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Testo integrale

11. Una rivoluzione senza nome si sta facendo largo tra poderose correnti di cambiamento, alcune esterne al sistema Italia: globalizzazione, europeizzazione, migrazioni su scala mondiale e conseguenti multietnicità e multiculturalità; altre correnti sono interne: crisi dello stato postbellico, bisogni di sussidiarietà ad ogni livello dell’organizzazione sociale, spinte federalistiche, autonomie sociali. «Si parla di un passaggio dalla società industriale al post-fordismo e alla new economy, dal moderno al post-moderno, da una società fortemente guidata dallo stato nazionale, ad una società complessa e decentrata, reticolare e precaria, dominata da processi le cui caratteristiche e i cui esiti sembrano sfuggire a tutti i soggetti in gioco».

2Questo l’incipit del libro: Generare «il civile»: nuove esperienze nella società italiana, che pubblica la prima parte della ricerca: La società civile in Italia all’alba del xxi secolo – diretta da Pierpaolo Donati, e coordinata da Ivo Colozzi, che è stata promossa dall’Istituto Veritatis Splendor, di Bologna. La seconda parte della ricerca è pubblicata nel secondo volume: La cultura civile in Italia: fra stato, mercato e privato sociale (entrambi i volumi, a cura di P. Donati e I. Colozzi, Bologna, Il Mulino, 2001 e 2002).

3I cambiamenti avvistati dalla ricerca in parola – vasta quanto suggestiva e innovativa, nell’impegno teorico e nell’immagine empirica – alludono, come scrive Donati, nella Introduzione alla ricerca del «nuovo civile» a: «processi le cui caratteristiche ed esiti sembrano sfuggire a tutti i soggetti in gioco» (i, 11). Nelle presenti note vorrei dare un contributo espositivo e critico sui due volumi e sui loro articolati contenuti, non senza introdurre un’idea dei processi storico-analitici soggiacenti ai cambiamenti di cui si parla. Idea della quale mi curo da tempo e che, in questa circostanza, può trasformarsi in una chiave di lettura, anche ai fini di una selezione dei contributi offerti dalla ricerca in parola. L’idea, che mi sono venuto facendo di tali processi è, al limite, assai semplice, anche se coinvolge non solo la conoscenza sociologica, ma tutta la sua tradizione, il suo patrimonio conoscitivo, accumulato in teoria e ricerca e nella sua storicità come risorsa e fonte cognitiva. In breve, è come se la conoscenza e la storia stessa della Sociologia, dalle sue origini, e attraverso la sua formazione e trasformazioni, si fossero svolte nell’alveo di due grandi processi: uno di differenziazione dei dati di organizzazione sociale, e, il secondo, un processo di individuazione dei dati di relazione sociale. I due processi non sono autonomi, ed anzi sono interdipendenti al punto che la loro vicenda è, sia quella della loro separatezza, sia quella della loro congiunzione o risoluzione, cosicché, tutto ciò, rappresenterebbe il punto di approdo della Sociologia alla fine del xx secolo, e il suo punto obbligato di partenza nel xxi secolo.

4Nella ricerca in parola, il punto di vista della relazione e/o relazionale, è sostanzialmente liberato, cioè autonomizzato, dal punto di vista dell’organizzazione sociale, nel senso che alla determinazione della relazione viene attribuito un primato, e la relazione sociale è considerata come un bene risorsa del «privato sociale». Questo, ancorché settore residuale delle contraddizioni di pubblico e privato, sarebbe un insieme di attività favorite dalla inclinazione ad un economicismo etico, a valori della religiosità, coniugati in un nuovo senso laico, al verificarsi di «eccedenze relazionali» tali da poter colmare, eticamente, le fratture tra processi organizzativi e processi relazionali, cioè tra differenziazione di criteri normativi, e individuazione di nuovi valori relazionali. Le vie cognitive e pratiche dell’incivilimento sottostimano le potenzialità del processo di democratizzazione, come processo organizzativo, a vantaggio di un processo di civilizzazione, specificato dalla Dottrina sociale cristiana «che sta nel fatto di vedere nella società civile una forza di civilizzazione e non solo di una democratizzazione» (i, 42, Donati). La relazionalità del sociale, in questa concezione della società civile, «si pone fuori della sfera strettamente particolaristica del privato. Sfera civile diventa ciò che sta ‘fuori’ dalla sfera e dal mercato» (i, 36, Donati). Il ricorso allo schema agil parsonsiano favorirebbe l’autonomia del codice simbolico delle relazioni e relative motivazioni integrative e latenti (i, 30, Donati). La relazione diviene «una condizione ed un oggetto di produzione» (i, 53, Donati). Non parteciperebbero a questa innovazione le associazioni di puro volontariato e quelle sui temi tradizionali della famiglia (i, 53, Donati). Il civile apparterrebbe ad un luogo della società nel quale viene «generato e alimentato in maniera primaria o primordiale... La cultura del civile viene generata come semantica «primaria» per poi essere estesa come semantica «secondaria» alle altre sfere sociali» (ii, 15, Donati).

5Quale il contributo – vien fatto di chiedersi – che la concezione della società civile, cioè il «civile», nella sua genesi e cultura, proposta da Donati e Collaboratori, ed espressa in teoria e ricerca, offre alla risoluzione dell’attuale frattura dei due paradigmi: societario-organizzativo e relazionale-personalistico, sistemico il primo, pluralistico il secondo? Posto che tale frattura coinvolga, come io credo, anche la genesi e la cultura del civile sociale. E più specificatamente: come il paradigma relazionale-personalistico donatiano del «civile», della società civile, risponde alla problematica cui oggi è approdato il processo di individuazione dei dati di relazione sociale, e alle loro implicazioni societario-organizzative, cioè di complessivo assetto sociale? Posto che tali processi non sono affatto autonomi, cioè non si svolgono indipendentemente da quelli di organizzazione.

 

6ii. Mi propongo, qui di seguito di svolgere due compiti: ai fini di una ricezione informativa, di esporre le coordinate teoriche della problematica della società civile, e relativi «Studi di caso», e, ai fini di una recezione formativa, di dare conto del contributo cognitivo ed ermeneutico della problematica della società civile donatiana, in ordine alla prospettiva della frattura dei paradigmi sistemico-organizzativo e pluralistico-relazionale.

7La fondazione teorica può essere ricomposta entro tre parti, interdipendenti tra di loro: a) Le semantiche della società civile e la loro storia premoderna, moderna, post- e dopo-moderna; b) La determina-zione del «civile» nella sua qualità; c) Il processo di civilizzazione. Sotto il punto a), Donati registra la presenza storico-ermeneutica di semantiche ideal-tipiche; cioè la società civile: come società politica: polis (classica); come società economica (anglosassone); come effetto dialettico tra economia-stato-famiglia (hegeliana, e varianti marxiane e gramsciane); come sfera di solidarietà universalistiche (comunità societaria); come effetto dei rapporti di stato ed ambiente (neo-funzionalista); come semantica relazionale. La semantica donatiana della società civile, riferita integralmente, è la seguente: «sfere di relazioni sociali associative che si costituiscono sulla base di un impulso valoriale non egoistico, che sono autogenerate da soggetti in relazione fra di loro secondo la distinzione- guida umano non umano, in cui i soggetti definiscono reciprocamente la propria identità come attualizzazione di valori (diritti-doveri) universali nel particolare non per riferimento primario al potere politico e al denaro, e le forme giuridiche organizzative che regolano queste sfere di relazioni» (i, 37).

8La celeberrima Werthbeziehung (relazione al valore) weberiana è ricevuta contestualmente alla domanda: «andiamo verso una società più o meno civile?», e spiega come, la ricerca donatiana, voglia essere «avalutativa», non nel senso della privazione di valore, ma «nel senso di essere attenta a non introdurre dei giudizi indebiti ad estrinseci rispetto alla realtà che si vuole conoscere e comprendere, mentre esplicita ciò che è un’inevitabile relazione ai valori conoscitivi e pratici» (i, 13).

9Da un lato, la semantica della società civile, cosiddetta classica, discendente cioè, se non dipendente, dalla considerazione della sfera politica, e la semantica anglosassone, dipendente dalla sfera economica, sono registrate nella loro presenza storica, per arrivare, dall’altro lato, sia ad una maggiore autonomia della società civile, sia ad una pluralizzazione delle relative sfere associative, nell’intento, chiaramente espresso da Donati, di costruire un «assetto sociale» nel quale: «Una società è civile se e nella misura in cui favorisce il fatto che le persone umane, al di là delle loro diversità fisiche, sociali, economiche, politiche e culturali, pratichino il reciproco riconoscimento di una comune e unica dignità, nella sfera pubblica come in quella privata» (i, 16). La nuova società civile ha il suo fondamento antropologico in una «nuova istanza personalistica» (i, 47, Donati).

10Alla, per così dire, deontologizzazione della società civile, rispetto alle tradizionali basi sociopolitiche, economiche e statuali, segue la ricerca di una ontologia civile fondata su una base finora «messa ai margini degli attuali processi di cambiamento», cioè la religione (i, 13). «Siamo interessati a capire se e come l’orientamento a valori trascendenti (la religione) giochi un ruolo nell’arena dei grandi cambiamenti della odierna società italiana». Da un lato, una deontologizzazione della tradizionale società civile religiosa, dall’altra la ricerca di nuove possibilità socio-storiche, che cioè: «una nuova società civile dipenda anche da una nuova ispirazione religiosa, la quale, ultimamente, porta ad una nuova laicità, ad un nuovo spirito «laico» che potrebbe caratterizzare il secolo che si è appena aperto» (i, 14). Tra ontologizzazione religiosa e bisogno di trascendenza nell’agire sociale, con la sua relazione ai valori, Donati instaura analiticamente la ricerca di condizioni di possibilità della società civile e del suo sviluppo, che avviene. «nella misura in cui si attuano i seguenti orientamenti: a) viene promossa l’autonomia delle sfere di società civile, distinguendole più nettamente dalla sfera politica, per quanto in connessione ad essa, b) si ampliano e si organizzano gli spazi e i luoghi della relazionalità civile; c) si ripensa ab imis il ruolo della laicità come presupposto per il rinnovamento delle virtù istituzionali, d) si elabora un principio complesso di organizzazione della società, centrato sul concetto di sussidiarietà, che sia non solo difensivo, ma anche promozionale, non solo verticale, ma anche orizzontale» (i, 19).

11Ad una nuova immagine della società civile, che sia autonoma dalle funzioni politiche ed economiche, ed anzi le trasformi in senso relazionale, abbisogna «un nuovo senso del civile». «È mia convinzione – scrive Donati – che la teoria sociologica stia oggi elaborando un nuovo concetto di società civile che in parte tiene conto dei modelli precedenti (ai quali attribuisce lo status di singole dimensioni di una visione multidimensionale della società), e in parte elabora un nuovo senso del civile sulla base di una teoria complessa della differenziazione sociale» (i, 35). La ricerca del nuovo senso del civile è, dal nostro Autore, legata, ovvero, richiama una «ridefinizione storica del senso della laicità (= del senso civile): quella mercantile e quella politica» (i, 20). Cosicché, la nuova laicità potrebbe essere «caratterizzata dal definirsi come fenomeno associativo, in vista della creazione di beni relazionali (i, 21).

12La connessione delle due ricerche, quella del nuovo senso della laicità e quella del tradizionale senso del civile riformato, comporta un coraggioso impegno storiografico, quando ci si proponga di evocare la storia delle riflessioni, diffuse in campo cristiano, sulle virtù civili dell’agire professionale ed economico, cui si aggiunga il compito di rifare la storia della laicità legata alla sfera politica e statale, così piena di fratture con la religiosità ecclesiale. I compiti dell’una e l’altra ricerca storiografica, pienamente evocati nella loro rilevanza, anche se necessariamente sorvolati, sboccano in un terzo impegno, sociologico, quello cioè di cercare le nuove esperienze del civile-laico nei nuovi terreni generati dalle conseguenze della crisi del Welfare State, dalle contraddizioni del pubblico-privato, di Stato e mercato, dei settori economici ecc., terreni che, nel loro insieme trasformativo, fanno parte della configurazione cosiddetta del privato-sociale. Vien fatto di osservare che, se non fosse per la sua caratterizzazione relazionale, la categoria del privato sociale può apparire assai settoriale, così com’essa è stata formulata, un ossimoro, dettato dalle difficoltà teorico pratiche del declinante Welfare State. Una pretesa di primato della terzietà.

13La congruità del nuovo senso del civile con il privato sociale, è la stessa cosa che la congruità del nuovo senso del civile con il nuovo senso del laico? E, come, la congruità del nuovo senso del laico con il privato sociale è compatibile con la generazione di un autonomo contributo di civilizzazione? È questo il livello estremo di tutta la ricerca in parola, quanto ai suoi presupposti teorici, i quali, anche se toccano il confine alto della laicità, si allontanano, forse, dalla grande storia della spiritualità laica, la rappresentazione della quale mi suggerisce la citazione non solo erudita e di circostanza, della classica ricerca di Georges de Lagard, La naissance de l’esprit laique au déclin du Moyen Age (Louvains-Paris, 1956). «Né du christianisme, le mouvement laique le suit comme un ombre. Il colle à lui au moment même ou il croit s’en détacher... L’esprit laique, c’est-à-dire cet ensemble de tendences qui on progressivement opposé l’un à l’autre, dans tous les domaines de la vie occidentale, les deux éléments fondamentaux de la societé chrétienne; qui on poussé les laiques à prendre conscience de leur solidarité pour revendiquer leur pleine souveraineté, dans l’Eglise comme dans l’Etat, dans le monde intellectuel comme dans l’ordre politique; qui les ont dressés à une conquête patiente mais décidee de toutes les ‘positions’ occupée par le clergé» (de Lagarde).

 

14iii. I tratti settoriali della categoria del privato sociale che, in definitiva, risale alle trasformazioni degli anni Settanta e alle loro conseguenze negli anni Ottanta, appaiono in tutta la loro ampiezza e molteplicità dalle analisi dei «casi» che costituiscono il sostanzioso contenuto, nel primo volume della ricerca in parola. In questo senso, l’analisi dei «casi» rappresenta una fonte informtiva assai ricca, ai fini della lettura, sia sul «civile» nella sua qualità, sia sul processo di «civilizzazione», come prima indicati. Ogni «caso» è stato scelto, vuoi per la sua realtà e concretezza, vuoi per il suo significato, nella selezionata costellazione del privato sociale. L’inizio è dato alle Community Foundations o Fondazioni comunitarie, nella memoria molto opportunamente richiamate della esperienza assai precoce negli Stati Uniti d’America.L’esplicazione italiana è rappresentata dalla Fondazione comunitaria della provincia di Lecco, a partire dai supporti offerti dal Progetto Cariplo: strumento di mediazione relazionale sul piano spaziale e temporale, relazioni eticamente fondate, specifica forma di capitale sociale (F. Ferrucci). Suggestiva l’idea che, a scapito delle realtà sociali relazionali, nell’epoca moderna, ci sia stato un processo di neutralizzazione delle relazioni sociali nelle sfere di relazione pubbliche e private; il mercato cosiddetto «autoregolato» ha prodotto una ben nota serie di neutralizzazioni delle implicazioni relazionali negli scambi, cui però l’economia da più di un decennio avrebbe preso a reagire, orientando un terzo settore no profit nel processo di civilizzazione dell’economia. Semantica della «cura», neutralizzazione dell’«impulso morale» ad opera delle organizzazioni sociali, autonomia delle sfere di relazione della società civile, sono le tematiche introduttive allo studio del «caso» della Cooperativa Koiné di Arezzo, del Consorzio Roberto Tassano, un «caso» di presa di coscienza delle necessità di un supplemento di responsabilità nell’attività di servizio sociale, e un «caso» di motivazione etico religiosa di appartenenti ad un movimento ecclesiale (S. Stanzani).

15E così, di «caso» in «caso», gli Autori delle analisi che sono ricche di indicatori del civile e dei processi di incivilimento promossi nel privato sociale, generatore di nuova società civile, introducono la risorsa relazionale rappresentata dal capitale sociale (Coleman), il «senso del civico» (civicness: Putnam), suscitando la domanda: come si genera (o si ri-genera) il capitale sociale?, risorsa che non è né degli individui né dei mezzi di produzione: mi riferisco al «caso» del Comitato Cittadino per l’Anziano di Alfonsine (A. Pagani). Se c’è un denaro che non olet (Simmel) questo potrebbe essere proprio quello della Banca etica, innovativo modo di relazione tra la società e il suo sottosistema economico-finanziario, a mezzo di un codice di razionalità, capace di reintrodurre la sfera etico sociale nelle operazioni economiche, rilevante indicatore del processo di civilizzazione. Il civile della Banca etica: razionalità e responsabilità, il «caso» della Banca Popolare Etica in Italia, la sua struttura e cultura, come rendere etico un finanziamento, un investimento, come riflettere e controllare il proprio operato, la creazione di mercati civili incorporanti, non già assistenza e beneficenza, ma un codice mercantile e tecnicamente bancario, il denaro, «per progetti» e la semantica relazionale» come «nuovo spirito del denaro» sono tutti indicatori proposti con creatività ed intellettuale sforzo di lavoro cooperativo da A.M. Maccarini e R. Prandini.

 

16iv. Un’ulteriore messe di indicatori del nuovo civile, che avanza attraverso prospettive di nuovi processi di civilizzazione, possono essere raccolti nel caso dell’Economia di Comunione, offerto da un’esperienza del Movimento dei Focolari, in fatto di economia civile e di cultura del dare (L. Bruni). Nel «caso» di una Fondazione bancaria, la Fondazione di Vignola, ex fondazione Cassa di Risparmio di Vignola, alla ricerca di un equilibrio fra la soluzione di funzionali problemi sistemici e la soluzione di problemi di «giustificabilità etica», Apel, importante «caso» per i nessi organizzazione-relazionalità entrambe responsabilizzate (A. Cevolini). Suggestiva la revisione dei rapporti pubblico-privato, ai fini di una esperienza della sfera pubblica come «arte», nei due «casi» del Gruppo di lettura San Vitale e quello della Tavola delle Donne sulla violenza e sulla sicurezza nella città: «rettificare» lo stato o cercare un metodo che consenta alla società civile di governare direttamente la regola di pubblicità?» (M. Bortolini). I deserti della società civile nelle regioni del nostro Mezzogiorno non sono sfuggiti alla casistica della ricerca in parola. Alla rigenerazione della società civile nel Mezzogiorno stanno già contribuendo sforzi e impegni intellettuali come quelli che fanno capo al gruppo laico di «Meridiana»; e anche la Chiesa italiana, a partire dalle sue radici e dalla Dottrina sociale, nel suo ben noto associazionismo pluralistico, si chiama in causa con iniziative delle quali, una è il progetto «Policoro» inteso a costruire un incubatore di imprenditorialità sociale nel Mezzogiorno (A. Lobello).

17C’è un’ipotesi di trasformazione di tutto il sistema economico che ora è necessario rilevare dalla gran messe dei contributi del primo volume, dedicato alle strutture della società civile e relative «iniziative». Queste sono passate dal prevalente riferimento al sistema politico (anni Settanta, Ottanta) al fare sempre più spesso riferimento al sistema economico (anni Novanta) in pieno rifiuto del neoliberismo, indicando la strada di una civilizzazione dell’economia, nella quale, creare una economia civile: «equivale a dire agire come soggetto economico adottando nella realtà, cioè come stile di azione e non tanto a livello di immagine comunicazionale, una serie di vincoli etici sapendo dimostrare nei fatti che non solo non sono incompatibili con l’efficienza dell’agire stesso ma, al contrario lo arricchiscono di opportunità (efficacia) che diversamente non saprebbe produrre» (i, 428, i, Colozzi).

 

18v. Il secondo volume offre una attraente schermata di caratteristiche culturali della società civile, presenti nella costellazione delle Organizzazioni del privato sociale. Tali caratteristiche risultano dalle rappresentazioni sociali della società civile di una selezionata popolazione di intervistati: un campione di associati, a vario titolo, a realtà associative del privato sociale (800 membri), e un campione di controllo (600 individui) di non associati. Lascio al lettore ogni possibile suggestione sull’intera ricerca, così come impegnata nell’analisi di ciò che rende «civile» la società (ii, 11-35, Donati). Una volta rilevata l’esistenza di tre culture della società civile: del mercato, della società politica e del mondo associativo, venendo ai risultati dichiarati essi mostrano che tra membri associati e individui non associati con «sorpresa» dei ricercatori, i dati: «non sono tali da farci parlare di una cultura civile che caratterizzi nettamente gli associati rispetto ai non associati (ii, 32); l’autonomia delle Organizzazioni del privato sociale è inferiore a quanto ipotizzato dai ricercatori; avanza l’esigenza di distinguere la cultura associazionistica, «spalmata a macchia di leopardo» su tutto il campione, e una latitante cultura relazionale: «se è vero che gli intervistati mostrano una scarsa coscienza di quella che abbiamo chiamato la cultura relazionale del civile, ciò accade perché si tratta di qualcosa che non ha ancora una adeguata rappresentazione sociale» (ii, 37). Ed ancora: se c’è un minimo comune denominatore su di una vaga idea di «civicità» degli attori, tale denominatore è debole, quando si passa ad un senso civico rispetto alle leggi e alle convergenze su valori e «simboli ultimi» (ii, 34); a proposito di tali convergenze e di simboli ultimi: «La società civile che si esprime attraverso questi ultimi non solo appare frammentata, ma anche debole in termini di capacità di civilizzazione. Prevale il codice politico della civility... luogo di una cultura democratica ... Per tale codice simbolico, la democrazia non è molto di più di una scatola vuota quanto alle scelte di valore» (ii, 34).

19A questo punto, i risultati della ricerca possono sembrare sconfortanti, malgrado che i contributi sulla cultura del privato sociale tra Stato e mercato, nel ii volume, siano assai copiosi e esemplificativi, quanto agli intenti della complessiva ricerca. Alla luce di tali intenti le osservazioni sulla cultura democratica sono virtualmente riproposte nella discussione su religione e cultura civile degli italiani, nel confronto tra associati e non associati ad organizzazioni del privato sociale: «Se si tiene conto di ciò che l’evidenza mostra, cioè che la religione non solo non è pericolosa per la democrazia ma alimenta e sostiene la cultura da cui dipende in larga misura il suo pieno funzionamento, questo modo di costruire la sfera pubblica (democratica) va radicalmente ripensato consentendo alla dimensione religiosa di partecipare alla sua costruzione» (ii, 81-82, I. Colozzi).

20Nella ricchezza creativa di classificazioni e di tipologie offerta dalla ricerca di Donati e Collaboratori, a parte il contributo intrinseco alla teoria e all’analisi della società civile, che trascende gli interessi settoriali di sociologia e scienza della politica, a favore di una Teoria sociologica generale, si può intanto rilevare che il contributo più reiterato a tale generalità è dato dalla «relazione»: «... la società civile viene qui definita in modo relazionale, sia nel senso che viene definita per l’apporto peculiare che dà alla sfera pubblica in relazione al mercato, allo Stato e alle famiglie, sia perché abbiamo ipotizzato che essa viva di una cultura propria che valorizza il fatto relazionale in sé (nei valori, nelle norme, nei mezzi e negli stili di azione che la caratterizza). Il quadro delle ipotesi è stato formulato tutto in senso relazionale» (ii, 29, Donati). Ci si chiede come il fattore relazionale, nella sua autonomia dalla società generale, sia anche una forza di civilizzazione, nel senso voluto dalla ricerca complessiva. Durante tutta la lettura della ricerca ci si fa l’idea che quella che si propone, sia, una visione della relazione, come un «bene» non gratuito, descritto, da un lato, come una cultura sociale, dall’altro, come una rappresentazione sociale: «La cultura relazionale del civile ... non ha ancora una adeguata rappresentazione sociale» (ii, 37, Donati).

21Una seconda visione, dominante tutta la ricerca in parola, è quella del cosiddetto «privato sociale» elevato ad autonomia fattuale e cognitiva, anche se il privato sociale a ben vedere non è un’area autonoma, ma un settore residuale, risultante dalla estrapolazione di alcune attività raccolte in un terzo settore, manifesta conseguenza delle trasformazioni delle interdipendenze di Stato e mercato, di pubblico a privato, nonché della crisi del Welfare State. Porre i segni e gli indicatori della civilizzazione in alcune attività del privato sociale implica il dover essere autonomo del privato sociale, laddove i risultati della ricerca mostrano che le differenze culturali tra gli associati ed i non associati al privato sociale e alle sue iniziative «non sono tali da farci parlare di una cultura civile che caratterizzi nettamente gli associati dai non associati».

 

22vi. Una società civile a partire da un virtuale terzo settore, un «civile» a partire da un virtuale relazionismo come risorsa associativa, un incivilimento a partire da una aspettativa di eticismo nell’economia e di economicismo etico nel privato sociale. La presente ricerca è anche un sondaggio di opinioni comparate tra associati e non associati ad attività del terzo settore, all’autonomia di un virtuale privato sociale e della sua virtuale differenziazione. Il debole della ricerca è forse quello di porre la residualità, la settorialità del privato sociale su un piano di autonomia nel quale gli associati stessi non si riconoscono. Ed infatti non è difficile riconoscersi in un settore che può sembrare la «riserva indiana» dei valori di una virtuale società civile. Non diversamente, il pluralismo socialistico proudhoniano cercava una risoluzione delle fratture tra capitale e lavoro. Tuttavia il processo di individuazione relazionale è portato avanti in presenza di alcuni processi di differenziazione organizzativi: si veda il Capitolo secondo su, Le culture normative delle organizzazioni del privato sociale (ii, 83-132, R. Prandini), il Capitolo terzo, Mezzi, risorse e cultura della rendicontabilità nelle organizzazioni del privato sociale (ii, 133-162, A. Cevolini), il Capitolo quinto, Semantica delle relazioni tra organizzazione di privato sociale (ii, 187-223, S. Stanzani), e il Capitolo sesto, Culture civili e orientamenti economici nelle organizzazioni del privato sociale (ii, 225-265, A.M. Maccarini). In questi capitoli, i dati di organizzazione sociale, come dati analitici emergenti dalle risposte alle domande del questionario, sono perlopiù soggiacenti alle interdipendenze dei processi di differenziazione organizzativa con i processi di individuazione relazionale. Al di là di un «relazionismo reciprocitario» la società civile, il civile incivilimento, in realtà, attendono di prodursi non virtualmente ma nella risoluzione della frattura dei due processi che fanno capo ai cambiamenti dai quali la stessa ricerca si è mossa. Sui rapporti relazioni-organizzazione: «La tipologia delle culture relative alle funzioni societarie delle attività di privato sociale: Solidaristica, Privatistica, Negativa, Disimpegnata, dell’Indifferenza (ii, 174, Donati); nonché i contributi sulla cultura politica: lo Stato e le sue funzioni (ii, Capitolo vii, M. Bortolini); Tipologie delle culture relative alla sfera pubblica (ii, Capitolo viii, Donati).

23I due cospicui volumi della ricerca di Donati e Collaboratori offrono una lettura assai ricca di contributi, anche se macina, per quasi mille pagine, con inesorabile perseveranza cognitiva, tre soli ma fondamentali temi: la società civile, che cosa è il civile nella società, quali sono le fonti dell’incivilimento. Malgrado la virtualità di un privato sociale avverato da associati (800) e non associati (600), e, di più, malgrado il fatto che i molteplici indicatori del relazionismo, come base e processo sociale di fondo, in tutta la ricerca, siano in qualche modo volatilizzati nell’autonomia presunta del privato sociale, separati da processi di differenziazione più generali, la ricerca in parola, è anche una utile fonte di contributi allo scopo di approfondire l’analisi e la storia sociologica, sia dei criteri normativi discendenti dai processi di differenziazione organizzativi, sia dei principi di individuazione ascendenti dai processi di individuazione relazionali, e, soprattutto, al fine di andare alla radice della attuale frattura dei due processi e alla risoluzione di questa frattura con la ricerca di valori ultimi e di processi che insegnino la prassi di tali valori come i processi di riconversione. Dodici sociologi uniti sono andati alla ricerca della società civile perduta. Le loro indicazioni per ritrovarla mostrano che le condizioni del nuovo civile, della nuova civilizzazione, sono quelle relazionali di un agire sociale etico, ma anche quelle di nuovi abiti organizzativi democratici.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Filippo Barbano, «La società civile perduta e i suoi ricercatori»Quaderni di Sociologia, 31 | 2003, 123-130.

Notizia bibliografica digitale

Filippo Barbano, «La società civile perduta e i suoi ricercatori»Quaderni di Sociologia [Online], 31 | 2003, online dal 30 novembre 2015, consultato il 04 octobre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/qds/1227; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/qds.1227

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Autore

Filippo Barbano

Dipartimento di Scienze Sociali - Università di Torino

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