiorno. D’altra parte, parliamo di mafia, invece che di 'ndrangheta, per evidenziare i tratti comuni esistenti tra le diverse mafie italiane, più rilevanti, per la nostra analisi, rispetto ai pur importanti caratteri di specificità che le differenziano (cfr. N. Tranfaglia, La mafia come metodo, Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 34 sgg.
5 II concetto di cooperazione è inteso qui nel senso indicato da B. Williams (Strutture formali e realtà sociale, in D. Gambetta (a cura di), Le strategie della fiducia. Indagini sulla razionalità della cooperazione, Torino, Einaudi, 1989), secondo il quale «una situazione in cui due agenti cooperano significa necessariamente che almeno uno dei due dipende dall’altro, o è, per dirla diversamente, la parte dipendente» (p. 10).
6 Rispetto alla politica degli investimenti pubblici nella zona, significative sono le vicende del «quinto» centro siderurgico. Tale progetto, come si sa, è stato abbandonato, mentre si è realizzato un grande porto industriale, di cui si discute ancora la destinazione d’uso anche se continuano i lavori per dotarlo delle necessarie infrastrutture. Negli ultimi anni, è stata progettata la realizzazione di una mega-centrale termoelettrica, ma la sua costruzione proprio nella fase di avvio dei lavori è stata bloccata per l’intervento della magistratura che ha accertato l’esistenza di accordi collusivi tra ente appaltante (ENEL) e imprese (mafiose) che si erano aggiudicate i subappalti (Cfr. Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia, Relazione sulle vicende connesse alla costruzione della centrale termoelettrica di Gioia Tauro, Doc. XXIII, n. 24, Roma, 1990; Procura della Repubblica di Palmi, Richiesta di sequestro preventivo dei cantieri Enel, (estensore F. Neri), 1990; F. Forgione - P. Mondani, Oltre la Cupola, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 73-76). Per questi appalti, il 19 gennaio 1094 i magistrati di Palmi hanno emesso numerosi ordini di custodia cautelare nei confronti del Presidente e di altri dirigenti dell’Enel, di capimafia e prestanomi delle cosche e di manager e imprenditori di livello nazionale.
7 C. Trigilia, Le condizioni ”non economiche” dello sviluppo: problemi di ricerca sul Mezzogiorno d’oggi, «Meridiana», 2, 1988; Id., Sviluppo senza autonomia. Effetti perversi delle politiche pubbliche nel Mezzogiorno, Bologna, Il Mulino, 1992.
8 L. Gallino, «Potere», in Dizionario di Sociologia, Torino, Utet, 1978, p. 533.
9 L’indagine si è basata essenzialmente su interviste libere. L’individuazione dei soggetti intervistati è avvenuta attraverso la tecnica «a valanga». Le interviste realizzate si possono distinguere in due gruppi: quelle dirette e quelle indirette. Le prime comprendono le interviste somministrate direttamente agli imprenditori della zona; mentre le seconde riguardano le interviste e le «conversazioni» con testimoni privilegiati.
10 Seguendo la distinzione di Alan Block (East Side West Side. Organizing Crime in New York: ipjo-ipjo, Cardiff, University College Cardiff Press, 1980), la mafia è considerata, qui, nei suoi aspetti di power syndicate - di organizzazione di controllo del territorio - piuttosto che in quelli di enterprise syndicate, cioè di organizzazione degli affari e dei traffici illeciti. Si tratta di due sfere distinguibili concettualmente ed empiricamente, anche se in rapporto di reciproca funzionalità e, spesso, intrecciate e sovrapposte tra loro.
11 D. Gambetta, La mafia siciliana. Un ’industria della protezione privata, Torino, Einaudi, 1992. Gambetta definisce la mafia come «un caso particolare di una specifica attività economica: è un’industria che produce, promuove e vende protezione privata» (p. VII).
12 R. Catanzaro, Il governo violento del mercato. Mafia, imprese e sistema politico, «Stato e Mercato», 23, 1988; Id., La regolazione sociale violenta. Il ruolo della criminalità organizzata nell’Italia meridionale, «Quaderni di Sociologia», 4, 1993.
13 D. Gambetta, Mafia: I costi della sfiducia, «Polis», 2, 1987, p. 290.
14 Ibidem, p. 302. Cfr. anche Id., La mafia siciliana, cit., p. 18.
15 È questo il caso in cui l’offerta (violenta) di protezione crea la domanda: cfr. R. Catanzaro, Recenti studi sulla mafia, «Polis», 2, 1993, pp. 329 sgg.
16 Gambetta, Mafia: i costi della sfiducia, «Polis», cit., p. 293. Sui meccanismi generali attraverso cui si può attivare la cooperazione (la coercizione, gli interessi, i valori e i legami personali) si veda: Williams, Strutture formali e realtà sociale, cit.
17 Tuttavia, dovremmo chiederci se nella Piana di Gioia Tauro esistano imprenditori autonomi, ossia imprenditori che possano dirsi liberi da qualsiasi tipo di condizionamento mafioso. In astratto, si potrebbe ipotizzare una possibilità del genere per due categorie di imprenditori, riconducibili a due tipi di imprese con caratteristiche completamente opposte: quelle marginali e quelle fortissime. Le prime sarebbero imprese tanto deboli sul piano economico da non attirare Tattenzione e l’interesse dei mafiosi; invece, le seconde sarebbero così solide e robuste a livello finanziario, tecnologico e organizzativo da rendersi impermeabili alle pressioni mafiose.
18 Le informazioni sugli imprenditori subordinati derivano dalle interviste «dirette», ossia da quelle che, come si è detto, sono state somministrate direttamente agli operatori economici della zona.
19 D’altra parte, la minaccia di ricorrere all’uso della violenza si può caratterizzare non solo come segno di ostilità ma anche di disponibilità a trovare un’intesa: cfr. G. E. Rusconi, Scambio, minaccia, decisione, Bologna, Il Mulino, 1984, p. 186.
20 Cfr. R. Catanzaro, Imprenditori della violenza e mediatori sociali. Un'ipotesi di interpretazione della mafia, «Polis», 2, 1988, p. 272. Sulla possibile ambiguità tra estorsione e protezione cfr. Gambetta, La mafia siciliana, cit., pp. 23 sgg.
21 Più in generale sulla capacità del mercato della protezione di autoraffozzarsi, si veda: Ibidem, pp. 25 sgg., p. 95 nota.
22 Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza di rinvio a giudizio contro P. De Stefano più 59, (estensore A. Cordova), 1978, p. 222.
23 A questo proposito si può osservare tra sostegno diffuso e opposizione attiva l’esistenza di una terza alternativa: F«assenza» o «accettazione pragmatica». «Ciò equivale a dire che, accanto a lealtà, defezione e protesta, esiste anche l’alternativa del “silenzio”, quando la defezione è, di fatto, impossibile» (A. Mutti, La fiducia. Un concetto fragile, una solida realtà, «Rassegna Italiana di Sociologia», 2, 1987, p. 243).
24 Tuttavia, costrizione e inutilità non devono essere necessariamente compresenti: è possibile che vittime di estorsione chiedano aiuto, in particolari circostanze, ai loro «protettori» e questi ultimi, a loro volta, sono costretti per non perdere la faccia a onorare gli impegni assunti (Gambetta, La mafia siciliana, cit., p. 30).
25 «È un dato di fatto rilevante, anche se quasi sempre trascurato, che nelle zone controllate dalla mafia non esiste alcuna forma di concorrenza, e che le offerte vengono fatte da chi è designato dalla stessa mafia» (Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza di rinvio a giudizio contro P. De Stefano più 59, cit., p. 27).
26 Seguendo il nostro schema di analisi, i politici locali si possono considerare, a loro volta, subordinati o collusi rispetto alla mafia.
27 Già Franchetti aveva affermato che «se i malfattori usassero fino all’estremo la loro facoltà distruttiva, mancherebbe loro ben presto la materia rubabile» (L. Franchetti, Condizioni politiche ed amministrative della Sicilia, in L. Franchetti - S. Sonnino, Inchiesta in Sicilia, Firenze, Vallecchi, 1974, p. 126.
28 È questa una «tattica» seguita, sia pure con sfumature diverse, da molti imprenditori della zona, che consiste nel sottrarsi alle richieste mafiose inventando diverse «scuse» che devono essere ovviamente non solo plausibili ma soprattutto credibili.
29 D’altra parte, gli imprenditori subordinati sarebbero quelli più incentivati, in presenza di condizioni istituzionali, politiche e sociali favorevoli, a ribellarsi alla mafia. Segnali positivi in questa direzione cominciano, in realtà, a manifestarsi in alcuni centri della Piana (per esempio, nel comune di Cittanova si è recentemente costituita un’associazione anti-racket e alcuni operatori economici hanno denunciato i mafiosi che imponevano alle loro aziende il meccanismo della protezione-estorsione). Tuttavia, la situazione resta difficile anche in quei centri, come Rosarno, Gioia Tauro e Taurianova, in cui il Ministero degli Interni ha disposto lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose. Spesso le cosche mafiose mettono in atto delle vere e proprie forme di boicottaggio. A Rosarno, per esempio, alle gare d’appalto indette dagli amministratori straordinari non si presenta nessuno: se non possono parteciparvi le imprese mafiose o quelle di imprenditori «amici», nessun altro imprenditore «può» farlo (cfr. Forgione - Mondani, Oltre la Cupola, cit., p. 112).
30 È il caso, per esempio, degli imprenditori che operano nel campo dell’edilizia e in quello dei minerali non metalliferi: per essi, infatti, la «fuga» è una opzione, in pratica, irrealizzabile.
31 Ci sono stati segnalati casi di imprenditori trasferitesi con successo nel Lazio, in Emilia Romagna, in Abruzzo e in Puglia.
32 La fuga, inoltre, può innescare un «effetto di aggregazione a spirale»: «Poiché chi resta è meno portato ad agire in vista di una correzione di traiettoria, ne deriva un nuovo deterioramento, una nuova fuga e un nuovo effetto di deterioramento». R. Boudon, Il posto del disordine, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 77.
33 Infatti, quando si verifica un furto o una rapina nei confronti di aziende protette, si dice, nella zona, che è stato commesso «da gente che viene da fuori e non sa che qui, per queste cose, bisogna chiedere il permesso alla mafia» (Interv.: imprenditore).
34 Tuttavia, in una vertenza tra due soggetti protetti, il mafioso tende a sostenere quello che per lui, in quanto protettore, ha più valore. Gambetta (La mafia siciliana, cit., p. 265) ha osservato che il valore di un cliente dipende in primo luogo dall’orizzonte temporale del protettore, nel senso che è proporzionale alla sua estensione. Se l’orizzonte temporale è breve, i mafiosi tendono ad offrire una protezione «predatoria»; se, invece, è più esteso, tendono ad offrire una protezione «ragionevole», cioè «saranno meno inclini a maltrattare i clienti normali per favorire i delinquenti, dal momento che ciò potrebbe mettere a repentaglio i profitti futuri».
35 Quindi, in questo caso, possiamo dire che la minaccia di «uscita» apre spazi al meccanismo della voice. Tuttavia, A. Ó. Hirschman (Lealtà Defezione Protesta, Milano, Bompiani, 1982, p. 70) ha osservato che «perché la voce sia efficace al massimo, la minaccia d’uscita deve essere credibile, in particolare quando conta di più».
36 Ibidem, p. 71.
37 Tribunale di Reggio Calabria, Sentenza contro P. De Stefano più 59, (estensore G. Tuccio), 1979, p. 158.
38 Sul concetto di costo morale riferito, più in generale, alla disponibilità di un individuo a entrare in transazioni «corrotte», si veda: A. Pizzorno, La corruzione nel sistema politico, introduzione in D. della Porta, Lo scambio occulto, Bologna, Il Mulino, 1992.
39 Sulla selettività dell’offerta della protezione mafiosa e, più in particolare, sulla possibilità che i mafiosi rifiutino di accettare un cliente, si veda: Gambetta, La mafia siciliana, cit., pp. 229-231.
40 Le informazioni relative a questi tipi imprenditoriali sono state ottenute, oltre che dall’analisi di materiale giudiziario, quasi esclusivamente attraverso interviste «indirette», rivolte, cioè, non agli imprenditori di cui si parla ma a osservatori privilegiati del luogo che hanno riferito sulle modalità di interazione fra questi operatori economici e i mafiosi.
41 Vale qui il concetto per cui: «Il compromesso è un impegno a tempo. È un risultato di strategie scelte oggi perché oggi appaiono ottimali. Se il compromesso deve durare domani, dovranno esserci condizioni analoghe domani». Si tratta, dunque, di un «calcolo di razionalità a fronte di alternative possibili. E un gioco strategico iterato nel quale i giocatori considerano in continuazione i termini dello scambio cui accedono, valutano costi e vantaggi e si comportano di conseguenza» (Rusconi, Scambio, Minaccia, Decisione, cit., p. 60).
42 «La situazione è talmente generalizzata e “normalizzata” che, (...), gli enti appaltanti di opere pubbliche ne tengono conto quale elemento di aggravio dei “costi”, per cui, in Calabria, i prezzi-base delle gare d’appalto vengono (il che è un riconoscimento obiettivo, sia pure indiretto, del potere mafioso) maggiorati del 15% circa rispetto alle altre regioni». (Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza di rinvio a giudizio contro P. De Stefano più 59, cit., p. 147).
43 Ibidem, p. 223.
44 Come ha osservato P. Fantozzi (Politica Clientela e Regolazione Sociale. Il Mezzogiorno nella questione politica italiana, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1993, p. 15): «L’aspetto saliente di una relazione clientelare è dato dalla presenza in essa, in maniera contemporanea ed inscindibile, di elementi tipici dell’appartenenza di comunità e di aspettative d’interesse tipiche, viceversa, delle associazioni fondate sulla razionalità di scopo». Per un’analisi sulle interrelazioni tra comportamenti di tipo clientelare e comportamenti di tipo mafioso si veda: Id., Appartenenza clientelare e appartenenza mafiosa, «Meridiana», 7-8, 1990; R. Catanzaro, Il delitto come impresa. Storia sociale della mafia, Padova, Liviana, 1988.
45 R. Axelrod, Giochi di reciprocità. L’insorgenza della cooperazione, Milano, Feltrinelli, 1985, p. 128.
46 Si tenga presente, per esempio, che, come ha osservato A. Mastropaolo (Tra politica e mafia. Storia breve di un latifondo elettorale, in M. Morisi (a cura di), Far politica in Sicilia. Deferenza, consenso e protesta, Milano, Feltrinelli, 1993, p. 128), nei momenti in cui lo Stato intensifica la sua azione repressiva, i mafiosi, essendo costretti alla clandestinità, preferiscono «delegare la cura dei rapporti con la classe politica agli imprenditori che le sono in varie forme legati». Questa mediazione degli imprenditori è, d’altra parte, molto più conveniente - in quanto meno compromettente - per gli stessi esponenti politici.
47 L’accordo con la mafia non è, come a prima vista si potrebbe pensare, una prerogativa delle sole imprese locali, ma interessa anche le grandi imprese esterne. Spesso, anzi, l’alleanza tra grande impresa e mafia può costituirsi come un forte gruppo di pressione in grado di far salire artificialmente il costo degli investimenti pubblici (cfr. P. Arlacchi, La mafia imprenditrice, Bologna, Il Mulino, 1983, pp. 127-128).
48 Cfr. Tribunale di Palmi, Sentenza contro G. Pesce più 145, 1985.
49 II mafioso, in cambio della protezione assicurata al suo c/ze«te-imprenditore, non vorrà necessariamente qualcosa di specifico: basterà che l’imprenditore si senta in obbligo nei suoi confronti e manifesti una diffusa e generalizzata disposizione a collaborare.
50 Così, il mafioso può limitarsi a offrire la sua protezione contro eventuali «bidoni» che i contraenti di un accordo possono infliggersi a vicenda: cfr. D. Gambetta, fragments of an economie theory of the mafia, «European Journal of Sociology», XXIX, 1988. D’altra parte, il mafioso che instaura un legame con «grandi imprenditori» (così come con «grandi politici») vede rafforzato il proprio potere anche all’interno della stessa organizzazione mafiosa, poiché viene «a trovarsi nella posizione del mediatore verso il mondo esterno» (Lupo, Storia della mafia, cit., p. 228).
51 È bene precisare, seguendo Rusconi (Scambio, Minaccia, Decisione, cit., p. 68), che: «L’identità non è semplicemente un referente, da cui far discendere determinati comportamenti; è anche una risorsa messa in gioco nella strategia dello scambio». Infatti, l’interazione «dipende a sua volta non solo dai caratteri intrinseci dell’identità ma dalla collocazione socioeconomica e dalle risorse politiche di cui dispone».
52 Cfr. P. Arlacchi - N. dalla Chiesa, La palude e la città, Milano, Mondadori, 1987, pp. XI sgg.; M. Centorrino, I conti della mafia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1993, p. 68. Una suggestiva descrizione delle caratteristiche della «zona grigia» ci è offerta da Primo Levi, in Isommersi e i salvati (Torino, Einaudi, 1991): alla zona grigia, spazio «dai contorni mal definiti» ma con «una struttura interna incredibilmente complicata», è associato - scrive Levi - un modo di agire «noto alle associazioni criminali di tutti i tempi e luoghi», che «è praticato da sempre dalla mafia».
53 Diversi osservatori hanno messo in evidenza i limiti e le difficoltà di una distinzione del genere. Al riguardo, molto citato risulta Leopoldo Franchetti (Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, cit., p. 127). Da parte nostra riteniamo che la distinzione tra vittime e complici abbia rilevanza analitica, poiché è possibile quantomeno distinguere tra cooperazione attiva e passiva rispetto ai mafiosi.
54 C. Stajano (a cura di), Mafia. L'atto d'accusa dei giudici di Palermo, Roma, Editori Riuniti, 1986, p. 83.
55 Ibidem, p. 288.
56 P. Arlacchi, Gli uomini del disonore. La mafia siciliana nella vita del grande pentito Antonino Calderone, Milano, Mondadori, 1992, p. 188. Sul diverso grado di coinvolgimento di queste imprese rispetto alla mafia, così come emerge dalle dichiarazioni di Calderone si veda: R. Mangiameli, Mafia, politica, stato, «Meridiana», 15, 1992.
57 Arlacchi, Gli uomini del disonore, cit., p. 1961 Cavalieri del lavoro ricevevano, dunque, cospicui vantaggi dai rapporti con Cosa Nostra in cambio dei quali dovevano concedere numerosi «favori». Tuttavia, esisteva anche un limite ai favori che si potevano esaudire e, secondo Calderone, era proprio questo il motivo che impediva ad alcuni di questi soggetti l’ingresso a pieno titolo in Cosa Nostra, poiché in questo caso per l’imprenditore si sarebbero paradossalmente ristretti i margini di libertà in termini di negoziazione con i mafiosi, non potendo sottrarsi in quanto uomo d’onore alle loro richieste. Lupo {Storia della mafia, cit., p. 207) ha osservato che, in questa vicenda, la scelta di non affiliazione a Cosa Nostra intendeva tutelare non solo l’autonomia dell’imprenditore ma anche l’esclusività della comunicazione con la famiglia mafiosa che lo proteggeva: infatti, un mafioso che protegge un imprenditore «non ammette interferenze, nemmeno da altri membri dell’organizzazione».
58 Intervista al giudice G. Falcone, «Panorama», n. 949, 23 giugno 1984.
59 D. Gambetta, Possiamo fidarci della fiducia?, in Id. (a cura di), Le strategie della fiducia, cit., p. 289.
60 M. Centorrino (I conti della mafia, cit.) ha messo in evidenza che l’incidenza dell’economia mafiosa sulle economie locali non si limita all’imprenditorialità e agli investimenti, ma produce effetti negativi (o perversi), oltre che sul mercato del lavoro, anche sui consumi e i risparmi.
61 M. Centorrino, L’economia mafiosa, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1986, p. 104.
62 Per un esempio significativo si veda: T. Grasso, Contro il racket. Come opporsi al ricatto mafioso, Roma-Bari, Laterza, 1992.
63 Per un esempio significativo si veda: T. Grasso, Contro il racket. Come opporsi al ricatto mafioso, Roma-Bari, Laterza, 1992.
Torna suPer citare questo articolo
Notizia bibliografica
Rocco Sciarrone, «Il rapporto tra mafia e imprenditorialità in un’area della Calabria», Quaderni di Sociologia, 5 | 1993, 68-92.
Notizia bibliografica digitale
Rocco Sciarrone, «Il rapporto tra mafia e imprenditorialità in un’area della Calabria», Quaderni di Sociologia [Online], 5 | 1993, online dal 30 novembre 2015, consultato il 04 octobre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/qds/6588; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/qds.6588
Torna suDiritti d'autore
Solamente il testo è utilizzabile con licenza CC BY-NC-ND 4.0. Salvo diversa indicazione, per tutti agli altri elementi (illustrazioni, allegati importati) la copia non è autorizzata ("Tutti i diritti riservati").
Torna su