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teoria e ricerca / Religione, spiritualità e benessere

Dalla religione alla spiritualità: una nuova legittimazione del sacro?

Giuseppe Giordan
p. 105-117

Texte intégral

1. Premessa

1In un articolo apparso nel 1967 sulla rivista «Daedalus», lo storico delle religioni Martin E. Marty (1967) osservava che il termine «spiritualità» stava progressivamente scomparendo dal dibattito teologico, per lasciare spazio a un vocabolario che descriveva in maniera più adeguata l’espansione delle varie chiese negli anni successivi alla seconda guerra mondiale. Accanto alle discussioni accademiche sulla «morte di Dio», le istituzioni religiose erano concentrate sulle questioni di carattere sociale e politico come la guerra in Vietnam, la lotta alla povertà e ai vari tipi di discriminazione. Nello stesso tempo però, ed è sempre Marty (1967) a sottolinearlo, la scomparsa del termine «spiritualità» era accompagnata da un crescente interesse per le «questioni spirituali» e dalla ricerca di uno «stile di vita spirituale», ricerca che veniva praticamente condotta al margine, se non addirittura fuori, dalle istituzioni religiose tradizionali.

2Scomparso negli anni Sessanta, il termine «spiritualità» riemerge prima timidamente negli anni Ottanta e poi con sempre maggiore visibilità nel corso degli anni Novanta tanto da proporsi come una «nuova» categoria per descrivere e interpretare il rapporto con il sacro nell’epoca contemporanea. Per quanto possa sembrare curioso, un termine che affonda la propria storia nell’eredità delle religioni storiche tradizionali e che proprio in tale ambito era ormai in disuso, riappare ora in un campo alquanto diverso, quello sociologico: da categoria teologica in ombra, a concetto sociologico «di moda».

  • 1 La letteratura sociologica a tal proposito, specialmente nel corso dell’ultimo decennio, si è parti (...)

3Che cosa è capitato negli ultimi quarant’anni all’interno del fenomeno religioso, e in particolare all’interno delle singole religioni, da giustificare il ricorso sempre più ricorrente al concetto di «spiritualità», accanto se non al posto a quello di «religione»? Che cosa registra di nuovo un concetto che, in sé, di nuovo ha ben poco? E perché il concetto «religione» sembra oggi sempre più problematico nella sua valenza propriamente religiosa? In che cosa si differenzia il «linguaggio religioso» dal «linguaggio spirituale»? In definitiva, che cosa si intende per spiritual way of life, a cui diversi autori1 fanno riferimento, a partire da indagini di carattere empirico sulla religiosità contemporanea? L’obiettivo del presente contributo è offrire, in maniera molto sintetica, le coordinate di un dibattito che, in ambito sociologico, registra l’apporto di studi sempre più accurati, sia dalla prospettiva teorica che da quella empirica.

2. Religione: una parola in crisi?

4Nel contesto della società tradizionale i termini «religioso» e «spirituale» venivano praticamente usati come sinonimi. Come si è accennato più sopra, la spiritualità veniva compresa quasi esclusivamente all’interno dell’istituzione religiosa, la quale ne riconosceva e ne regolava i limiti e le possibilità. Era quindi all’interno dell’orizzonte dell’autorità che il soggetto, o le singole comunità religiose, potevano sperimentare percorsi «originali» di relazione con il sacro.

5Con il passaggio dalla società tradizionale a quella moderna, il rapporto tra religione e società è venuto via via ridefinendosi, mettendo sempre più in evidenza la tensione dialettica fra l’istituzione del credere e la libertà di scelta del soggetto. E sembra proprio che a partire da tale spostamento di baricentro, dalla legittimazione istituzionale «forte» del sacro al riconoscimento di credibilità «debole» da parte del soggetto, il termine «religione» venga ricompreso in maniera alquanto inedita, tanto da mettere in crisi l’uso tradizionale che di esso si è sempre fatto. Sul terreno della non piena adeguatezza del concetto di religione per descrivere il rapporto dell’uomo contemporaneo con il sacro, sembra attecchire e crescere il concetto di spiritualità, il quale non solo polarizza la relazione tra istituzione ed esperienza personale, ma ancor di più gerarchizza un nuovo dispositivo di legittimazione del sacro stesso, non più a partire dall’obbedienza a una autorità esterna ma ponendo al centro la libera volontà dell’individuo. Proprio a causa di questo spostamento di accento, il concetto di religione utilizzato nel contesto del mondo tradizionale sembra non esaurire più il rapporto dell’uomo contemporaneo con il sacro.

6All’interno della sociologia della religione, a dire la verità, il dibattito sull’utilità del termine «religione» è sempre stato molto acceso, e in questi ultimi anni, sotto la spinta del terrorismo di matrice musulmana, se ne è messa in luce la sua ulteriore ambiguità. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, la religione sembra rispondere anche a dinamiche di natura politica e a questioni di riconoscimento identitario. In questa prospettiva tale concetto viene collegato, tanto a livello individuale che collettivo, al conflitto e alla violenza, e questo nonostante i continui appelli alla pace da parte di tutti i leader religiosi. Il ricorrere di questo termine nell’ambito dei conflitti internazionali rende di fatto poco credibile o quantomeno molto ambiguo, da una prospettiva propriamente religiosa, il suo utilizzo per designare il rapporto con il sacro: il linguaggio religioso, con tutta la sua carica simbolica e con tutta la sua capacità di coagulare emotivamente interessi spesso diversi, rappresenta da questo punto di vista una risorsa formidabile a disposizione della politica.

  • 2 Si veda a tal proposito Berger (1970 e 1994).
  • 3 Con specifico riferimento alla situazione socioreligiosa italiana di quel periodo rimandiamo ai lav (...)

7Inoltre, la problematicità del concetto tradizionale di religione emerge anche all’interno del pluralismo religioso contemporaneo dove, secondo il modello sociale e politico democratico, la fede è diventata sempre più oggetto di scelta individuale. Il cambiamento di prospettiva «dall’istituzione al soggetto» è un tema che si afferma negli studi di sociologia della religione sin dalla fine degli anni Sessanta2, ed è nel corso degli anni Settanta e Ottanta che tale riposizionamento viene rilevato in maniera precisa anche a livello empirico3, anche se la nuova situazione non viene mai esplicitamente tematizzata nella diade «religione» e «spiritualità».

8Diversi sono gli autori che, negli ultimi vent’anni, mettono in evidenza la problematicità del concetto di religione. Hervieu-Léger (1996), parlando della «religione senza memoria», afferma che l’autonomia del soggetto, la razionalizzazione della vita sociale, la differenziazione delle istituzioni hanno sancito la fine delle «società di memoria». La memoria collettiva delle società moderne è una memoria fatta di frammenti e sprovvista di coerenza, e inoltre sancisce il principio secondo il quale ciascuno deve trovare la propria strada. Proprio tale principio, declinato sia sul versante individuale che collettivo, innesca un processo di «uscita dalla religione» e, contemporaneamente, un dinamismo di risocializzazione religiosa che si fonda sulla dimensione «elettiva».

  • 4 Sui nuovi processi di costruzione del sacro in forme para-istituzionali o non istituzionali, second (...)

9Nella figura della «fraternità elettiva» Hervieu-Léger (1996, 241) mette a punto la tensione tra la libertà del soggetto, con i suoi sentimenti e i suoi bisogni, e l’istituzione del credere, con i suoi riferimenti dogmatici e normativi: «La proliferazione delle fraternità elettive ci autorizza ad esprimere e insieme a risolvere (almeno parzialmente) la tensione crescente tra l’affermazione, all’interno delle religioni convenzionali, della cultura moderna dell’individuo, con la sua insistenza sui diritti della soggettività e le esigenze della realizzazione dell’io, e le regolamentazioni tradizionali della fede e delle pratiche religiose. Il gruppo di fratelli e sorelle d’elezione è il luogo in cui la specificità e l’autenticità di una «ricerca personale» può esprimersi e farsi riconoscere, al di fuori da ogni riferimento a un’ortodossia istituzionalmente regolata». Ed è proprio all’interno di tale processo di «deregolamentazione delle memorie autorizzate» che il concetto tradizionale di religione viene ricompreso e ridefinito, mettendo tutto il patrimonio simbolico delle religioni storiche a disposizione degli individui, i quali se ne servono secondo la logica del «fai da te» o del «bricolage» (Lucà Trombetta, 2004)4.

10Anche sul versante sociologico italiano si segnalano degli interrogativi che vanno nella stessa direzione. Per tutti ricordiamo le osservazioni di Abbruzzese (2000, 415), il quale fa notare che la ripresa di interesse per la dimensione religiosa «non svolge più le funzioni tradizionali di legittimazione e rassicurazione nei confronti degli eventi estremi dell’esistenza. La morte è occultata nella sua intima tragicità, il ritorno al rito sacro nella solennizzazione degli atti di passaggio serve molto di più a sottolineare il carattere di “avvenimento” che ad evocare una protezione dal male (…): se non è più la religione del passato a farsi avanti con le sue funzioni di protezione e di rassicurazione contro le incertezze tragiche della vita, è lecito domandarsi di quale religione si tratti e come questa si articoli con il mondo moderno e le istanze di soggettività che lo caratterizzano». Sempre Abbruzzese (2000) fa notare come lo scollamento del legame tra religiosità e appartenenza comunitaria non possa non avere delle conseguenze sia sul piano teorico che su quello metodologico, e come tale scissione costringa gli studiosi dei fenomeni religiosi a mettere a punto nuove categorie e nuovi approcci per indagare più adeguatamente la presenza del sacro nella società contemporanea.

11Da quanto schematicamente tratteggiato ci sembra chiaro che, sia dal punto di vista pubblico come anche da quello privato, il concetto di «religione» non esaurisce adeguatamente la relazione con il trascendente il quale, lungi dallo scomparire secondo quanto prevedevano alcune versioni radicali della teoria della secolarizzazione, si ripresenta in forme inedite e spesso con vivacità inaspettata.

3. La democratizzazione del sacro

12La profonda trasformazione che ha segnato il passaggio dal mondo tradizionale a quello moderno non ha quindi portato con sé la fine del fenomeno religioso, quanto piuttosto il cambiamento del suo statuto di legittimazione: per dirla con le parole di Poulat (1996, 9), «un tempo tutto era secondo la grazia di Dio, per noi ormai tutto sta alla libertà dell’uomo, nei limiti delle sue possibilità, e con gli unici controlli o divieti delle regole ritenute opportune dalla società».

13Decisiva a tal proposito è la trasformazione avvenuta nel modo di concepire il rapporto con il potere e con l’autorità: dopo le tre rivoluzioni moderne, quella inglese, americana e francese, il potere non si impone più alla volontà degli uomini «dall’altro e dall’alto», sia esso nella versione religiosa o politica, ma viene riportato sulla terra «ad altezza d’uomo» (Gauchet, 1998). E la gestione «democratica» del potere sembra sancire questa nuova situazione in cui l’umano non viene più definito in rapporto al religioso, ma è quest’ultimo che viene ricompreso a partire dalla tutela delle esigenze del singolo.

14La polarità tra «religione» e «spiritualità» si può collocare proprio in questa particolare situazione di progressivo sfaldamento della legittimità tradizionale riconosciuta all’istituzione e dell’affermarsi del dispositivo democratico che tutela la libertà dell’individuo. Come abbiamo visto, questo ha portato a una individualizzazione del modo di credere, la cui conseguenza principale è che la ricerca di senso da parte del soggetto non accetta più le risposte normative che le vengono offerte dall’esterno. Secondo quanto fa notare Michel (1996), il credere contemporaneo, lungi dall’essere funzionale a identità religiose pensate secondo il criterio della stabilità, pone il primato dell’esperienza sui contenuti dogmatici, dell’autenticità sulla verità, secondo una prospettiva che legittima il cambiamento come la «normalità». Anche per Michel (2003) questo spostamento di orizzonte comporta il riproporsi della domanda circa il significato del concetto di «religione», soprattutto per quanto concerne il suo «ritorno».

15Come abbiamo già visto, sono Roof (1993 e 1999) e Wuthnow (1998 e 2001) a tematizzare la nuova situazione del credere, distinguendo e ponendo in posizione dialettica i termini «religione» e «spiritualità» a partire dall’analisi dei dati empirici. La religiosità contemporanea, secondo questi autori, presenta delle caratteristiche le quali sarebbero meglio comprese dalla categoria «spiritualità» che dalla categoria «religione». Per Roof (1993), il primo termine mette in evidenza l’importanza dei percorsi personali di ricerca di senso, rispetto all’offerta delle istituzioni tradizionali del credere. A dire la verità, si tratta di una considerazione non certo inedita, in quanto da sempre lo studio della religione, sia esso di carattere teologico o filosofico, e ancor più specificamente psicologico e sociologico, mette in evidenza da una parte la dimensione oggettiva del credere, soprattutto sul versante dogmatico, rituale ed etico, e dall’altra la sua valenza soggettiva, e cioè le modalità concrete attraverso le quali il singolo crede. Teologicamente parlando si distingue tra «fides qua creditur» e «fides quae creditur»: la prima espressione fa riferimento alla concreta esperienza di fede dei singoli credenti, mentre la seconda rimanda al patrimonio oggettivo dei dogmi, delle credenze e degli imperativi morali.

16Tuttavia il contributo di Roof (1993) non si limita a polarizzare i termini in questione, soggetto credente da una parte e istituzione religiosa dall’altra, ma li mette in ordine gerarchico: non è più l’offerta delle istituzioni religiose a regolare il rapporto con il sacro, ma la libera ricerca di senso del soggetto. Proprio questa è la chiave di volta per comprendere la relazione dell’uomo contemporaneo con il sacro e con il trascendente: ognuno costruisce per sé, anche all’interno della propria tradizione religiosa, un sistema di significati ritagliato a propria misura (taylor-made meaning system). Parlare di rapporto con il sacro non più a partire dall’istituzione ma dal soggetto significa ricomprendere e riscrivere le questioni attinenti l’autorità, il riconoscimento della verità, la credibilità delle credenze, la tenuta delle appartenenze.

17Descrivendo il cambiamento che ha caratterizzato la religione negli ultimi cinquant’anni, Wuthnow (1998) distingue tra una spiritualità del «dimorare» (dwelling) e una spiritualità della «ricerca» (seeking). La prima ha caratterizzato la religione nel contesto della società tradizionale: essa faceva riferimento a un rapporto con il sacro che era garantito dai riti e dalle certezze offerte dalle istituzioni religiose, le quali garantivano il significato profondo del credere. La spiritualità della «ricerca» segna invece le dinamiche del credere contemporaneo, dove alla sicurezza garantita dalle certezze dogmatiche si preferisce il rischio dell’esplorazione e dell’apertura a possibilità molteplici di senso. Se nella prospettiva tradizionale il sacro rimandava alla stabilità dei confini netti che rendevano riconoscibili le identità e le differenze, oggi la relazione con il sacro non conosce frontiere sicure, anzi preferisce l’apertura e il movimento attraverso le diverse credenze tradizionali e le tante possibili esperienze di vita, combinando insieme spesso ecletticamente insegnamenti e pratiche provenienti da tradizioni culturali diverse.

18I due approcci al sacro non sono per Wuthnow (1998) da recepire come alternativa, anche se la loro distinzione dialettica aiuta a comprendere come si ricompone il mondo della credenza: il modo tradizionale di credere può risultare non più significativo, e quindi può generare il bisogno di libertà e di apertura verso esperienze diverse; e tuttavia anche la ricerca continua di nuove esperienze potrebbe generare il bisogno di appartenenze e di identità forti. Religione e spiritualità, quindi, non si elidono a vicenda, ma sarebbero due approcci diversi che possono convivere nella ricerca di senso dell’uomo contemporaneo.

  • 5 Vista la natura di questo breve contributo, non entriamo nell’analisi dettagliata delle posizioni d (...)

19Anche in Italia la distinzione tra religione e spiritualità è stata recentemente utilizzata per interpretare i dati sull’esperienza e il sentimento religioso degli italiani. Garelli (2003) costruisce una tipologia di religiosità che prevede la distinzione dei due termini, anche se la propensione che emerge più diffusa è quella di una identità orientata religiosamente piuttosto che in una direzione vagamente spirituale5. Mettendo in luce i limiti e la problematicità dell’utilizzo della categoria di «spiritualità», Garelli (2003, 90) sottolinea che la definizione di sé in termini più spirituali che religiosi è «più ideale che fattuale, più oggetto di intenzione che di pratica di vita, più riferimento teorico che opzione esperienziale. Può far parte dei tratti culturali emergenti definirsi come persona aperta ai valori dello spirito, anche se si può aver difficoltà a concretizzare quest’orientamento o se esso può configurarsi più come uno stato d’animo che come un tratto dell’esperienza. A ben guardare, si osserva che il livello dell’espressione religiosa dei soggetti che si riconoscono nel modello della religiosità critica riflette quello riscontrabile nel gruppo degli ateo-agnostici».

4. Spiritualità: un nuovo approccio al sacro?

20Le osservazioni di Garelli (2003) mettono in guardia dall’utilizzo acritico del concetto di «spiritualità»; anche gli altri autori ai quali abbiamo fatto riferimento evidenziano la necessità di precisare meglio la portata di questo concetto nell’ambito della sociologia della religione, auspicando una integrazione tra la prospettiva religiosa e quella spirituale (Roof, 2003).

21Ci sono tuttavia degli elementi che spingono nella direzione di un maggior approfondimento di tale concetto, valutandone in maniera positiva la portata euristica. Al momento attuale, gli strumenti che abbiamo a disposizione per misurare le varie dimensioni del rapporto con il sacro sono di natura religiosa, nel senso che hanno come punto di riferimento le indicazioni, siano esse di carattere dogmatico, cultuale o etico, che provengono dall’autorità dell’istituzione: categorie come appartenenza o pratica religiosa si collocano proprio in tale orizzonte. Spostando però l’asse di legittimazione, il rapporto con il sacro non viene più compreso in termini di fissità e di stabilità, ma piuttosto di itineranza e di mutamento.

22La libertà dell’individuo permette quindi di vivere la propria religiosità mettendola in relazione con la creatività nell’affrontare le esperienze della vita quotidiana, con il percepire le proprie emozioni e i propri sentimenti, con l’attenzione per la natura come anche per il corpo e la salute psicofisica, con la scoperta progressiva del proprio sé profondo come con la sintonia con le forze misteriose che regolano il cosmo: realizzazione personale, ricerca del benessere e «santità», in questa prospettiva, vanno a braccetto.

23Lesser (1999) offre un esempio di come il rapporto anima, mente e corpo può essere vissuto in maniera integrata, mettendo insieme la lotta contro lo stress di una vita sempre più frenetica con il bisogno di felicità e di significato; la «spiritualità umanizzata» a cui fa riferimento, tutta centrata sul «sacro sé», spinge a riscoprire anche il volto di Dio senza paura e senza troppi timori reverenziali: proprio Lui, comunque lo si voglia chiamare e comunque lo si rappresenti, è il miglior alleato nell’affrontare le insoddisfazioni della vita, nel vincere la paura della morte, nell’accogliere i propri difetti e le proprie incapacità, nell’accompagnare nei momenti di buio e di scoraggiamento.

24C’è una differenza, sempre secondo Lesser (1999, 51-52) nel modo di concepire l’autorità, il sacro, la verità, il rapporto con Dio, a seconda che si privilegi la «vecchia» o la «nuova» spiritualità. Nella «vecchia spiritualità» è l’autorità gerarchica delle chiese tradizionali a stabilire come si deve pregare in chiesa e come ci si comporta fuori; ci sono parti di sé, come il corpo o le emozioni, che devono essere negate o sublimate, altrimenti non ci si può accostare degnamente al sacro; la verità è come una roccia, per cui la sua comprensione deve essere sempre ferma e sicura; esiste solo un modo per rapportarsi a Dio, e tutti gli altri sono sbagliati; chi è Dio e come lo si deve adorare è già stato stabilito da altri: basta adeguarsi e obbedire. Nella «nuova spiritualità» è il soggetto a scegliere liberamente ciò in cui credere, come pregare e come comportarsi; il sacro non è circoscritto a qualcosa di particolare: tutto è sacro, il corpo come lo spirito, la natura e il mondo che ci circonda, con le sue luci e le sue ombre; la verità è come un orizzonte, che non si raggiunge mai e che cambia continuamente la sua forma lungo il cammino della vita; per giungere a Dio ci sono molti sentieri diversi: si può trovare aiuto negli insegnamenti delle religioni tradizionali come anche nella mitologia, nella psicologia, nel sapere scientifico e nell’esperienza personale.

  • 6 I contenuti di questo volume, la cui pubblicazione è prevista per il novembre 2004, sono stati pres (...)

25Un paesaggio, quello tratteggiato da Lesser (1999), che assomiglia molto a quello della New Age, i cui contorni sono sempre difficili da circoscrivere con precisione e le cui conseguenze spesso sfuggono alla verifica empirica, ma non per questo da trascurare nell’analisi della religiosità contemporanea. La «rivoluzione spirituale» a cui fanno riferimento ormai diversi studiosi della religione (Heelas, 2002; Tacey, 2003; Heelas e Woodhead, 20046) sembra del resto inserirsi nel solco lungo della «rivoluzione silenziosa» rilevata da Inglehart (1983) sul finire degli anni Settanta. La «rivoluzione spirituale», innanzitutto, è «silenziosa» proprio nel senso descritto da Inglehart (1983), e cioè perché, oltre a essere poco visibile, parte dal livello individuale per poi toccare, più o meno direttamente e a gradi di intensità diversi, le strutture e le istituzioni; in secondo luogo la «rivoluzione spirituale», sull’onda della «rivoluzione silenziosa», sancirebbe la crisi della legittimità riconosciuta alle istituzioni per dare maggior enfasi alla libertà del soggetto; da ultimo, il passaggio dalla religione alla spiritualità recepirebbe nel campo religioso il passaggio verificatosi in ambito socioculturale più ampio dai valori materialisti ai valori postmaterialisti, e cioè all’attenzione sempre più marcata per la qualità della vita, l’autorealizzazione personale e l’autoespressività.

26Nello stesso tempo la «ricerca del sé profondo» e l’«essere in sintonia con se stessi» anche per quanto attiene la relazione con il trascendente, ricollega questo segmento dell’esperienza umana al più ampio contesto della «mentalità terapeutica» di cui parla Bellah et al. (1996). La realizzazione di sé ricercata come obiettivo primario dell’esistenza ha bisogno del supporto dello psicoterapeuta il quale, oltre ad aiutare a «stare bene con se stessi», spinge a reinterpretare tutti gli ambiti dell’esperienza a partire dall’autenticità dei propri sentimenti: la famiglia, il lavoro, le relazioni interpersonali, la stessa religione, vengono ricollocate sotto questa prospettiva nuova.

  • 7 Per un ulteriore approfondimento della prospettiva di Bellah et al. (1996) circa le conseguenze del (...)

27L’individuo autonomo, in grado di decidere da sé i fini della propria vita, non è più orientato prioritariamente da verità superiori, ma valuta di volta in volta secondo criteri che rispondono all’efficacia pratica. I riferimenti morali non vengono eliminati, ma ricontestualizzati in un quadro definito da Bellah et al. (1996, 68) ambivalente: «L’aspetto espressivo della nostra cultura esiste per la liberazione e la realizzazione dell’individuo. La sua abilità sta nel fatto che essa rende l’individuo capace di pensare agli impegni – dal matrimonio e il lavoro al coinvolgimento politico e religioso – come a una interpretazione del senso di benessere individuale piuttosto che come a un imperativo morale»7.

28Gli stessi effetti disgreganti del processo di differenziazione funzionale, inteso come il nucleo centrale della teoria della secolarizzazione (Casanova, 2000), portano con sé anche degli effetti di ricomposizione «spirituale» del religioso: come sostiene Willaime (1996, 109) «questo processo di differenziazione funzionale tende a fare ritornare il religioso al religioso, a spiritualizzarlo. In una società molto secolarizzata, la domanda sociale di religioso insiste sulla spiritualità e assume aspetti mistici, mentre invece in una società dove il comportamento religioso è più marcato, la richiesta va piuttosto nel senso di una religione più mondana. La differenziazione funzionale è dunque un elemento del processo di secolarizzazione ma, al tempo stesso, contribuisce a una rispiritualizzazione del religioso».

29I cambiamenti che stanno avvenendo nel campo religioso, ricollegabili al rapporto dialettico religione-spiritualità, sono inoltre da comprendere all’interno delle dinamiche proprie della globalizzazione e del pluralismo, fenomeni che costituiscono le nuove coordinate all’interno delle quali collocare i diversi elementi socioculturali dell’epoca contemporanea. In un contesto sempre più globalizzato e pluralista, dal confronto con altre credenze e con altre modalità di credere cambia il modo di rapportarsi alle proprie credenze e alla propria pratica religiosa. Non dare più nulla per scontato, ma rimettere tutto in discussione a partire dal vissuto quotidiano del soggetto, rende il riferimento al sacro molto provvisorio e in continuo movimento.

30Tale cambiamento nella dimensione del credere, infine, ha delle conseguenze notevoli anche sul versante delle istituzioni del credere le quali, senza negare la dimensione «religiosa» del loro patrimonio tradizionale, la reinterpretano creativamente e si riposizionano a partire dalle nuove istanze che caratterizzano la «spiritualità». Non cambia quindi solamente il «credere», ma cambia anche il «far credere», con processi di adattamento talvolta ardui da comprendere e da giustificare in termini di coerenza interna. Anche sul versante istituzionale delle chiese tradizionali, quindi, sia a livello di elaborazione teologica che sul campo propriamente etico e rituale, sembrerebbe possibile reperire degli elementi riportabili alla dimensione spirituale così come l’abbiamo tratteggiata nelle pagine precedenti (Flanagan, 2001; Sequeri, 1998; Toffanello, 2000): «L’abilità istituzionale consisterà nel mascherare questa negoziazione incessante in atto, e la mutabilità e la frammentazione che ne sono inerenti, costruendo meccanismi di legittimazione delle diversità sempre più complessi, riportandoli a sempre più articolati meta-universi, apparentemente congruenti, che ne diano ragione» (Guizzardi, 2003, 20).

5. Conclusione

31Ritornando alla questione fondamentale dalla quale siamo partiti, si tratta ora di vedere che cosa il concetto di «spiritualità», considerato da alcuni sociologi come ancora confuso e poco utilizzabile a livello empirico, sia in grado di chiarire con maggiore precisione di quanto non faccia già il concetto di «religione». In tale processo di valutazione va tenuto presente che il bisogno di significato che caratterizza la ricerca dell’uomo contemporaneo sembra essere intercettato in maniera più adeguata e convincente dalla categoria della «spiritualità» la quale, gestendo il sacro in maniera più democratica, apre la possibilità a cammini personalizzati di autoperfezionamento, in sintonia con la ricerca del sé profondo, del benessere e del significato dell’esistenza.

  • 8 Sul rapporto tra paradigmi, teorie e modelli interpretativi all’interno delle scienze sociali, vedi (...)

32Religione e spiritualità, tuttavia, non ci sembrano da comprendere come termini in alternativa, e quindi con un rapporto a somma zero; andrebbero piuttosto collocati nella prospettiva della distinzione, che non della separazione. Essendo il tema della spiritualità all’interno del sapere sociologico relativamente recente, sembra difficile stabilire se questa categoria sarà in grado di avere la forza di una vera e propria «teoria», capace di ricomprendere il fenomeno religioso come un’alternativa analitica nei confronti delle teorie già a disposizione degli studiosi, o se, più semplicemente, rappresenti un modello interpretativo in grado di rendere visibili alcune modalità contemporanee nel rapporto con il sacro8. In un contesto di marcata individualizzazione e soggettivizzazione del rapporto con il senso e con la trascendenza, congiuntamente alla progressiva pluralizzazione dei modelli religiosi a disposizione sia sul versante della domanda che su quello dell’offerta, ci sembra che la spiritualità possa comunque costituire uno strumento utile nella «cassetta degli attrezzi» dei sociologi della religione, capace di rendere intelligibili alcune caratteristiche fondamentali del credere all’inizio del terzo millennio.

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Notes

1 La letteratura sociologica a tal proposito, specialmente nel corso dell’ultimo decennio, si è particolarmente sviluppata. Sul versante empirico rimandiamo, come prima ricognizione, ai testi di Roof (1993 e 1999), e Wuthnow (1998 e 2001). A livello più teorico si vedano i contributi di Zinnbauer et al. (1997), Demerath (2000), e Seidlitz et al. (2002).

2 Si veda a tal proposito Berger (1970 e 1994).

3 Con specifico riferimento alla situazione socioreligiosa italiana di quel periodo rimandiamo ai lavori di Nesti (1985), Garelli (1986) e Cipriani (1988); per quanto concerne il decennio successivo, gli anni Novanta, si veda Cesareo et al. (1995).

4 Sui nuovi processi di costruzione del sacro in forme para-istituzionali o non istituzionali, secondo modalità sincretistiche, trasversali a più religioni, rimandiamo a Berzano (1994).

5 Vista la natura di questo breve contributo, non entriamo nell’analisi dettagliata delle posizioni dei singoli autori. Riportiamo però la tipologia ideata da Garelli (2003), in quanto ci sembra di particolare interesse, rappresentando anche il primo tentativo di questo genere nella letteratura sociologica italiana. Scindendo la religiosità più istituzionale da quella più personale, Garelli (2003) prevede sette raggruppamenti: ateo/agnostici (né religiosi, né spirituali); religiosità etnico-culturale (medio-alta religiosità, poco-nulla spiritualità); spiritualità critica (poco-nulla religiosità, medio-alta spiritualità); credente debole (media religiosità, media spiritualità); più religiosi che spirituali (alta religiosità, media spiritualità); più spirituali che religiosi (alta spiritualità, media religiosità); i fedeli (alta religiosità, alta spiritualità). Anche le analisi delle Giornate Mondiali della Gioventù di Roma e di Toronto proposte nel volume di Garelli e Ferrero Camoletto (2003) contengono molti spunti che rimandano alla distinzione tra religione e spiritualità, e alla tipologia del credente «in cammino». Pace (2003), nell’analizzare l’identità del prete, mette in tensione il carisma di funzione con il primato della spiritualità. Per ulteriori tipologie del rapporto religione e spiritualità rimandiamo a Roof (1999), Flory e Miller (2000), Yip (2003).

6 I contenuti di questo volume, la cui pubblicazione è prevista per il novembre 2004, sono stati presentati da Linda Woodhead, dell’Università di Lancaster, alla conferenza annuale della British Sociological Association-Sociology of Religion Study Group che si è tenuta all’Università di Bristol dal 29 marzo al 1 aprile 2004, e il cui tema è stato A Sociology of Spirituality.

7 Per un ulteriore approfondimento della prospettiva di Bellah et al. (1996) circa le conseguenze della «mentalità terapeutica» in ambito religioso, a partire dal rapporto tra «individualismo utilitaristico» e «utilitarismo espressivo», rimandiamo a Giordan (2003, 131-155).

8 Sul rapporto tra paradigmi, teorie e modelli interpretativi all’interno delle scienze sociali, vedi Sciolla (2002, 133).

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Pour citer cet article

Référence papier

Giuseppe Giordan, « Dalla religione alla spiritualità: una nuova legittimazione del sacro? »Quaderni di Sociologia, 35 | 2004, 105-117.

Référence électronique

Giuseppe Giordan, « Dalla religione alla spiritualità: una nuova legittimazione del sacro? »Quaderni di Sociologia [En ligne], 35 | 2004, mis en ligne le 30 novembre 2015, consulté le 12 décembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/qds/1117 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/qds.1117

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Auteur

Giuseppe Giordan

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