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la società italiana / L’università valutata

L’università nel contesto italiano. Linee per la valutazione

Paolo Parra Saiani
p. 59-80

Testo integrale

Although few faculty or administrators understood the method of factor analysis, they were strongly in favor of a «high-powered» statistical procedure being used to improve the instruments.

(Fenker, 1975, 684)

1Nella valutazione dell’attività universitaria – al tempo stesso organizzazione e strumento d’intervento delle politiche formative – la qualità del prodotto è strettamente connessa alla qualità del processo. Oltre a definire indicatori interni (durata degli studi, successo degli studenti, monitoraggio delle carriere), di grande importanza sono gli indicatori esterni, per la valutazione dell’occupabilità dei laureati e della soddisfazione rispetto alla propria collocazione, nonché della soddisfazione dei datori di lavoro in relazione all’incremento di formazione e di professionalità.

  • 1 Ci si può porre la domanda se in Italia esiste la valutazione dell’università. Se per valutazione s (...)

2La valutazione consiste nel determinare il merito intrinseco (merit) o estrinseco (worth) o il valore di qualcosa (Scriven, 1981, 53), cioè il grado in cui si conseguono gli obiettivi dell’organizzazione e si corrisponde ai bisogni dei destinatari1. Occorre «riferirsi ad una platea di soggetti più ampia di quelli che detengono il potere decisionale formale o istituzionale e dei beneficiari diretti del servizio» (Garbarino, 2004, 3) e non soltanto, come ha ricordato Benadusi (1996, 123) «descrivere le situazioni mediante l’uso di indicatori statistici». D’altronde, l’università è un servizio rivolto ad una pluralità di destinatari, che non si limitano agli studenti interessati.

3In questo lavoro esaminerò i principali lineamenti teorici della valutazione delle università, con un’attenzione particolare al contesto italiano e ai dati empirici emergenti dalle molte indagini di questi ultimi anni (Almalaurea, Istat, Miur).

1. La valutazione dei servizi

  • 2 L’espressione ‘campo semantico’ rinvia esplicitamente alla natura stipulativa, convenzionale, conte (...)
  • 3 Per referente s’intende un qualsiasi possibile oggetto dei nostri pensieri, tangibile o meno.

4Il punto di partenza di ogni ricerca consiste nel definire l’oggetto, nel delimitarne il campo semantico2, nella scelta delle proprietà rilevanti e nell’identificarne gli adeguati indicatori. Tale passaggio è ancora più necessario nella valutazione dei servizi, ovvero in quelle attività che non hanno un referente3 concreto, tangibile, della propria attività, ove «la circolarità tra conoscenza/apprendimento e cambiamento, tra processi di valutazione e processi di trasformazione delle pratiche d’intervento e dei modelli organizzativi è accentuata» (Leone, 2001, 146).

  • 4 Riprendendo la definizione di “bene relazionale” proposta da Pierpaolo Donati (1993, 121-122, nota (...)

5La complessità e la multidimensionalità dei referenti del processo valutativo hanno ancor più intense ripercussioni sulla valutazione dei servizi relazionali4. Possiamo interpretare l’organizzazione universitaria come una particolare organizzazione dedita alla produzione di servizi relazionali, caratterizzati, oltre che dalla loro immaterialità ed intangibilità, da:

  • coincidenza tra prodotto e servizio: sono ‘beni relazionali’ perché si possono produrre e fruire solo assieme dagli stessi produttori e fruitori, «tramite le relazioni che connettono i soggetti coinvolti: il bene è dunque detto relazionale per il fatto che è («sta nella») relazione» (Donati, 1993, 121-122, nota 14);

  • negoziabilità dei criteri, in quanto è impossibile standardizzare il processo di produzione in tutte le sue fasi. Le procedure possono anche essere standardizzate e razionalizzate, ma non le prestazioni finali (Folgheraiter, 1998, 403). La negoziabilità è riferita alla possibilità, per entrambe le parti in relazione, di realizzare la transazione con un margine di flessibilità: rispetto a quanto programmato e rispetto alle aspettative ed ai bisogni che s’intendono soddisfare (Bezzi, 1998, 115-116);

  • scarsità delle risorse economiche, temporali e umane.

6Nella valutazione si deve pertanto far riferimento: a) all’input, l’insieme delle risorse materiali ed umane immesse nell’organizzazione per produrre un determinato risultato; b) al processo, che considera l’insieme delle modalità operative ed organizzative adottate per produrre l’intervento; c) all’output, le prestazioni prodotte dall’organizzazione; e d) all’outcome, gli effetti prodotti sui destinatari.

7L’esito degli interventi è interpretato come effetto emergente della relazione fra quattro dimensioni fondamentali: le risorse di cui ogni organizzazione usufruisce per approntare il servizio, le finalità perseguite, le norme che consentono l’integrazione fra i soggetti coinvolti nel processo di aiuto e la cultura che genera ed alimenta l’intero processo.

  1. Tra le risorse impiegate si considerano le risorse umane, le risorse finanziarie ed economiche, nonché la struttura organizzativa ed il flusso informativo.

    • 5 Avviare uno solo di questi processi significherebbe limitarsi ad una visione parziale degli element (...)

    Gli obiettivi, le finalità e gli scopi del progetto. Il riferimento alle esigenze ed ai bisogni della collettività presiede alla traduzione delle finalità di una politica in obiettivi e fornisce al tempo stesso un criterio per valutare ex ante la congruenza o coerenza della sua articolazione in specifiche linee d’intervento (Palumbo, 1998, 39). I bisogni sono il risultato di una coproduzione dei decisori e dei destinatari delle politiche, mediata dal comune sistema socio-culturale di appartenenza e dalle procedure operative grazie alle quali la definizione dei bisogni prende corpo5. Le istituzioni universitarie sono organismi particolari nelle quali si riscontrano obiettivi multipli e non gerarchizzabili, quindi i sistemi di controllo di qualità che possono instaurarsi in altre imprese sono di difficile implementazione; il potere è diffuso, non solo per le sue forme peculiari di governo, ma per l’importanza e l’autonomia dei lavoratori nel processo universitario (Mora, 2002, 21).

    • 6 North (1990, 384) definisce un’istituzione come un insieme di costruzioni informali, regole formali (...)

    Le regole di funzionamento che consentono di promuovere le relazioni sono le norme attraverso le quali i soggetti implicati nel servizio stabiliscono d’interagire, così come i complessi di costruzioni informali e di meccanismi che costituiscono «le regole del gioco dell’azione umana»6.

  2. La quarta dimensione concerne i valori di riferimento e le motivazioni, in particolare la cultura di riferimento dell’organizzazione.

  • 7 I timori di un appiattimento del processo valutativo sulle sole dimensioni economiche non sono solo (...)
  • 8 Sul punto si veda altresì Waugh (2003, 147).

8Condurre una valutazione non limitata alla somma algebrica dei singoli elementi, ma attenta all’interazione delle differenti dimensioni, all’intreccio tra risorse, regole e relazioni, finalità, cultura e valori, comporta l’uso di categorie di analisi spesso trascurate a vantaggio di criteri d’impronta prettamente economico/finanziaria – troppo sovente, e a torto, ritenuti più affidabili7. Varie indagini (Heuer, 1999, 3) hanno rilevato che il successo di un programma è significativamente influenzato dai processi organizzativi. Pascarella e Terenzini (1991, 610-611), dall’analisi della letteratura hanno tratto la conclusione che l’impatto delle azioni intraprese da colleges ed università sui risultati degli studenti non è decisivo, sebbene importante. Una parte rilevante dell’impatto dipende dagli studenti stessi – e dal loro grado di coinvolgimento – nei confronti degli altri studenti, dei docenti e programmi, sessioni di laboratorio ed extracurricolari (dibattiti, discussioni politiche, giochi, recite e rappresentazioni teatrali, etc.) eventualmente presenti8.

9La prospettiva dalla quale osservare è un ulteriore fattore critico: il valore percepito dei servizi e prodotti di un’organizzazione è soggettivo e negoziabile, creato dagli individui coinvolti in uno specifico contesto e capace di evolvere con l’interazione (Forbes, 1998).

2. Valutare cosa?

  • 9 Su cosa siano le competenze acquisite si potrebbe discutere. Segnalo al riguardo un breve passaggio (...)

10Se il termine ‘esito’ è riferito ai risultati conseguiti da una politica o da un intervento rapportati agli obiettivi prefissati, con ‘impatto’ ci si riferisce all’effetto ottenuto sull’ambito socio-economico o territoriale, quindi l’insieme delle modifiche che l’azione produce (Palumbo, 1998, 48-49). Altra distinzione ricorrente è quella tra output (l’esito diretto dell’azione: se l’unità d’analisi è il singolo soggetto, l’output sarà il titolo di studio ottenuto), ed outcome. Con quest’ultimo termine s’intende la modifica del comportamento dei soggetti destinatari della politica, compresi gli effetti non previsti o non predeterminati dell’azione. Gli outcomes possono quindi essere definiti come quei cambiamenti (positivi e no) per gli individui o comunità. Nel caso in cui l’unità d’analisi sia l’individuo, gli outcomes saranno le conoscenze, le capacità, le competenze acquisite9.

  • 10 Merler (1996, 17) sottolinea che il «ricorso a termini incomprensibili o ad altri codici linguistic (...)

11Un outcome è qualcosa che il soggetto coinvolto è, ha, o fa in risposta al servizio; è diverso dall’output: la sola partecipazione ad un programma non è un outcome. La rilevazione degli outputs, il conteggio dei prodotti e servizi non sono informazioni relative al modo in cui i partecipanti sono stati “colpiti” dal programma. Outcome è il termine riservato per tale risultato: cambiamenti nella conoscenza, attitudini, capacità, comportamenti, condizioni o status. In altri termini, gli outputs concernono il programma, gli outcomes riguardano i partecipanti10 (Plantz et al., 1997, 17; Newcomer, 1997, 6; Weiss, 1998; Lindgren, 2002, 293).

12Gli esiti, gli outcome e gli impatti sono ordinabili a seconda dell’estensione semantica del referente (gli outcome includono gli esiti; gli impatti includono gli outcome) e mentre i primi sono in generale definiti (o definibili) nella fase della decisione, gli impatti sono analizzati con un orizzonte di riferimento più ampio. Può essere utile riprendere un esempio relativo ad un intervento formativo proposto da Mauro Palumbo (1998, 49):

L’esito di una politica formativa è il numero di allievi formati rispetto a quelli previsti inizialmente (riferito agli obiettivi); l’impatto è la quota di allievi formati rispetto all’insieme dei possibili beneficiari dell’intervento (in rapporto ai bisogni); i mutamenti negli atteggiamenti verso il lavoro e la capacità di orientarsi sul mercato (effetto non esplicitamente previsto dall’intervento, ma legato alle finalità che tale intervento hanno originato) costituiscono gli outcomes. La variazione del tasso di disoccupazione imputabile agli interventi formativi è uno dei possibili impatti (altri impatti sono ad esempio la maggior produttività delle aziende che hanno assunto gli allievi formati, il maggior reddito di tali allievi ottenuto grazie al corso, etc.).

  • 11 Riconosco con Garbarino (2004, 8) che l’espressione ‘valutazione dell’università’ è «in prima istan (...)

13L’attenzione agli outcomes può avere un’influenza decisiva sulle prestazioni delle organizzazioni che erogano servizi, spostando il centro del dibattito dalle attività ai risultati. Ebbene, sembra che sia proprio questa parte della valutazione ad essere del tutto assente dal panorama delle valutazioni italiane dell’università11: molte sono le raccolte di dati relativi alla stima degli esiti e degli impatti, ma nulla – perlomeno a livello istituzionale – è ancora stato proposto per studiare gli outcomes. La rilevazione d’informazioni accurate ed affidabili per accertarli incontra alcune difficoltà: oltre agli elevati costi associati a tale pratica, nel lungo periodo aumentano le possibilità che intervengano fattori estranei e che cambi il contesto di riferimento. Inoltre, mentre i finanziatori lavorano sulla base di anni fiscali, gli outcomes hanno una durata più lunga: molti degli aspetti considerati sono il frutto di anni d’investimento, solo parzialmente imputabili all’ultimo periodo sotto osservazione.

Tav. 1 Esiti, impatti e outcomes

Tav. 1 Esiti, impatti e outcomes

Fonte: elaborazione di Palumbo (1998, 49)

14Viste le difficoltà che riguardano la definizione ed il disegno degli indicatori di rendimento, la tendenza più frequente è stata usare quelli più facili da ottenere. Si trascurano aspetti rilevanti solo perché è difficile tradurli in indicatori (Weert, 1990; Parra Saiani, 2001; Mora, 2002, 25): da qui il fenomeno del goal displacement (Batterham, 1994; Perrin, 1998, 1999), cioè l’incongruenza tra la natura degli obiettivi ed il sistema di rilevazione degli esiti adottato. Come risultato, la direzione del programma viene distorta, e si distoglie l’attenzione da quanto si dovrebbe fare (Lindgren, 2002, 286): alle attività sbagliate è attribuito un rilievo eccessivo e le misure applicate sovrastano o sopprimono la ragion d’essere del programma. Gli elementi costitutivi della qualità del servizio possono non essere considerati tra quelli che l’organizzazione decide di tenere sotto controllo. Ne è un esempio il tasso di turnover del personale (si pensi al continuo ricambio dei docenti a contratto nelle università, vedi infra): notoriamente esso incide in modo decisivo sulla qualità del servizio, ma spesso non è rilevato o è considerato in modo adeguato.

15Se la prestazione non è una realtà oggettiva da misurare, ma una realtà costruita socialmente, i criteri per definirla e valutarla devono essere assemblati ed accettati da tutte le parti in causa. Con i programmi pubblici e non-profit vi sono molte parti in causa interessate alla prestazione di un programma – da chi ne trae un beneficio diretto a chi stanzia i fondi. Ciascuno di essi può valutare gli stessi criteri in modo differente (Newcomer, 1997, 6).

  • 12 Sul tema, oltre al saggio di Claudia Loreti in questo stesso volume, rimando a Marradi (19843; 1994 (...)

16Non considero qui il tema della qualità degli indicatori e le possibili distorsioni introdotte in assenza di un chiaro quadro concettuale12. Mi preme piuttosto sottolineare una confusione assai frequente: gli indicatori non sono misure assolute, ma acquisiscono significato solo attraverso il processo di operativizzazione e di contestualizzazione. Non considerare tale specificità comporta il rischio di convertire gli indicatori in standards di qualità, diventando delle mete in sé, e non interpretazioni parziali di un mondo in continuo mutamento. Si rafforza così la preferenza per indicatori che più facilmente di altri suggeriscono definizioni operative a discapito di quelli validi per la valutazione in corso (Weert, 1990).

  • 13 Per approfondimenti teorici e bibliografici sulla triangolazione rimando a Parra Saiani (2001; 2004 (...)

17Il rischio che ciò possa avvenire è elevato quando gli indicatori sono costruiti in modo approssimativo e l’allocazione delle risorse è basata esclusivamente sulle prestazioni rilevate in base a degli standards (Lindgren, 2002, 293; 298). Si accentuano in tal modo le deviazioni proceduraliste, facendo prevalere gli aspetti formali su quelli sostanziali. A ciò si potrebbe ovviare attraverso l’uso di più tecniche per la raccolta delle informazioni, affiancando ai tradizionali processi di rilevamento con questionario degli studi di caso e delle ricerche basate sull’osservazione diretta dei fenomeni studiati, secondo uno degli approcci previsti dalla triangolazione13.

3. Università e mondo del lavoro

  • 14 Il Consorzio Almalaurea è composto da 36 atenei: Università di Bari, Basilicata, Bologna, Bolzano, (...)
  • 15 La rilevazione si è svolta dal 15 settembre 2002 alla prima metà del 2003 e ha coinvolto i laureati (...)
  • 16 È pur vero che – sempre stando a quanto riportato nell’introduzione – il tasso di occupazione accer (...)
  • 17 Un riferimento particolare va dedicato al Piemonte, fanalino di coda tra le regioni con grandi univ (...)

18Una delle componenti della valutazione del sistema universitario è l’analisi delle relazioni tra titolo di studio conseguito e posizione sul mercato del lavoro. Il consorzio Almalaurea14 ha presentato recentemente la sesta indagine nazionale sulla condizione occupazionale dei laureati, mirata all’analisi dei percorsi intrapresi dopo il conseguimento del titolo universitario, arrivando a coinvolgere – per la prima volta – i laureati fino a cinque anni dalla laurea15. L’indagine è stata svolta sui laureati di 24 università, raggiungendo 21.012 laureati ad un anno dalla conclusione degli studi, 14.549 a tre anni e 9.489 a cinque anni. Si tratta certo di una quota rilevante dei laureati italiani, ma contrariamente a quanto afferma Cammelli (2004, II), essa non sembra assicurare un «significativo quadro di riferimento dell’intero sistema universitario». Non solo – com’è ricordato nella stessa introduzione – le grandi università lombarde non aderiscono al consorzio Almalaurea, ma anche un ateneo come «La Sapienza» – la più grande università italiana – non rientra nel novero degli atenei interessati all’indagine. Una gran quantità di laureati ne è pertanto esclusa16. Lombardia e Lazio sono regioni che coprono il 13,9% ed il 13% della spesa universitaria nazionale, e rappresentano in termini di spesa per ricerca e sviluppo rispettivamente l’11,6% e l’11,4% del totale nazionale17 (Istat, 2003a, 18); inoltre, per quanto riguarda i dati presentati da Almalaurea sulle singole classi di laurea, occorre tener presente che i laureati in sociologia sono solo 36 e 27 quelli in chimica industriale.

  • 18 Nell’aprile del 2003 il Cnvsu ha proposto un insieme minimo di domande per la valutazione dell’espe (...)
  • 19 86% per i laureati ad un anno dalla conclusione degli studi; 81% dopo tre anni; 76% a cinque anni d (...)
  • 20 L’alto tasso di rispondenti assunto come indicatore di affidabilità dei risultati è poi quantomeno (...)
  • 21 Il riproporzionamento consiste nell’attribuire ad ogni caso del campione un peso tale che le distri (...)

19In secondo luogo, non è indicata la tecnica di raccolta delle informazioni adottata nell’indagine. Ci si limita a segnalare l’uso di «un questionario»: pur ricco di materiali ed informazioni, il sito di Almalaurea non ne permette la consultazione18. La sicurezza con la quale si sostiene che i risultati presentati sono «estremamente affidabili» esclusivamente sulla base di un alto tasso di rispondenti19 appare quindi a dir poco azzardata20. C’è un ulteriore elemento di disturbo, invero piuttosto frequente: per ovviare ad alcuni limiti dell’indagine (parzialità del numero di atenei, problemi di comparabilità nel tempo), i risultati delle indagini Almalaurea sulla condizione occupazionale (quattro, dal 2000 al 2003) sono stati sottoposti alla procedura detta del riproporzionamento21. Una moda diffusa, tesa più ad “aggiustare” i dati ex post che a migliorarne la qualità ex ante.

20Passo ora a commentare alcuni dati, ripercorrendo il VI rapporto. In tab. 1 presento la condizione occupazionale ad un anno dalla laurea suddivise per anno di conseguimento del titolo (2000, 2001 e 2002), dati ordinati per numero d’interviste svolte nel 2002 (ultima colonna). Il primo aspetto che attrae l’attenzione è che gli occupati ad un anno dalla laurea diminuiscono tra il 2000 ed il 2002: da poco meno del 61% a circa il 57%; specularmente aumentano quanti non lavorano ma cercano un’occupazione: dal 18% al 23% circa. Limitando l’analisi alle lauree con almeno 500 interviste, si può constatare come nel 2000 il tasso più alto di coloro che non lavorano ma che cercano un impiego sia riscontrabile tra i laureati in scienze mm.ff.nn.n (indirizzo geo-biologico, 29,7%), seguito dal 27,1% dei laureati in lingue e letterature straniere. Il numero di classi di laurea che prevede un tasso al di sopra del 27% salgono a cinque nel 2002: psicologia (32%), lingue e letterature straniere (29,2%), giurisprudenza (28%), lettere e filosofia (27,4%), scienze mm.ff.nn. (ancora indirizzo geo-biologico, 27,5%).

21Dalla tab. 1 è possibile ricavarne un’altra per presentare i saldi nei tre anni, ovvero le differenze tra il 2000 ed il 2001, tra il 2001 ed il 2002 e quelle tra il 2000 ed il 2002, in modo da facilitare l’interpretazione dei dati (tab. 2). Come si può constatare, la crisi occupazionale sembra colpire più di altre la classe di laurea in psicologia. Dal 2000 al 2002 i suoi laureati occupati hanno subìto una netta contrazione; in egual modo sono aumentati quanti non lavorano ma sono in cerca d’occupazione, mentre resta pressoché immutata la cifra di quanti non lavorano e non cercano (0,6 tra il 2000 ed il 2002). Un forte calo tra gli occupati è stato altresì rilevato nella classe Scienze mm.ff.nn., indirizzo scientifico (-13,2 tra il 2000 ed il 2002) che si ripartisce quasi equamente tra chi non lavora e non cerca (5,8) e chi non lavora ma cerca (7,4). Spiace notare il numero ridotto di laureati di classi di laurea significative, come sociologia e scienze statistiche, con soli 36 ed 88 studenti intervistati. A causa del basso numero di persone intervistate non è possibile esprimere alcuna osservazione in merito, pur notando che più di altre queste classi di laurea avrebbero potuto subire la crisi del mercato del lavoro. Il calo registrato dei laureati occupati è infatti rispettivamente del 22,4 e del 20,8%.

Tab. 1 Condizione occupazionale dei laureati in 24 università italiane ad un anno dalla laurea: sessioni estive 2000, 2001 e 2002. Dati percentuali

Tab. 1 Condizione occupazionale dei laureati in 24 università italiane ad un anno dalla laurea: sessioni estive 2000, 2001 e 2002. Dati percentuali

Fonte: elaborazione di dati in Almalaurea (2004, A-3)

Tab. 2 Condizione occupazionale (saldo) dei laureati in 24 università italiane ad un anno dalla laurea: sessioni estive 2000, 2001, 2002

Tab. 2 Condizione occupazionale (saldo) dei laureati in 24 università italiane ad un anno dalla laurea: sessioni estive 2000, 2001, 2002

Rispetto alla tab. 1 sono stati espunti i dati relativi alle voci Pianificazione del territorio ed Altre lauree (per le quali non era possibile il raffronto tra i diversi anni, essendo disponibili solo i dati del 2002), Scienze motorie (3 soli studenti intervistati).

Fonte: elaborazione di dati in Almalaurea (2004, A-3)

Tab. 3 Condizione occupazionale dei laureati in 24 università italiane a uno, tre e cinque anni dalla laurea (laureati sessione estiva 1998). Dati percentuali

Occupati

Non lavorano e non cercano

Non lavorano ma cercano

Interv.
5 anni

1
anno

3
anno

5
anno

1
anno

3
anno

5
anno

1
anno

3
anno

5
anno

Giurisprudenza

32,0

60,2

87,5

39,8

30,9

6,7

28,2

8,9

5,8

1.252

Economia

63,8

83,2

93,8

14,0

13,8

2,5

22,2

3,0

3,7

1.182

Lettere e Filosofia

60,6

79,7

81,2

9,5

14,4

7,5

29,9

5,9

11,2

863

(2)Scienze mm.ff.nn.

47,3

71,5

79,9

19,0

20,6

11,7

33,8

7,9

8,4

711

Indirizzo geo-biologico

40,4

65,8

77,1

17,9

24,1

13,3

41,7

10,0

9,6

345

Indirizzo scientifico

55,3

81,0

83,9

20,5

13,7

8,2

24,2

5,3

7,8

255

Indirizzo chimico

50,9

68,2

79,3

19,1

24,5

14,4

30,0

7,3

6,3

111

Architettura

74,1

91,3

95,8

6,5

4,5

1,5

19,4

4,2

2,7

672

Ingegneria

76,8

94,1

95,5

9,4

5,1

2,4

13,8

0,7

2,1

617

Scienze formazione

65,0

79,4

82,4

5,2

11,3

6,5

29,8

9,3

11,2

403

Medicina e chirurg.

22,7

17,6

55,8

63,3

81,8

30,6

14,1

0,6

13,6

396

Scienze politiche

63,1

83,0

85,8

11,0

7,6

5,6

25,9

9,3

8,6

359

Farmacia

66,3

83,8

89,8

14,7

13,4

7,6

19,0

2,8

2,5

197

Psicologia

53,0

85,8

89,3

15,9

9,7

4,7

31,1

4,5

6,0

149

Lingue e lett.

53,2

73,2

79,8

10,4

11,0

8,7

36,4

15,9

11,5

104

straniere

Totale

55,6

75,3

86,6

19,3

19,0

7,0

25,1

5,7

6,5

7.190

Rispetto alla tab. 1 sono stati espunti i dati relativi alle lauree con un basso numero d’intervistati: Agraria, Medicina veterinaria, Scienze statistiche, Scuola superiore lingue moderne, Sociologia, Chimica industriale, Conservazione beni culturali, Pianificazione del territorio, Scienze motorie ed Altre lauree. Il totale riporta tuttavia i valori originari.

Fonte: elaborazione di dati in Almalaurea (2004, A-5)

  • 22 Desta qualche perplessità il dato relativo a Medicina e chirurgia: 14,1% ad un anno dalla laurea no (...)

22Nella tab. 3 sono presentati i dati per i laureati nel 1998 a uno, tre e cinque anni dalla laurea, anche qui ordinati per numero d’interviste. Gli intervistati sono 7.190: circa un terzo proviene da giurisprudenza ed economia. I tassi più alti di quanti non lavorano ma cercano un’occupazione si riscontrano tra i laureati in medicina e chirurgia22 (13,6%), lettere e filosofia e scienze della formazione (11,2%). La minore incidenza degli occupati è invece tra i laureati in scienze mm.ff.nn. (indirizzo geo-biologico, 77,1%) e medicina e chirurgia (55.8%). È di notevole interesse, anche in questo caso, presentare la tabella con i saldi tra i diversi anni (tab. 4), limitando l’analisi alle classi di laurea con più di 100 casi.

Tab. 4 Saldo laureati: condizione occupazionale a uno, tre e cinque anni dalla laurea (sessione estiva 1998)

Occupati

Non lavorano e non cercano

Non lavorano ma cercano

Interv.
5 anni

Δ 1-3
anni

Δ 3-5
anni

Δ 1-5
anni

Δ 1-3
anni

Δ 3-5
anni

Δ 1-5
anni

Δ 1-3
anni

Δ 3-5
anni

Δ 1-5
anni

Giurisprudenza

28,2

27,3

55,5

-8,9

-24,2

-33,1

-19,3

-3,1

-22,4

1.252

Economia

19,4

10,6

30

-0,2

-11,3

-11,5

-19,2

0,7

-18,5

1.182

Lettere e Filosofia

19,1

1,5

20,6

4,9

-6,9

-2

-24

5,3

-18,7

863

(2)Scienze mm.ff.nn.

24,2

8,4

32,6

1,6

-8,9

-7,3

-25,9

0,5

-25,4

711

Indirizzo geo-biologico

25,4

11,3

36,7

6,2

-10,8

-4,6

-31,7

-0,4

-32,1

345

Indirizzo scientifico

25,7

2,9

28,6

-6,8

-5,5

-12,3

-18,9

2,5

-16,4

255

Indirizzo chimico

17,3

11,1

28,4

5,4

-10,1

-4,7

-22,7

-1

-23,7

111

Architettura

17,2

4,5

21,7

-2

-3

-5

-15,2

-1,5

-16,7

672

Ingegneria

17,3

1,4

18,7

-4,3

-2,7

-7

-13,1

1,4

-11,7

617

Scienze formazione

14,4

3

17,4

6,1

-4,8

1,3

-20,5

1,9

-18,6

403

Medicina e chirurgia

-5,1

38,2

33,1

18,5

-51,2

-32,7

-13,5

13

-0,5

396

Scienze politiche

19,9

2,8

22,7

-3,4

-2

-5,4

-16,6

-0,7

-17,3

359

Farmacia

17,5

6

23,5

-1,3

-5,8

-7,1

-16,2

-0,3

-16,5

197

Psicologia

32,8

3,5

36,3

-6,2

-5

-11,2

-26,6

1,5

-25,1

149

Lingue e lett. straniere

20

6,6

26,6

0,6

-2,3

-1,7

-20,5

-4,4

-24,9

104

23Questo è stato il primo rapporto a presentare i dati relativi ai laureati a cinque anni dalla laurea. Per apprezzare correttamente l’estensione dell’arco temporale dell’indagine è più conveniente commentare i dati relativi al saldo 3-5 anni (tab. 4), anziché quello 1-5 anni, sicuramente più sorprendenti, ma meno indicativi di quanto succede nei due anni aggiuntivi. I laureati in giurisprudenza ed in medicina e chirurgia vedono aumentare il saldo occupazionale (rispettivamente +27,3 e +38,2), e così alcune altre lauree (economia e due classi di laurea di scienze mm.ff.nn). Per altre classi il surplus conoscitivo non è così marcato: per i laureati in lettere e filosofia, ingegneria quasi non c’è differenza tra la rilevazione a tre e quella a cinque anni (il saldo è pari rispettivamente a +1,5 e ad +1,4); anche in altri casi la differenza non è particolarmente apprezzabile: scienze mm.ff.nn (ind. scientifico, +2,9), scienze della formazione (+3).

Tab. 5 Condizione occupazionale dei laureati italiani a tre anni dalla laurea (laureati sessione estiva 1998). Dati percentuali

Occupati

Non lavorano

Totale

Totale

Di cui: svolgono un lavoro continuativo iniziato dopo la laurea

Non
cercano

Cercano

Gruppo economico-statistico

81,6

72,4

11,4

6,9

24.547

Gruppo giuridico

55,2

47,6

26,4

18,3

19.159

Gruppo ingegneria

93,0

88,3

4,6

2,3

14.563

Gruppo letterario

70,0

56,2

11,4

18,4

12.320

Gruppo politico-sociale

82,5

63,1

6,4

10,9

9.667

Scienze politiche

83,0

65,1

6,1

10,7

7.497

Sociologia

77,7

38,1

6,9

15,3

1.215

Scienze della comunicazione

80,0

72,5

9,6

10,2

618

Relazioni pubbliche

94,5

90,2

4,3

1,0

337

Gruppo architettura

84,2

70,1

8,2

7,4

7.567

Gruppo linguistico

76,8

62,7

8,9

14,2

7.539

Gruppo medico

20,0

17,6

76,9

3,0

6.859

Gruppo bio-geologico

66,9

57,9

20,1

12,9

5.328

Gruppo scientifico

80,5

74,9

12,6

6,8

4.912

Gruppo chimico-farmaceutico

82,0

78,0

12,4

5,4

4.390

Gruppo insegnamento

80,3

50,5

7,6

12,0

3.799

Gruppo psicologico

76,8

62,4

9,1

13,9

3.258

Gruppo agrario

77,0

68,5

12,6

10,2

2.587

Totale

73,5

63,2

16,0

10,4

126.495

Fonte: elaborazione di dati in Istat (2004, A-26)

24A parziale integrazione delle tabelle precedenti presento i dati di provenienza Istat (cfr. tab. 5) che contemplano un numero più elevato di studenti nel raggruppamento politico sociale (9.667) e per i quali riporto anche i sub-totali. I laureati in sociologia sono tra i meno favoriti nella ricerca di un posto di lavoro ad un anno dalla laurea (15,3), terzi dopo i laureati del gruppo giuridico (18,3) e letterario (18,4). Purtroppo le differenze nella raccolta delle informazioni e le diverse definizioni operative adottate non permettono un confronto diretto: basti pensare che i laureati della classe giuridica in cerca di lavoro a tre anni dalla laurea riportano un tasso di 8,9% per Almalaurea e del 18,3% per i dati Istat. Per gli studenti del gruppo letterario si osservano discrepanze ancora più accentuate: 5,9% per Almalaurea, 18,4% per Istat.

Tab. 6 Condizione occupazionale dei laureati in 24 università italiane per anno di laurea

Tab. 6 Condizione occupazionale dei laureati in 24 università italiane per anno di laurea

Fonte: Almalaurea (2004, A-6).

25Una visione d’insieme ci è poi offerta dalla tab. 6.

  • 23 I dati Istat riguardano solo i laureati con il vecchio ordinamento (nel 1998).

26Questi primi dati possono essere confrontati con quelli di provenienza Istat (2003a), in particolare per quanto riguarda la spendibilità del titolo di studio23. Soprattutto sembra importante esaminare la relazione tra il titolo di studio conseguito e la sua spendibilità, ovvero la congruenza con il grado d’istruzione conseguito, pur riconoscendo che «gli studi universitari non possono e non devono essere orientati unicamente dal mercato del lavoro». Da un lato si snaturerebbe l’università, dall’altro s’introdurrebbero delle rigidità rischiose per gli studenti, poiché in molti settori l’eccesso di specializzazione costituisce un «forte vincolo di fronte ad un mercato del lavoro che cambia in tempi estremamente veloci le proprie necessità» (Capano, 2000, 85).

27Nella tab. 7 i dati sono ordinati in modo decrescente per la modalità ‘laurea non necessaria’: com’era lecito attendersi, i laureati dei gruppi medico, chimico-farmaceutico più facilmente trovano un’occupazione coerente col titolo di studio conseguito, mentre oltre la metà dei laureati dei gruppi politico-sociale e linguistico è impiegata in un lavoro che non richiede la laurea; molto al di sopra della media sono situati i gruppi insegnamento e letterario. La media è comunque molto alta: quasi il 33% dei laureati è impiegato in occupazioni che non richiedono una laurea, e se si escludono dal novero delle lauree il gruppo medico (1,3%) e chimico-farmaceutico (7,4%), la media sale a quasi il 35%.

Tab. 7 Laureati del 1998 che nel 2001 lavorano in modo continuativo per necessità della laurea rispetto al lavoro svolto, per gruppo di corsi. Dati percentuali

La laurea è necessaria

Laurea
non
necessaria

Intervistati

Posseduta

In specifiche
aree
disciplinari

Una
qualsiasi

Totale

Politico-sociale

10,3

24,9

10,4

45,6

54,4

9.667

Linguistico

25,4

15,7

7,7

48,9

51,1

7.539

Insegnamento

22,6

24,0

8,3

54,9

45,1

3.799

Letterario

26,9

20,2

8,8

55,9

44,1

12.320

Economico-statistico

24,2

32,9

4,2

61,3

38,7

24.547

Scientifico

23,7

39,3

3,5

66,6

33,4

4.912

Psicologico

43,3

22,0

5,1

70,4

29,6

3.258

Giuridico

46,6

20,2

4,4

71,2

28,8

19.159

Agrario

55,2

19,0

1,8

75,9

24,1

2.587

Geo-biologico

36,2

37,9

2,5

76,6

23,4

5.328

Ingegneria

42,6

34,7

2,6

79,8

20,2

14.563

Architettura

59,5

18,9

1,7

80,1

19,8

7.567

Chimico-farmaceutico

54,8

36,8

1,1

92,6

7,4

4.390

Medico

82,1

15,6

1,0

98,7

1,3

6.859

Totale

35,1

27,7

4,7

67,4

32,6

126.495

Fonte: elaborazione di dati Istat (2004, A-32; 2003b, 7).

28Considerare l’università nel proprio contesto significa considerare anche la dimensione temporale: chi s’iscrive all’università? Con quali caratteristiche? Quanti vi rimangono? Mentre non si hanno informazioni relative alle competenze e conoscenze di chi s’iscrive all’università – almeno non al livello delle informazioni sui laureati – alle altre domande si può rispondere attraverso i dati Istat (2003a), dai quali si può evincere la presenza di più barriere. La prima selezione riguarda l’accesso al sistema universitario: il tasso di passaggio all’università aumenta quanto più si sale nella stratificazione sociale delle famiglie di origine: dal 32% per i maturi con padre in possesso al più della sola licenza elementare e 38% per quelli di estrazione operaia, a ben l’89% per quanti hanno il padre laureato e 68% per coloro che provengono da famiglie borghesi (tab. 8).

Tab. 8 Percorsi dei diplomati nel 1998 per titolo di studioa e classe socialeb del padre. Dati percentuali

Titolo di studio e classe sociale del padre

Maturi non iscritti all’università (per 100 maturi)

Maturi iscritti all’università (per 100 maturi)

Maturi che si sono iscritti all’università

Hanno interrotto entro 3 anni

Sono iscritti nel 2001

a corsi di ploma(c)

a corsi di laurea

Totale

Totale

Titolo di studio

Lic. elementare

67,6

32,3

15,5

15,9

68,7

84,5

100,0

Lic. media

57,3

42,6

12,3

11,3

76,4

87,7

100,0

Maturità

36,3

63,7

9,9

9,6

80,5

90,1

100,0

Titolo universitario

11,2

88,8

2,8

5,7

91,5

97,2

100,0

Totale

48,3

51,7

10,4

10,3

79,3

89,6

100,0

Classe sociale

Classe operaia

62,4

37,6

12,7

11,9

75,5

87,3

100,0

Piccola borghesia

52,6

47,4

12,3

12,5

75,1

87,7

100,0

Classe media

35,6

64,4

8,3

8,7

83,0

91,7

100,0

Totale

48,3

51,7

10,4

10,3

79,3

89,6

100,0

(a) La licenza elementare include gli analfabeti ed i senza titolo; la maturità include i diplomi secondari superiori che non consentono l’accesso all’università; la laurea include i diplomi universitari e titoli post-laurea.
(b) La classe operaia comprende: coltivatori diretti, lavoratori autonomi senza qualificazione, capi operai, operai qualificati, lavoratori senza qualificazione, lavoratori presso il domicilio, apprendisti. La piccola borghesia comprende: impiegati esecutivi, soci di cooperativa, lavoratori in proprio, collaboratori ad attività autonoma familiare, graduati. La classe media comprende: quadri, funzionari, collaboratori, consulenti professionali, insegnanti, tecnici o impiegati ad alta/media qualificazione. La borghesia comprende: imprenditori, liberi professionisti, dirigenti, docenti universitari, ricercatori.
(c) Sono incluse le scuole dirette a fini speciali. Sono inclusi i già diplomati.

Fonte: Istat (2003a, 103.)

29La selezione operata dall’ambiente familiare continua a mostrare i suoi effetti anche successivamente. A tre anni dall’immatricolazione, sono soprattutto i giovani che più possono contare sull’appoggio familiare a resistere nell’attività formativa, laddove quanti provengono da gruppi sociali e culturali più svantaggiati abbandonano più frequentemente gli studi universitari (Istat, 2003a, 103).

  • 24 Le relazioni tra proprietà ascritte (capitale culturale, patrimonio o reddito familiare, propension (...)

30Le diverse opportunità sono evidenti anche in relazione alle possibilità di successo24: l’incidenza dei giovani con padre laureato o inserito ai vertici della stratificazione sociale – che già cresceva progressivamente nel passaggio da maturi mai iscritti all’università, a maturi rinunciatari, a maturi che procedono nel percorso accademico – aumenta ulteriormente tra i diplomati universitari e ancor più tra i laureati (Istat, 2003a, 103).

  • 25 E precisamente, per stimare la probabilità d’abbandonare l’università di Milano Bicocca nel passagg (...)

31A ciò si aggiunga che a parità di facoltà frequentata, le caratteristiche socio-culturali dei singoli studenti influenzano considerevolmente i rischi di abbandono: «è questo, in particolare, il caso del tipo di maturità acquisita, carattere che può essere considerato espressivo delle origini sociali dei singoli» (Schizzerotto, 2002, 88). Il modello di regressione logistica approntato per stimare le probabilità d’abbandono per gli studenti dell’università di Milano Bicocca25 mostra che i rischi di abbandono sono minimi tra i maturi dei licei classici e scientifici, s’innalzano nel caso dei provenienti da altri liceali, dagli istituti tecnici e dagli istituti magistrali, per raggiungere il loro massimo tra i soggetti in possesso di maturità professionale. In assenza d’un adeguato sistema di supporto al diritto allo studio, sembra impossibile ostacolare una forma perversa di ridistribuzione del reddito, cioè «l’uso di risorse collettive a vantaggio di un ristretto numero di beneficiari» (Capano, 2000, 88).

4. Uno sguardo introspettivo: dentro l’Università

  • 26 Questi dati possono non essere precisi, a causa di lacune nella raccolta delle informazioni: se in (...)
  • 27 E a ciò s’aggiunga il monte-ore di didattica “non obbligatoria” affidato ai ricercatori.

32Esamino qui i dati del Miur anche in relazione al personale docente – e in particolare al personale a contratto. Per avere un’idea del peso dei docenti a contratto sulla vita universitaria italiana, basta considerare i dati al 31/12/2002 riportati nella tab. 9: a fronte di 57.533 docenti di ruolo, i professori a contratto delle sole università statali – titolari di insegnamenti ufficiali o di attività didattiche integrative – sono pari a 32.971 (Miur-Urst e Afam-Ufficio di Statistica, 2004). Ciò significa che quasi il 41% del personale docente è a contratto26. Se anche escludiamo dal computo dei docenti a contratto i titolari di attività didattiche integrative, rimangono 22.195 titolari di soli insegnamenti ufficiali, con un tasso di contrattisti sul totale del personale docente pari al 28%. Se ciò non autorizza ad inferire una bassa professionalità del docente impiegato e della didattica, quel dato può tuttavia essere assunto come espressione di un certo malessere presente nel mondo universitario27: saranno più probabili alti tassi di turnover (e dispiace che un siffatto indicatore non sia preso in considerazione dai tanti, anzi tantissimi enti preposti alle rilevazioni) che potrebbero provocare una scarsa continuità didattica all’interno dei singoli corsi di laurea.

Tab. 9 Personale docente di ruolo ed a contratto

Anno

Docenti di ruolo

Per 100 docenti di ruolo

Titolari di insegnamenti ufficiali e/o integrative(b)

Docenti a contratto sul totale del personale docente

Ordinario

Associato

Ricercatore

1997-1998

49.187

27,2

31,8

41,0

12.029

19,7

1998-1999

49.207

27,2

31,7

41,0

12.803

20,6

1999-2000

50.501(a)

25,6

35,7

38,7

13.247

20,8

2000-2001

51.953(a)

28,9

33,2

37,9

14.722

22,1

2001-2002

54.856

30,8

32,6

36,6

31.775

36,7

2002-2003

57.533

31,5

32,2

36,3

39.619

40,8

I dati del personale docente di ruolo sono al 31 dicembre di ciascun anno.
Per le università statali, fino all’a.a. 1997/98 si fa riferimento alle forme contrattuali previste dal DPR 382/80 art. 25 e art. 100, dalla L. 549/95 art. 1, comma 32 e dal DPR 162/82. Per l’a.a. 1998/99 si fa riferimento a tutti i contratti di lavoro non a titolo gratuito. Dall’a.a. 1999/2000, si fa riferimento al DM 242/98.
(a) Per gli a.a. 1999/2000 e 2000/2001 non sono disponibili l’ISEF del L’Aquila e l’ISEF di Torino.
(b) Il dato deriva dalla somma dei docenti titolari di insegnamenti ufficiali e/o attività didattiche integrative in università statali e non statali. Per l’a.a. 2001/2002, 26.106+5.669, per l’a.a. 2002/2003, 32.971+6.648.

Fonte: elaborazione su dati MIUR-URST e AFAM-Ufficio di Statistica, http://www.miur.it/​ustat, luglio 2004.

33Come si vede, il numero dei professori a contratto è costantemente aumentato. Dall’a.a. 1997/1998 all’a.a. 2002/2003 i professori a contratto delle università sono più che triplicati (da 12.029 a 39.619), e sembra che le tendenze future non potranno essere molto difformi, visto il ripetersi del blocco delle assunzioni in ruolo stabilito dal ministero per far fronte ai problemi di spesa. Così, uno strumento progettato per consentire il contatto tra università e competenze esterne – degenerato, secondo alcuni in uno «stratagemma per sistemare alla meglio, almeno per un paio di anni, gli immancabili postulanti esterni» (sic!) (Piattelli Palmarini, 2004, 14) – è ora diventato uno dei pilastri sul quale si regge l’intero sistema universitario. Certo è che si tratta, per definizione, d’un pilastro né stabile né solido, costituito da persone che non sanno se il loro futuro sarà ancora dentro l’università: per quanto tempo ancora sarà in grado di reggere?

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Note

1 Ci si può porre la domanda se in Italia esiste la valutazione dell’università. Se per valutazione s’intende l’analisi fondata su un’attività di ricerca e l’espressione d’un giudizio su un’azione (Palumbo, 2001, 59), la fase dell’espressione del giudizio sembra del tutto assente, almeno a livello istituzionale. Si prenda ad esempio uno dei processi valutativi più diffusi: la valutazione della didattica da parte degli studenti, solitamente attraverso la compilazione di un questionario, momento al quale non segue quasi mai un processo decisionale, né alcuna conseguenza sul docente eventualmente valutato in modo negativo. Eppure dai risultati ottenuti dovrebbero derivarne decisioni e prese di posizione, quando necessarie (Tejedor, 2000). L’aspetto formativo del processo valutativo risiede nell’uso appropriato delle informazioni ottenute e non solo nella raccolta – spesso asistematica – d’informazioni.

2 L’espressione ‘campo semantico’ rinvia esplicitamente alla natura stipulativa, convenzionale, contestuale dell’evaluando. È «un campo semantico perché è oggetto di un’interpretazione e di conseguenti scelte di significazione che si tradurranno […] in concrete scelte operative» (Bezzi, 2001, 241 e ss.).

3 Per referente s’intende un qualsiasi possibile oggetto dei nostri pensieri, tangibile o meno.

4 Riprendendo la definizione di “bene relazionale” proposta da Pierpaolo Donati (1993, 121-122, nota 14), con l’espressione “servizio relazionale” intendo un servizio che può essere prodotto e fruito soltanto assieme dagli stessi produttori e fruitori, tramite le relazioni che connettono i soggetti coinvolti: il servizio è relazionale per il fatto che è («sta nella») relazione. Sulle peculiarità della valutazione dei servizi relazionali alla persona, si veda Parra Saiani (2004).

5 Avviare uno solo di questi processi significherebbe limitarsi ad una visione parziale degli elementi sui quali intervenire. Anche recenti documenti dell’Unione Europea insistono sulla necessità di adottare un triplice punto di vista in materia di valutazione: tecnico, politico e partecipativo (Palumbo, 1998, 39-40).

6 North (1990, 384) definisce un’istituzione come un insieme di costruzioni informali, regole formali e meccanismi che costituiscono le regole del gioco dell’azione umana.

7 I timori di un appiattimento del processo valutativo sulle sole dimensioni economiche non sono solo italiani: de la Orden Hoz afferma che si corre il rischio – traslando acriticamente le procedure proprie del controllo economico all’università – di distorcere gli stessi processi educativi e la produzione scientifica (1997, 2).

8 Sul punto si veda altresì Waugh (2003, 147).

9 Su cosa siano le competenze acquisite si potrebbe discutere. Segnalo al riguardo un breve passaggio dal tono ironico d’un articolo di House: «Step 4 – call in the evaluators. They can evaluate and measure the competency-based instructions; provide some much needed legitimacy; and, who knows, they may even know what competency-based instruction is» (1974, 621; corsivo mio).

10 Merler (1996, 17) sottolinea che il «ricorso a termini incomprensibili o ad altri codici linguistici [...] ci portano più spesso all’incomprensione del sé che alla doverosa comprensione dell’altro, perché non è la conoscenza della specificità e della ricchezza culturale altrui che ci viene offerta, ma semplicemente l’ammissione sottomessa a involucri, a incartocciamenti, ad avviluppi (e non a sviluppi)». Quando possibile si useranno i termini e le espressioni equivalenti italiane; per una maggiore comparabilità con la letteratura – prevalentemente statunitense – sarò costretto, mio malgrado, ad usare la terminologia originale.

11 Riconosco con Garbarino (2004, 8) che l’espressione ‘valutazione dell’università’ è «in prima istanza non sostenibile»; la complessità propria del variegato mondo universitario è scomponibile in «tessere di un mosaico che dovrà essere ricomposto (…) alla fine di un processo di sub ricerche valutative».

12 Sul tema, oltre al saggio di Claudia Loreti in questo stesso volume, rimando a Marradi (19843; 1994), Parra Saiani (ics).

13 Per approfondimenti teorici e bibliografici sulla triangolazione rimando a Parra Saiani (2001; 2004).

14 Il Consorzio Almalaurea è composto da 36 atenei: Università di Bari, Basilicata, Bologna, Bolzano, Calabria, Cassino, Catania, Catanzaro, Chieti-Pescara, Ferrara, Firenze, Foggia, Genova, Lecce, Messina, Milano-Iulm, Modena e Reggio Emilia, Molise, Padova, Parma, Perugia, Piemonte Orientale, Reggio Calabria, Roma Tre, Roma Lumsa, Salerno, Sassari, Siena, Torino, Torino Politecnico, Trento, Trieste, Udine, Venezia Ca’ Foscari, Venezia-Iuav, Verona (al febbraio 2004). Solo quelli che vi aderiscono da almeno un anno sono interessati alla rilevazione.

15 La rilevazione si è svolta dal 15 settembre 2002 alla prima metà del 2003 e ha coinvolto i laureati degli anni 1998, 2000 e 2002. Finora l’arco temporale era limitato ai tre anni dal conseguimento del titolo (Cammelli, 2004, i). De Francesco (2003) solleva il dubbio sulla fedeltà degli indicatori riferiti ad iscritti, laureati e docenti, dubbi dovuti alle differenze tra i diversi contesti (riferendosi, ad esempio, alle differenze qualitative tra tesi di atenei diversi così come al numero di anni necessari per conseguire il titolo).

16 È pur vero che – sempre stando a quanto riportato nell’introduzione – il tasso di occupazione accertato dall’Istat nel 2001 su un campione di laureati del 1998 intervistati a tre anni dal conseguimento del titolo si discosta di 1,8 punti percentuali rispetto a quello rilevato da Almalaurea, ma i dubbi rimangono.

17 Un riferimento particolare va dedicato al Piemonte, fanalino di coda tra le regioni con grandi università, con una spesa per ricerca e sviluppo universitaria appena superiore ai 200 milioni di euro e la più bassa incidenza in assoluto di tale spesa sulla spesa totale per ricerca e sviluppo in Italia (12,4%) (Istat, 2003a, 18-19).

18 Nell’aprile del 2003 il Cnvsu ha proposto un insieme minimo di domande per la valutazione dell’esperienza universitaria da parte degli studenti che concludono gli studi, e ciò per evidenti fini comparativi. «A tal fine Almalaurea ha introdotto nel proprio questionario, facendolo diventare operativo a partire dal settembre 2003, le domande proposte dal Cnvsu. In tal modo, le università consorziate in Almalaurea e il Cnvsu (…) disporranno (…) di tutta la documentazione richiesta dal Ministero e relativa ai laureati 2004» (Cammelli, 2004, nota 7).

19 86% per i laureati ad un anno dalla conclusione degli studi; 81% dopo tre anni; 76% a cinque anni dall’acquisizione dal titolo, percentuali che raramente si riscontrano in ricerche con un arco temporale così prolungato.

20 L’alto tasso di rispondenti assunto come indicatore di affidabilità dei risultati è poi quantomeno problematico nel caso di altre rilevazioni: per l’Università di Torino, la compilazione del modulo via telematica è condizione necessaria per poter presentare domanda di laurea, con tutte le conseguenze del caso sulla “spontaneità” delle risposte...

21 Il riproporzionamento consiste nell’attribuire ad ogni caso del campione un peso tale che le distribuzioni relative alle variabili siano simili a quelle osservate nell’insieme più ampio della popolazione: «se un laureato possiede caratteristiche socioanagrafiche (...) molto diffuse nella popolazione, ma non nel campione Almalaurea, ad esso sarà attribuito un peso elevato; contrariamente, ad un laureato con caratteristiche diffuse nel campione Almalaurea ma non nel complesso della popolazione verrà attribuito un peso minore. Per ottenere stime ancora più fedeli [sic!], si sono considerate le interazioni tra il genere e le altre variabili» (Cammelli, 2004, iii).

22 Desta qualche perplessità il dato relativo a Medicina e chirurgia: 14,1% ad un anno dalla laurea non lavorano ma cercano, tasso che diminuisce fino quasi ad azzerarsi a tre anni dalla laurea, per poi ritrovare un 13,6% a cinque anni dalla laurea. Anche il dato relativo a Lettere e filosofia sarebbe da analizzare meglio: dal 22,2% di persone che non lavorano ma cercano ad un anno dalla laurea, si scende al 5,9% a tre anni per risalire all’11,2% a cinque anni.

23 I dati Istat riguardano solo i laureati con il vecchio ordinamento (nel 1998).

24 Le relazioni tra proprietà ascritte (capitale culturale, patrimonio o reddito familiare, propensione al rischio, etc.) e successo scolastico sono state ampiamente dibattute in letteratura. Non potendo soffermarmi sull’argomento per motivi di spazio, rimando, fra gli altri, a Boudon (1973), Cobalti (1981) e Shavit, Bloosfeld (1993).

25 E precisamente, per stimare la probabilità d’abbandonare l’università di Milano Bicocca nel passaggio tra il primo ed il secondo anno di corso tra gli iscritti al primo anno nell’anno accademico 1998/1999.

26 Questi dati possono non essere precisi, a causa di lacune nella raccolta delle informazioni: se in uno stesso ateneo un docente ha stipulato nel corso di un anno più di un contratto verrà conteggiato una sola volta. Tuttavia, al momento non è possibile evitare duplicazioni nel caso in cui la stessa persona abbia stipulato nel corso dello stesso anno contratti con atenei diversi.

27 E a ciò s’aggiunga il monte-ore di didattica “non obbligatoria” affidato ai ricercatori.

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Indice delle illustrazioni

Titolo Tav. 1 Esiti, impatti e outcomes
Credits Fonte: elaborazione di Palumbo (1998, 49)
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/qds/docannexe/image/1109/img-1.jpg
File image/jpeg, 36k
Titolo Tab. 1 Condizione occupazionale dei laureati in 24 università italiane ad un anno dalla laurea: sessioni estive 2000, 2001 e 2002. Dati percentuali
Credits Fonte: elaborazione di dati in Almalaurea (2004, A-3)
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/qds/docannexe/image/1109/img-2.jpg
File image/jpeg, 252k
Titolo Tab. 2 Condizione occupazionale (saldo) dei laureati in 24 università italiane ad un anno dalla laurea: sessioni estive 2000, 2001, 2002
Legenda Rispetto alla tab. 1 sono stati espunti i dati relativi alle voci Pianificazione del territorio ed Altre lauree (per le quali non era possibile il raffronto tra i diversi anni, essendo disponibili solo i dati del 2002), Scienze motorie (3 soli studenti intervistati).
Credits Fonte: elaborazione di dati in Almalaurea (2004, A-3)
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/qds/docannexe/image/1109/img-3.jpg
File image/jpeg, 212k
Titolo Tab. 6 Condizione occupazionale dei laureati in 24 università italiane per anno di laurea
Credits Fonte: Almalaurea (2004, A-6).
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/qds/docannexe/image/1109/img-4.jpg
File image/jpeg, 80k
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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Paolo Parra Saiani, «L’università nel contesto italiano. Linee per la valutazione»Quaderni di Sociologia, 35 | 2004, 59-80.

Notizia bibliografica digitale

Paolo Parra Saiani, «L’università nel contesto italiano. Linee per la valutazione»Quaderni di Sociologia [Online], 35 | 2004, online dal 30 novembre 2015, consultato il 10 novembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/qds/1109; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/qds.1109

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Autore

Paolo Parra Saiani

Dipartimento di Ricerca Sociale – Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”

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