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Appendice

Mulomedicina Chironis 3-15 (la pratica del salasso). Testo critico, traduzione e commento

« Mulomedicina Chironis 3-15 (la saignée). Texte critique, traduction italienne et commentaire »
Mulomedicina Chironis 3-15 (the bloodletting). Critical text, Italian translation and commentary
Vincenzo Ortoleva
p. 275-308

Résumés

Édition critique, traduction italienne et commentaire des paragraphes 3-15, consacrés à la saignée du cheval, de la Mulomedicina Chironis.

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Texte intégral

Introduzione1

  • 1 Questo lavoro si inserisce nell’ambito del Progetto di Ricerca ‘Prometeo’ 2019 dell’Università di C (...)
  • 2 Aggiornate informazioni sul trattato in Fischer, 2008 (con ulteriore bibliografia fondamentale).

1Si pubblica qui il primo capitolo del primo libro (§§ 3-15) della cosiddetta Mulomedicina Chironis (il trattato, collocabile probabilmente nel iv sec., comprende in totale 10 libri suddivisi in 999 paragrafi)2. Data l’estrema difficoltà del testo, apparirà senz’altro chiaro come questo sia soltanto un tentativo di edizione e di interpretazione, sicuramente suscettibile di futuri miglioramenti.

  • 3 Meyer, 1885. Per la storia del ms. e una sua descrizione si veda Cózar Marín, 2005, p. XXI-XXVI. Un (...)
  • 4 Wölfflin, 1898.
  • 5 Oder, 1901.
  • 6 Niedermann, 1910.
  • 7 Sackmann, 1988, p. 65; id., 1993a e id., 1993b.
  • 8 Una descrizione del ms. in Cózar Marín, 2005, p. XXVI-XXVIII. Cf. anche infra e n. 12.
  • 9 Cózar Marín, 2005. Il lavoro è consultabile all’indirizzo http://www.historiaveterinaria.org/update (...)
  • 10 Fischer, 1994. Sempre presso la Biblioteca del Thesaurus linguae Latinae si trovano conservate copi (...)
  • 11 Oder, 1901, p. VII, n. 1.
  • 12 Meelführer, 1699, p. 132. La descrizione dei mss., come si evince dalla breve nota stampata a p. 13 (...)
  • 13 Ihm sapeva del ms. attraverso Fabricius, 1774, p. 178 (che a sua volta riprendeva la notizia da Mee (...)
  • 14 Cózar Marín, 2005, p. XXI. Un’erronea interpretazione di Oder, 1901, p. VII, n. 1, in Sackmann, 199 (...)
  • 15 E-mail dell’11 e del 23 dicembre 2002. Nell’interno della copertina di B si legge (a matita): «è Bi (...)
  • 16 http://www.e-codices.unifr.ch/it/list/one/ubb/D-III-0034.
  • 17 Consultabile in rete al medesimo indirizzo.
  • 18 Panzer, 1772, p. 56, n° 156: «Incerti auctoris liber de equis eorumque cura gr. 4. auf Pergam. gesc (...)
  • 19 Si noti come nella descrizione presente in Meelführer, 1699 sembri mancare il riferimento all’opera (...)
  • 20 La specificazione «halte Hand» sembra dovuta al fatto che le parole in questione sono scritte in on (...)

2L’opera fu, com’è noto, scoperta nel 1885 da W. Meyer nel cod. München, Bayerische Staatsbibliothek CLM 243, XV sec., cart. (M), un manoscritto miscellaneo contenente vari scritti di medicina umana e veterinaria (la Mulomedicina Chironis si rinviene ai f. 104-159v)3. Una prima trascrizione parziale (§§ 2-26) e provvisoria del testo fu compiuta da E. Wölfflin nel 18984. L’intera opera fu invece pubblicata criticamente appena tre anni più tardi da E. Oder per far fronte alle esigenze del Thesaurus linguae Latinae5. Quella di Oder rimane a tutt’oggi l’unica edizione completa e di dominio pubblico della Mulomedicina Chironis. Un’altra edizione critica molto parziale fu invece realizzata da M. Niedermann, che nel 1910 diede alle stampe il II e il III libro (§§ 57-296)6. Un apporto decisivo per la costituzione del testo della Mulomedicina Chironis si deve a W. Sackmann, che in maniera cursoria nel 1988, e più compiutamente nel 1993, diede notizia di un secondo testimone del trattato, il cod. Basel, Universitätsbibliothek, D III 34, a. 1495 (B), rimasto ignoto a Oder e a tutti gli altri studiosi7. Anche in questo caso si tratta di un codice miscellaneo: esso contiene Giordano Ruffo (f. 2-29v); la Mulomedicina Chironis (f. 33-221) e parte del De equis di Oliverius Neapolitanus (f. 231-250v). La porzione che tramanda Giordano Ruffo è in pergamena; il resto è cartaceo (su questo importante particolare si veda infra) 8. Dopo questa scoperta, dal punto di vista ecdotico, sono da segnalare la tesi di dottorato di J. M. Cózar Marín del 20059, in cui si pubblica criticamente ancora il II libro (§§ 57-113) e l’apparato critico relativo al testo di tutta l’opera realizzato da K.-D. Fischer nel 1994 a uso ancora una volta del Thesaurus linguae Latinae, dove si trova pure conservata una copia del lavoro stampata in proprio pubblicamente consultabile10. Un ulteriore aspetto della storia di questo testo è da rimarcare: già Oder aveva notato11 come R. M. Meelführer nel catalogo dei libri di Gottfried Thomasius (1660-1746), medico di Norimberga, menzionasse un manoscritto così denominato: Chironis Centauri, Absyrti et Cl. Hermerotis de arte veterinaria libri X. Oliverii Neapolitani de equis12. Tale codice tuttavia sfuggì a tutte le ricerche effettuate dall’editore princeps (e prima di lui a quelle di M. Ihm e dello stesso Meyer13), che poté solamente concludere in modo sconsolato: «Fortasse alii viri docti in indagandis bibliothecae Thomasianae ruderibus me feliciores erunt. Mulomedicinae codicem Thomasianum hodie alicubi latere paene certum videtur». Cózar Marín, riportando queste notizie, riteneva che il codice di Thomasius fosse un terzo testimone perduto del nostro testo14. Tuttavia non sembra che le cose stiano così: il codice di Thomasius e quello attualmente conservato a Basilea (B) sono probabilmente la stessa cosa. Avevo questo sospetto già nel 2002, quando avevo contattato il Prof. Martin Steinmann dell’Università di Basilea per chiedergli notizie circa la provenienza del manoscritto. Il Prof. Steinmann mi rispose che esso era appartenuto a Werner de Lachenal (1736-1800), professore di botanica e anatomia a Basilea, e che non era in grado di andare oltre15. Alla fine del 2010 mi ero messo in contatto con la redazione di e-codices per richiedere la digitalizzazione di B. Il 31 marzo 2011 la Dott.ssa Marina Bernasconi, che ringrazio ancora in questa sede, mi comunicava che il codice era disponibile in rete16. Contestualmente alla digitalizzazione, la redazione di e-codices ha pubblicato anche un’accurata descrizione del manoscritto curata da Florian Mittenhuber e Ueli Dill17. Tale descrizione mette appunto in evidenza come B possa essere identificato con molta verisimiglianza con il codice descritto nell’appendice al catalogo di vendita della biblioteca di Thomasius stampato a Norimberga nell’ottobre del 1772 a opera di G. W. F. Panzer (1729-1805), apprezzato bibliografo del tempo18. Si noti in particolare: 1) il ms. di Thomasius viene inserito fra i codici cartacei, ma si specifica che esso ha 28 fogli in pergamena; come si è detto, i f. 2-29 di B (in cui è trascritto Giordano Ruffo) sono pergamenacei19. 2) La subscriptio dell’opera di Ruffo è così riportata da Panzer: Scripsit Philippus hunc librum sit benedictus; medesima subscriptio si rinviene al f. 29v di B. 3) Panzer precisa che alla fine della cosiddetta Mulomedicina Chironis una «halte Hand» ha posto: Claudius. Heromeros. Veterinarius. Explicit. 1495; in B al f. 221 si legge: CLAUDIUS. KERMEROS. VETERINARIUS. EXPLICIT FELICITER 1495 xiii mensis Marcii anno Terci Alexandri Pape vi.20. 4) Secondo Panzer l’ultima opera tràdita dal codice consisterebbe in Ex Oliuerio (regis Neapolit. Ferdinandi I. magistro Stabuli) quaedam de equis; nel margine superiore del f. 231 di B una seconda mano ha annotato: Ex Oliverio regis Neapolitani Ferdinandi I. magistro stabuli, qui optime scripsit de equis. Sed non est hic principium nec finis. forte Neapoli reperitur (in rosso); l’opera è effettivamente mutila.

  • 21 Si aggiunga una discrepanza notevole nella distribuzione del testo dei §§ 977-999: essi si trovano (...)

3In mancanza di un riesame complessivo dell’opera alla luce della scoperta di B, restano ancora da chiarire a fondo i rapporti fra i due testimoni del trattato, sebbene lacune presenti in B e assenti in M, e viceversa, sembrino escludere una discendenza diretta di un testimone dall’altro21.

  • 22 Il testo del I libro dei Digesta artis mulomedicinalis di Vegezio è citato secondo Ortoleva, 1999; (...)

4In ultimo è da sottolineare come Publio Vegezio Renato (V sec.) abbia rielaborato molto materiale tratto dalla Mulomedicina Chironis ai fini dell’allestimento dei suoi Digesta artis mulomedicinalis. Quest’ultima opera costituisce pertanto un’importantissima testimonianza indiretta del trattato. Nella fattispecie, i §§ 3-15 (che sono oggetto di questo studio) si rinvengono riutilizzati da Vegezio in mulom. 1, 22-24. L’apporto della tradizione vegeziana sarà di volta in volta evidenziato nell’apparato e nel commento22.

1. Sigla

5Codices:
B = Basel, Universitätsbibliothek, D III 34, a. 1495.
M = München, Bayerische Staatsbibliothek, CLM 243, XV sec.

6Viri docti:
Bücheler = Francisci Bücheler emendationes (cf. Oder, 1901, p. XXVII).
Fischer = Fischer, 1994.
Hoppe = Caroli Hoppe epistula ad Wilhelmum Heraeus missa a. 1930 (uide commentarium ad loc.).
Morgenstern = Ottonis Morgenstern emendationes (cf. Oder, 1901, p. XXVII).
Oder = Oder, 1901.
Oder2 = Oder, 1901, p. XXIX-XXXVII (Addenda et corrigenda).
Wölfflin = Wölfflin, 1898.

2. Testo critico

I. De sanguinis detractione

73. Firmissimum adiutorium est medicinae sanguinis detractio, uerumtamen si rationaliter et localiter fiat. Licet paene in omnibus ualetudinibus fieri sanguinis detractio praecipitur, saepe tamen ignorantibus rationem per sanguinis detractionem periculum uitae fecisse contegit. Non enim similiter omni aetate iumentorum uel omni tempore, sed nec hominibus, sanguinis detractio fieri praecipitur. Cuius ergo tamen rationem protinus reddo.

84. Primum de sanguine reddenda est ratio quod, cum in corpore per ipsum uita constet, rursus detractus a corpore sanitatem praestet. Ex quacumque enim causa ualitudo in aliquam partem corporis quae pertinet, semper indigestione fatigatus sanguis corrumpitur, decurrit per omnia membra et totius corporis languorem inferet. Per quem incipit strictura et tensio nasci per inflationem uenarum. Qua strictura et tensio corporis aliter laxari non potest nisi per sanguinis detractionem. Aliud enim compendium nullum est nisi sanguinis detractio, per quam uniuersa corporis uitia et morbi abstrahi possunt. 5. Ideoque praecipitur propter errorem alicuius passionis herbarum tempore quotquot annis de ceruice iumento sanguinem detrahere debere, et sic in herbam mittere, ne nouitas sanguinis detractioni, emixtus corrupto ex aliqua ualitudine, feruore suo quamcunque partem corporis interius uexatam soluat. Nunc etiam negauerunt iumenta debere depleri consuescere ueteres [auctores] auctores nostri, nec consuetudo deplendi omnibus annis fiat.

93. uerumtamen BM: u- t- Wölfflin Oder || rationaliter B: rationabiliter M || ualetudinibus BM: balatubus sic Wölfflin || praecipitur B: -piatur M approbat Fischer || rationem M: racio- B || contegit B: contingit M || sed BM: sic dubitanter in appar. Wölfflin || hominibus BM: omnibus Morgenstern Oder || ergo BM: ego Wölfflin || tamen BM: iam Bücheler.

104. praestet BM: -at Wölfflin || quod cum ego: quod tum B quodcumque M quamcunque Wölfflin quocunque Oder || constet B: -stat M || praestet BM: -stat Wölfflin || quacumque B: -cunque M || post ualitudo add. est Oder || ante quae pertinet crucem apposuit Wölfflin || indigestione BpcM: exdigestione Bac || decurrit BM: discurrit Oder || totius corporis BM: toti corpori dubitanter in appar. Wölfflin || inferet ego: -ferret B -fert M || per quem BM: post quae Wölfflin || incipit B: -piet M || inflacionem ex corr. B || qua BM: quae Wölfflin Oder || nullum M: ullum B || uitia Wölfflin Oder: uita BM || possunt B: putatur M -ntur Wölfflin.

115. quotquot B: quodquod M || ceruice M: -cis B || iumento BM: -torum Wölfflin || sic B: si M || nouitas BM: nouatus Wölfflin || sanguinis B: -guis M fort. recte || detractioni ego: detractationi BM detractione Wölfflin Oder detractione <non detractus> Hoppe; uerbum secluserat Ortoleva, 1997 || emixtus BM: comm- Wölfflin mixtus Oder || nunc BM: hinc Wölfflin || auctores1 secl. Oder; seruauit Wölfflin || nec BM: ne Wölfflin Oder.

126. Quotiens enim in consuetudine aliquo tempore detractio sanguinis detracta non fuerit, statim ualitudines et morbos intra corpora fieri dixerunt. Hanc ergo consuetudinem non faciendi recte obseruabimus et circa maiores aetates semper facere.

13Quemcumque tamen depleri oportet, sic obseruandum erit ut recte fiat. Ante pridie disponendus erit ut minus cibetur, ut possit per diastimam compositio corpori esse, non turbulento per indigestionem. Statues iumentum in aequali, ceruicem illius loro cinges, quod lorum strictius teneatur super scapulas ab aliquo, ut possit uenas clarius eminere.

147. Hunc locum deductum inferius quam mediam ceruicem, medio enim in loco ceruicis (uel inferius duobus palmis quam bifurcio, qui est ad gylan positum in lateribus faucium), sicut dixi inferius, uena sagitta pungi debet, sic antequam percutias, spongiola cum aqua deduces post pilum, ut possit clarius eminere. Pollicem inferius quam locum depremes, ut uena superius extumidior fiat et non ludat, et sic adcutatam sagittam exiges. 8. Hinc quae sit idem ratio quod sanguis detractus quibusdam causis unctionibus mixtus, uel mero uel aceto et oleo, rursum eandem causam liniri praecipitur. Ali uero sanguinem mixtum dixerunt ideo causis imponi propter collesin medicamentorum. Hoc autem proprium non est: multis enim generibus collesis medicamentorum aliter fieri potest. Detractus autem sanguis propter quamcunque partem inbecillitatem uel dolorem, suo corpori imposito, ut remedium antipathiae prodest suo corpori omnemque imbecillitatem et dolorem. Nam sui corporis consuetudinem et sanitatem, adhaerens corpori sanguis, exugit uitium. 9. Ne hoc plus quam tribulum exegeris, ne gylam aut gurgulionem rumpas. Hoc enim passus uitae periculum contingere solet. Percussa uena dabis fenum uel ferraginem uiridem, ut possit manducando per motum maxillarum per uenam melius acontidiare. Facies decursionem sanguinis quantum tibi satis fuerit, prout magnitudinem corporis uideris.

156. aliquo M: -qua B || quemcumque B: per compendium M -cunque Oder quaecunque Wölfflin || oportet B: -teat M || ante pridie B: antepridie M || diastimam B: dya- M || compositio Oder: composicio BM Oder2 compositicio Hofmann in ThlL s.v. compositicius’ composito Wölfflin Fischer || corpori BM: -re Wölfflin || turbulento B: turbo- M || aequali BM: ae- <solo> uel <loco> dubitanter in appar. Wölfflin || uenas BM: uena Wölfflin Oder.

167. hunc B: huc M tunc Wölfflin || locum BM: lorum Oder || deductum BM: deducito Wölfflin || duobus BM: duabus Wölfflin || bifurcio B: byfurtio M || gylan BM: gulam Oder gylam Wölfflin || inferius secl. Wölfflin || uena sagitta Wölfflin Oder: uenas agita BM || percutias Oder: -cias BM || spongiola M: spang- B || deduces ego: -is BM deluis dubitanter in appar. Wölfflin || pollicem M: poli- B || locum2 BM: lorum Oder et Fischer || depremes ego: -premis B primis M || ludat BM: cludat Wölfflin || adcutatam M: adcuratam B acutatam Oder || exiges ego: -is BM.

178. paragraphum ut spuriam om. Wölfflin; iniuria huc delatam putauit Oder || quae sit idem BM: neque sit item Bücheler || ratio Oder: -cio BM || et oleo M: uel o- B (sed cf. Veg., mulom. 1, 22, 9: aceto oleoque permixtum uel aliis medicamentis) || ali uero Oder: a libero BM || sanguinem ego: -ne BM || collesin Oder: colles in BM || collesis Oder: collectis BM || partem B: -te M || imbecillitatem uel dolorem ego: -te uel -re BM || antipathi(a)e B: aut hi pathie M iam correxerat Bücheler || post dolorem add. tollit Oder || consuetudinem B: -ne M || et BM: praestet Oder || exugit BM: et ex- Oder || uitium Oder: -cium BM.

189. ante ne hoc crucem apposuit Wölfflin || gylam BM (gylā M): gu- Oder || enim M: omni B || passus B: passur M passum Wölfflin Oder || contingere B: -tigere M || ferraginem B: fera- M || possit M: possint B approb. Fischer || acontidiare Wölfflin Oder: acottidiare M a cottidiare B.

1910. Cum bene ambulantes spurcitias sanguinis uideris et coeperit rubidior esse sanguis, statim iumentum tolles a cibo. Statues non minus horis duabus, ut recomponat se corpus. In placa pitaccium ponere curabis. Alii quidem uero utuntur et creta. Postmodum mollia dabis et adaquabis. Deinde loco tenebroso et calido statues et ferraginem subicies, quam die et nocte dabis manducare per dies numero septem. Melius est ut et aquam ostendes ne bibere uelit. Haec ita ferrago melior erit, si ex tritico detur. 11. Si non habueris, ordeaciam dabis. Quam dicunt utiliorem esse, si ad mare seminata fuerit, propterea quod facilius uentrem soluat et humores deducat. Quare praecipitur clerocoelicis, hoc est qui non soluuntur. Nitrium tusum ferragini asparges, ut possit spurcitias corporis per solutionem uentris expurgari. Quare ferrago datur. Postmodum incipiet innouato sanguine bene ualere. Deinde post numerum certum dierum producimus eos ad solem et sanguinem eis detrahimus de palato, hoc est despumabimus, tertio gradu dentibus caninis ut possit lingua subpremere propter fluxum sanguinis et suspendes altius.

2012. Ideoque dispumamus post depletionem propter spurcitiam herbae eum de palato; inflabitur ergo dispumatus quibus consuetudo deplendi causa non est. Ipso die mollia et mollibus cibariis uti debebunt. Ex alio die deinde per singulas bilibres singulis diebus adiectis perducamus eos ad certum pristinum modum [quo certum]. Quo tempore tamen et herbam uiridem interdum dabimus propter desiderium, tamdiu quanto tempore herba uiridis fuerit.

2110. bene Oder: vene BM || spurcitias Oder: spurcicias BM || tolles ego: -is BM || ut M: et B || placa pitaccium ego: placapitaccium M placapitacium B placa pittacium Oder plaga pitaccium Wölfflin || curabis M: -bas B || utuntur et creta B: et c- u- M || calido M: call- B || melius (an melior?) est ut et ego: medio stutet BM medio cubet Oder medio stet et Bücheler; ante medio crucem apposuit Wölfflin, sed medio statues Wölfflin in Oderi appar. (approbat Oder2) || ostendes B: -dis M del. Wölfflin || post ne add. <desit, si> Wölfflin || ex tritico detur Oder: exstricti codetur B extricti codetur (ex tritico s. l.) M.

2211. ordeaciam Wölfflin Oder: ordeacium M ordiacium B || quam dicunt BM: quae dicitur Wölfflin || soluat B: -uit M || clerocoelicis Oder: clero celicis BM scleroceliis Wölfflin || nitrium B (iam con. Bücheler): uitrium M || ferragini Oder: ferragium BM || asparges ego: aspargit B aspergis M || spurcitias Wölfflin Oder: -cicias BM || solutionem Wölfflin Oder: -cionem BM || expurgari BM: -re Wölfflin || quare2 del. Wölfflin || datur B: datus M || bene Wölfflin Oder: uene BM uero Löfstedt, 1912 || ualere M: ualore B || tertio Wölfflin Oder: -cio BM || post gradu add. <a> Wölfflin || lingua B: ligwa M || subpremere BM: subpri- Wölfflin || suspendes ego: -is BM || altius Oder: -cius BM.

2312. depletionem M: -ctionem B || herbae Oder: herbā M herba B herbarum Wölfflin || eum de ego: eundem BM de Wölfflin || palato ego: -um BM || ante dispumatus add. <non> Oder || mollia BM: mollia <dabis> Oder furfure Wölfflin || singulas B: -los M || adiectis BM: -ctos Oder || per singulas — adiectis sic Wölfflin: per singulos dies singulis bilibris adiectis || perducamus B: -cemus M || quo certum del. Wölfflin Oder || tam diu M: tam diuo B.

2413. Cum uenerint ad certum modum cibariae, hoc est post dies numero quinque, paulatim promouere cottidianis diebus per dies similiter numero quinque ita sic adiectione per singula milia [dies] passus similiter per singulos dies itineri promouendum facias, ne subitatio longi itineris corpora eorum incommodet. Post hanc ergo promotionem lauabimus eos ad mare. Diligenter curabimus tergere ne aliqua pars humoris perfrictionem eis inferat. Mero et oleo perungere et perfricare eos oportet, ut corpora eorum thermasiam passa a perfrictione corroborentur. 14. Post hanc corroborationem post dies alios decem cursui et labori committuntur. Quadrigarios equos tamen a die dispumationis numquam minus quam quadrigesimo die cursui et labori committamus. Castratos autem numquam deplere debemus herbae causa (hoc est legittima mittere): contingit enim eis euiriari. Hoc enim auctores praecipiunt, quod et nos utique intelligere debemus: iam enim partem uirium cum testibus amiserunt. 15. Similiter et asino sanguis numquam detrahi debet de matrice: est enim corpus inhabile et exiguo sanguine natus. Vnde et hoc animal minus bibit et non facile sitit per gracilitatem uenarum. Similiter et in equos admissarios obseruabimus ne in legitima mittantur: partes enim uirium sanguinis in coitum digerunt. Sed si tamen ab admissura desinuerint, nisi quotquot annis depleantur herbarum tempore, ad caecitatem peruenient. Illa enim furia quam consueuerunt per coitum digerere in oculis eorum redundat et sic caeci fiunt.

2513. uenerint M: -rim B || promouere BM: -uemus Wölfflin || sic ego: sit BM fit Wölfflin ut Bücheler Oder || adiectione M: a directione B || per2 del. Bücheler Oder || singula milia dies BM singulos dies mille Wölfflin; dies del. Bücheler Oder || itineri BpcM: -ris Bac || subitatio Oder: -cio BM || corpora eorum Wölfflin Oder: corporeorum BM || incommodet B: -dat M || promotionem Oder: -cionem BM || tergere BM: <et> tergere Wölfflin || inferat Oder: Iuferat sic BM inserat Wölfflin || perungere M: -ungwero B.

2614. cursui Mpc: cursi BMac || quadragesimo B: XL° M || committamus BacM: -ttimus Bpc || herbae ego: -bam B -ba M || hoc B: haec M || legittima ego: legittimam B legittimum M <in> legitima Ortoleva, 1997 || causa — mittere del. Oder; librarius codicis M inter lineolas inclusit; leg- mittere del. Wölfflin || enim M: om. B || eis euiriari Wölfflin Oder: ei seuiriari B ei se iuriari M.

2715. numquam detrahi B: d- n- M || bibit ego: -bet BM || admissarios Wölfflin Oder: admisar- BM || ne BM: ne <hoc fiat si> aut si uel cum Oder2 || coitum Wölfflin Oder: choitum B coytum M || admissura desinuerint Wölfflin Oder: amissu radix in uenerit BM || quotquot B: quod quod M quodquod Wölfflin Oder || caecitatem Wölfflin Oder: ce- M co- ? B.

3. Traduzione23

I. Il salasso

283. Un rimedio sicurissimo per la medicina è il salasso, ma tuttavia se lo si pratica secondo le regole e nelle parti appropriate. Sebbene quasi in tutte le affezioni si prescriva il salasso, spesso tuttavia è capitato a coloro che ne ignoravano la tecnica di causare pericolo di vita attraverso il salasso. Il salasso infatti non si prescrive agli animali (ma neppure agli uomini) di qualsiasi età o in qualsiasi stagione. E su di esso do dunque spiegazioni.

294. Per prima cosa riguardo al sangue bisogna spiegare perché se la vita sussiste nel corpo grazie a esso, la sua detrazione dal corpo può al contrario assicurare buona salute. Quando infatti c’è una malattia che nasce da una qualsiasi causa che concerne una qualche parte del corpo, sempre il sangue, logorato dall’indigestione, si corrompe, scorre attraverso tutte le membra e porta malessere a tutto il corpo. Attraverso di esso iniziano a insorgere contrazione e tensione a causa del gonfiarsi delle vene. Tale contrazione e tale tensione del corpo non possono essere allentate altrimenti se non tramite il salasso. Non esiste infatti alcun altro rimedio a parte il salasso, attraverso cui si possano eliminare tutti i malanni e tutte le malattie del corpo. 5. E per questo motivo, per evitare il propagarsi di una qualche malattia, si prescrive di togliere il sangue al cavallo dalla vena giugulare ogni anno in primavera e di mettere l’animale all’erba dopo aver fatto ciò, affinché il sangue nuovo destinato al salasso, se mischiato a quello corrotto a causa di una qualche malattia, non allenti qualche parte del corpo dopo averla tormentata internamente con il suo calore. I nostri antichi autori hanno ora tuttavia vietato che i cavalli debbano essere abituati al salasso e che la pratica si compia ogni anno. 6. Hanno infatti detto che ogni qual volta il salasso a cui gli animali sono abituati non sia stato effettuato si generano subito all’interno del corpo affezioni e morbi. Faremo dunque in modo di non osservare tale consuetudine e di praticare il salasso sempre agli animali adulti.

30Quando dunque è necessario praticare il salasso a un animale, bisognerà operare nella maniera seguente affinché l’operazione sia condotta correttamente. Il giorno prima si dovrà fare in modo che l’animale mangi di meno, affinché possa avere il corpo regolato per mezzo del digiuno, non in disordine a causa della cattiva digestione del cibo. Colloca il giumento in un luogo piano, cingi il suo collo con una cinghia, che deve essere tenuta stretta sopra le scapole da qualcuno, affinché le vene possano emergere chiaramente. 7. Strofinato il punto, più in basso della metà del collo – precisamente, come ho detto, sotto la metà del collo (o due palmi [15 cm] più in basso del bifurcium, che è posto verso la gola sui lati delle fauci) –, si deve perforare la vena con la lancetta, ma prima di dare il colpo friziona contro pelo con una spugnetta con acqua, in modo che la vena possa affiorare più chiaramente. Fai una pressione con il pollice più in basso rispetto alla parte affinché la vena in superficie diventi più gonfia e non faccia gioco, e quindi conficca una lancetta affilata. 8. [Bisogna] poi [spiegare] quale sia la ragione per cui, una volta detratto il sangue per una qualche malattia e mischiato con unguenti (come vino puro, aceto o olio), si prescriva a sua volta di applicare lo stesso sulla parte medesima. Alcuni hanno in particolare raccomandato di applicare il miscuglio con il sangue alle parti sofferenti per favorire l’adesione dei medicamenti. Ciò però non è corretto: in molti modi si può infatti ottenere diversamente l’adesione dei medicamenti. Il sangue invece che è stato detratto a causa della malattia o del dolore in una qualche parte, una volta applicato sul corpo stesso dell’animale, giova a tale corpo come rimedio che si basa su un principio opposto ed elimina ogni malattia e dolore. La familiarità del sangue con il proprio corpo e la cura, aderendo il sangue allo stesso, assorbono infatti la malattia. 9. Non conficcare più della punta della lancetta, per non danneggiare la gola o la trachea. Se infatti l’animale dovesse patire questo, si verifica di solito un pericolo di vita. Una volta incisa la vena somministragli fieno o farragine verde, affinché mentre l’animale mangia per mezzo del movimento delle mascelle il sangue possa meglio zampillare attraverso la vena. Fai scorrere il sangue quanto ti sembrerà opportuno in base alla grandezza del corpo. 10. Quando avrai visto andar via bene la sporcizia del sangue e lo stesso avrà cominciato a essere più rosso, subito allontana l’animale dal cibo. Tienilo fermo non meno di due ore, in modo che il corpo si rimetta a posto. Abbi cura di porre un impiastro sulla ferita. Altri però usano anche la creta. Dagli dopo cibi molli e fallo bere. Collocalo poi in un luogo buio e caldo e somministragli della farragine, che gli darai da mangiare giorno e notte per sette giorni. È meglio se gli metti innanzi anche dell’acqua nel caso voglia bere. La farragine sarà migliore se sarà data di frumento. 11. Se non ne avrai, dagliela d’orzo. Dicono che è più utile se è stata seminata vicino al mare, perché più facilmente libererebbe il ventre e caccerebbe via gli umori. Per questo motivo si prescrive agli stitici, cioè a quelli che non evacuano. Spargi del nitro in polvere sulla farragine, affinché le sporcizie del corpo possano essere espulse attraverso la liberazione del ventre. Per questo si dà la farragine. Dopo l’animale comincerà a stare bene essendosi rinnovato il sangue. Quindi, dopo un determinato numero di giorni, porteremo gli animali al sole e toglieremo loro il sangue dal palato, cioè li ‘dispumeremo’, alla terza corrugazione a partire dai denti canini, in modo che la lingua possa tamponare il punto in cui c’è il flusso di sangue. Ponilo anche in sospensione con la testa verso l’alto. 12. Per questo motivo, dopo il salasso, ‘dispumiano’ l’animale dal palato: a causa della sporcizia generata dalla messa all’erba; si gonfierà invece quello a cui è stato tolto il sangue dal palato quando non sia abituato a essere salassato. Il giorno stesso dovranno consumare cose tenere e cibi molli. Poi, a partire dal giorno successivo, aggiungendo ogni giorno due libbre di cibo in più, conduciamoli al regime precedentemente stabilito. Nel frattempo somministreremo tuttavia ogni tanto anche erba verde secondo il desiderio, per tutto il tempo in cui ci sarà erba verde. 13. Quando saranno pervenuti al regime di alimentazione stabilito, cioè dopo cinque giorni, falli muovere gradualmente ogni giorno sempre per cinque giorni secondo tale criterio: falli procedere aggiungendo un miglio di percorso ogni giorno, in modo che il carico improvviso di un lungo cammino non danneggi il loro corpo. Dopo dunque che saranno stati fatti muovere li laveremo a mare. Faremo molta attenzione ad asciugarli, affinché una qualche parte bagnata non procuri loro un raffreddore. È necessario ungerli con vino puro e olio e frizionarli, in modo che i loro corpi riscaldati siano rafforzati contro il raffreddamento. 14. Dopo altri dieci giorni da quando sono stati in tal modo corroborati, si riconducono alle attività di corsa e di esercizio. Per quanto riguarda tuttavia i cavalli delle quadrighe, essi saranno riammessi alla corsa e all’esercizio mai prima di quaranta giorni. Non dobbiamo poi mai salassare i cavalli castrati per mandarli all’erba, cioè ai pascoli comuni: avviene infatti che si indeboliscono. Questo infatti prescrivono gli autori, e anche noi dobbiamo comprenderlo: hanno infatti ormai perso parte delle loro forze insieme ai testicoli. 15. Allo stesso modo non si deve mai togliere il sangue all’asino dalla vena giugulare: ha infatti un corpo non adatto ed è nato con poco sangue. Perciò quest’animale beve di meno e non patisce facilmente la sete a causa della piccolezza delle vene. Similmente faremo anche riguardo agli stalloni nel caso in cui essi siano mandati nei pascoli comuni. Se invece cesseranno dalla loro funzione, se non saranno stati salassati ogni anno in primavera, incorreranno nella cecità. Quella libidine infatti che sono abituati a eliminare attraverso il coito si riversa nei loro occhi e per questo diventano ciechi.

4. Commento

313. rationaliter: La forma che si rinviene in B è più rara di rationabiliter, tramandata da M e da Veg., mulom. 1, 21, 1: si rationabiliter pro tempore, pro uiribus animalium, pro aetate perfecti mulomedici adhibeatur industria (si veda ThlL, s.vv. rationabilis [XI, 2, 217, 39 - 220, 61] e rationalis [XI, 2, 227, 76 - 228, 32]). Qui in ogni caso l’avverbio ha valore di «secondo le norme»; si veda poco dopo ignorantibus rationem.

32localiter: In ThlL VII, 2, 1554, 2-3, s.v. localis, il nostro passo viene spiegato «fere i. q. loco suo». Per l’uso dell’avverbio in medicina (corrispondente al gr. τοπικῶς) vd. ancora ThlL VII, 2, 1553, 73-76, s.v.

33contegit: La lezione contegit di B sembra difficilior rispetto a contingit di M (accolta da Oder). Attestazioni del perfetto contegi, in luogo di contigi, si rinvengono in act. Aru. a. 213, 15; a. 219, 5; act. Aru. Alex. CIL VI, 32391, 6; assumpt. Moys. 9, 3; Carm. epigr. 1399, 3 (contegerat) e soprattutto Chiron, 22 (contegit); 621 (contegisse, conti- Oder), 696 (contegerit), 759 (contegerit).

34hominibus: Ritengo che debba essere mantenuta la lezione hominibus della tradizione, contro la congettura omnibus di Morgenstern accolta nel testo da Oder. Dalla ripresa di Vegezio (mulom. 1, 21, 1) non sembra possibile ricavare indizi: si rationabiliter pro tempore, pro uiribus animalium, pro aetate perfecti mulomedici adhibeatur industria. In Orib., coll. 7, 2, 11 vengono tuttavia accomunati, in modo piuttosto significativo, uomini e animali a proposito del salasso profilattico da praticarsi in primavera (sulla cui utilità l’autore della Mulomedicina Chironis si diffonderà nei paragrafi successivi): ἐξ αὐτῆς γὰρ τῆς πείρας ἔγνωσται τοῖς ἀνθρώποις, οὐκ ἐφ’ ἑαυτῶν μόνον, ἀλλὰ καὶ τῶν ὑποζυγίων, ὅτι συμφέρει, πρὶν ἄρξασθαι τὸ θέρος, ἐν τοῖς τελευταίοις τοῦ ἦρος αἵματος ἀφαιρεῖν, ἀναμιμνῃσκομένοις τῶν καταλαμβανόντων αὐτοὺς νοσημάτων, ὅταν ἐξαίφνης γίνηται θέρος θερμόν· ἐκτείνει γὰρ ἐπὶ πλέον τοῦτο καὶ χεῖ τὸ αἷμα, καὶ ὥσπερ τινὰ ζέσιν αὐτοῦ κατασκευάζει, ὡς μηκέτι ἐν ταῖς φλεψὶ στέγεσθαι τὸ τέως σύμμετρον, ἀλλ’ ἤτοι ῥηγνύειν αὐτὰς ἢ διαβιβρώσκειν («Dalla stessa esperienza gli uomini hanno infatti appreso, non solo per loro stessi ma anche per gli animali, che è utile, prima dell’inizio dell’estate, effettuare un salasso negli ultimi giorni della primavera, ricordandosi delle malattie che li colgono, qualora sopraggiunga all’improvviso un’estate calda; ciò infatti fluidifica perlopiù il sangue, lo rende meno denso e lo fa quasi andare in ebollizione, tanto che quello che era fino ad allora in giusta misura non è più trattenuto nelle vene, ma o le rompe o le consuma»; cf. anche infra, § 5). Sui rapporti fra la medicina umana e quella veterinaria nell’antichità si veda Fischer, 2006 (dove si mettono a confronto testi medici e veterinari su specifiche patologie), che riporta in particolare gli espliciti riferimenti di hipp. Ber. 71, 1 (Apsirto): ὅνπερ τρόπον οἱ ἰατροὶ ἐν ἀνθρώπῳ e Veg., mulom. 2, 17, 1: ad hominum similitudinem. Se si accetta hominibus, la congiunzione nec che precede deve essere intesa nel senso di «neppure»; cf. ad es. Iust., 11, 8, 3: ut interclusa uoce non spes modo remedii, sed nec dilatio periculi inueniretur e soprattutto Colum., arb. 18: ita ut non solum pecori, sed nec homini transitus sit nisi per ostium.

35Cuius ergo tamen rationem protinus reddo: Su ergo tamen si era soffermato lungamente Ahlquist, 1909, p. 101-102, dimostrando che qui, come altrove nei testi tardi, tamen ha solo un valore di connettivo equivalente più o meno ad autem (cf. anche infra, § 6: quemcumque tamen depleri oportet); diversamente Bücheler aveva corretto in iam. Come aveva messo in evidenza lo stesso Ahlquist (p. 102), il nesso ergo tamen si rinviene attestato, con il medesimo valore, in Vet. Lat. Matth. 17, 26 (cod. e): ergo tamen liberi sunt isti (ἄρα γε ha il testo greco; la Vulgata solo ergo). Per altri nessi in cui ergo è più o meno pleonastico si veda ThlL V, 2, 774, 68 - 775, 49 s.v.

364. ratio quod, cum...: Per il costrutto ratio quod si veda ad es. Papin. dig. 41, 2, 47: cuius rei forsitan illa ratio est quod. La lezione quodcunque di M viene spiegata da Svennung, 1935, p. 311 (vd. anche Hofmann, Szantyr, 1965, p. 605), come un equivalente di quantum uis, quamuis, ma ritengo che essa sia da scartare; per la stessa costruzione vd. infra, § 8.

37decurrit: Per decurro riferito a sanguis si veda ThlL V, 1, 228, 34-39, s.v.

38totius corporis: L’uso del genitivo in luogo del dativo in casi analoghi è ben attestato; si veda ad es. Plin., nat. 23, 147: capitis dolorem inferentes. Sulla costruzione vd. in dettaglio Hofmann, Szantyr, 1965, p. 87-88, con ulteriore bibliografia (fuori luogo è quindi la sia pur dubbiosa correzione di Wölfflin).

39inferet: La medesima forma della terza persona singolare dell’indicativo presente è attestata nel latino tardo, si veda ThlL VII, 1, 1373, 58-61, s.v. infero (si veda anche 1373, 65 per la terza persona plurale inferent; si aggiungano pure le analoghe forme che si riscontrano talora ad es. per affero [ThlL I, 1192, 72-74]; defero [ThlL V, 1, 313, 5]; fero [ThlL VI, 1, 527, 65-66]; offero [ThlL IX, 2, 499, 32-36] e profero [ThlL X, 2, 1679, 53-59]).

40Qua strictura: Per la forma qua (tramandata da BM) del nominativo femminile singolare in luogo di quae cf. Greg. Tur., uit. patr. 6, 7: adueniente autem die tertia, quae erat dominica dies, qua ciuibus Aruernis inmanem intulit luctum. Non escluderei in entrambe le occorrenze un qualche influsso dell’ablativo (ablativo assoluto nella Mulomedicina Chironis e valore temporale in Gregorio di Tours). Cf. anche ICUR 26986 (a. 450): hic est posita Rodope in pace, qua uixit...; AE 1987, 813 (Dalmatia): Lott(ia) Cere(ra) filiae infelicissimae, qua uixit ann. XIIII; AE 1980, 788 ext. (Moesia sup., 75 d. C.): ex tabula aenea, qua fixa est Romae pos(t) piscinam in tribunal deorum (su queste ultime due attestazioni si veda Galdi, 2004, p. 334 e n. 13). Per il latino medievale cf. González Muñoz, 1996, p. 108.

415. Ideoque praecipitur propter errorem alicuius passionis: Gitton, 2001, p. 147, traduce: «pour éviter que ne survienne une maladie, on recommande impérativement...». La traduzione sembra accettabile: cf. Gratt., 345: errantis per tot diuortia morbos. Su propter usato in questo senso cf. ThlL X, 2, 2123, 37-64, s.v.; si veda in particolare Veg., mulom. 1, 25, 5: propter debilitatem animalis.

42sanguinem detrahere debere: Il verbo debere è piuttosto pleonastico; cf. Hofmann, Szantyr, 1965, p. 348.

43et sic in herbam mittere: Il valore di questa espressione è stato da me esaminato in maniera più ampia in Ortoleva, 1997, p. 259-263. Si fornirà qui una sintesi della discussione. È abbastanza sorprendente che sul nesso in herbam mittere non si rinvenga alcun chiarimento né in Oder, 1901, né in Ahlquist, 1909, e neppure nel ThlL. Esso è tuttavia correttamente interpretato nel senso «mettere all’erba», «mandare al pascolo» sia nelle traduzioni di Veg., mulom. 1, 22, 1, dove si rinviene ripreso alla lettera (vd. Sabourèux de la Bonnetrie, 1775, p. 44: «avant de les envoyer à l’herbe»; Robles Gómez, 1999, p. 109: «antes de mandarlos a los pastos»; per i volgarizzamenti medievali si veda ancora Ortoleva, 1997, p. 261), che nelle due traduzioni tedesche moderne disponibili del § 5 della Mulomedicina Chironis: Rieck, 1971, p. 308: «und es erst dann auf die Weide schicken»; Baumgartner, 1976, p. 8: «und erst dann das Tier auf die Weide zu schicken»; lo stesso avviene in quella francese di Gitton, 2001, p. 147: «et de l’envoyer ainsi au pré». Dunque il nesso in herbam mittere ha come oggetto sottinteso iumentum / -ta e significa «mandare gli animali nei pascoli erbosi», cioè «dar loro da mangiare erba verde», principalmente a scopo purgativo. Il verbo mitto si rinviene del resto impiegato piuttosto di frequente in contesti analoghi anche da altri autori: cf. ad es. Verg., georg. 3, 323: in saltus utrumque gregem atque in pascua mittet; Ov., am. 2, 9, 20: mittitur in saltus carcere liber equus; Liv., 21, 37, 6: iumenta in pabulum missa; Colum., 8, 14, 8: esuriens [scil. anser] mittatur in pascuum. Accenni alla pratica del mettere all’erba gli animali sono rinvenibili anche negli scrittori del Corpus hippiatricorum Graecorum, dove sono di solito utilizzati i verbi χλοάζω (hipp. Ber. 97, 4 [Apsirto]; 97, 6 [Ierocle]; 97, 9 [Teomnesto]; hipp. Par. 913; hipp. Cant. 7, 2; 78, 2), γραστίζω (hipp. Ber. 97, 1-2 [Apsirto]; 97, 5 [Ierocle]; hipp. Cant. 78, 1 [che è una ripresa da Arist., HA 8, 8, dove tuttavia il termine non si rinviene]) o le espressioni εἰς χλόην πέμπω (hipp. Cant. 109, 5) o εἰς χλόην ἐξάγω (hipp. Ber. 2, 26); questi ultimi nessi corrispondono molto da vicino a in herbam mitto. Così come avviene nella Mulomedicina Chironis e in Vegezio, anche nella maggior parte dei casi in cui gli autori greci descrivono tale pratica si raccomanda di salassare l’animale (si veda ad es. hipp. Ber. 97, 1-3 [Apsirto]). Negli autori medievali latini descrizioni di pratiche simili sono rinvenibili nell’Hippiatria di Giordano Ruffo (xiii sec.) (Molin, 1818, p. 8) e nella Medela equorum di Teoderico Borgognoni vescovo di Cervia (1205-1298) (1, 6, Dolz, 1937, p. 20), dove viene ripreso il citato passo di Giordano Ruffo con l’aggiunta di altre prescrizioni, soprattutto riguardanti la necessità di praticare un salasso dell’animale (cf. infra, relativamente al § 14).

44ne nouitasualitudine: I problemi presenti in questo passo sono stati da me affrontati ancora in Ortoleva, 1997, p. 259-263. Oder – che leggeva sanguis sulla base di M e correggeva detractationi in detractione – aveva riferito nouitas a un sottinteso herbae e aveva visto in sanguis ... mixtus (qui si è accettato emixtus di BM; cf. infra) un caso di nominativo assoluto. Per far ciò interpungeva dopo nouitas. Il pensiero di Oder appare in particolare esplicitato negli Indices: a p. 313, dove il sintagma sanguis ... mixtus è elencato fra i casi di tale costruzione; e a p. 398, s.v. nouitas, dove si legge, a proposito del passo in questione, «ne -as (herbae)». Successivamente Ahlquist, 1909, p. 53-54, aveva messo in evidenza come sanguis di M potesse essere una forma di genitivo che si rinviene anche in altri testi tardi (serm. de conf. diab. 108v; Paul. Nol., carm. 21, 376 [sanguinis codd.]; Cael. Aur., chron. 2, 11, 128; una riconsiderazione delle attestazioni – a partire da un’occorrenza nel lat. med. – in Löfstedt, 1979, p. 60 [= 2000, p. 247]; si veda anche Adams, 2007, p. 586, che illustra i rapporti di simili forme con gli esiti romanzi) o in alternativa semplicemente un banale errore derivante da un’abbreviazione paleografica di sanguinis. Quest’ultima possibilità sembrerebbe essere confermata da B. Ahlquist aveva inoltre correttamente visto nel nesso nouitas sanguinis un corrispettivo di sanguis nouus, secondo una costruzione che si rinviene altrove nella Mulomedicina Chironis in cui è impiegato un sostantivo astratto insieme a uno concreto al genitivo in luogo di un sostantivo concreto e un aggettivo; in tali casi gli eventuali attributi (nella fattispecie emixtus) sono concordati con il genere del sostantivo al genitivo; cf. soprattutto Chiron, 169: muccitudo humoris effluit male odoratus et spissus (su tali costruzioni si vedano anche Svennung, 1935, p. 235, n. 2 e Hofmann, Szantyr, 1965, p. 441). Si consideri inoltre la testimonianza di Veg., mulom. 1, 22, 1, che – riprendendo il nostro passo – sembra dare conferma di tale interpretazione: ne ueteri corruptoque nouus sanguis admixtus debilitatem, ualetudines uel periculum faciat. Un altro problema testuale è costituito dalla lezione detractationi che BM tramandano dopo sanguinis/sanguis. Oder e Wölfflin correggevano in detractione, ma anche in questo caso il senso non è accettabile: «affinché il sangue nuovo, misto per mezzo del salasso a quello corrotto a causa di qualche affezione, non allenti qualche parte del corpo dopo averla tormentata internamente con il suo calore». Un’espressione del tipo «misto per mezzo del salasso» non sembra infatti avere alcun senso, se – come appare – è proprio il salasso il metodo raccomandato (sanguinem detrahere debere) per evitare la commistione di sangue vecchio e sangue nuovo in primavera. Nel passo parallelo di Vegezio (mulom. 1, 22, 1) appena citato non compare inoltre alcuna traccia del termine detractio. Su queste basi nel mio studio nel 1997 mi ero convinto che fosse necessario espungere detractationi, che sarebbe stato un possibile elemento estraneo penetrato nel testo sulla scorta della forte ricorrenza dell’espressione sanguinis detractio nei §§ 3-4. Sarei invece adesso dell’avviso che detractioni (banalmente corrotto in detractationi in BM, così come avviene altrove [si veda ThlL V, 1, 834, 24-25, s.v. detrectatio: «in codd. multo saepius invenitur -tract-; haud ita raro confunditur cum detractio»]) sia un dativo di fine dipendente da nouitas sanguinis, «il sangue destinato al salasso». Sull’uso del dativo con questo valore in dipendenza da sostantivi si vedano in particolare Löfstedt, 19422, p. 194-199 e Hofmann, Szantyr, 1965, p. 95-96 e 99. Si noti inoltre come poco dopo (§ 6) il nesso detractio sanguinis costituisca un’espressione che vale quasi «sangue in eccesso», pur rappresentando una sorta di figura etymologica (cf. infra). Mi riesce in ogni caso difficile accettare la traduzione di Gitton, 2001, p. 147 (che si basa sul testo di Oder): «afin que la nouvelle situation – le sang mêlé sous l’effet de la saignée à celui qui est corrompu par quelque maladie –, ne relâche par son réchauffement quelque partie du corps blessée intérieurement». Hoppe aveva proposto ne nouus sanguis detractione <non detracta> mixtus corrupto... in una lettera inviata a W. Heraeus il 3 settembre 1930 ora conservata presso il Thesaurus linguae Latinae a Monaco.

45Per quanto riguarda emixtus, ho mantenuto la lezione di BM perché il verbo emisceo sembra essere altrove attestato: in Diosc., 1, 125, 3 p. 68, 12 Mihăescu, 1938: tota conbusta [scil. nux Pontica] absungiae mixta aut adipe ursinu alopecias emendat (gr.: ὅλα δὲ κατακαέντα λεῖα μετ’ ὀξυγγίου ἢ στέατος ἀρκείου ἀλωπεκίας περιχρισθέντα δασύνει). Il cod. München, Staatsbibliothek CLM 337 (x sec.) tramanda absungia emixta. Hofmann, Auracher, 1883, p. 102, n. 2, che avevano precedentemente pubblicato il testo sulla base di questo ms., ritenevano che fosse necessario correggere in absungiae mixta. E così, come si è visto, stampa Mihăescu, 1938, anche sulla base del cod. Paris, Bibliothèque Nationale, lat. 9332 (IX sec. in., f. 253v), senza però dire nulla in apparato (il cod. Paris, Bibliothèque Nationale, lat. 12995 [IX sec. in., f. 34], non utilizzato da Mihăescu, tramanda invece le due parole in scriptio continua). La successiva occorrenza di adipe ursinu (o ursino) farebbe tuttavia propendere per axungia piuttosto che per axungiae. Il verbo emisceo si rinviene inoltre attestato in un testo altomedievale: la Vita Richarii sacerdotis Centulensis del VII sec. (§ 5, MGHMer. 7, 1920, p. 447, 4): tanta ferocitas equi emiscere coepit, ut capud [scil. iumentum] cum pedibus impetus nimis uelocis curreret. Qui il valore sembra intransitivo: l’editore, B. Krusch, alla n. 1 commenta: «emiscere idem fere est quod miscere [...], sed biographus potius de ‘emissione’ ferocitatis cogitasse vocabulumque pro ‘erumpere’ accepisse videtur. Etiam Alcuinus [Vita Richarii conf. Centulensis, cap. 10, MGHMer. 4, 1902, p. 394, 26] originem a ‘mittere’ duxit, locum vero totum commutavit ita: inimicus [scil. diabolus] immisit equo ferocitatem» (si veda anche MLW 3, 8, s.v.: «intrans. fere i. q. effervescere, erumpere – etwa: aufbrausen, ausbrechen»). Forse non è un caso che anche nel nostro passo della Mulomedicina Chironis il verbo sia associato al concetto di «ribollire» (feruore suo).

46nunc etiam: Etiam sembrerebbe qui avere un valore avversativo; si veda ThlL V, 2, 949, 53-70, s.v.

47negauerunt ... nec consuetudo deplendi omnibus annis fiat: L’intero periodo e il successivo (quotiensdixerunt) sono così ripresi in Veg., mulom. 1, 22, 1: ueteres autem prudentioresque auctores absque necessitate depleri animalia uetuerunt, ne consuetudo deplendi, si tempore aliquo facta non fuerit, statim intra corpus morbos ac ualetudinem generet. La lezione nec è tràdita da BM; ne è emendazione di Oder, probabilmente anche sulla base di Vegezio. Nel testo della Mulomedicina Chironis tuttavia nec non sembra avere un valore finale, ma appare introdurre una proposizione con valore proibitivo in qualche modo coordinata a debere depleri consuescere in dipendenza da negauerunt. Se qui nego equivale più o meno a ueto (si veda ThlL IX, 3, 480, 55-65 s.v.), si può considerare la possibilità di costruire quest’ultimo verbo con ne; su ciò si veda Hofmann, Szantyr, 1965, p. 533, dove si cita fra l’altro CIL VI, 10173: ueto ne quis uelit inferre.

48Per quanto riguarda le perplessità di alcuni autori circa la necessità di salassare preventivamente i cavalli ogni anno in primavera, si vedano hipp. Ber. 10, 1 (Apsirto): ἐσπουδακότος σου περὶ τὴν ἰατρικὴν καὶ ζητοῦντος εἰ ἀρίστη ἐστὶ τοῖς ἵπποις ἡ φλεβοτομία, λέγω μὴ εἶναι ἀρίστην. εἴρηται δὲ καὶ Εὐμήλῳ ἱπποϊατρῷ μάλιστα δεῖν μὴ ἐθίζειν τοὺς ἵππους αἷμα ἀφαιρεῖν, οὐκέτι δὲ προσέθηκεν τὴν αἰτίαν. ἐπαγόμεθα γὰρ τὴν ζέσιν, ποιοῦντες τὴν ἔξοδον τοῦ αἵματος, καὶ νοσοποιοῦμεν («poiché sei interessato alla medicina e indaghi se il salasso è perfetto per i cavalli, ti dico che non è così. È stato detto precisamente dal veterinario Eumelo che non si devono abituare i cavalli a essere salassati; ma egli non ne aggiunse il motivo, che cioè, quando facciamo fuoriuscire il sangue, provochiamo il fervore e causiamo malattie»; si noti in particolare come Apsirto affermi che sia il salasso stesso a provocare il ribollire del sangue; cf. anche quanto detto da Oribasio, riportato supra, § 3) e hipp. Ber. 9, 5 (Ierocle): χρὴ μὲν οὖν γινώσκειν, ὡς τὸ φλεβοτομεῖν τοὺς ὑγιαίνοντας ἵππους οὔτε Ἄψυρτος δοκιμάζει οὔτε Εὔμηλος («bisogna dunque sapere che né Apsirto né Eumelo approvano il salasso dei cavalli sani»). Si vedano pure Sévilla, 1922, p. 211-212 e Gitton, 2001, p. 140-146.

496. detractio sanguinis detracta non fuerit: Molte sono le figurae etymologicae di questo tipo nella Mulomedicina Chironis; un elenco in Oder, 1901, p. 310.

50circa maiores aetates: Un’espressione simile al § 228: quod uitium plerumque in pusillas aetates contingit.

51Quemcumque tamen depleri oportet: Cf. supra, § 3.

52per diastimam: Passaggio dal neutro (διάστημα) al femminile tipico del latino tardo e volgare. Il significato ordinario del termine è «intervallo», ma qui esso sembra assumere il valore di «digiuno», probabilmente originato dal concetto di pausa all’interno del consueto regime alimentare. L’espressione viene conservata anche nella rielaborazione di Veg., mulom. 1, 22, 3: ut per diastemam composito corpore sint.

53compositio: Qui il termine vale «forma perfetta»; cf. Chiron, 69: ut oui uitellus diffusus et corruptus omnem nitorem et compositionem amittens recomponere se non potest nec similari sibi non potest. Si veda anche ThlL III, 2138, 37-41, s.v. Per il sostantivo astratto in luogo dell’aggettivo o del participio cf. Ahlquist, 1909, p. 25-26 (dove tuttavia si elencano esempi di costruzione con il genitivo); come si è visto, Vegezio (mulom. 1, 22, 3) ha modificato l’espressione in: ut ... composito corpore sint.

54in aequali: Non ho rinvenuto altre attestazioni dell’aggettivo con valore sostantivato. Vegezio (mulom. 1, 22, 3) rende con in solo ... aequali (cf. anche Chiron, 136: in locum aequalem).

55loro cinges, quod lorum: Su questo tipo di ripetizione nelle proposizioni relative, tipica della lingua volgare, si veda Hofmann, Szantyr, 1965, p. 563. L’uso di una corda o cinghia era indicato anche da Ippocrate, hipp. Ber. 10, 8: αὐχενίζειν χρή, τὸν δὲ τόπον περιβάλλειν αὐχενιστῆρι [ἤτοι τὸν τράχηλον] καὶ προσανατείνειν (cf. anche Sévilla, 1922, p. 220-221). Si veda pure hipp. Lugd. 3: ἡ δὲ φλέβα ἡ τέμνουσα θέλειν φανεροῦται οὕτως· σχοινίον δήσας εἰς τὸν τράχηλον αὐτοῦ καὶ σφίγξας μετὰ ξύλου, εὑρίσκεται ἡ φλέβα, dove si prescrive persino di serrare il laccio aiutandosi con un pezzo di legno.

56ut possit uenas clarius eminere: Oder aveva pubblicato uena correggendo il tràdito uenas. L’emendazione di Oder è tuttavia errata, perché non tiene conto del fatto che potest seguito da infinito attivo o deponente può essere impiegato in modo impersonale nel senso di «è possibile» nel latino tardo (ma la costruzione si rinviene già in Cato, agr. 90: dum poterit facere turundas). Si vedano ThlL X, 2, 145, 5-47, s.v. possum, e, in particolare, la trattazione di Löfstedt, 1936, p. 139-141, che mette in evidenza fra l’altro come si rinvengano attestazioni del verbo anche al congiuntivo: una fra queste occorre proprio in Chiron, 564, e proprio in un passo parallelo a questo, in cui si tratta ancora del salasso dalla vena giugulare: post aliquis teneat et lorum [Oder; locorum BM] stringat, quod satis erit, ut [Oder; et BM] uenam inuenire possit [possis Oder] (cf. anche Veg., mulom. 2, 40, 1: tunc lorum supra ceruices alius teneat atque constringat ad normam, ut uena facilius appareat). Si vedano inoltre Chiron, 585, 681 e 737 (anche in questi casi Oder ha inopinatamente corretto il verbo dalla terza alla seconda persona singolare). Per il verbo seguito da accusativo e infinito Löfstedt, 1936, p. 141, riporta altri due casi che si trovano nella Mulomedicina Chironis: § 11: nitrium tusum ferragini asparges, ut possit spurcitias corporis per solutionem uentris expurgari, dove Oder cerca di spiegare spurcitias come una forma particolare di nom. sing. (p. 301), e § 340: sed si inflatio est hoc quod dicitur anhelatio, cuius causae rationem reddi non posset [posset M Oder; possum B; potest? Löfstedt, 1936, p. 141, n. 2; si tratta forse di una forma volgare per potest; si veda ThlL X, 2, 126, 50-64: posso per possum; possimus per possumus e possas per possis]..., ripresa in Veg., mulom. 2, 103 in tale forma: quodsi ex anhelitu inflatio contigerit, cuius causae ratio reddi non potest (altre occorrenze in autori tardi in ThlL X, 2, 146, 19-33).

577. Hunc locum deductum: Oder correggeva in huc lorum il testo tràdito. Sebbene uno scambio lorum/locum sia possibile, non vedo che senso possa avere in questo caso un’espressione del tipo «dopo aver fatto scendere qui la cinghia, più in basso della metà del collo». La cinghia era già stata posizionata sopra le scapole e tenuta stretta da un aiutante. Sarei invece dell’avviso che qui locus abbia il consueto valore di «punto in cui praticare l’operazione» (su tale valore si veda Adams, 1995, p. 579-580, con esempi e ulteriore bibliografia; si veda pure il passo precedentemente riportato del veterinario Ippocrate [hipp. Ber. 10, 8]: τὸν δὲ τόπον περιβάλλειν αὐχενιστῆρι [ἤτοι τὸν τράχηλον]) e che deduco significhi in particolare «frizionare», «strofinare». Tale valore, che il verbo assume poco dopo: spongiola cum aqua deduces post pilum (Veg., mulom. 1, 22, 4 ha spongiola cum aqua uenam ipsam saepe deterges), deve essere collegato a quello di «pettinare», «cardare», che talvolta il verbo presenta (vd. ThlL V, 1, 279, 79 - 280, 3); si vedano: schol. Pers. prol. 5: lambunt i. tergunt, quasi lingua deducunt; anonim. med. ed. Piechotta 172: digitis duob. pollicem et medicinali gurgulionem deducens. Dal punto di vista sintattico la costruzione appare un accusativo assoluto (così anche la considera Helttula, 1987, p. 84). L’aggettivo hic sembra avere qui in qualche modo valore di articoloide (si veda anche infra, § 10: haec ita ferrago); per altre attestazioni di tale uso, presente soprattutto nelle traduzioni dal greco, rinvio a ThlL VI, 3, 2738, 19-48.

58inferius quam mediam ceruicem: Su questi casi ‘anomali’ di comparazione rinvenibili nella Mulomedicina Chironis mi ero soffermato in Ortoleva, 1999, p. 161-163 e in Ortoleva, 2000, p. 264-265. Qui si procede a una riconsiderazione del problema, con aggiornamento dei dati. Già Oder, 1901, p. 309, aveva messo in evidenza il particolare tipo di costruzione: «notabilis constructionum confusio his locis, quibus aut quam abundat aut accusativus non habet, quo referatur». Oltre a questa, nel testo della Mulomedicina Chironis si rinvengono infatti varie occorrenze del complemento di paragone reso con quam seguito da un accusativo non concordabile con altri sostantivi; esse sono tutte riscontrabili nei primissimi paragrafi del trattato: 7: inferius quam locum; 16: inferius quam hos; 17: inferius quam oculos; 18: foris quam musculos; 19: inferius quam centrias; 20: inferius quam articulo<s>. Deve essere subito messo in evidenza che, con l’esclusione del § 18 (dove si rinviene foris), quam è sempre impiegato in correlazione con l’avverbio inferius. Sono state in passato avanzate due spiegazioni riguardo a tali forme anomale di comparazione rinvenibili nella Mulomedicina Chironis: Lommatzsch, 1902, p. 409, che si occupava del problema solo marginalmente, riteneva che l’impiego dell’accusativo fosse dovuto all’influsso della costruzione delle preposizioni infra ed extra, di cui inferius quam e foris quam sarebbero stati degli equivalenti. Di diverso avviso Ahlquist, 1909, p. 70-71, che spiegava invece tale particolare costruzione istituendo rapporti con espressioni come inferius ab; il nesso sarebbe stato sentito come se si fosse trattato di un’unica preposizione (vd. Hofmann, Szantyr, 1965, p. 231) e costruito con l’accusativo o con l’ablativo come in Chiron, 7 (inferius quam bifurcio; su cui si veda infra). L’ipotesi di Lommatzsch potrebbe essere avvalorata dal fatto che l’uso di foris con l’accusativo, nel senso di extra, è ben attestato negli autori tardolatini (ThlL VI, 1, 1034, 83-84 e 1046, 12-38, s.v. foras). Di inferius (inteso come comparativo della preposizione infra) seguito dall’accusativo esiste inoltre un’attestazione in Tert., adu. Val. 23, 1: in summis summitatibus praesidet tricenarius Pleroma, Horo signante lineam extremam. Inferius illum metatur medietatem Achamoth... Si noti anche come Svennung, 1935, p. 197, riportasse un altro caso di quam con l’accusativo (preceduto semplicemente da magis) all’infuori della Mulomedicina Chironis: Clem., ad Cor. 21, 5: magis hominibus dementibus … offendamus quam deum aut dominum Iesum Christum (ma il testo greco non corrisponde perfettamente: μᾶλλον ἀνθρώποις … προσκόψωμεν ἢ τῷ θεῷ· τὸν κύριον Ιησοῦν ... ἐντραπῶμεν). Non escluderei tuttavia che in espressioni simili l’accusativo sia sentito come universal Kasus (vd. Hofmann, Szantyr, 1965, p. 231). È inoltre da segnalare come tutti i casi ora segnalati della Mulomedicina Chironis siano stati normalizzati da Vegezio tranne che in un’occasione: talvolta il periodo è stato riscritto in modo che i nessi inferius quam e foris quam non vi compaiono più (Chiron, 7 ~ Veg., mulom. 1, 3, 4; Chiron, 16 ~ Veg., mulom. 1, 25, 2); altre volte la sintassi è stata modificata secondo l’uso classico (Chiron, 17 ~ Veg., mulom. 1, 25, 3 e Chiron, 20 ~ Veg., mulom. 1, 25, 6). Solo in Veg., mulom. 1, 25, 5 (~ Chiron, 19), forse per distrazione, viene invece mantenuto inferius quam centrias.

59medio enim in loco ceruicis: Qui enim vale «appunto», «precisamente»; si veda ThlL V, 5, 591, 27-71, s.v. Per locus con il genitivo rinvio a Löfstedt, 1911, p. 144-145.

60quam bifurcio: Il termine bifurcium indica probabilmente la giuntura tra la vena giugulare e la vena mascellare esterna (il cosiddetto «triangolo di Viborg»); vd. Adams, 1995, p. 371-372; si veda anche Chiron, 564: duae autem uenae a capite summo discendunt, conueniunt sed sub maxillam usque ad gulam. Inde a geminis uenis inferius infra digitis IIII mittito, ne de gulam mittas et bifurcium tangas et iumentum occidas. Quanto all’ablativo, Svennung, 1935, p. 197, n. 2, riteneva che si trattasse di un’erronea grafia per bifurcium. Non escluderei tuttavia anche qui la presenza di una doppia costruzione, che vedrebbe in qualche modo insieme ablativo e quam (vd. supra).

61qui est ... positum: In questo caso qui ha il valore di quod; vd. Grevander, 1926, p. 35-37, che riporta varie occorrenze nella Mulomedicina Chironis (ad es.: 179: si farcimen hos tendere coeperit, quod Graece appellatur ferisoma. Qui istis signis intelligitur; 420: intestinum, qui uocatur monenteron). Si consideri anche IMS 2, 169: [Eu]sebius (?) ... ciuis Germaniceu[s] ex uico Abdarmisu, qui bixit annus XXIII; qui filius patri facere debebat, ego [...] (Moesia Sup., IV/V), su cui si veda Galdi, 2004, p. 337.

62gylan: La grafia gyla, tràdita da BM, di solito disapprovata dai grammatici in quanto falsamente grecizzante (Char., gramm. p. 132 e Caper, gramm. 7, 105, 17; è tuttavia ritenuta un arcaismo da Mar. Victorin., gramm. 6, 20, 2), si rinviene non di rado nei mss. (si veda ThlL VI, 2, 2354, 44-48, s.v. gula). Nel nostro passo avremmo pure la terminazione in -n; ciò però non accade più avanti al § 9, dove i due testimoni tramandano gylam.

63sicut dixi inferius, uena sagitta pungi debet: Svennung, 1935, p. 367, riteneva inferius un equivalente di interius. Ma in effetti qui interius non ha senso, se solo si pensa alle complicazioni derivanti da una lancetta fatta penetrare troppo in profondità. L’autore non aveva infatti prima parlato della vena e della lancetta, tanto da giustificare il sicut dixi. Probabilmente è invece proprio inferius a essere collegato a sicut dixi. Inoltre, in caso contrario, non si capirebbe perché si dica medio enim in loco ceruicis, se subito prima si era specificato inferius quam mediam ceruicem. Le parole che vanno da uel inferius a faucium sembrano quindi un’incidentale.

64spongiola: Il diminutivo è poco attestato. Il significato di «spugnetta» sembra rinvenirsi solo qui (~ Veg., mulom. 1, 22, 4) e in Chiron, 65, 136, 458, 672 (bis), 723, 730.

65Pollicem inferius quam locum depremes: Anche in questo caso Oder corregge locum della tradizione in lorum. Ma se inferius ha il valore di «al di sotto» (Vegezio [mulom. 1, 22, 4] al contrario – e probabilmente errando – sembrerebbe intendere «in profondità»: pollicem quoque sinistrae manus interius deprimes), lorum non ha senso, perché tutte le operazioni di flebotomia devono essere effettuate al di sopra della legatura emostatica. Un filmato molto significativo a tal proposito è quello curato negli anni ’20 (Opérations d’urgence sur les animaux à la ferme; Archives nationales: 19970030/443-444) da Gustave Moussu, professore all’École nationale vétérinaire d’Alfort, in cui sono riprese delle operazioni di flebotomia su un cavallo e su un bovino. Si vedano d’altronde immediatamente dopo: ut uena superius extumidior fiat e Chiron, 564, dove si descrive ancora la tecnica del salasso dalla vena giugulare: supra laqueum deinde sinistro pollice uenam deprimito.

66La forma depremo è attestata anche in Chiron, 74, 233 e 235; per altre occorrenze si veda ThlL V, 1, 612, 59-61, s.v. deprimo.

67et non ludat: Di questa espressione mi sono già occupato in Ortoleva, 1999, p. 151 e Ortoleva, 2000, p. 258-259. Essa è ripresa da Veg., mulom. 1, 22, 4: pollicem ... deprimes ut non ludat et tumidior atque inflatior uena reddatur [non ludat π: nec ludat WE fortasse recte non eludat L de nec deludat F ne claudat A ne claudatur B non cedat γ an ne ludat?]. Come si è notato in apparato, nel testo della Mulomedicina Chironis Wölfflin, 1898, p. 416, aveva emendato il tràdito ludat in cludat (cioè claudat). Oder aveva invece ripristinato ludat; negli Addenda et corrigenda (p. XXIX) aveva tuttavia cambiato parere perché notava che «cludat praebet etiam Gothanus Vegeti». Il cod. Gotha, Forsch. und Landesbibliothek B 145, di Vegezio (G, a. 1488) a cui fa riferimento Oder è un probabile apografo del cod. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, lat. 4438 (sec. XV) (A, un testimone dipendente da ζ, il subarchetipo ampiamente corrotto da cui discendono i testimoni di età umanistica; si veda Ortoleva, 1999, p. VII, IX, XVI-XIX e XXIV); in esso tuttavia non si legge cludat ma claudat, come appunto in A. Nell’indice, infine, s.v. ludere (p. 390), Oder poneva il lemma tra parentesi quadre rinviando a cludere e a eluere: il nostro passo viene registrato s.v. claudere (p. 339). Il verbo ludo si rinviene tuttavia ancora una volta nel contesto della flebotomia in Veg., mulom. 2, 40, 1: deinde supra laqueum de sinistrae manus pollice uenam deprimes ne ludat, cum sagitta tangitur [la lezione ludat è concordemente tràdita]. Mediante tale testimonianza di Vegezio è possibile stabilire il testo della sua fonte, Chiron, 564, dove esiste una lacuna in BM: supra laqueum deinde sinistro pollice uenam deprimito, cum minus <ludat> uena cum sagittam praemiseris. Pure in questo caso Oder aveva avuto un ripensamento: in un primo momento aveva integrato nel testo <ludat>, ma poi, negli Addenda et corrigenda (p. XXXV) aveva preferito leggere <cludat> come già aveva fatto al § 7. Anche volendo fare a meno dell’apporto della migliore tradizione vegeziana e basandoci esclusivamente sul testo sia di Chiron, 7 che di Chiron, 564, si può tuttavia concludere che la congettura cludat non è in alcun modo difendibile; la vena infatti non si può «chiudere» (da essa cioè non può cessare di fluire il sangue; per il valore riflessivo che qui avrebbe il verbo si veda ThlL III, 1312, 32-36, s.v.), dal momento che qui si tratta di un’azione che avverrebbe prima dell’incisione mediante la lancetta (et sic adcutatam sagittam exigis [§ 7]; cum sagittam praemiseris [§ 564]). Ma qual è in questi casi il valore di ludo? In ThlL VII, 2, 1771, 67, s.v. ludo, a proposito di Chiron, 7, si legge: «i. cedat?» (e cedat è – come si è visto – pure la lezione di γ per ludat in Veg., mulom. 1, 22, 4); non è tuttavia necessario cercare interpretazioni complicate del termine. Il verbo ludo corrisponde infatti perfettamente all’italiano «giocare», «avere gioco», quando per «gioco» si intende il «piccolo spazio compreso, in accoppiamento di pezzi, fra due superfici contigue» (vd. Battaglia, VI, 1970, s.v. gioco, p. 799 [§ 21]) e per «giocare», «effettuare movimenti all’interno di tale spazio». L’espressione et non ludat può essere pertanto parafrasata con «e affinché non si muova».

68adcutatam sagittam: L’espressione si rinviene anche in Veg., mulom. 1, 22, 4: consequenter iuxta praeceptum artis uel animalis ipsius positionem sagittam exiges cutibus adcutatam. La lezione adcutatam di M è confermata dai codici LW di Vegezio che, con una banale confusione fra t ed r, tramandano adcuratam (così come fa anche B). Per quanto riguarda la Mulomedicina Chironis, Wölfflin aveva pubblicato il testo tràdito da M; Oder invece aveva corretto in acutatam e lo stesso aveva fatto Lommatzsch per Vegezio, anche sulla scorta di EAπ. Il verbo adcuto si rinviene tuttavia in Gloss. IV, 415,10: limat accutat (lezione del cod. a accolta dall’editore; bc hanno invece acutat). Il verbo in questione appare pertanto un derivato di cos e significa (come si evince dal testo di Vegezio) «affilare per mezzo di coti»; tale forma deve essere dunque mantenuta sia in Vegezio che nella Mulomedicina Chironis (su cutibus, variante di cotibus, che si rinviene in Vegezio, ma non nella sua fonte, si vedano Ortoleva, 1999, p. 151-152 e id., 2000, p. 260). Il verbo acuto è invece attestato in serm. de conf. diab. (V-VI sec.) f. 108: acutaui lanceas (gr. ἠκόνησα λόγχην; si vedano pure Oribas., syn. 2, 7 La p. 97, 18: cutis acutatio [gr. Ναξίας ἀκόνης τὸ ἀπότριμμα], su cui vd. Mørland, 1939, p. 119, e Gloss. II, 223,12: ἀκονητής samiarius cotiarius acutiator) e registrato tra i lessici in Du Cange, 1883, s.v. acutare, con un’unica attestazione (Passio Sancti Bonifacii Mart. 8 [Act. Sanct., mai., 3, p. 282b]), sebbene secondo il LEI (1, 575-576, s.v. acutare) esistano alcuni esiti romanzi di acutare (il lemma del LEI è tuttavia basato sul presupposto erroneo che il verbo sia attestato in Vegezio). A proposito di questi è interessante segnalare come Salvioni, 1909, p. 841, facesse risalire il campid. ak(k)uttsai (log. akutare) a una base adc- (in ciò fu tuttavia criticato da Wagner, I, 1960, p. 52, s.v. akuθare, che faceva derivare le voci sarde dal lat. acutiare). Si noti infine che la possibilità che adc- dovesse essere ristabilito nel testo della Mulomedicina Chironis e di Vegezio era stata dubitativamente prospettata da Niedermann, 1928, p. 511, alla n. 1; lo stesso studioso aveva invece disapprovato nel testo (p. 510-511) l’opinione di Grevander, 1926, p. 131-132, secondo cui le voci sarde sarebbero da connettersi a un lat. *acutare, piuttosto che ad acutiare, come era stato prospettato da Wagner già in alcuni studi antecedenti alla realizzazione del vocabolario (vd. supra). Ma Niedermann – in questo caso, come abbiamo visto, a ragione – non aveva perso di vista (sempre nella n. 1) anche una possibile derivazione di adcutare da cos, facendo riferimento al rum. ascuți, ‘affilare’, forse da *excotire (su tale derivazione cf. ora Manea, 2002, p. 14 [n° 95], con ulteriore bibliografia).

698. Hincuitium: Il § 8 è stato posto da Oder entro parentesi quadre perché ritenuto fuori posto. In esso si tratta infatti dell’impiego del sangue prelevato per fare applicazioni sul corpo dell’animale, dopo averlo miscelato con vino o aceto e olio. Questa pratica è altrove attestata; si vedano in particolare hipp. Ber. 26, 6 (Teomnesto): ...θεραπεύειν αἵματος ἀφαιρέσει ἀπὸ αὐτοῦ τοῦ ὤμου, καὶ δέχεσθαι τὸ αἷμα εἰς ἀγγεῖον, καὶ μιγνύναι ἐν αὐτῷ ἔλαιον καὶ ᾠὰ τρία, ἕψημα καὶ βολβοὺς ὠμοὺς καλῶς λεανθέντας καὶ κοχλίας μικροὺς νʹ, καὶ ἀναχρίειν θερμῷ καλῶς («...curalo con un salasso dalla spalla stessa e raccogli il sangue in un vaso, e miscelalo con olio e tre uova, mosto bollito, bulbi crudi ben sminuzzati e 50 piccole lumache; usa l’unguento quando è caldo»); Pelagon., 204: sanguinem de ceruice aut de cruribus mitte eoque uino et oleo permixto totum corpus perfricabis; Chiron, 326: sanguinem de ceruice emittito et perunge totum iumentum, uino et oleo in unum ungito et sic frigato; 498: sanguinem detrahis ex ceruicem et perunges eum uino et oleo (sull’argomento si veda anche Sévilla, 1922, p. 232-233). Al § 9 riprende la trattazione dell’operazione della flebotomia con raccomandazioni sulla profondità dell’incisione da eseguire con la lancetta, tecniche per ottenere un buon flusso di sangue, modalità di sutura dell’incisione. Non saprei dire se il testo del § 8 sia effettivamente fuori posto o se piuttosto la discussione sull’uso del sangue per fare applicazioni sul corpo dell’animale non sia una sorta di anticipazione nel corso dell’esposizione. Nella ripresa di Vegezio (mulom. 1, 22, 9-10) la descrizione di questa pratica si rinviene più coerentemente dopo la trattazione della dieta a cui deve essere sottoposto l’animale che ha subito il salasso (~ Chiron, 10).

70idem: Qui forse equivale a item; sulle confusioni fra idem e item nel latino tardo si veda ThlL VII, 1, 194, 29-66, s.v.

71hinc: Per l’ellissi del verbo si veda ThlL VI, 3, 2803, 20-24 s.v. hinc.

72sit ... ratio quod: vd. supra, § 4.

73quibusdam causis ... eandem causam ... causis: È stato altrove sottolineato (Oder, 1901, p. 335, s.v. causa; Adams, 1995, p. 574) come causa possa più o meno equivalere a morbus nella Mulomedicina Chironis: ad es. al § 16: morbidis et quibuscunque totum corpus causa similiter aliqua possiderit, e al § 713: si cui iumento renes ceciderint aut lumbi condoluerint. Fiunt autem haec causae aut in conamento aut a uiae ductionem, aliquo saltu aut si plagis nimiis lumbi contusionem passi fuerint. Nel nostro passo tale valore può probabilmente addirsi a quibusdam causis. I successivi eandem causam e causis assumono invece il significato ancora più specializzato di «parte in causa» e cioè di «parte sofferente». Vd. anche Chiron, 100: depones iumentum et contra locum causae aperies in longum dextra sinistra; 187: sic palmas in ceruice aut in eandem causam et decusatim ilia aut graticulatim super renibus permixtis punctis subrenalem curabimus; 325: cuique in aqua calida et in suo sibi stercore mixtum ad causam imponi; 643: curato aceto et oleo, et linteolis madidis in eandem causam calcato; 649: cum saniam fecerit, asarotico intus totam causam impleto, ut uesiculam suam quam ferro tollere oportebit, medicamento auferas; 672: ex eandem et ex posca aquata delauato causam. Si veda pure Veg., mulom. 1, 22, 10, che, riprendendo il nostro passo, rende l’espressione in questione con languentibus membris.

74liniri praecipitur: Per praecipio con costruzione personale si veda ThlL X, 2, 448, 83 - 449, 7, s.v.

75collesin ... collesis: Il termine (gr. κόλλησις) compare anche in Cass. Fel., 19, 5: collesin futuram significat id est glutinationem.

76propter quamcunque partem inbecillitatem uel dolorem: Occorrenze di propter con l’ablativo (tra cui Chiron, 737) sono elencate in ThlL X, 2, 2128, 68 - 2129, 4, s.v., dove tuttavia si avverte correttamente che molte di esse sono sospette a causa del cosiddetto m mobile; ho quindi preferito correggere il tràdito inbecillitate uel dolore. Del resto quamcunque partem, significativamente all’accusativo, deve essere considerata un’apposizione partitivo-possessiva, come ad es. in Oribas., syn. 1, 19 Aa p. 824: malua decoctio; Oribas., syn. 8, 14 La p. 222: bibere autem ... gentianae radicem et polio et fluuiales gambarus decoctionem (Aa: ...de fluuiales gambaros aqua, in qua decoquuntur); Ps.-Gal., puls. 22 (Stoffregen, 1977 p. 119, 338) (VII-VIII sec.): urinae [urina v. l.] limositas augmentum doloris significat (vd. anche Hofmann, Szantyr, 1965, p. 44, con ulteriori esempi e bibliografia). In questo senso il nostro passo era stato interpretato da Svennung, 1935, p. 201, che tuttavia attribuiva anche a inbecillitate(m) uel dolore(m) un valore epesegetico («für jeden Körperteil, d. h. seine Kränklichkeit»), che a me non pare di vedere. Diversamente Oder (p. 414, s.v. propter), che conservava gli ablativi inbecillitate e dolore, riteneva che propter quamcunque parte(m) avesse qui un valore locativo, ma il senso sarebbe in questo caso molto involuto.

77suo corpori imposito: Oder aveva indicato nell’indice (p. 414, s.v. propter): «imposito (= us)». Ahlquist, 1909, p. 50, aveva invece correttamente osservato, riportando altri esempi, che si tratta di un ablativo assoluto, nonostante il soggetto (sanguis) sia in comune con la proposizione reggente. Per un uso simile si veda ad es. Chiron, 360: et aquae ciatos tres unam mixtis infundes per sinistram narem.

78remedium antipathiae: Ahlquist, 1909, p. 28, riteneva che si trattasse di un genitivo di qualità non definito da un attributo. Diversamente Svennung, 1935, p. 217, n. 3, era del parere che il genitivo avesse valore epesegetico e che l’espressione corrispondesse ad antidotum (vd. anche Plin., nat. 20, 28: ubi acrior raphani medicina admota sit, hysopum dari protinus imperant: haec antipathia est). A prescindere dal valore del genitivo, qui forse però l’espressione indica un «rimedio che si basa su un principio opposto»: il sangue «corrotto» può essere terapeutico; vd. Veg., mulom. 1, 11, 9: contraria enim contrariis medicinae ratione curantur. Si veda anche infra, a proposito di sui corporis consuetudine ex sanitate.

79prodest suo corpori omnemque imbecillitatem et dolorem: Oder aveva integrato <tollit> dopo dolorem, ma ciò probabilmente non è necessario. Sembrerebbe trattarsi di un caso in cui si presentano contemporaneamente due costruzioni alternative (dativo e accusativo). In Löfstedt, 19422, p. 192-193, si citano a tal proposito Tert., adu. Prax. 7: ad quem deinceps gaudens proinde gaudenti in persona illius: ‘filius meus es tu’; e CIL XIII, 2483: hic requiiscunt membra ad duus fratres, Gallo et Fidencio, qui foerunt fili Magno. In Hofmann, Szantyr, 1965, 45, si riporta inoltre didasc. apost. 62, 31: omne pelagum uel omnibus fluctibus lotus. Per prosum con l’accusativo semplice si veda ThlL X, 2, 2251, 11-17, s.v.

80sui corporis consuetudinem et sanitatem, adhaerens corpori sanguis, exugit uitium: L’espressione non è chiarissima. Penso al momento che si tratti di un caso in cui, per motivi non immediatamente comprensibili, il soggetto è all’accusativo (consuetudinem et sanitatem ... exugit). Occorrenze di tale fenomeno nella Mulomedicina Chironis sono elencate in Ahlquist, 1909, p. 22; come si può vedere da quanto lì riportato, il più delle volte ciò accade quando si rinviene il verbo sum o un verbo con valore predicativo. Ciò non si riscontra nel nostro passo, che tuttavia può essere forse confrontato con il § 516: nascitur ei genuorum contractionem et claudicationem e con il § 632: nisi curam ad maturitatem peruenerit (ma qui i verbi sono intransitivi). Altri esempi interessanti ricorrono pure in Gregorio di Tours (si veda Bonnet, 1890, p. 522-523, n. 1). Per il fenomeno in altri autori (soprattutto tardi e soprattutto con sostantivi della prima declinazione) si veda Hofmann, Szantyr, 1965, p. 30-31 (con ulteriore bibliografia). Per un’analoga costruzione di consuetudo con il gen. vd. Chiron, 784: earum [scil. equarum] consuetudinem appetere (altri esempi in ThlL IV, 555, 59-72, s.v.). Quanto a sanitatem, ritengo che qui il sostantivo sia un sinonimo di sanatio o curatio, come in Chiron, 86: quod si post sanitatem ea causa excrescere coeperit, punctis cauteriis urito, o 260: post sanitatem semper erit ineptum (vd. anche DMLBS s.v. 4; altre attestazioni, ma solo al plurale, in Arnaldi, 1939-1964, s.v.). In questo caso, adhaerens corpori sanguis dovrebbe intendersi come un nominativo assoluto che si riferisce in qualche modo a ciò che precede: vd. ad es. Chiron, 94: quod uulnus semper humores liquidi profluentes non desinet.

819. Ne hoc plus quam tribulum exegeris: Oder in apparato annotava: «tribulum = triobolum; an = τρίβολος i. e. acus ferrea freni?»; l’editore così si esprimeva inoltre nell’Index verborum (p. 445): «Puto tribulum τριόβολον pondus detracti sanguinis significare […]; parum probabile latere τρίβολος, qui fuit acus ferrea ferri equini; cf. Pollucis I 148». A questa esitazione viene tuttavia posta fine negli Addenda et corrigenda (p. XXIX): «triobolum genuinum cf. 84 11 [cioè § 283]». Su questa linea anche Wölfflin, 1898, p. 416, che in apparato annotava: «Druck?». Al § 283 BM hanno galbani tribulum: in tale occasione Oder aveva corretto in galbani nitri obolum; nulla in questo caso era stato aggiunto negli Addenda et corrigenda. Niedermann, 1910, p. 60, nella sua edizione di questo passo, aveva stampato galbani tri<o>bulum, rinviando a poco sopra (inizio dello stesso § 283), dove galbani nitri obolum di M (accettato da Oder; B ha galbani nitrii ob olum) era stato corretto da Heraeus (si tratta di una comunicazione privata fatta a Niedermann; le correzioni di Heraeus compaiono pure nella sua copia personale dell’edizione di Oder ora posseduta dal Thesaurus linguae Latinae [segnatura: 138a/10(2)]) in galbani[ni]triobolum. L’interpretazione nel nostro passo di tribulum nel senso di unità di misura era stata criticata da Werk, 1912, p. 147. Egli giustamente metteva in evidenza come non avesse alcun senso raccomandare di non prelevare più di circa due grammi di sangue (una misura infinitamente piccola per un salasso dalla vena giugulare), al fine di non ferire la gola o la trachea. Si aggiunga inoltre che qui il verbo exigo non significa «prelevare», ma «conficcare»; vd. supra, § 7: et sic adcutatam sagittam exiges. Werk dal canto suo rinviava a Chiron, 565: uide ne ualde impremas, quam opus erit, non autem plus quam mucronem, dove nel medesimo contesto del salasso dalla vena giugulare si raccomanda di non conficcare la lancetta nella vena oltre la punta. Lo studioso riteneva quindi che qui tribulum indicasse appunto il pungiglione del morso, secondo quanto si legge in Poll., 1, 148 (già richiamato in un primo momento da Oder): τὸ δ’ εἰς τὸ στόμα ἐμβαλλόμενον χαλινός [scil. καλεῖται], οὗ τὸ μὲν μέσον ἀξόνιον, τὰ δὲ περὶ αὐτὸ δακτύλιοι ἐχῖνοι τρίβολοι, οὓς μασᾶται ὁ ἵππος («la parte che è inserita nella bocca [si chiama] ‘morso’, e di esso la parte centrale [si chiama] ‘cannone’, le parti collegate a questo, ‘giocattolo’, ‘punte’ e ‘cuspidi’, che il cavallo mastica»). La menzione di tale particolare sarebbe servita da misura di riferimento riguardo al limite da non superare. Il morso a cui accenna Polluce è verosimilmente ciò che i latini chiamavano lupatum (scil. frenum), un morso particolarmente ‘duro’ munito di piccoli spuntoni (ThlL VII, 2, 1848, 37-76, s.v. lupatus e Daremberg, Saglio, II, 2, 1896, 1339, s.v. frenum). Tali spuntoni tuttavia non superano la lunghezza di qualche millimetro: troppo poco in rapporto alla misura della porzione di lama che doveva penetrare nella vena. Il termine tribulum significa quindi in questo caso qualcos’altro e l’ipotesi più probabile è che qui l’autore intenda la ‘punta’ della lancetta. Come aveva notato Werk, al § 565 del resto, dove si esprime la medesima raccomandazione, si fa uso del termine mucro, «punta». Da questo punto di vista appare dunque corretta la traduzione di Rieck, 1971, p. 309: «Stich nicht mehr als den Dorn (= die Spitze) der Fliete hinein»; più libera quella di Baumgartner, 1976, p. 9: «Du wirst das Instrument nur ein wenig hineinstoßen». Si consideri inoltre come tali raccomandazioni derivino dal fatto che lo strumento impiegato dagli antichi veterinari era privo di dispositivi di blocco che ne impedissero la penetrazione troppo in profondità, a differenza della ‘fiamma’ dei moderni (vd. Rieck, 1932, p. 4, fig. 1, d ed f, per lo strumento antico; Rieck, 1932, p. 19, fig. 9, n, per una raffigurazione di uno strumento con ‘blocco’ di epoca medievale; Rieck, 1932, p. 54, fig. 47, 14 e 18, per delle ‘fiamme’ moderne).

82gylam aut gurgulionem: Non è chiara la differenza tra gula e gurgulio. Il vocabolo gurgulio può avere valore di «gola», «bronchi», «esofago» o «trachea» (forse il significato più adatto al nostro caso; vd. Adams, 1995, p. 371). Per la forma gyla vd. supra, § 7.

83Hoc enim passus: Wölfflin e Oder emendavano in passum il tràdito passur di M. La lezione passus di B sembra tuttavia corretta. Casi di nominativo assoluto non sono rari nella Mulomedicina Chironis; vd. supra, § 8: adhaerens corpori sanguis, e § 31: per quam laxationem omnis corruptio illa, quae fuerit in corpore, abstracta, corroboratio poterit neruorum fieri. Altre occorrenze in Ahlquist, 1909, p. 53.

84ferraginem: Per la forma ferr- (in luogo di farr-) si veda ThlL VI, 1, 285, 30-35, s.v. farrago. Sull’alimento, un miscuglio di erbe diverse, si veda RE 6, 2, 1905, col. 1999-2000, s.v. (F. Olk). Per gli esiti romanzi della forma ferr- si veda REW3, n° 3201.

85ut possit ... per uenam melius acontidiare: Il verbo (con il significato tecnico di «zampillare») è una traslitterazione del greco ἀκοντίζω (il cui significato originario è «lanciare un giavellotto» [ἄκων, -οντος]). Il soggetto è un sottinteso sanguis. Vegezio nella sua rielaborazione (mulom. 1, 22, 5) sente la necessità di spiegare meglio l’espressione: quatenus ... per uenam melius acontidiet, id est erumpat. La forma acontidio si trova pure in Chiron, 24 e 25; nelle rispettive rielaborazioni vegeziane di tali luoghi (mulom. 1, 26, 4 e 1, 27, 2) riscontriamo invece la forma acontizo. Sulla grafia di acontizo/-dio si veda Leumann, 1948, p. 384-385: «Die Schreibung -idiare für -izare ist also eine „umgekehrte“ und als solche erst seit 200 n. Chr. denkbar» (p. 385); vd. anche Biville, 1990, p. 130-131, dove acontidio è accostato alle analoghe forme baptidio, citharidio, exorcidio. Un’altra occorrenza del verbo è riscontrabile in Gloss. V, 560, 3: acontizet erumpat, che deriva forse proprio da Veg., mulom. 1, 22, 5. Si noti infine che il verbo ἀκοντίζω non sembra essere attestato in greco con lo stesso valore che assume nella Mulomedicina Chironis e in Vegezio. È invece attestato in Ps.-Gal., def. med. 460 (XIX, p. 456 K.) e in schol. Bek. Il. 17, 297 il sostantivo ἀκοντισμός con il significato di «emissione di liquidi» (cf. anche ἀκόντισις, ‘eiaculazione’ in Steph., in Hipp. aph. 3, 160, 20).

8610. bene ambulantes: Per ambulo nel senso di «scorrere» in riferimento a fluidi corporei vd. Chiron, 171, 185, 243, 558, 635, 660, 665.

87pitaccium: Per la forma pitaccium in luogo di pittacium (gr. πιττάκιον) si veda ThlL X, 1, 2224, 56-58. Per gli esiti romanzi di tale forma vd. REW3 n° 6547.

88Melius est ut et aquam ostendes: Ho provato a ristabilire il testo. BM hanno un incomprensibile medio stutet, corretto in medio cubet da Oder; altre proposte sono medio stet et di Bücheler e medio statues di Wölfflin (nell’apparato di Oder). Per la confusione fra melius e medius nei manoscritti vd. ad es. Germ., 28 frg. 4, 135: Capricornum non alio melius [medius codd.] signo praedicere possis e Hil., trin. 3, 32: melius [medius cod. Cac] de diuinis scribturis. Per il costrutto melius est ut fra i molti esempi si veda Scaev., dig. 28, 2, 29, 6: m<e>lius ergo est ut in eiusmodi utilitate praesertim post legem Velleam [...] interpretatio admitt<a>tur; Ambr., paenit. 2,11,98: quia melius est ut habeam quod sarciam, quam non habeam quod uestiar. Per ut seguito dall’indicativo in costrutti simili nel latino tardo vd. Hofmann, Szantyr, 1965, p. 646 (con ulteriore bibliografia). Il verbo ostendes è qui probabilmente un indicativo presente: si veda ThlL IX, 2, 1120, 33-35, s.v. ostendo; vd. in particolare Chiron, 72: haec ipsa quidem ypochima tribus generibus se ostendet. Non escluderei infine del tutto che invece di melius si debba leggere melior; un esempio in questo senso sembra rinvenirsi in Anthim., 58: melonis uero si bene maturi fuerint, et ipsorum abintus maxime interiora cum semine quod est mixtum, melior est quam si purum manducetur.

89ne bibere uelit: È questo uno dei casi più famosi in cui ne introduce una proposizione condizionale. Vegezio (mulom. 1, 22, 7) aveva trasposto il testo in modo più elegante: aquam etiam offeres ut si uoluerit bibat. Esistono tuttavia non poche occorrenze di questo uso di ne (spesso seguito da forte o forsitan) nel latino tardo. Un ricco elenco era già stato messo insieme da Ahlquist, 1909, p. 103-105. Si vedano adesso in particolare anche Ortoleva, 2014, p. 332-333 e ThlL IX, 1, 304, 17-45, s.v., dove tuttavia questa attestazione viene inserita non tra i casi in cui ne ha valore propriamente condizionale, ma fra quelli in cui «metuitur non id, quod per ne inducitur, sed ne actio conveniens neglegatur, praetermittatur (ita ut ne saepe optanda inducat)». Un secondo caso di ne con il medesimo valore condizionale si rinviene probabilmente anche al § 15: ne in legitima mittantur, su cui si veda infra.

9011. quare ... quare: In ambedue i casi la congiunzione corrisponde a quamobrem; vd. Papin., dig. 48, 5, 12, 3: turpissimo exemplo is, qui nurum suam accusare instituisset, postea desistere maluit contentus lucrum ex dote retinere tamquam culpa mulieris dirempto matrimonio: quare non inique repelletur, qui commodum dotis uindictae domus suae praeponere non erubuit (si vedano anche i §§ 5 e 13).

91clerocoelicis: Cioè sclerocoelicis; se la lezione è genuina (BM hanno clero celicis), si tratterebbe dunque di una traslitterazione banalizzante di σκληροκοίλιος, «stitico».

92asparges: Sulla forma aspargo si veda ThlL II, 818, 40-53, s.v. aspergo.

93hoc est despumabimus: Il verbo ha il valore originario di «togliere la schiuma» (si vedano ThlL V, 1, 751, 63 - 752, 9 s.v. e Adams, 1995, p. 510); nella Mulomedicina Chironis (oltre che qui, in 12 [bis] e 252 [in queste ultime tre occorrenze nella forma dis-]) e in Vegezio (mulom. 1, 22, 11 [~ Chiron, 11]; 2, 6, 7 [~ Chiron, 252]; 2, 28, 4; 2, 34, 2) esso assume tuttavia il significato tecnico di «salassare dal palato», come ben si evince dal nostro passo (da notare come ancora nel ThlL [V, 1, 751, 83-84] questa particolare accezione sia poco precisamente indicata come «i. q. phlebotomare»). In Chiron, 14 si rinviene anche il sostantivo dispumatio. Mi sembra probabile che il verbo sia stato impiegato dai veterinari nel senso sopra descritto per il fatto che durante tale tipo di operazione dalla bocca del cavallo fuorisciva sangue misto a saliva (spuma). Il salasso dal palato è stato prescritto sino all’epoca moderna come rimedio comune (soprattutto in Germania) contro la mancanza di appetito; si veda ad es. Solleysel, 1664, p. 179 e 470 (si veda anche Baumgartner, 1976, p. 13).

94gradu: Il termine indica le corrugazioni che si trovano nel palato degli equini. Esso si rinviene con tale valore solo nella Mulomedicina Chironis (§§ 126 e 131) e in Veg., mulom. 1, 22, 11 (ripresa di questo passo); 1, 32 (~ Chiron, 126) e 3, 2, 1. Si veda anche hipp. Ber. 9, 1 (Apsirto): τούτου διακόπτειν δεῖ τὴν ἐν τῇ ὑπερῴᾳ τρίτην ἢ τετάρτην φλεβώδη ἐξοχήν.

95dentibus caninis: L’uso dell’ablativo senza preposizione può essere forse avvicinato all’analogo costrutto con i verbi che denotano un’origine o un inizio negli autori post-classici; vd. Hofmann, Szantyr, 1965, p. 105, dove si cita Sen., ira 2, 1, 1: ira utrum iudicio an impetu incipiat.

96ut possit lingua subpremere propter fluxum sanguinis: Oder, 1901, p. 437, riteneva che qui lingua corrispondesse a linguam e che fosse l’oggetto di subpremere. Ahlquist, 1909, p. 15, n. 1, sembrerebbe invece ritenere lingua un ablativo, perché mette in evidenza come l’oggetto di subpremere sia un sottinteso sanguinem (ma già Wölfflin, 1898, p. 416, in appar. aveva scritto «scil. sanguinem»), rinviando a Pelagon., 65: item sanguinem de palato cum tuleris et supprimere eundem sanguinem non potes; e a Chiron, 547: si iumento in naribus cartilago rupta fuerit ... sanguis premi non potuerit; si sanguinem de palato emiseris et subpremere non potueris; si sic etiam subpremere non potueris, acaciam nigram et thuris polline aequis partibus ex aceto temperabis, capite toto imponito, donec subpremas. Forse, più precisamente, qui lingua è il soggetto di subpremere, che va poi strettamente collegato a propter fluxum sanguinis. Quest’ultima espressione sembrerebbe specificare più un luogo che una causa (per propter in questo senso si veda ThlL X, 2, 2118, 23 - 2119, 9, s.v.): «nel punto in cui fuoriesce il sangue». Vegezio (mulom. 1, 22, 11) appare in ogni caso aver frainteso la fonte, perché lega propter fluxum sanguinis a ciò che viene dopo, dicendo: quos oportet suspendi altius propter sanguinis fluxum.

9712. Ideoque dispumamus — causa non est: Per ideoque che equivale semplicemente a ideo si veda ThlL VII, 1, 220, 24-27, s.v. ideo (con bibliografia). L’espressione non è di facilissima intellegibilità. Che cosa vorrebbe dire che bisogna eseguire una despumatio al cavallo dopo il salasso, perché il cavallo ‘dispumato’ si gonfia se non è abituato al salasso? Per tale motivo Oder aveva corretto in <non> dispumatus. Ma anche in questo caso rimane non perfettamente chiara l’aggiunta quibus consuetudo deplendi causa non est, «quando non sia abituato a essere salassato» (su cui vd. infra). L’unica soluzione mi pare per il momento intendere ergo in senso avversativo: «si gonfia invece quello a cui è stato tolto il sangue dal palato» (su questo valore di ergo, rinvenibile altrove nel latino tardo, si vedano ThlL V, 2, 771, 31-42, s.v. e Hofmann, Szantyr, 1965, p. 512, con ulteriore bibliografia). Ho corretto il testo tràdito eundem palatum in eum de palato, perché il verbo despumo sembra avere in questi casi come oggetto l’animale (cf. poco dopo dispumatus e § 252: dispumabis eum pro arbitrio); Adams, 2013, p. 496, che si soffermava sul testo di questo passo come esempio di uso ridondante di idem, riteneva significativamente eundem «pointless». Per quanto infine riguarda propter spurcitiam herbae, riterrei che l’espressione si colleghi direttamente a dispumamus e non a post depletionem: «a causa della sporcizia generata dalla messa all’erba» (per l’uso del genitivo cf. anche Apul., met. 8, 28, 3: solum spurcitia sanguinis effeminati madescere; per il senso specialistico di herba, cf. infra relativamente al § 14). Per quanto riguarda infine quibus consuetudo deplendi causa non est, è da notare come si tratti di un’espressione piuttosto ridondante in cui consuetudo è costruito con causā e il genitivo del gerundio.

98mollia et mollibus cibariis uti debebunt: Il verbo utor è costruito spesso con l’accusativo nella Mulomedicina Chironis: vd. Oder, 1901, p. 449, s.v. uti. Potrebbero stupire l’accusativo che precede immediatamente l’ablativo e la sovrabbondanza dell’espressione (Oder non a caso aveva integrato <dabis> dopo mollia), ma non mi sentirei di mutare solo per questo il testo tràdito.

99per singulas bilibres singulis diebus adiectis: L’uso sostantivato dell’aggettivo bilibris (nel senso di «doppia libbra») è più volte attestato nella prosa tarda (ThlL II, 1985, 79 - 1986, 8, s.v.). Sembrerebbero tuttavia sussistere oscillazioni riguardo al genere. Nella Mulomedicina Chironis il termine appare essere femminile sia qui che al § 251. In Veg., mulom. 2, 6, 6 [~ Chiron, 251]: singulos bilibres e 2, 6, 10 [~ Chiron, 254]: singulos bilibres, lo stesso vocabolo sembrerebbe invece maschile (così γεζ [γ non tramanda però 2, 6, 10 e U presenta una lacuna in 2, 6, 6 dopo singulos; in LW purtroppo i due passi sono assenti]; Lommatzsch, 1903, tuttavia pubblica singulas in entrambi i casi sulla base di π). In Chiron, 447 infine troviamo un’occorrenza di bilibra: salis tertiam partem bilibrae. In effetti le attestazioni al maschile di Vegezio parrebbero essere uniche perché, a parte naturalmente le occorrenze in cui non è possibile stabilire il genere, il sostantivo è sicuramente femminile anche in Diosc., 5, 70: uilibres duas tusas; 5, 76: uilibres singulas; 5, 93: dimidia uilibre; 5, 112: una uilibre attica (iter. ibid.) e in Primas., in apoc. 2, 6: non est autem minus una bilibris a tribus (quest’ultima attestazione non è registrata nel ThlL). Anche negli autori medievali (che riportano il termine essenzialmente nell’àmbito di commenti a Vulg., apoc. 6, 6: bilibris tritici denario et tres bilibres hordei denario) bilibris è sempre femminile; vd. ad es. Ambrosius Autpertus, Expositio in Apocalypsim 4, 6, 6: una itaque bilibris duo sextaria sunt.

100Anche il participio adiectis pone dei problemi: Oder aveva corretto in adiectos, concordandolo con il suo singulos bilibres, ma in realtà qui sembra trattarsi di un’attrazione influenzata da singulis diebus. Tutta l’espressione assume quindi l’aspetto di una costruzione all’ablativo assoluto di cui per singulas bilibres è in qualche modo soggetto. Una situazione per certi versi raffrontabile è riportata in ThlL X, 1, 1168, 60-62 s.v. per: CIL VIII, 4203 e 4204 (a. 160) per leg. III Aug. D. Fonteio Frontiniano … dedicante; un altro esempio (discusso in Galdi, 2004, p. 472) è IGLS 13, 1, 9029: per Claudium Sabinum e[t] Atilium Publium quaestoribus. Per un simile valore distributivo di per seguito da singulus («uno alla volta») vd. qui di seguito al § 13 e al § 524: cum per singulos lapides demiseris (reso da Veg., mulom. 2, 28, 5 con per uices singulos ... lapides ... mittunt); si veda anche Vet. Lat. I Cor. 14, 31 (cod. 89): potestis ... per singulos omnes prophetare (gr. καθ᾽ ἕνα).

101[quo certum]: Non penso che le due parole possano dare senso e concordo quindi al momento con Oder nell’espunzione.

102tamdiu quanto tempore: Questo nesso sembrerebbe rinvenirsi solo qui; vd. Hofmann, Szantyr, 1965, p. 606.

10313. promouere: Infinito con valore di imperativo, frequente nella Mulomedicina Chironis (vd. Oder, 1901, p. 313) e nella lingua tarda (vd. Hofmann, Szantyr, 1965, p. 366-367).

104ita sic ... facias: Per il pleonasmo ita sic (ma sit hanno BM), occorrente talvolta negli autori tardi, si veda Löfstedt, 1907, p. 39-40; id., 1911, p. 60-61; id., 1936, p. 63; ThlL VII, 2, 527, 40-37, s.v. ita. Per l’uso quasi paratattico di ita con valore di ita ut si vedano Baehrens, 1912, p. 307-308; Löfstedt, 1913, p. 256-257 e ThlL VII, 2, 525, 30-39; tra le attestazioni, che risalgono già a Catone, si consideri ad es. tract. in Luc. 5, 1 Migne suppl. 1, 336: ita ... suauiter praedicauat, ita dulcius mellifluo sermone decurrens, non solum conuenirent, sed inruerent turbae; si veda inoltre Vulg. iud. 9, 7: audite me ... ita [ma alcuni mss. aggiungono ut] audiat [et exaudiet Lugd.] uos deus.

105adiectione per singula milia [dies] passus similiter per singulos dies itineri: Oder aveva espunto il primo per, ma qui, come si è visto nel paragrafo precedente, la preposizione fa quasi un tutt’uno con singula («mille passi alla volta»). Si noti inoltre il valore apposizionale che assume per singula milia passus nei confronti di adiectione (vd. supra, § 8, a proposito di propter quamcunque partem inbecillitatem uel dolorem).

106promouendum facias: Per il verbo facio con il gerundio in funzione predicativa si veda Aalto, 1949, p. 117. Fra gli esempi riportati si vedano Aug., serm. 356, 15: fecit debita reddenda e Cod. Iust. 9, 40, 1, 1: requirendus factus (scil. reus).

107thermasiam: Sembra essere l’unica attestazione in latino. Il termine greco (θερμασία) si rinviene già in Ippocrate (aph. 5, 63).

10814. deplere — herbae causa, hoc est legittima mittere: Anche di questo problema mi sono occupato in Ortoleva, 1997, p. 264-269. Fornisco qui tuttavia delle integrazioni e delle precisazioni e propongo un’interpretazione leggermente diversa relativamente all’espressione hoc est legittima mittere. La lettura herbae causa è sicura perché ripresa alla lettera da Veg., mulom. 1, 23: sciendum ... castrata animalia numquam oportere depleri causa herbae. Il testo della Mulomedicina Chironis non è tuttavia stato pubblicato in maniera accettabile né da Wölfflin né da Oder, che però non potevano avvalersi di una corretta constitutio textus del corrispondente passo di Vegezio (in Lommatzsch, 1903, ad loc., si legge: sciendum ... castrata animalia nunquam oportere depleri hac causa). Come si è visto, Wölfflin, 1898, p. 417, stampava ...castratos autem numquam deplere debemus herba: causa haec est [legitima mittere]; Oder, 1901, ad loc.: ...castratos autem numquam deplere debemus herba. [causa haec est legittimum mittere]. I due editori pubblicavano dunque herba seguito da un segno di interpunzione. Oder in apparato aveva proposto due spiegazioni alternative del singolare ablativo: «propter spurcitiam herbae» o «herbarum tempore». La prima ipotesi si basava sull’espressione propter spurcitiam herbae che, come si è visto, occorre al § 12. La seconda spiegazione di Oder, che cioè l’ablativo herba equivalesse a herbarum tempore, riprendeva quanto aveva già avanzato Wölfflin: herbā = uere (Wölfflin, 1898, p. 417 [app. crit.]). Quest’ultima interpretazione viene accolta anche nel ThlL (VI, 3, 2621, 25-26, s.v. herba [ma si esprimono dubbi a 2620, 33]) e dai traduttori tedeschi: Rieck, 1971, p. 310: «Wallachen entziehen wir niemals Blut zur Zeit der Gräser», e Baumgartner, 1976, p. 10: «Kastrierte Tiere aber dürfen wir niemals zur Zeit der Gräser zur Ader lassen», che suppongono in questo modo che un sostantivo concreto possa essere impiegato per una determinazione di tempo (una forma brachilogica la ritiene Svennung, 1935, p. 521). Posto tuttavia che l’espressione in herbam mittere (§ 5) certamente significa «mettere all’erba», herbae causa (o, come si legge in Vegezio, causa herbae) non può che avere il valore di «a causa del mettere all’erba». Evidentemente il semplice sostantivo herba indica in maniera brachilogica la pratica che in hipp. Ber. 10, 7 (Ippocrate) viene detta γραστισμός (Ἱπποκράτους πῶς δεῖ φλεβοτομεῖν, καὶ περὶ γραστισμοῦ) e che in Teoderico da Cervia (xiii sec.) viene successivamente definita adherbatio (med. eq. 1, 6, Dolz, 1937, p. 20: ante adherbationem flebotoma eum de matrice). Un’analoga tendenza a indicare compendiosamente l’azione del «mettere all’erba» gli animali con il termine stesso che normalmente indica l’erba di per sé è inoltre attestata anche negli autori del Corpus hippiatricorum Graecorum: hipp. Ber. 129, 9 (Apsirto): ἐγχυματισμὸς ἐπὶ χλόης; hipp. Ber. 129, 47 (traduzione da Pelagon., 375): προπότισμα ἐπὶ χλόης; hipp. Cant. 78, 3: ἐγχυμάτιζε δὲ αὐτὸν ἀπὸ τῆς χλόης καταψυκτικοῖς διὰ γλυκέος χρηστοῦ. A proposito di hipp. Ber. 129, 47 bisogna dire che il corrispondente testo latino è alia potio, herbacium. Ihm, 1892, p. 187, riteneva che herbacium fosse il nome della pozione derivante dal colore simile a quello dell’erba. Fischer, 1980, p. 133-134, era invece del parere che il nome designasse una «potio danda herbarum tempore». Lo stesso studioso riteneva inoltre che anche ἐπὶ χλόης di hipp. Ber. 129, 9 avesse il medesimo significato (e a supporto invocava anche i §§ 5 e 15 della Mulomedicina Chironis). Più dubbioso sul problema si mostrava Adams, 1995, p. 540-541, che richiamava l’attenzione anche su Plin., nat. 23, 95: Selgiticum [scil. oleum] neruis utile esse diximus, sicut herbacium quoque, quod Iguuini circa Flaminiam uiam uendunt (vd. anche CIL XIII, 10021, 78 e 10021, 142 in cui il termine designa un collyrium).

109Al § 14 si rinviene un secondo problema interpretativo: il valore di legittima mittere. L’espressione era stata espunta da Wölfflin e da Oder; sono invece del parere che essa debba essere mantenuta nel testo sulla base di ciò che si rinviene poco dopo al § 15: similiter et in equos admissarios obseruabimus ne in legitima mittantur. Oder non diceva nulla su legittima mittere del § 14, anche perché egli considerava spurio questo passo. Sia Wölfflin che Oder ritenevano invece che il termine legitima del § 15 equivalesse a coitus, poiché gli equi admissarii lì menzionati sono gli ‘stalloni’ (per ulteriori ragguagli su tale interpretazione di Oder si veda infra, a proposito del § 15). La presenza del verbo mitto in entrambi i casi pone tuttavia tali espressioni in stretto rapporto con l’analogo nesso in herbam mittere che si rinviene al § 5 (cf. supra), dove mitto ha pure come oggetto l’animale ed è seguito da un complemento di moto a luogo. Se dunque nel nostro passo, mediante l’uso di hoc est, si associa il verbo mittere con la pratica della messa all’erba – che, come si è detto, consisteva nel ‘mandare’ i cavalli a pascolare nei prati –, ciò deve far ragionevolemente ritenere che con il termine legit(t)ima si designassero dei luoghi fisicamente esistenti. In ultima analisi il termine deve corrispondere a pascua, verosimilmente publica. Questo significato dell’aggettivo sostantivato legitimum non è altrove attestato nel latino classico o tardo; si rinvengono tuttavia delle significative occorrenze nel latino medievale con cui si possono istituire confronti: in NGML 1, 85, 1-3, s.v. legitimus, sono registrati infatti dei casi in cui tale aggettivo ha il valore di «pubblico» in riferimento ai termini uia o strata: Trad. Frising. 538a (a. 826): legitima uia (Dipl. Ludow. Germ. 90 p. 129, 32 [a. 858]); Dipl. Otton. III. 370 [a. 1000]: ad legitimam stratam (sul nesso strata legitima si veda anche Hochuli, 1926, p. 44-45, che tuttavia riterrebbe che esso possa avere il valore di «Straßenzwang», «percorso obbligato»). In NGML 18, 852, 30-34, s.v. peruium, sono registrate inoltre delle occorrenze di tale sostantivo in unione con l’aggettivo legitimus, che sembra assumere anche in questo caso il significato di «pubblico» (ma il lessico non si pronuncia a riguardo): Folc., gesta Bertin. p. 72 (Carta a. 811): cum peruio legitimo et wadriscapo; p. 156 (Carta a. 831) concidis, communiis, peruiis legitimis (al.); Cartul. Stabul. 1, 27 p. 71, 6 (a. 824) peruio legitimo et ponto publico et mosa. Ma forse le attestazioni più confacenti al caso nostro si rinvengono nel Cartul. cath. Amb. p. 1 (Carta a. 847-850): peruiis et quadris campis legitimis communiis e p. 2 (stesso documento): cum peruiis et quadris campis legitimis communiis (su queste occorrenze si veda Thévenin, 1887, p. 125; ringrazio molto il Dr. Franz-J. Konstanciak del MLW per avermi indirizzato verso tale documento). Se poi legitimus nel latino volgare può davvero valere «pubblico», di grande interesse sarà la testimonianza di Frontin., grom. p. 15, 4-7 (= Agenn., grom. p. 63,12-15): est et pascuorum proprietas pertinens ad fundos, sed in commune; compascua multis locis in Italia communia appellantur, quibusdam prouinciis pro indiuiso e p. 48, 21-25: Relicta sunt et multa loca quae ueteranis data non sunt. Haec uariis appellationibus per regiones nominantur: in Etruria communalia uocantur, quibusdam prouinciis pro indiuiso. Haec fere pascua certis personis data sunt depascenda, tunc cum agri adsignati sunt (vd. anche p. 55, 22). Un’ulteriore prova che legitima equivale a conpascua si ricava da Chiron, 773, dove si prescrive un composto purgativo (purgationem iumenti) ad eos qui sunt in grege legittimarii (legittimarii B legittimari M legitimari Oder). Oder (ad loc. e p. 388), sulla base della sua erronea interpretazione del § 15 (vd. infra), riteneva, pur dubitativamente, che tale espressione designasse gli equi admissarii, cioè gli stalloni. Bücheler (in Oder, 1901, ad loc. e p. 388) sospettava invece che sotto legitimarii potesse «proprium uiri nomen latere». Luoghi paralleli a Chiron, 773 si rinvengono tuttavia in hipp. Ber. 114, 1 (Apsirto) e in hipp. Cant. 109, 5. Proprio dal passo di Apsirto dipendono verosimilmente Chiron, 773-774 e hipp. Cant. 109, 5. Il testo greco di hipp. Ber. 114, 1 relativo alla porzione che ci interessa di Chiron, 773 è il seguente: ἱπποτροφοῦντά σε βούλομαι εἰδέναι ὅτι τοὺς ἐν ταῖς ἀγέλαις θεραπεύσομεν οὕτως. Il riferimento a cavalli ἐν ταῖς ἀγέλαις occorre più volte nel Corpus hippiatricorum Graecorum (hipp. Ber. 2, 6; 2, 9; 15, 1; 20, 5; 88, 2; 99, 2; 113, 1; 115, 4; 116, 1; hipp. Par. 629; hipp. Cant. 44, 4; 93, 17; hipp. Lugd. 162) e rimanda esplicitamente agli animali che erano allevati all’aperto allo stato semi-brado, in opposizione a quelli che erano ricoverati nelle stalle. Si veda del resto la distinzione fra i due tipi di allevamento che fa Vegezio in mulom. 1, prol. 16: domita animalia aut praesepibus aluntur aut pastu, indomita latioribus nutriuntur in saltibus. Questi ultimi dovevano essere dunque gli equi legitimarii, e il termine non può che derivare da legitima nel senso di conpascua.

110In Ortoleva, 1997, p. 265, avevo integrato <in> davanti a mittere, ma questa integrazione non è in verità necessaria, perché l’accusativo semplice per indicare la direzione è spesso impiegato nel latino tardo (e non solo); cf. a riguardo Baehrens, 1912, p. 331-356 (con numerosi esempi) e Hofmann, Szantyr, 1965, p. 49 (con ulteriore bibliografia).

111In ultimo bisogna spiegare il nesso hoc est. In Ortoleva, 1997, p. 268, ritenevo che esso creasse un’equivalenza fra deplere ... herbae causa e (in) legittima mittere, concludendo che poiché il salasso annuale era strettamente collegato alla «messa all’erba» degli animali, (in) legitima mittere, pur significando letteralmente «mandare nei pascoli», avrebbe finito per indicare l’azione stessa del salasso primaverile e che in conclusione avrebbe più o meno significato «salassare». Vegezio nella sua rielaborazione di mulom. 1, 23 non ci aiuta, perché non aggiunge nulla dopo castrata animalia numquam oportere depleri causa herbae, ma pensavo potesse offrirci un indizio nella sua ripresa del § 15 (mulom. 1, 24), dove con admissarios etiam equos flebotomare non opus est riprende similiter et in equos admissarios obseruabimus ne in legitima mittantur (su cui si veda infra). Bisogna tuttavia considerare che troppo precisa appare l’equivalenza legitima = conpascua e che essa è pure avvalorata dall’aggettivo legitimarius, che – come si è visto – ha il valore di «cavallo che si nutre all’aperto». Adesso mi sembra pertanto alquanto forzato pensare all’ulteriore passaggio semantico che porterebbe in legitima mittere a corrispondere più o meno a flebotomare. Riterrei piuttosto che qui hoc est (haec est M) crei un’equivalenza, per quanto apparentemente incoerente dal punto di vista sintattico, fra herbae causa e (in) legittima mittere: «mettere all’erba» corrisponde dunque a «mandare al pascolo». L’infinito mittere equivarrebbe pertanto in qualche modo a un gerundio del tipo mittendi: numquam deplere debemus herbae causa (hoc est (in) legittima mittendi). Tale uso dell’infinito in luogo del gerundio è altrove attestato (in particolare nel latino tardo); si vedano gli esempi in Aalto, 1949, p. 62 (con ulteriori rinvii bibliografici) e si considerino in particolare Vulg., Ioh. 19, 10: potestatem habeo dimittere te e Filastr., 156, 6: dedi uobis potestatem calcare; si aggiunga pure Rufin., hist. mon. 19, 2: erat ei studium singulos quosque circumire fratrum et cohortari eos ad martyrium.

11215. de matrice: Nei testi di veterinaria matrix può avere il valore di «vena giugulare»; si veda a proposito Adams, 1995, p. 422-423.

113et in equos admissarios obseruabimus ne in legitima mittantur: Ai problemi interpretativi che sollevano queste parole si è fatto parzialmente riferimento supra, § 14. Come si è detto, Wölfflin e Oder (quest’ultimo dubitativamente) ritenevano che qui legitima equivalesse a coitus (p. 388). A questo punto di vista è tuttavia di ostacolo la presenza della congiunzione ne. Traducendo letteralmente si giunge infatti a un senso per nulla accettabile: «anche con gli stalloni faremo in modo che non siano fatti accoppiare...». Notando questa incongruenza Oder negli Addenda et corrigenda (p. XXIX) osservava: «obseruabimus ne eqs. stare non possunt: aut supplendum fere ne <hoc fiat si> in aut pro ne scribendum est si uel cum»; nell’indice invece (p. 388) riportando il passo scriveva «(si)?» subito dopo ne. Il testo tràdito è stato al contrario difeso da Ahlquist, il quale, dato per scontato che qui legitima equivalesse a coitus, si era proposto di dimostrare che anche in questo caso al pari del § 10 ne ha un valore condizionale («nel caso in cui»). Secondo Ahlquist il passo in questione avrebbe avuto dunque il seguente significato: «si farà parimenti anche con gli stalloni, se essi sono fatti accoppiare...». Su questa linea interpretativa è improntata anche la traduzione di Rieck, 1971, p. 310: «In gleicher Weise werden wir auch bei den Deckhengsten von einer Ausführung der üblichen Aderlässe absehen, wenn sie zum Decken herangelassen werden» (curiosa, e assolutamente improponibile, è invece quella di Baumgartner, 1976, p. 10, che considera il verbo mitto nel senso di «salassare» e in legitima come un’unica parola con valore avverbiale (?): «In gleicher Weise werden wir bei Hengsten, die in der Zucht stehen, aufpassen, daß sie nicht gesetzmäßig zur Ader gelassen werden»). Il concetto sarebbe in sostanza che se si impiegano gli stalloni per l’accoppiamento, a essi non deve essere praticato il salasso (così come si è detto riguardo agli asini); se al contrario gli stalloni hanno cessato di essere utilizzati per scopi di riproduzione (sed si tamen ab admissura desinuerint), è opportuno che a essi sia tolto il sangue ogni anno in primavera. In Ortoleva, 1997, p. 267-268, mi opponevo a questa ricostruzione essendo dell’idea che il nesso obseruabimus ne difficilmente poteva essere separato; esso piuttosto doveva essere considerato nel suo insieme con il consueto significato di «faremo in modo che non» (come del resto avviene in Chiron, 101, 503, 650, 731, 857 e 982). E poiché ritenevo che in legitima mittere assumesse il significato traslato di «salassare in primavera prima di mandare gli animali al pascolo» (cf. supra, § 14), ero dell’idea che il passo in sostanza significasse «similmente anche riguardo agli stalloni faremo in modo che non siano salassati». Del resto la trasposizione di Vegezio (mulom. 1, 24) è semplicemente admissarios etiam equos flebotomare non opus est. Di questa ricostruzione non sono oggi più convinto. Considero infatti più probabile che qui ne davvero introduca una proposizione condizionale come al § 10 e che obseruabimus si riferisca solamente a et in equos admissarios. Per obseruo costruito con in e l’accusativo per indicare ciò su cui si deve concentrare l’attenzione si veda Cod. Iust. 1, 27, 2, 8: haec [scil. decreta uel sim.] ... non solum in limitaneos uolumus obseruari, sed etiam in comitatenses milites. Il senso dunque dovrebbe essere: «faremo similmente anche riguardo agli stalloni nel caso in cui essi siano mandati al pascolo».

114desinuerit: Per questa forma del tema del perfetto di desino, attestata altrove nel latino tardo, si veda ThlL V, 1, 722, 78-80.

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Solleysel, J. de, 1664, Le parfait maréchal qui enseigne à connoistre la beauté, la bonté et les deffauts des chevaux, ensemble un traitté du haras, Paris.

Stoffregen, M., 1977, Eine frühmittelalterliche lateinische Übersetzung des byzantinischen Puls- und Urintraktats des Alexandros, Text - Übersetzung - Kommentar, Inaugural-Dissertation, Berlin.

Svennung, J., 1935, Untersuchungen zu Palladius und zur lateinischen Fach- und Volkssprache, Leipzig-Uppsala.

Thévenin, M., 1887, Études sur la propriété au moyen âge. Les communia, in Mélanges Renier, recueil de travaux publiés par l’École pratique des hautes études (Section des sciences historiques et philologiques) en mémoire de son président Léon Renier, Paris, p. 121-144.

Wagner, M. L., 1960-1964, Dizionario etimologico sardo, 3 vol., Heidelberg.

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Notes

1 Questo lavoro si inserisce nell’ambito del Progetto di Ricerca ‘Prometeo’ 2019 dell’Università di Catania da me coordinato dal titolo «Dall’oggetto al testo. Un progetto multidisciplinare per la valorizzazione del patrimonio culturale».

2 Aggiornate informazioni sul trattato in Fischer, 2008 (con ulteriore bibliografia fondamentale).

3 Meyer, 1885. Per la storia del ms. e una sua descrizione si veda Cózar Marín, 2005, p. XXI-XXVI. Una riproduzione digitale del cod. è consultabile dal dicembre 2014 all’indirizzo http://daten.digitale-sammlungen.de/db/0009/bsb00092688/images. Ringrazio ancora una volta Klaus Kempf della Bayerische Staatsbibliothek per aver reso possibile ciò.

4 Wölfflin, 1898.

5 Oder, 1901.

6 Niedermann, 1910.

7 Sackmann, 1988, p. 65; id., 1993a e id., 1993b.

8 Una descrizione del ms. in Cózar Marín, 2005, p. XXVI-XXVIII. Cf. anche infra e n. 12.

9 Cózar Marín, 2005. Il lavoro è consultabile all’indirizzo http://www.historiaveterinaria.org/update/tesi-1457115455.pdf

10 Fischer, 1994. Sempre presso la Biblioteca del Thesaurus linguae Latinae si trovano conservate copie delle trascrizioni di M e di B eseguite da Fischer rispettivamente nel 1994 e nel 1999 [seconda edizione].

11 Oder, 1901, p. VII, n. 1.

12 Meelführer, 1699, p. 132. La descrizione dei mss., come si evince dalla breve nota stampata a p. 131, si deve allo stesso Thomasius.

13 Ihm sapeva del ms. attraverso Fabricius, 1774, p. 178 (che a sua volta riprendeva la notizia da Meelführer, 1699) e aveva compiuto anche qualche ricerca (cf. Ihm, 1891, p. 377, n. 1, e soprattutto id., 1892, p. 14: «qui num hodieque extet [scil. codex Thomasii] quaeritur; Norimbergae esse sciscitanti mihi negaverunt»). Meyer si era spinto ancora oltre, perché aveva pubblicato il 18 luglio 1896, nella Deutsche Litteraturzeitung (Meyer, 1896), un avviso con cui chiedeva notizie del ms. di Thomasius, che egli conosceva mediante il catalogo di vendita della biblioteca dell’erudito di Norimberga (cf. infra, n. 17). Anche Meyer, al pari di Ihm, assai verosimilmente non avrà ricevuto alcuna risposta.

14 Cózar Marín, 2005, p. XXI. Un’erronea interpretazione di Oder, 1901, p. VII, n. 1, in Sackmann, 1993a, p. 44.

15 E-mail dell’11 e del 23 dicembre 2002. Nell’interno della copertina di B si legge (a matita): «è Biblioth. Lachenal».

16 http://www.e-codices.unifr.ch/it/list/one/ubb/D-III-0034.

17 Consultabile in rete al medesimo indirizzo.

18 Panzer, 1772, p. 56, n° 156: «Incerti auctoris liber de equis eorumque cura gr. 4. auf Pergam. geschrieben 28 Blätter. Es scheint dieses Mst. ein vorzügl. Alter zu haben und ist ziemlich deutlich geschrieben. Der Verfasser nennt sich am Ende militem Calabriensem und daben steht: Scripsit Philippus hunc librum sit benedictus. 2) Chironis Centauri de iumentis et equis libri X. Ein alte Hand am Ende steht: Claudius Heromeros. Veterinarius. Explicit. 1495. 3) Ex Oliuerio (regis Neapolit. Ferdinandi I. magistro Stabuli) quaedam de equis. Am Ende defect. 1 fl 15 kr.». Su Panzer cf. Pallmann, 1897. Questo catalogo non era noto a Ihm e a Oder, ma lo fu a Meyer (cf. supra, n. 4). Un avviso della vendita della biblioteca di Thomasius si rinviene in Neue Zeitungen von gelehrten Sachen, 2 marzo 1747, p. 162-165.

19 Si noti come nella descrizione presente in Meelführer, 1699 sembri mancare il riferimento all’opera di Ruffo. Non sfugga tuttavia che Thomasius aveva sommariamente descritto il cod. contenente la Mulomedicina Chironis fra i «(codices) chartacei» e che nell’àmbito dei «codices membranacei» si rinviene questa indicazione: «Jordanus de medicinis equorum» (p. 131). Evidentemente Thomasius li considerava due codd. distinti a causa del diverso materiale scrittorio, nonostante fossero rilegati insieme (la coperta anteriore reca un’iscrizione: Jordano / Chiron Centaurus / Ex Oliuerio quedam [queste ultime parole sono aggiunte da una seconda mano]; essa è datata da Mittenhuber e Dill al XVI sec., e quindi è antecedente a Thomasius).

20 La specificazione «halte Hand» sembra dovuta al fatto che le parole in questione sono scritte in onciale. Si noti in particolare come il primo occhiello della M di KERMEROS sia completamente chiuso, tanto da poter essere facilmente scambiato per una O.

21 Si aggiunga una discrepanza notevole nella distribuzione del testo dei §§ 977-999: essi si trovano dopo l’explicit del X e ultimo libro in M; in B i §§ 977 (fine)-999 si rinvengono inseriti, apparentemente fuori posto, nel IX libro tra la prima e la seconda parte del § 930; la prima parte del § 977 si trova invece come ultimo precetto prima dell’explicit. Sulle divergenze fra i due testimoni si vedano per il momento in particolare Sackmann, 1993b, p. 118-120; Sackmann, 2007, p. 282-285 e Sackmann, 2015; cf. anche Cózar Marín, 2005, p. XXXI-XXXII.

22 Il testo del I libro dei Digesta artis mulomedicinalis di Vegezio è citato secondo Ortoleva, 1999; quello dei restanti libri secondo l’ed. di Lommatzsch, 1903. Per le sigle dei testimoni cf. Ortoleva, ibid., p. XLI-XLII (si noti tuttavia che ora si impiega la sigla E in luogo di Ve).

23 Si è cercato di tradurre fedelmente il testo originale. Ripetizioni e banalità presenti in quest’ultimo compaiono pertanto volutamente anche nella resa in italiano.

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Pour citer cet article

Référence papier

Vincenzo Ortoleva, « Mulomedicina Chironis 3-15 (la pratica del salasso). Testo critico, traduzione e commento »Pallas, 113 | 2020, 275-308.

Référence électronique

Vincenzo Ortoleva, « Mulomedicina Chironis 3-15 (la pratica del salasso). Testo critico, traduzione e commento »Pallas [En ligne], 113 | 2020, mis en ligne le 20 septembre 2022, consulté le 07 novembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/pallas/24363 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/pallas.24363

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Auteur

Vincenzo Ortoleva

Professore ordinario di Filologia Classica
Università di Catania
ortoleva[at]unict.it

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