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Terra e territorio nella Sicilia greca

La legge tardo-arcaica di Himera (SEG 47, no 1427; IGDS II no 15). Un riesame linguistico ed epigrafico

La loi d’Himère de la fin de l’époque archaïque : nouvel examen linguistique et épigraphique
The late-archaic law from Himera: A linguistic and epigraphic reappraisal
Olga Tribulato
p. 167-193

Résumés

Cet article propose un nouvel examen du texte gravé sur une lamelle de plomb d’Himère, publiée en 1997 et souvent considérée comme contenant une loi sur la distribution de terres. Sur la base d’une analyse linguistique et épigraphique détaillée, deux suggestions sont proposées, offrant des lectures alternatives de la partie centrale de la lamelle (lignes 8-11); celles-ci pourront ouvrir de nouvelles voies dans l’interprétation du texte et de son intérêt pour l’examen du contexte institutionnel d’Himère à la fin de l’époque archaïque.

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Texte intégral

Fig. 1. Fotografia della lamina di Himera, da Brugnone 1997, p. 264 (ringrazio A. Rigo, co-direttore di La Parole del Passato, per avermi permesso di riprodurre la fotografia).

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Fig. 2. Facsimile della lamina di Himera, da Brugnone 1997, p. 265 (vingrazio A. Rigo, co-direttore di La Parola del Passato, per avermi permesso di riprodurre l’immagine).

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1. Introduzione

  • 1 Per i rapporti tra fonti storiche e archeologia, si veda ora Vassallo, 2012.
  • 2 I più importanti sono raccolti in IGDS I n° 6-14 e IGDS II n° 15-17. Gli scavi successivi hanno res (...)
  • 3 Sul ruolo di Himera in questa parte del territorio siciliano, si vedano Vassallo, 2002 e Vassallo, (...)
  • 4 Vassallo, 2009, p. 250-254; Vassallo, 2010.

1Tra le poleis greche di Sicilia, Himera è forse quella che si studia e si conosce di meno. La città, fondata nel 648, prosperò per soli 240 anni prima di essere distrutta dai Cartaginesi nel 409 a.C. (Diod. 13.62.4)1. Le fonti storiche, pertanto, sono limitate; e i testi epigrafici restituiti dagli scavi sono esigui2. Eppure, non si può non rimanere affascinati dalle vicende storiche e istituzionali della breve vita di Himera, dall’imponenza del suo sito e dal suo ruolo di cerniera culturale tra il mondo ellenico della Sicilia orientale, l’area indigena centrale e i siti punici della parte occidentale − un fascino che è oggi accresciuto dalla scoperta della vasta necropoli occidentale, oggetto di un’importante campagna di scavo della Soprintendenza archeologica di Palermo tra il 2008 e il 2013.3 Oltre a manufatti e alcuni brevi testi epigrafici ancora inediti, lo scavo ha portato alla luce sepolture comuni e inumazioni di cavalli che hanno permesso di documentare le battaglie del 480 e del 409 a.C., momenti cruciali dell’opposizione greca all’espansionismo cartaginese4.

  • 5 Si vedano Finglass, 2014, p. 7-8; Cassio, 1999, p. 205; Willi, 2008, p. 55, tutti più o meno intere (...)

2Un dato storico con il quale gli studiosi si sono sempre confrontati è il resoconto tucidideo (6.5.1) della fondazione della città, che nel definire Himera una fondazione mista ne identifica anche il dialetto come una varietà «a metà tra ionico calcidese e dorico» (καὶ φωνὴ μὲν μεταξὺ τῆς τε Χαλκιδέων καὶ Δωρίδος ἐκράθη, νόμιμα δὲ τὰ Χαλκιδικὰ ἐκράτησεν). I linguisti hanno a più riprese cercato prove a favore o contro questa affermazione tucididea nella documentazione epigrafica, la cui esiguità ed intrinseca ambiguità hanno tuttavia condotto a bilanci diversi5.

  • 6 Sul quale vd. Bonacasa, 1982, p. 50; Vassallo, 2013, con bibliografia precedente.
  • 7 Vd. Vassallo, 2013, p. 81-82.

3Un fatto degno di nota è che gli studi che si sono occupati della questione del dialetto di Himera negli ultimi venti anni non discutono mai in dettaglio il testo imerese più importante: la cosiddetta ‘legge agraria’ di fine VI secolo pubblicata nel 1997 da Antonietta Brugnone e ora disponibile anche nel repertorio di Dubois (IGDS II no 15). Il testo suscita numerose domande relativamente al suo contenuto e significato storico, talvolta oscurati da un assetto testuale lacunoso. Secondo l’interpretazione di Brugnone (1997) la ‘legge’ (termine che anche qui useremo per comodità) regolerebbe l’estensione di lotti di terreno (ovvero di preselle edificatorie) nel contesto di una distribuzione di terre. Questa interpretazione è stata criticata in diversi interventi da G. Manganaro. Come sostenuto infra, non è evidente dal testo stesso che esso regoli la distribuzione di lotti agrari. Che le prime linee facciano riferimento a lotti cittadini nel contesto di una regolazione dell’abitato è invece suggerito da due fatti archeologicamente documentati: 1) tra la fine del VI secolo e il primo venticinquennio del V si procedette a riorganizzare l’assetto urbanistico della città alta6; 2) gli oikopeda della città alta misurano m 16 x 16, dunque esattamente quello metà schoinos menzionato dalla legge7.

  • 8 Rimando agli studi di Brugnone, 1997; Brugnone, 1997-1998; Manganaro, 2000; Lombardo, 2001, p. 79-8 (...)

4L’acceso dibattito che è sorto sull’interpretazione del testo ha avuto la conseguenza di far passare del tutto in secondo piano il dato linguistico e il suo veicolo epigrafico8. Il presente contributo propone una rianalisi di questi aspetti piuttosto trascurati nelle pubblicazioni successive all’editio princeps, allo scopo di rivedere in chiave critica alcuni degli assunti che si sono stratificati nella storia degli studi. Attraverso una minuziosa analisi epigrafica e linguistica cercherò di dimostrare che se la terra è ben presente nel testo, non è possibile tuttavia interpretare la legge come una serie di disposizioni sulla sua distribuzione. Al contrario, come propongo, tale distribuzione verrebbe evocata come qualcosa che non deve avvenire: la rilevanza del testo, dunque, sarà stata piuttosto di tipo istituzionale che agrario.

2. Il testo

  • 9 Altri brevi testi frammentari sono stati rinvenuti nel temenos del tempio D: vd. Manni Piraino, 197 (...)

5Inciso in alfabeto ‘rosso’ di tipo calcidese su una lamina sottilissima di piombo (spessore inferiore a mm 1; altezza cm 13,7, larghezza cm 10,7), il testo era destinato all’affissione: rimangono ancora piccoli fori nei due angoli del lato destro. La lamina fu rinvenuta, spezzata in piccoli frammenti che recano tracce di ripiegamento ai quattro angoli, nell’angolo sud-est del tempio D del temenos di Atena, sull’acropoli di Himera. È datata dalla prima editrice (Brugnone 1997) alla fine del VI sec. a.C.9. È importante notare che tutti e quattro i margini della lamina sono integri: dunque, o il testo della legge si esaurisce con quanto contenuto nella lamina, o si deve pensare che essa fosse preceduta e/o seguita da altri testi. È, questo, un punto importante per la comprensione del testo e della sua lingua, come si dimostrerà in seguito.

  • 10 Altri studi o ricostruzioni del testo (citati anche in apparato) sono Manganaro, 1997, p. 318 n. 57 (...)

6Si riproducono qui la fotografia della lamina e il facsimile pubblicati nell’editio princeps (figg. 1-2), seguito dal testo così come trascritto in quella sede10. Si fornisce in calce un apparato critico originale, imprescindibile per giudicare la difficoltà di alcuni passi del testo e valutare la bontà delle relative congetture. Sfortunatamente, una revisione autoptica del documento non è stata possibile in quanto la lamina non è attualmente disponibile (luglio 2018) nell’Antiquarium di Himera (da poco divenuto Museo Pirro Marconi). Si auspica che possa presto essere inclusa tra i materiali esposti nella nuova sede del Museo e che sia permesso agli studiosi esaminarla.

1

[․4-5․]εντο̄ν hε̄μίσχοι[νον]

[․․․]εδε τõν [οἰ]ϙοπέδο̄ν [..]

λα δανκλαῖα ποιε͂σαι ἀ[.]

αρ Image 1000000000000009000000144CD720C788FC2E5F.pnghαι φρατρίαι ἀ[ν]έδειξα-

5

ν τὰ καταγεγραμ(μ)ένα· ἰ-

ὰν [δέ τι]ς πὰρ τὸ χάλϙο̄μα

ἐργάσδε̄ται Image 1000000000000009000000144CD720C788FC2E5F.pngτὸ [χ]ά[λϙ]-

[ο̄μ]α [ἀφ]ανὲς ποιε̄́σε̄ι Image 1000000000000009000000144CD720C788FC2E5F.pngθ[έλ]-

[ε̄ι λ]αθ[ε͂ν τ]ι περὶ το͂ χα[λϙ]-

10

[Image 100000000000000900000012EB0ABFF186A379F5.png]ματο[ς] ε[]ε[1-2]ειε μ<ο>ῖρ-

․․]ιε κακε[․․] ἀγαθε[ ἐ]-

ν το͂ι αὐτο͂<ι> αὐτὸν ἔχε[σ]-

θαι ἐν hο͂ιπερ h[ο με̄̀] λ-

[αχImage 100000000000000900000014038FFDD57F2F1623.png]ν γέε̄ς ἀναδαιθμο͂.

15

μνImage 100000000000000A000000135A70E13011AC56DC.pngσεται περὶ δ[ὲ] τ-

ο͂[ν] δεχο[μένο̄]ν κατὰ τ-

ὸ χά[λ]ϙο̄μα καρτ-

ερο[․]εντα [— — — —]

1 [4-5]εντο̄ν hε̄μίσχοι[νον] Brugnone, 1997; IGDS II, no 15 | [hέκαστον ἔποιϙ|ον λαβ]ε͂ν το͂ν hε̄μισχοί[νο̄ν] Μanganaro, 1997; Manganaro, 2000 || 2 [․․․]εδε το͂ν [οἰ]ϙοπέδο̄ν [..] Brugnone, 1997; IGDS II no 15 | hὲν, μ]ε̄δὲ(ν) Manganaro, 1997; Manganaro, 2000 | μImage 100000000000000A000000135A70E13011AC56DC.pngδε το͂ν [οἰ]ϙοπέδο̄ν dubitanter Dubois IGDS II, no 15, p. 29 || 2-3 [..]| λα δανκλαῖα Brugnone 1997; IGDS II, no 15 | φῦλα δανκλαῖα Brugnone, 1997, p. 271; Manganaro, 2000 | [φυ] | λὰ (sic) Δανκλαῖα Manganaro, 1997 | [ἄλ] | (λ)α δανκλαῖα Dubois ad IGDS II, no 15, p. 29 ‖ 3-4 ἀφ[] | αρε. Brugnone, 1997 | ἄ[ρ]|αρε? Brugnone, 1997, p. 271 | ἀ[φ]| αρεὶ Manganaro, 1997 | ἄ[φ]| αρ Image 1000000000000009000000144CD720C788FC2E5F.pngIGDS II, no 15, p. 4 φρατρίαι Brugnone, 1997; Manganaro, 1997 | φρε̄τρίαι IGDS II no 15 ‖ 6 ἐργάσδε̄ται Brugnone, 1997; Dubois, 1999; IGDS II, no 15 | ἐργάσδεται Manganaro, 1997, Manganaro 2000 ‖ 8 ποιImage 100000000000000A000000135A70E13011AC56DC.pngσε̄ι Brugnone 1997 | ποιImage 100000000000000A000000135A70E13011AC56DC.pngσει Manganaro, 1997; Manganaro, 2000; Dubois, 1999; IGDS II, no 15 ‖ 8-9 Image 1000000000000009000000144CD720C788FC2E5F.pngθ[έλ | ε̄ι λ]αθ[ε͂ν τ]ὶ (sic) Brugnone, 1997 | Image 1000000000000009000000144CD720C788FC2E5F.pngθ[έλ | ει λ]αθ[ε͂ν τ]ὶ Manganaro, 1997; Manganaro, 2000; IGDS II, no 15 ‖ 10-12 ε[]ε[1-2]ειε μ<ο>ῖρ|[α ․․]ιε κακε[․․] ἀγαθε[ ἐ]|ν Brugnone, 1997 | Σ[Τ]Ε[ΡΕΣΘΟ]ΤΕΣ μοίρ|ας τ]ε͂ς κακε͂[ς Image 1000000000000009000000144CD720C788FC2E5F.png] ἀγαθε͂ς ἐ] | ν Manganaro, 1997 | στερέσθο̄ τε͂ς μοίρ|ας τ]ε͂ς κακε͂[ς κἀγαθε͂ς· ἐ] | ν Manganaro, 2000 | E.E I vel T Y vel N vel Λ ΕΙΕΜ ΦΙΡ IGDS II, no 15 ‖ 13-14 h[ο μImage 100000000000000A000000148A31A3C9503B2B62.png] λ | [αχImage 100000000000000900000014038FFDD57F2F1623.pngBrugnone, 1997 | h[ος ἔκ]λ | [ετον] Manganaro, 1997 | h[ος . . ] Λ | [...]ν IGDS II n15 ‖ 15 μνImage 100000000000000A000000135A70E13011AC56DC.pngσεται περὶ δ[ὲ] Brugnone 1997 | μνImage 100000000000000A000000135A70E13011AC56DC.pngσεται. περὶ δ[ὲ] Manganaro, 1997, Dubois, 1999, IGDS II, no 15 ‖ 17-18 καρτ|ερo[.]εντα[- - -] Brugnone, 1997 | καρτ|ερὸ[ν] ἓν τ(ο͂)[ν hεμισχοίνο̄ν? (sic) Image 1000000000000009000000144CD720C788FC2E5F.pngτο͂ν οἰϙοπέδο̄ν εἲναι? (sic)] Manganaro, 1997 | καρτ | ερὸ[ν] hέν τ(ο͂)[ν hεμισχοί|νο̄ν (sic) [----- εἶμεν] Manganaro, 2000 | καρτ|ερὸ[ς] ΕΝΤΑ IGDS II, no 15

3. La lingua

  • 11 Cfr. Brugnone, 1997-1998, p. 581.

7Nel testo figurano per la prima volta i termini ἡμίσχοινον (l. 1), οἰκόπεδον (l. 2) e χάλκωμα (ll. 6, 9, 17), nonché ἀναδαιθμός (l. 14), già conosciuto nella forma apocopata ἀνδαιθμός del (poco più tardo?) Bronzo Pappadakis11. La lingua è uniformemente ionica eccetto che per alcuni tratti non-ionici degni di nota, su cui ci soffermeremo. Tra gli elementi ionici sono notevoli la forma della congiunzione ipotetica ἰάν (ll. 5-6 = ἐάν) e la forma del genitivo di γῆ (γέης, l. 14), in cui la radice si presenta nella forma γε- anche al singolare. Il primo elemento fa parte di quei tratti importati nel dialetto ionico siceliota dallo ionico di Eubea: è attestato nella legge monetaria di Eretria (IG IX, 9 1273/4, VI secolo a.C.) e si riscontra anche nella frammentaria legge sull’omicidio del sito greco-indigeno di Monte San Mauro (SEG 4 no 64; IGDS I no 15), non lontano dall’area euboica di Leontinoi. Il genitivo γέης permette invece di dimostrare che doveva esistere in alcune varietà ioniche una declinazione di γῆ nella quale la radice γε-, che normalmente si trova usata solo in alcuni casi del plurale, era estesa anche al singolare.

  • 12 Brugnone, 1997, p. 266.

8A questi due elementi euboici sicuri se ne potrebbe aggiungere un terzo. Nella l. 4, incisa da destra a sinistra, si legge la forma φρ[.]τρίαι, la cui terza lettera occorre in un punto lacunoso del frammento c della lamina. Di essa si intravede solo l’angolo superiore destro, che A. Brugnone indica come appartenente sicuramente a un alpha12. Dubois legge un epsilon (φρε̄τρίαι), il che gli permette di interpretare il dialetto dell’iscrizione in senso ionico-euboico. La forma φρατρίαι infatti potrebbe sì essere compatibile con il gruppo ionico-attico, ma non specificamente con l’euboico, nel quale si verifica il passaggio di [a:] ad [ε:] anche dopo [r] (a differenza dell’attico, in cui si ha alpha purum).

  • 13 Invece περὶ τοῦ χαλκώματος della l. 9 è neutro dal punto di vista dialettale: περί non subisce apoc (...)

9La lettura della Brugnone mi appare epigraficamente preferibile: l’asta sinistra che si intravede nella lacuna è diagonale e dunque maggiormente compatibile con un alpha che con un epsilon, che dovrebbe essere molto più inclinato di tutti gli altri epsilon della lamina. La presenza di una forma non autenticamente ionica non è stata sufficientemente discussa dagli studiosi, ma è piuttosto importante per la revisione globale della lingua del testo. Con probabilità questa forma non va interpretata come un atticismo, che non avrebbe ragione di esistere in un testo siceliota di quest’epoca, ma come un dorismo di contatto. Questa interpretazione è rafforzata dall’occorrenza della preposizione apocopata πάρ nell’espressione πὰρ τὸ χάλκωμα della l. 6: l’apocope delle preposizioni è un tratto tipico del dorico siceliota e l’interferenza è senz’altro da registrare, dato che nel resto del testo i sintagmi preposizionali sono del tutto coerenti con lo ionico: si veda in particolare κατὰ τὸ χάλκωμα non apocopato delle ll. 16-1713.

10Queste due interferenze evidenziano che anche il dialetto ‘ufficiale’ di Himera doveva essersi avviato verso una forma di sperimentazione linguistica apparentemente più marcata qui che in altre poleis ioniche siceliote, nella cui documentazione epigrafica ancora a quest’epoca non abbiamo evidenza dell’inizio della convergenza dialettale verso il dorico siracusano. La prossima sezione di questo contributo mette in correlazione questi dati linguistici con l’aspetto epigrafico del testo, che non sempre è stato analizzato accuratamente negli studi che hanno inteso dare un’interpretazione del contenuto della lamina. I tre aspetti (linguistico, epigrafico, contenutistico) non possono essere scissi. In particolare, un approccio globale permette di considerare in una nuova luce le integrazioni che sono state proposte per le lacunose (e fondamentali) linee centrali del testo (ll. 5-11).

4. Le ll. 1-10

11A parte i tratti notevoli analizzati sopra, le ll. 1-10 sono caratterizzate da una lingua non particolarmente marcata in senso dialettale. La legge si apre con una lacuna, dopo la quale si leggono lettere compatibili con un imperativo aoristo passivo alla III persona plurale o con il genitivo plurale di un participio (atematico o aoristo passivo: per altre proposte di integrazione, cfr. apparato). È importante notare è che se la l. 1 è certo la prima della lamina, il cui margine superiore è integro, questa non può però considerarsi la prima frase della legge: l’imperativo o il participio al genitivo in essa contenuto presuppongono un riferimento a qualcosa che è stato detto precedentemente. La conclusione necessaria di questa osservazione mi pare dunque che la lamina dovesse essere preceduta da un altro testo, che verosimilmente le sarà stato affisso accanto.

  • 14 All’inizio di questa linea occorre una forma di οἰκόπεδον, di solito interpretata come un genitivo (...)
  • 15 Brugnone, 1997, p. 271-274.
  • 16 Cfr. Dubois, IGDS II, p. 29. In una struttura sintattica di accusativo e infinito non è invece poss (...)
  • 17 IGDS II, n° 15, p. 29.

12Alla fine della l. 2 occorre una lacuna che ha dato moltissimo da pensare agli interpreti del testo14. A. Brugnone ritiene che trovi qui posto la menzione di phylai, con la quale farebbe il paio la successiva menzione di fratrie alla l. 415. Ma se qui va integrata una forma di φυλή, nel contesto di una frase infinitiva (ποιῆσαι), le lettere <ΛΑ> della l. 3 possono essere compatibili solo con un accusativo duale: φυλὰ δανκλαία «(creare) due phylai zanclee»16. La soluzione escogitata dalla Brugnone è invece che qui trovi posto il plurale φῦλα. Benché φῦλον sia forma molto più rara, e connotata come poetica, è una soluzione possibile: questo testo abbonda di espressioni che trovano pochi paralleli nel greco contemporaneo, incluso il termine χάλκωμα. Al posto di φῦλα Dubois propone invece di integrare [ἄ]λα (= ἄλλα), concordato con il genitivo plurale οἰκοπέδων della l. 117. Questa seconda lettura è possibile da un punto di vista epigrafico (alla fine della l. 2 potrebbe trovare posto il solo alpha iniziale di [ἄ]λ(λ)α, anziché phi e hypsilon di φῦλα), ma φῦλα ha convinto tutti gli altri interpreti in virtù del suo portato politico-istituzionale.

  • 18 Brugnone, 1997, p. 273-274.
  • 19 Manganaro, 1997, p. 318 n. 57.
  • 20 Dubois, 1999, p. 712; IGDS II, n° 15, p. 30.

13Alla fine della l. 3 le lettere <ΑΡ> erano considerate dubitativamente da A. Brugnone come l’inizio del perfetto ἄραρε «è fissato»18. Manganaro preferiva invece leggere ἀφαρεί, un rarissimo avverbio di tempo documentato unicamente in Esichio e nell’Etmologicum Magnum19. Appare però preferibile da un punto di vista linguistico la lettura di Dubois ἄ[φ]αρ ἤ «non appena che», seguito da aoristo20.

14Nella l. 4 la forma dell’articolo plurale αἱ è tipica del dialetto ionico. Nella successiva convergenza dialettale dei dialetti sicelioti è questa forma linguisticamente innovativa a prevalere sulla forma dorica ereditata ταί. Verso la fine della stessa linea occorrono il nominativo φρατρίαι e l’aoristo ἀνέδειξαν, del quale va messa in rilievo la grafia <EI> per il dittongo originario [ei] (la radice è *deik-). In modo simile a quello che fanno altre iscrizioni arcaiche, la legge di Himera distingue tra i dittonghi originari (il cui secondo elemento viene scritto) e i ‘dittonghi impropri’ derivanti da allungamenti di compenso e contrazioni, che vengono scritti con <E> e <O> (in quanto si tratta di fatto di vocali lunghe): si vedano i vari genitivi dell’articolo (τοῦ) scritti <TO> (per es. l. 9). Questo è un elemento grafico che ha una grande importanza per l’integrazione delle lacune, come si vedrà in seguito.

  • 21 Non si attende l’apocope del preverbio, che in dorico si verifica solo davanti a dentale sorda e so (...)
  • 22 Brugnone, 1997, p. 276.
  • 23 IGDS II, n° 15, p. 30.

15Nella l. 5 il participio perfetto passivo καταγεγραμ(μ)ένα non presenta la geminata, un fatto che può servire da linea-guida per ulteriori integrazioni (alle ll. 2-3 Dubois integra infatti ἄλ(λ)α, come già notato)21. Secondo A. Brugnone questo participio perfetto indica «quanto era stato deliberato dagli organi di governo della polis»22. Dubois propende invece per un significato più specifico: «l’enregistrement et l’enrôlement de nouveaux arrivants à Himère», interpretazione che mi pare preferibile (cfr. anche infra, § 9)23.

  • 24 Lejeune, 1972, p. 112-115. Cfr. anche Dubois IGDS II, n° 15, p. 30-31.
  • 25 Cfr. EM 411.57.

16Nella l. 7 la forma <ΕΡΓΑΣΔΕΤΑΙ> è notevolissima. In primo luogo, si tratta della prima attestazione epigrafica della sostituzione di <ζ> con <σδ>, altrimenti conosciuta prevalentemente attraverso il testo dei lirici lesbii. Questa testimonianza imerese potrebbe dimostrare che il fonema rappresentato da <Z> era un suono complesso che, partito da [dz], è poi passato a [zd] per metatesi24. L’universalità di questo stadio [zd] è stata contestata da Méndez Dosuna (1991), sulla base della diversa evoluzione di [dz] in cretese, beotico, tessalico occidentale, eleo e laconico. La testimonianza della legge imerese potrebbe dunque provare che questo stadio era conosciuto anche dall’euboico (oltre che dall’eolico orientale). <ΣΔ> sarebbe dunque una sorta di grafia ‘analitica’, che su influsso della pronuncia si sostituisce alla grafia attesa (e regolare) <Z>: un altro tratto che sottolinea la straordinarietà del lessico e dei tratti linguistici della lamina imerese. I grammatici antichi riconoscevano la grafia <σδ> come un tratto tipico non solo dell’eolico orientale, ma anche del dorico25. Su questa base, grafie di questo tipo sono state introdotte nel testo di Alcmane (ma non di altri lirici corali) e di Teocrito. Al di fuori della testimonianza della lamina imerese non ci sono dati che supportino un collegamento di questa grafia alle aree di dialetto dorico, ma questo dato epigrafico lo rende ora quanto meno supponibile e ci induce a riconsiderare il motivo per cui questa grafia fu introdotta per caratterizzare il testo di Alcmane e Teocrito, che l’esegesi antica considerava modelli di dorico.

  • 26 Cfr. supra, apparato.

17La forma <ΕΡΓΑΣΔΕΤΑΙ> pone anche problemi di interpretazione per quanto concerne il suo modo verbale. Antonietta Brugnone, seguita da Dubois, ritiene che epsilon rappresenti [ɛ:] e dunque che la forma sia un congiuntivo. Manganaro invece trascrive sempre la forma in minuscola con epsilon, intendendola dunque come un presente26. Fa parte delle possibilità di ἐάν quella di combinarsi con un presente; il congiuntivo, tuttavia, è molto più appropriato allo spirito di un testo che provvede a elencare una serie di eventualità che, se realizzate, andranno poi sanzionate.

  • 27 Cfr. supra, apparato.

L’interpretazione di <ΕΡΓΑΣΔΕΤΑΙ> come ἐργάζηται apre la questione di come vadano interpretate le successive forme verbali, anch’esse dipendenti dall’ἰάν delle ll. 5-6. La sequenza <ΠΟΙΕΣΕΙ> viene interpretata come ποιήσῃ (ποιImage 100000000000000A000000135A70E13011AC56DC.pngσε̄ι) da A. Brugnone, ma come il futuro ποιήσει da Manganaro e, a quanto pare in modo piuttosto incoerente, anche da Dubois27. L’alternanza tra congiuntivo e futuro nella protasi del periodo ipotetico dell’eventualità è possibile nella grammatica greca, ma ci si dovrebbe chiedere se nel testo della lamina questa alternanza sia davvero preferibile a una serie di protasi con tutti i verbi al congiuntivo. <EI> finale è compatibile con entrambe le interpretazioni: nel caso si tratti di un congiuntivo, avremmo qui un dittongo a primo elemento lungo con iota ascritto (come è pratica comune nelle iscrizioni arcaiche e classiche); nel caso si tratti di un futuro, nella cui desinenza di terza persona figura un dittongo originario, la grafia <EI> sarebbe coerente con il trattamento del dittongo [ei] di ἀνέδειξαν della l. 4 (cfr. supra). Mi sembra tuttavia preferibile interpretare la forma come un congiuntivo, posto sullo stesso piano delle altre forme introdotte da ἰάν. Sul significato del verbo ἐργάζομαι torneremo dopo.

  • 28 Brugnone, 1997, p. 266.
  • 29 Brugnone, 1997, p. 268; 288. Come informa Brugnone, 1997, p. 267, Manganaro propose questa integraz (...)

18Le cose si complicano nel momento in cui consideriamo quella che, secondo l’opinione comune, deve essere la terza forma verbale della protasi del periodo ipotetico, contenuta parzialmente nella lacuna delle ll. 8-9. Nell’editio princeps le vestigia di questa parte della laminetta sono così descritte: «a sinistra, dopo il theta, è visibile un piccolo tratto obliquo che potrebbe appartenere a uno ypsilon»28. Nonostante questa descrizione delle tracce grafiche, A. Brugnone accetta poi l’integrazione offerta da G. Manganaro come θ[έλε̄ι λ]αθ[ε͂ν], che si accorderebbe «molto bene [...] con i segni ancora visibili sulla superficie della lamina»29.

19La prima editrice dunque ricostruisce un congiuntivo presente, θέλῃ, in cui il dittongo lungo finale [ɛ:i] della desinenza è espresso, come nel caso di ΠΟΙΕΣΕΙ (ποιήσῃ), da <EI>. Manganaro e Dubois interpretano invece questa forma come un presente: θέλει. Anche in questo caso la ratio dietro le scelte testuali di Dubois non appare chiara, dal momento che in dipendenza da ἰάν ricostruisce prima un congiuntivo (ἐργάζηται), poi un futuro (ποιήσει) e infine un presente (θέλει), senza discutere il significato di queste alternanze.

Ritengo che alle ll. 8-9 l’integrazione θ[έλε̄ι λ]αθ[ε͂ν] τ]ι seguita da περὶ το͂ χα[λϙImage 100000000000000A000000136AABABD7D0DB4835.pngματο[ς], come proposto da Manganaro e accettato da A. Brugnone, non colga nel segno. In quanto segue propongo una lettura alternativa di questa lacuna che, se accettata, potrebbe confermare che le prime dieci linee di questa legge non erano particolarmente caratterizzate come esclusivamente ioniche.

5. La lacuna delle ll. 8-9

20Riassumendo quanto osservato sopra, in base a quanto si può giudicare dal facsimile nell’editio princeps, ripreso in IGDS II no 15, alla l. 8 dopo theta sembrerebbero occorrere tracce di un segno compatibile con hypsilon o chi calcidese, più difficilmente epsilon: si vede un tratto obliquo che potrebbe essere solo un epsilon destrorso molto inclinato. In questo caso una revisione autoptica del documento, impossibilitata dalla irreperibilità della lamina nei depositi imeresi, potrebbe forse essere dirimente. È ad ogni modo degno di nota che la prima editrice, nonostante la sopracitata descrizione della lettera, abbia poi deciso di mettere a testo una lacuna, nella quale integra l’epsilon. La questione è se il verbo da integrare debba essere necessariamente θέλῃ e se le successive lettere leggibili, <ΑΘ>, siano davvero parte dell’infinito aoristo di λανθάνω, come proposto da Manganaro e accettato da A. Brugnone.

  • 30 IGDS II, n° 15, p. 32: « je reste donc réservé sur cette restitution ». Cfr. anche Dubois, 1999, p. (...)

21Secondo la proposta di Manganaro, la frase θέλῃ λαθεῖν τι περὶ τοῦ χαλκώματος indicherebbe la volontà di occultare qualcosa nel contenuto del decreto. Dubois commenta che non esistono paralleli per un’espressione di questo tipo e si dichiara dubbioso sulla correttezza dell’integrazione, che però accetta30. Le espressioni che nelle iscrizioni greche sanzionano il tentativo di mutare il contenuto dei testi pubblici non usano mai λανθάνω, verbo che invece indica l’occultamento di qualcosa e non l’alterazione o la distruzione del testo. La lamina imerese infatti fa chiaramente riferimento non all’occultamento dell’oggetto su cui è incisa la legge, ma all’occultamento di una parte del testo, come chiarisce l’espressione τὶ περὶ τοῦ χαλκώματος.

22È mia convinzione che si abbia qui sì una terza condizione ipotetica che, nel caso si verificasse, dovrebbe essere punita nel modo verosimilmente descritto alle ll. 10-11; e anche che questa eventualità riguardi l’alterazione del testo della legge. Ma diversa deve essere l’espressione con la quale questa eventualità è descritta. Le tracce lette da A. Brugnone alla fine della l. 8 (<ΘΕ̣>) sono compatibili con una parte della terza persona singolare del congiuntivo aoristo di τίθημι (che dovrebbe essere scritto <ΘΕΙ>); allo stesso modo, le lettere della l. 9 <ΑΘ> sono compatibili con forme dell’aoristo di μετατίθημι, verbo che è frequentemente usato in disposizioni che riguardano l’inalterabilità dei testi epigrafici, al punto da rappresentare quasi un verbo tecnico.

  • 31 Per la prospettiva storico-culturale, si veda Camassa, 1994, il quale rievoca anche la tradizione a (...)

23La mia proposta è di leggere alle ll. 8-9 non una, bensì due condizioni aggiuntive: ἢ θῇ ἢ μεταθῇ τι περὶ τοῦ χαλκώματος, con il significato di «o se aggiunga o alteri qualcosa che riguarda la lamina di bronzo». I due congiuntivi integrati alle ll. 8-9 dovrebbero essere scritti <ΘΕΙ> e <ΜΕΤΑΘΕΙ>, analogamente a quanto avviene in <ΠΟΙΕΣΕΙ> (che rappresenta un congiuntivo) e in generale negli altri dittonghi propri del testo. Propongo dunque di ricostruire l’intero pezzo delle ll. 8-9 come <ΘΕ̣[̣Ι E ΜΕΤΑΘΕΙ T]I> (θῇ [ἢ μεταθῇ τ]ι). La parte finale delle disposizioni contenute nell’articolata protasi del periodo ipotetico, quindi, riguarderebbe non il tentativo di occultare la lamina, ma quello di alterarla: preoccupazione molto frequente nella legislazione greca arcaica31.

24Le porzioni corrispondenti delle linee superiore e inferiore mostrano che nella lacuna della l. 9 dopo le lettere <ΑΘ> e prima di <I> c’è spazio per tre lettere (secondo la mia interpretazione <EIT>): lo spazio corrispondente della l. 8 contiene (con andamento sinistrorso) le lettere <EIO> (fig. 3).

Fig. 3. Particolare delle ll. 8-9 del facsimile di Brugnone 1997, p. 265.

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25Per quanto riguarda la transizione dalla l. 8 e alla l. 9, alla fine della l. 8, dopo <Θ>, dovrebbe esserci spazio sufficiente per <E> e <I> (A. Brugnone integra infatti due lettere, <E> e <Λ>). Rispetto alla restituzione di Brugnone e di Manganaro, che all’inizio della l. 9 prevede tre lettere (<EIΛ>), la mia ne prevede quattro: <EMET>. Nella porzione immediatamente superiore della l. 8 – quella con <Θ> cui si fanno seguire tre lettere integrate – si prevedono quattro lettere (<ΕΘ[ΕΛ]>). Anche nello spazio corrispondente delle ll. 6 e 5 (fig. 4) figurano quattro lettere, mentre è solo nella l. 7 che questo stesso spazio contiene tre lettere, anche se esse sono particolarmente spaziate:

Fig. 4. Particolare ingrandito del margine sinistro delle ll. 5, 6 e 7 del facsimile di Brugnone 1997, p. 265

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  • 32 Una soluzione alternativa è di supporre che in lacuna occorra veramente il congiuntivo θέλῃ ipotizz (...)

26In considerazione dei paralleli forniti dalle ll. 5, 6 e 8, penso sia possibile che anche nella porzione sinistra della l. 9 trovassero posto quattro lettere prima di <ΑΘ>32.

6. Le eventualità previste dalla protasi

27Secondo l’interpretazione qui proposta, la protasi esprimerebbe, con quattro diversi verbi al congiuntivo, azioni che i legislatori considerano dannose e che dunque la lamina sanziona. Esse sono:

  • 33 Manganaro, 2000, p. 750.
  • 34 Esempi in Brugnone, 1997-1998, p. 583 n. 64.
  • 35 Brugnone, 1997, p. 281; Dubois IGDS II, n° 15, p. 31. Questa stessa interpretazione in Dubois, 1999 (...)

281) La possibilità che qualcuno si adoperi in generale contro le disposizioni registrate nella lamina. Questo il senso da attribuire al verbo ἐργάζηται, come già sostenuto da Manganaro33. Si tratta dunque di una prima espressione, generale, di autotutela del testo stesso, poi ulteriormente approfondita dalle altre tre eventualità. Il sintagma preposizionale con παρά seguito da un termine che identifica la legge o il suo supporto è comune nelle iscrizioni greche34. Al contrario, l’interpretazione «se lavora (la terra) contro quanto stabilito dalla lamina...», suggerita da A. Brugnone e seguita da Dubois, sarebbe incoerente con quanto segue: il testo di Himera non fa mai riferimento alla destinazione dei lotti di terreno35.

  • 36 Cfr. Brugnone, 1997-1998, p. 583.
  • 37 Cfr. anche Dubois, 1999, p. 712.

292) L’intervento di cancellazione o asportazione della lamina, espresso con ποιέω e ἀφανές, approfondisce uno dei modi in cui ci si può adoperare contro il testo: è qui coinvolto l’aspetto materiale della lamina e l’espressione dà concretezza all’identità di supporto e testo36. Un sintagma simile occorre, oltre che nelle Dirae Teiae (Nomima I 104, ll. 35-40), anche in un’iscrizione di Chio (McCabe, Chios, 46, 9-15)37. In entrambi i casi l’espressione è inserita in una protasi riguardante possibili azioni di alterazione e rimozione di iscrizioni, come a Teo (ὃς ἂν τὰ<ς> στήλας ἐν ἧισιν ἡπαρὴ γέγραπται ἢ κατάξει ἢ φοινικήια ἐκκόψε[ι] ἢ ἀφανέας ποιήσει κε͂νον ἀπόλλυσθαι κτλ.), o cippi, come a Chio (ἤν τίς τινα τῶν ὅρων τούτων ἢ ἐξέληι ἢ μεθέληι ἢ ἀφανέα ποιήσει ἐπ’ ἀδικίηι τῆς πόλεως ἑκατὸν στατῆρας ὀφειλέτω, κἄτιμος ἔστω).

303) Infine, si contempla la possibilità di un intervento volto a mutare il contenuto della legge alterandone la forma: cioè, tramite l’inserimento di nuove parti, o la modifica di qualcosa che è già scritto. Il complemento περὶ τοῦ χαλκώματος, apparentemente non del tutto perspicuo, si comprende meglio se pensiamo appunto a questo aspetto materiale: mutare qualcosa relativamente alla lamina così come essa si trova scritta. τίθημι e μετατίθημι, che propongo di integrare al congiuntivo aoristo, sono preferibili all’espressione proposta dall’integrazione di Manganaro (θέλῃ [...] λαθεῖν) perché trovano paralleli in altri testi epigrafici contenenti disposizioni volte a preservare l’inalterabilità dei testi epigrafici. Come è noto, τίθημι seguito da νόμον è il verbo tecnico della promulgazione delle leggi. In un passo molto noto della Contro Timocrate, Demostene ricorda la fedeltà degli abitanti di Locri alle leggi antiche e la loro cautela nel promulgarne di nuove. L’azione di τιθέναι un νόμος καινός, presentata come rischiosa e punibile con la morte, viene evocata immediatamente dopo la menzione della sensibilità dei Locresi nei confronti dell’inalterabilità delle leggi:

ἐκεῖ γὰρ οὕτως οἴονται δεῖν τοῖς πάλαι κειμένοις χρῆσθαι νόμοις καὶ τὰ πάτρια περιστέλλειν καὶ μὴ πρὸς τὰς βουλήσεις μηδὲ πρὸς τὰς διαδύσεις τῶν ἀδικημάτων νομοθετεῖσθαι, ὥστ᾽ ἄν τις βούληται νόμον καινὸν τιθέναι, ἐν βρόχῳ τὸν τράχηλον ἔχων νομοθετεῖ.

« Lì infatti pensano che si debba fare così: attenersi alle leggi che esistono da tempo e preservare le istituzioni dei padri, e non legiferare in nome dei desideri e dell’indulgenza verso le azioni ingiuste, al punto che se uno volesse fare una nuova legge, legislerebbe con un cappio al collo. » (Dem. In Timocr. 139)

31Nell’iscrizione imerese τίθημι avrebbe il significato letterale di «porre qualcosa» (nel testo), ovvero quello che in italiano più idiomatico sarebbe forse «aggiungere una clausola». Dopo τίθημι seguito da complemento oggetto (sottinteso) ci si aspetta un complemento di luogo (ἐν + dativo o εἰς + accusativo). Si veda per esempio il parallelo di IG I3 1453D, 8-10, dove oggetto di τίθημι è uno ψήφισμα (nonostante si tratti di una parte integrata la restituzione sembra sicura): ἀναγ]ράψαι δὲ τὸ ψή[φισμα τόδε τὸς ἄρχοντας ἐν ταῖσι πόλεσιν καὶ θε͂ναι ἐν στή]ληι λιθίνηι («gli arconti nelle città incidano questo decreto e lo pongano in una stele di pietra»). È possibile che nella legge di Himera questo complemento di luogo sottinteso sia stato automaticamente sostituito dal περὶ τοῦ χάλκωματος successivo, complemento di argomento che è invece più comprensibile in dipendenza da μετατίθημι: «cambiare qualcosa relativamente a / per quanto riguarda (il contenuto della) legge». A livello di significato, un passo parallelo (dove però τίθημι regge νόμον) è quello che si legge nel trattato tra Antiochia sul Meandro e una città sconosciuta (Samo, IG XII,6 1:6, ll. 4-6, poco dopo il 167 a.C.):

κ[αὶ μηθενὶ ἐ]ξουσίαν εἶναι παραβῆναι ταῦτα μηδὲ εἰπεῖν μηδὲ εἰσανγεῖλαι μηδὲ γράψα[ι μηδὲ νόμον] θεῖναι ὡς δεῖ καταλυθῆναί τι τῶν γεγραμ[μ]ένων.

« E a nessuno sia permesso trasgredire (queste norme), né dire, annunciare o scrivere o promulgare una legge cosicché si debba venir meno a qualcuno degli (accordi) scritti. »

  • 38 ICos ED 55B, ll. 12-15 (IV sec. a.C.): αἰ δέ τίς κα μετ[αθῆι τι τῶν ἐν τᾶιδε τᾶι διαγραφᾶι γεγραμμέ (...)

32Per quanto riguarda μετατίθημι, il suo uso per indicare l’alterazione di una legge potrebbe essere testimoniato da un’iscrizione di Cos, se l’integrazione è sicura (si leggono μετ[ nella protasi e solo un μ[ nell’apodosi)38.

33La iunctura μεταθῆι τι è invece sicura in un’iscrizione più tarda da Termesso (TAM III,1 1, ll. 7-10, II secolo a.C.):

ἐὰν δ[έ τις τούτων ἢ] [μεταψ]ηφ[ίσ]ηι ἢ μεταθῆι τι ἢ τὰ ἐ[πιγεγραμμέ][να ἐξ]αλείψ[η]ι, ἀνόσιον αὐτὸν ε[ἶναι πρὸς Ἐλευ][θερ]ίου Διὸς καὶ Κυρίας Ἀρτέ[μ]ι̣δ[ος κτλ.

« Qualora uno deliberi in modo diverso o alteri qualcosa o cancelli quanto è iscritto, costui sia maledetto davanti a Zeus Eleutherios e Artemide Kyria, etc. »

34Anche l’iscrizione IEphesos 212, ll. 315-316 (104 d.C.) contiene un τι in dipendenza da μετατίθημι:

μηδεν[ὶ] δὲ ἐξέστω ἄρχοντι ἢ ἐκδίκῳ ἢ ἰδιώτῃ πε̣[ιρᾶ]σαί τι ἀλλάξαι ἢ μεταθεῖναι ἢ μετοικονομῆσαι κτλ.

« A nessun magistrato, pubblico o privato, sia permesso provare a cambiare qualcosa o alterare o introdurre cambiamenti nell’amministrazione, etc. »

  • 39 Camassa, 1996, p. 575. Cfr. anche le considerazioni simili di Thomas, 1994, p. 38-39.

35Le ultime due eventualità della protasi della lamina imerese, dunque, esprimono quel «paradosso soggettivo» cui vanno incontro le leggi che sono state affidate alla scrittura per garantirne l’inalterabilità: «Con l’avvento dei codici scritti […] le modifiche diventano nettamente percepibili e vengono compiute consapevolmente, magari ripetutamente. Fissate per iscritto le leggi sono dunque esposte, in modo fatale, al rischio del mutamento incontrollabile […]. Per prevenire l’inevitabile rischio dell’alterazione non v’era dunque altra strada percorribile se non quella dell’assoluto divieto di modifiche e aggiunte»39.

7. Le ll. 10-11: l’apodosi del periodo ipotetico?

36La linea 10 è lacunosa e i pochi tentativi di integrazione fatti finora non hanno ottenuto il consenso degli studiosi, tanto che sia nell’editio princeps sia in IGDS II no 15 questa linea di testo non è integrata. Prima di procedere a un qualsiasi tentativo di ricostruzione è d’uopo chiarirsi le idee su cosa ci si aspetta che questa linea contenga. Data la successione di almeno tre o quattro verbi nella protasi, una supposizione legittima è che la frase successiva costituisca l’apodosi del periodo ipotetico, contenente la sanzione nei confronti del trasgressore. Essa potrebbe essere espressa da un imperativo (come ζαμιούντω dell’iscrizione di Cos citata sopra) o da un infinito iussivo (come ἀνόσιον αὐτὸν εἶναι dell’iscrizione di Efeso già menzionata). Tuttavia, le tracce di lettere in questa linea non sono compatibili né con un imperativo alla terza persona singolare (concordato con τις) né con un infinito, ivi incluso quello del verbo «essere». Si vedano le tracce della linea (fig. 5):

Fig. 5. Ingrandimento della l. 10 del facsimile di Brugnone 1997, p. 265. Da destra a sinistra, <ΜΑΤΟΣ> seguito da lacuna, <E.E>, due lettere incerte, <EIEM> e il frammento a sinistra.

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37Dopo due lettere di difficile lettura che seguono il secondo epsilon della linea da destra a sinistra, si leggono chiaramente le lettere <EIEM>, seguite poi da <ΦΙΡ>. Queste ultime sono collocate in un frammento attualmente separato dal corpo della lamina ma che, per il suo ductus sinistrorso, può essere collocato solo alla fine della linea 10, dato che le altre linee sinistrorse della lamina hanno il margine sinistro integro. Nella resa del facsimile sembra intercorrere uno spazio piuttosto grande tra my e il phi di <ΦΙΡ>. Il confronto con la fotografia della lamina (fig. 1) tuttavia lascia supporre che, una volta giunti i frammenti, lo spazio tra queste due lettere sia minore, cosicché non sembra necessario supporre la presenza di un’altra lettera.

  • 40 Brugnone, 1997, p. 267.

38Sin dall’editio princeps gli studiosi convengono che il segno simile a phi che si legge chiaramente sulla lamina sia più probabilmente un omicron; secondo A. Brugnone non è possibile determinare se il tratto verticale che taglia la lettera sia opera dell’incisore o se sia dovuto al ripiegamento della lamina.40 La lettura come omicron permette di restituire una forma della parola μοῖρα, salutata dagli studiosi come una integrazione ideale in una legge che si pensa si occupi di distribuzione di lotti di terreno. Tuttavia, la restituzione di μοῖρα rende ancora più difficile trovare un senso a quanto precede. L’eventuale infinito iussivo di εἰμί non troverebbe nessun predicato con cui concordarsi (si veda la legge di Efeso: ἀνόσιον [...] εἶναι). Le lettere <EIE> prima di <M<O>ΙΡ> non sono compatibili con nessun aggettivo all’accusativo, caso richiesto dalla costruzione infinitivale.

39Anche dal punto di vista fono-morfologico non è auspicabile cercare di integrare l’infinito di εἰμί. In base a quanto abbiamo rilevato sulla resa delle vocali lunghe secondarie nella grafia dell’iscrizione, la radice del verbo dovrebbe essere scritta con il solo <E>. L’infinito ionico <ENAI> non è compatibile con le lettere superstiti e non lo è neanche <EMEN>, grafia che potrebbe rappresentare sia l’infinito dorico mitior εἴμεν sia la sua variante rodia (diffusa anche in Sicilia) εἶμειν: la lacuna tra il primo epsilon della l. 10 e il secondo è troppo piccola perché si possa immaginare che abbia contenuto un my a cinque tratti. Si noti inoltre che neanche un infinito tematico in -ειν (exempli gratia ἔχειν) può essere compatibile con queste lettere, dato che la desinenza sarebbe scritta <EN>, mentre la lettera che si intravede dopo il secondo epsilon ha un tratto verticale: iota, tau o chi del tipo calcidese. Aspetti epigrafici, morfologici e sintattici suggeriscono dunque che si deve rinunciare a ricostruire un infinito in questa parte del testo.

40Naturalmente, non è sfuggito ad alcuni che le lettere <EIE> sono invece compatibili con una forma di ottativo che, seppure non sia il modo standard di esprimere le sanzioni nelle leggi, potrebbe trovare posto nell’apodosi come forma desiderativa. Due, a rigore, le possibilità:

  1. <EIE> costituisce la parte finale di un ottativo aoristo passivo, il cui soggetto sarebbe l’eventuale trasgressore. Per quanto ideale, questa soluzione non trova supporto nelle tracce di lettere leggibili immediatamente prima. Il segno che precede il primo epsilon della sequenza <EIE> ha un chiaro tratto sinistro obliquo, compatibile con hypsilon o con ny o persino − anche se meno probabilmente − con lambda calcidese: ma nessun ottativo aoristo passivo terminante in -υειη, -νειη o -λειη si accorda al contesto, tanto più che, come appena notato, questo segno incerto sarebbe a sua volta preceduto da ciò che sembra iota, tau o chi.

  2. <EIE> è la terza persona singolare dell’ottativo di εἰμί, εἴη. Il suo soggetto potrebbe essere o l’anonimo trasgressore («sia egli…») o μοῖρα. Nel primo caso, rimangono due problemi:

  1. Che cosa precede questo verbo? Se εἴη ha come soggetto τις, ci si aspetterebbe un predicato nominale: per esempio, puramente exempli gratia, ἄτιμος o ἐξώλης. Le tracce di lettere però impediscono la ricostruzione di qualsiasi aggettivo maschile al nominativo, dato che la lettera che precede il verbo è, come già ricordato, hypsilon, ny o lambda.

  2. Se questa è la formula di sanzione con copula concordata con τις, qual è il ruolo sintattico di μοῖρα che segue?

  • 41 Per l’uso di αὐτός in una struttura sintattica simile, cfr. IG II2, 42, 15-20: ἐάν τις βόλ[ηται […] (...)

41Dunque il soggetto di εἴη sarà difficilmente τις. Passando alla seconda possibilità, ovvero che il soggetto di εἴη sia μοῖρα, rimane il problema di integrare prima del verbo una parola che finisce in -υ, -ν o -λ, precedute da ι, τ o χ. Una soluzione semplice e sintatticamente ideale è che prima di questo εἴη trovasse posto un dativo di possesso. Ci si aspetterebbe αὐτῷ, che però non è compatibile con le tracce delle lettere (<Ε . ΕΙ̣Ν̣>, le quali suggeriscono piuttosto ἐκείν<ῳ>: «abbia quello una parte…».41 E tuttavia anche questa interpretazione presenta gravi controindicazioni di tipo epigrafico e linguistico. Primo, si dovrebbe ipotizzare che qui l’incisore abbia dimenticato di scrivere la desinenza del pronome e questo è tanto più strano quando si considera che il dittongo a primo elemento lungo della desinenza -ῳ dovrebbe essere scritto <OI>: un’omissione di ben due lettere. In secondo luogo, la resa epigrafica che ci si aspetta per la radice di ἐκεῖνος è <EKEN>, con <E> che esprime la [e:].

  • 42 Su questo argomento rimando alla rassegna di Lombardo, 2001, p. 79. Vd. anche Brugnone, 1997, p. 28 (...)

42Tralasciando dunque la lettura ἐκείν<ῳ>, che non è auspicabile da un punto di vista epigrafico, veniamo ora alla considerazione del ruolo di μοῖρα in una frase il cui verbo principale è ipoteticamente identificato con εἴη. Se μοῖρα è il soggetto, quale rapporto sintattico e semantico intrattiene con quanto si legge nella successiva l. 11? Una possibilità è che la l. 10 contenga un’espressione che significa in qualche modo «essere privato della parte» (si veda la proposta di integrare στερέσθο̄ di Manganaro, che però è totalmente incompatibile con le lettere ancora leggibili). Alla l. 11 sono leggibili quelli che, fino a prova contraria, sembrano forme singolari ioniche degli aggettivi κακή e ἀγαθή, che a prima vista dunque potrebbero qualificare μοῖρα. Gli interpreti della legge si sono limitati ad evocare la possibilità che in queste linee si faccia riferimento alla pratica di assegnare porzioni di terra migliori ed altre peggiori, sulla scorta di un noto passo delle Leggi platoniche (745b-c)42. Il senso richiesto dalla frase sarebbe qualcosa come «quello abbia una parte cattiva, non buona». Ciò dunque obbligherebbe a integrare la negazione οὐκ prima di ἀγαθή. Ma i segni visibili o ricostruibili in prossimità dei due aggettivi rendono questa interpretazione disagevole (fig. 6).

Fig. 6. Ingrandimento della l. 11 dal facsimile di Brugnone 1997, p. 265.

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43Nella l. 11, prima di <ΚΑΚΕ>, si legge <IE>. Nella lacuna che precede <ΑΓΑΘΕ> non si legge nulla; ma se il facsmile della Brugnone è attendibile, subito dopo <ΚΑΚΕ> non sembra esserci la possibilità di un segno arrotondato, quale dovrebbe essere l’omicron di οὐκ: si intravede, al massimo, un segno verticale, compatibile con iota, tau o ny. Anche dopo <ΑΓΑΘΕ> si intravede chiaramente il principio di un segno verticale, di nuovo compatibile con iota, tau o ny.

44Questi resti lacunosi, ma comunque visibili sulla lamina, rendono molto ardua l’ipotesi che gli aggettivi κακή e ἀγαθή ricorrano al nominativo e all’interno di una frase, l’apodosi del periodo ipotetico, che cominci con εἴη μοῖρα: dopo l’ipotetico εἴη μοῖρα la sequenza ιε/η κακή ι (vel τ vel ν) ἀγαθη ι (vel τ vel ν), che per chiarezza trascrivo in minuscola, non dà nessun senso soddisfacente nel contesto di questa frase. La lettura paleograficamente più probabile è che le forme dei due aggettivi siano declinate al dativo. Questo minuzioso e forse tedioso esame dettagliato di tutte le possibilità di lettura delle ll. 10-11 compatibili con quanto supposto finora dagli studiosi mostra che non è consigliabile ritenere che in queste linee sia contenuta l’apodosi con la sanzione, perché quanto si può ricostruire non dà nessun senso compiuto.

8. Le ll. 10-15: un’ulteriore protasi seguita da apodosi

  • 43 Brugnone, 1997, p. 295.

45Si deve dunque concludere che la linea 10 contiene molto probabilmente ancora un pezzo della protasi, magari una ulteriore azione che, se commessa, verrà sanzionata. A inizio di linea, dopo la parte finale di χαλκώματος il cui sigma sulla lamina non si legge ed è dunque integrato, si scorge chiaramente un epsilon. In teoria esso potrebbe rappresentare un nuovo ἤ disgiuntivo, a introduzione dell’ultima condizione: così interpreta infatti A. Brugnone, supponendo che dopo questo ἤ venga menzionata forse «una norma che stabiliva l’inalienabilità delle μοῖραι κακαί e/o ἀγαθαί assegnate ai beneficiari dell’ἀναδαιθμός»43. L’idea che in questa linea sia ancora contenuta la protasi è ribadita in Brugnone (2011a, p. 9) e in IGDS II no 15, p. 31. Tuttavia, né A. Brugnone né L. Dubois si sono spinti a ipotizzare quale verbo trovi posto in questa ultima parte di protasi.

  • 44 Cf. LSJ s.v. εἰ II e III («with optative: never with ἄν in early Greek, later ἐάν c[um] o[ptativo] (...)

46Se, come sostenuto sopra, il verbo della l. 10 è un ottativo, ci si presenta un problema sintattico non indifferente, dato che ἐάν regge di norma il congiuntivo: congiuntivi sono infatti i verbi che precedono44. Che nella parte finale della protasi si proceda ad una variatio, con adozione del modo ottativo, non è ipotesi auspicabile: nelle iscrizioni greche ἐάν è seguito invariabilmente da congiuntivi e non esistono casi di ottativo. Ne segue che la sequenza EIE della l. 10 deve rappresentare la desinenza di un altro congiuntivo (EI = ῃ) seguito da E che rappresenta un ἤ disgiuntivo. Su basi statistiche questa mi sembra una buona soluzione: altre sequenze EIE del testo sono interpretate o sono interpretabili così. Anche su basi sintattico-contenutistiche si tratterebbe di una soluzione economica: si avrebbe un ulteriore ἤ disgiuntivo seguito da un altro congiuntivo in dipendenza da ἰάν.

47Riguardiamo la sequenza di lettere di questa linee: lacuna - epsilon - un segno verticale compatibile con iota o tau - un segno che scende ad angolo acuto, compatibile con hypsilon - la sequenza EIE. Ricerche di due anni mi hanno persuasa che queste lettere, così come sono interpretate, difficilmente danno qualcosa di sensato in greco: fa specialmente difficoltà il presunto hypsilon seguito da EIE (non può essere, per esempio, compatibile con un aggettivo che finisce in -υειη). Ergo, è necessario leggere diversamente alcuni di questi segni, che è molto probabile siano stati notevolmente danneggiati dall’ossidazione del metallo in questa parte della lamina.

48Si potrebbe leggere la parte centrale della parte ossidata (cioè le lettere tentativamente lette come I/T Y dalla Brugnone) come un my a cinque tratti, il cui tratto a destra (cioè il primo tratto della lettera) è stato realizzato in modo eccessivamente verticale (si comparino altri my destrorsi della lamina, con primo tratto più obliquo). Il tratto ascendente diagonale potrebbe essere contenuto dentro la lacuna. La lettura del segno come my permette di integrare una forma di un verbo che non è fuori posto insieme a μοῖρα: νέμω. La presenza di νέμω, verbo che indica la divisione e l’assegnazione di parti, è tutt’altro che impossibile in un testo del genere. Richiamo il parallelo del decreto attico per l’invio di coloni a Brea (IG I3 46), nel quale si riscontra la frase οὗτοι δὲ νεμάντων τὴν γῆν «costoro dividano la terra». La mia proposta dunque è che si abbia qui il congiuntivo presente di νέμω preceduto da ἤ disgiuntivo. La lettura di questa porzione della linea sarebbe

E <N>EṂEI
ἢ νέμῃ

49L’aspetto più complesso è cercare di capire cosa segua questo congiuntivo νέμῃ. È difficile sfuggire alla tentazione di pensare che qui ci sia una forma dell’azione di νέμειν μοίρας, frase perfettamente idiomatica e attestata in greco. Però nel testo νέμω e μοῖρα sono chiaramente separati da un epsilon. Ci sono dunque due possibilità logiche:

501) epsilon rappresenta un altro ἤ disgiuntivo seguito da una forma di μοῖρα (verosimilmente l’accusativo), a sua volta seguito da un altro verbo al congiuntivo. Ho pensato, in italiano, a qualcosa del tipo «se assegna o riceve una parte...». Il problema è grafico. All’inizio della l. 11 dobbiamo immaginare una lacuna di due segni, al massimo di tre: si vedano tutte le linee corrispondenti nella parte superiore della lamina (fig. 7):

Fig. 7. Particolare delle ll. 8-11 del facsimile di Brugnone 1997, p. 265.

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51Poiché il frammentino in cui è contenuto l’inizio di μοῖρα ha il margine integro dopo il rho, la desinenza del sostantivo deve essere contenuta nella lacuna all’inizio della r. 10. E poiché stiamo immaginando che μοῖρα sia qui in dipendenza da un verbo, dobbiamo prevedere due lettere per la desinenza. Quale verbo può andare a completare lo iota che precede <EKAKE> e che in questa interpretazione è parte della desinenza di un congiuntivo, avendo a disposizione in lacuna al massimo una lettera? L’unica forma che si può integrare è il congiuntivo di εἰμί (ῇ, scritto <EI>), ma questo ci porta fuori strada, perché allora μοῖρα dovrebbe diventarne il soggetto, introducendo un cambio di soggetto nell’apodosi.

522) La seconda soluzione, tornando alla l. 10, è che dopo NEMEI = νέμῃ si abbia un altro ἤ disgiuntivo seguito da un verbo anch’esso al congiuntivo, a sua volta seguito, prima di KAKE, da un altro ἤ disgiuntivo. Un verbo compatibile con le lettere superstiti esiste, e ha anche il significato giusto, anche se non è un verbo molto comune: μοιράω «dividere, distribuire» o, al passivo, «avere assegnato». μοιράω è piuttosto raro. Lo troviamo usato nel corpus esopico tre volte, con il significato di «fare le parti, dividere», ma poiché è noto il rimaneggiamento a cui fu sottoposto il corpus e poiché per queste forme esistono anche delle varianti nella tradizione del testo (per es. μερίσαι al posto di μοιράσαι) questa testimonianza non è dirimente. Più importante è il fatto che il verbo sia usato al medio, nel significato di «dividere tra sé» nei Sette a Tebe di Eschilo (vv. 906-907):

ἐμοιράσαντο δ’ ὀξυκάρδιοι
κτήμαθ’ ὥστ’ ἴσον λαχεῖν·

«Con cuore arrabbiato divisero tra di loro
i beni, così da ottenere parte uguale»

  • 45 Cfr. Chantraine, DELG, p. 678.

53Tralasciando le testimonianze più tarde nel significato di «dividere, dividere tra sé», va notato che il composto διαμοιράω «dividere» (al medio «distribuire») è attestato sin dall’epica omerica (Od. 14.434 διεμοιρᾶτο). Già a quest’poca μοιράω e διαμοιράω devono aver cominciato a sostituirsi a μείρομαι, verbo già raro in greco arcaico e non produttivo in tutti i tempi verbali45.

54Anche se idealmente vorremmo poter integrare in un testo una frase o una forma che troviamo identica in qualche altro testo, penso che una forma di μοιράω non sia fuori in questo punto della lamina. Attraverso l’articolazione di νέμω e μοιράω il testo potrebbe descrivere le azioni di assegnazione e partizionamento della terra che tutti gli studiosi hanno cercato di integrare nel testo. Inoltre, i due verbi si trovano usati accanto negli stessi contesti. Un caso è proprio Od. 14.434-436, dove διαμοιράω e νέμω descrivono due azioni in successione:

καὶ τὰ μὲν ἕπταχα πάντα διεμμοιρᾶτο δαΐζων·
τὴν μὲν ἴαν Νύμφῃσι καὶ Ἑρμῇ, Μαιάδος υἷι,
θῆκεν ἐπευξάμενος, τὰς δ’ ἄλλας νεῖμεν ἑκάστῳ·

«E, spartendo, divise tutto in sette parti:
una la offrì alle Ninfe e a Ermes, figlio di Maia,
pregando, e le altre le assegnò a ciascuno.»

55Se tutto questo è corretto, rimane da capire come vada completata la successiva l. 11. Qui è indubbio che occorrano due forme femminili di κακός e ἀγαθός. Seguendo la mia proposta, esse devono dipendere da μοιράω, un verbo che regge regolarmente l’accusativo. Dopo ΑΓΑΘΕ si intravede un segno verticale che, seppure inizialmente possa far pensare a iota, è al tempo stesso compatibile con ny; dopo KAKE c’è una lacuna di almeno due lettere (cfr. fig. 1), nella quale potrebbe comodamente stare un ny ben spaziato seguito da un’altra lettera, che a questo punto deve essere un epsilon che rappresenta l’ennesimo ἤ disgiuntivo. Dunque, ricostruendo, fino a qui, propongo:

l. 10

E [N]EṂEI E MOIΡ

ἢ νέμῃ ἢ μοίρ-

l. 11

[ΕΙ] Ε ΚΑΚΕ[N Ε] ΑΓΑΘΕ[N]

[-ῃ] ἢ κακὴ[ν ἢ] ἀγαθὴ[ν]

56Cioè, riprendendo tutta l’apodosi in grafia standard:

l. 5

                                ἰ-

ὰν [δέ τι]ς πὰρ τὸ χάλκωμα

ἐργάσδηται ἢ τὸ χάλκωμ-

α ἀφανὲς ποιήσῃ θ[]

[ μετ]αθ[ τ]ι περὶ τοῦ χα[λκ]-

l. 10

ώματος ἢ [ν]έμῃ ἢ μοίρ-

[-] κακὴ[ν ] ἀγαθὴ[ν] ...

« Se uno contro la lamina
si adopera o la lamina
rende illeggibile o …... cambia qualcosa riguardo la lamina
o assegna o divide
o la cattiva o la buona (terra […]) »

57Questa interpretazione permette di dare concretezza linguistica alla supposizione che questa parte della lamina facesse riferimento a porzioni di terra. I soli aggettivi femminili non sono però sufficienti a indicare la terra. A livello sintattico, si richiede l’integrazione dell’accusativo γῆν dopo ἀγαθήν. Alla linea successiva si legge un ny e la lacuna dopo <ΑΓΑΘΕ> sebbene non ampia, potrebbe forse contenere le lettere necessarie. Ma se il ny della linea 11 appartiene a γῆν, esso non può appartenere all’ ἐν che va integrato nel complemento di stato in luogo ἐν τῷ αὐτῷ coordinato con ἐν ᾧπερ della l. 13. Una buona soluzione a questo problema è ipotizzare che l’incisore abbia commesso un semplice errore di aplografia: trovandosi ad incidere la sequenza <ΓΕΝΕΝ> (γῆν ἐν) ha omesso uno dei due <EN>. La possibilità di questo evento è ulteriormente rafforzata dalla constatazione che nella lamina sono frequenti i casi di omissione o cattiva scrittura di alcuni segni.

9. Le ll. 11-18 e la conclusione della lamina

  • 46 Per il problema della collocazione di μνήσεται/μνήσηται si veda Dubois, IGDS II n° 15, p. 33, che r (...)

58Completata la lunga serie di protasi, alle ll. 11-12 trova finalmente posto l’apodosi del periodo ipotetico. La lettura delle ll. 11-12 proposta nell’editio princeps – ἐ]ν το͂ι αὐτο͂<ι> αὐτὸν ἔχε[σ]θαι ἐν hο͂ιπερ κτλ. – è probabilmente corretta. Hanno tuttavia ragione Manganaro e Dubois nel sostenere che la frase deve terminare con μνήσεται/μνήσηται della l. 15, dopo il quale inizia una nuova frase, in cui δέ occupa correttamente il secondo posto46. Il senso di questa apodosi è che chi si adopererà in vario modo contro la legge, o si farà protagonista di una qualche distribuzione di terreni, verrà condannato alla stregua di colui che menzioni la distribuzione della terra. La sanzione dunque non è veramente esplicitata e questo permette di capire meglio il senso dell’apodosi: si tratta di un riferimento ad altre disposizioni, evidentemente considerate note ai lettori e che dovevano sanzionare il γῆς ἀναδαιθμός. La lamina imerese, dunque, non è una legge sulla distribuzione della terra: al contrario, la escluderebbe sia nella parte da me integrata sia nel successivo richiamo alla posizione di colui che menzioni una tale distribuzione.

59Purtroppo la lamina è frammentaria nella parte finale e non è dunque possibile chiarire il senso dell’apodosi nel contesto di quanto segue. Dal punto di vista epigrafico e linguistico, che qui interessa, sono però necessarie alcune note di approfondimento sulle ll. 11-15:

  • 47 Brugnone, 1997, p. 293.

601) Il complemento di stato in luogo figurato ἐ]ν το͂ι αὐτο͂<ι> contiene nuovamente un dativo con dittongo a primo elemento lungo e iota ascritto. A. Brugnone è cauta nel proporre la correzione di tau in iota alla fine di <ΑΥΤΟΤ> della l. 12: «la correzione […] potrebbe apparire insufficientemente giustificata data la possibilità di interpretare come dativo anche l’αὐτο [sic] che segue: l’eliminazione di -ι nei dittonghi lunghi -αι, -ηι, -ωι è attestata infatti con sicurezza a partire dal VI sec. a.C.47. Non comprendo il motivo della cautela: il precedente articolo το͂ι mostra che nel dativo della seconda declinazione si metteva iota ascritto; questa pratica trova conferma nel congiuntivo ποιήσῃ della l. 7 e, nella ricostruzione qui proposta, sarebbe confermata anche dal trattamento di μοίρᾳ, κακῇ e ἀγαθῇ.

  • 48 Ad esse si aggiungano le seguenti iscrizioni, dove i paralleli sono però in parte integrati: IG I3 (...)

612) L’espressione αὐτὸν ἔχε[σ]θαι ἐν hο͂ιπερ κτλ. (qui con soppressione del dimostrativo prolettico di hο͂ περ) trova paralleli in alcune iscrizioni citate da Dubois, IGDS II no 15, p. 3348.

  • 49 Brugnone, 1997, p. 292-293.
  • 50 Brugnone, 1997, p. 267-268.

623) La lacuna dopo h[ va sicuramente integrata con il pronome relativo al maschile, h[ος (cfr. IGDS II no 15), e non con quello neutro h[ο proposto nell’editio princeps. A. Brugnone propone di integrare poi μὴ λαχὼν «che non ha partecipato», che reggerebbe γέης ἀναδαιθμοῦ.49 La sua interpretazione dunque è che la sanzione preveda un’equiparazione del trasgressore a colui che non ha partecipato alla divisione delle terre, non ricevendo alcun lotto. Il problema di questa lettura è di tipo sintattico, come ammesso dalla stessa Brugnone: il δέ della l. 15 difficilmente può occupare la terza posizione a inizio di frase50. Il futuro μνήσεται (o in alternativa il congiuntivo μνήσηται) va dunque considerato il verbo principale di questa frase: il genitivo γέης ἀναδαιθμοῦ è retto da esso.

  • 51 Brugnone, 1997, p. 267.

634) La lacuna delle ll. 13-14, che Brugnone propone di integrare con μὴ λαχών, contiene sicuramente un lambda alla fine del margine destro della lamina. Il segno simile a tau che si legge prima di questo lambda non è «tracciato dall’incisore, ma provocato dal piegamento della lamina»51.

  • 52 Cfr. Dubois IGDS II, p. 34: «c’est un adverbe, un adjectif ou un participe signifiant ‘délibérément (...)
  • 53 Per una costruzione sintattica simile, con θέλων, cfr. IG XII,2 1, ll. 13-15 (Mitilene, probabile m (...)

64Nella l. 14, subito dopo la lacuna a destra, si intravede un segno con l’angolo in basso che potrebbe essere un ny. Se la lacuna dopo eta alla l. 13 è integrata con <OΣ>, appare difficile integrare μή o comunque due lettere prima di lambda: sembrerebbe esserci spazio al massimo per una lettera (che occuperebbe il posto occupato dal ‘falso tau’). Nella l. 14, prima del possibile ny, ci sarebbe posto per due lettere, più difficilmente tre. Si potrebbe immaginare che a cavallo delle ll. 13-14 trovi posto un avverbio in -ον oppure un participio in -ων, che esprime una circostanza congiunta a quella del verbo principale52. Exempli gratia, alcune possibilità potrebbero essere λέγων (cioè: «parlando, menzioni la divisione delle terre…») o θέλων (cioè: «di sua volontà menzioni la divisione delle terre…», ma in questo secondo caso rimane il problema che non sembra esserci spazio sufficiente per due lettere prima di lambda)53. Sarebbe necessario un esame radiografico della lamina, che in questo punto era già ossidata nel 1997.

  • 54 Rimando alle considerazioni di Brugnone, 1997, p. 297-298.

655) La frase finale della lamina sembra contenere disposizioni relative alla corretta registrazione di coloro che hanno ricevuto lotti di terreno (περὶ δὲ τῶν δεχομένων)54. Il sintagma preposizionale κατὰ τὸ χάλκωμα può modificare il precedente participio (περὶ δὲ τῶν δεχομένων κατὰ τὸ χάλκωμα «coloro che hanno ricevuto (terra) secondo (le disposizioni della) lamina di bronzo» oppure modificare il verbo principale della frase, che è contenuto in lacuna (exempli gratia: περὶ δὲ τῶν δεχομένων, κατὰ τὸ χάλκωμα ... ἀναγράψαι «relativamente a coloro che hanno ricevuto, si registri secondo le disposizioni della lamina di bronzo»). Naturalmente è impossibile chiarire il senso esatto di questa frase in assenza della conclusione della legge.

  • 55 Brugnone, 1997, p. 299.
  • 56 Brugnone, 1997, p. 298.
  • 57 Sulla rilevanza del bronzo nella cultura epigrafica siceliota e magnogreca si vedano anche le consi (...)

66La forma mutila καρτερο[ può rappresentare l’accusativo neutro καρτερόν, concordato dunque con χάλκωμα, oppure l’avverbio καρτερῶς, che modificherebbe il verbo principale. A. Brugnone intende l’aggettivo nel senso di κύριος ‘valido’ (cfr. il parallelo di McCabe Halikarnassos 1, 21-22: τοῦτο καρτερὸν εἶναι, ma anche l’uso nel Codice di Gortina col. IV.24-25 το͂ν κρημάτο̄ν καρτερὸν ἤμειν «sia responsabile delle ricchezze»)55. Ci si può chiedere però se nel testo imerese il senso non sia proprio quello letterale, «forte»: potrebbe forse trattarsi di un riferimento al supporto della legge, realizzato in bronzo. Il nesso dunque potrebbe essere χάλκωμα καρτερόν o, forse meglio, un’azione (iscrizione, registrazione) che le caratteristiche fisiche del χάλκωμα permettono di fare in modo duraturo, καρτερῶς. Vale la pena di ricordare che la lamina si autodefinisce χάλκωμα ben quattro volte in diciotto brevi linee, una frequenza che richiede di essere interpretata. καρτερός è aggettivo usato sovente in riferimento a uomini o entità che sono forti, e dunque capaci di difendersi, grazie alle proprie caratteristiche fisiche (χωρίον, λόφος, δέσμοι, τείχη e τόχος sono alcuni dei sostantivi frequentemente associati con l’aggettivo). Questa legge potrebbe fare riferimento alla propria durevolezza, in opposizione implicita ad altri tipi di documenti redatti su materiale deperibile. Va nel senso di questa interpretazione quanto notato, ma poi non collegato al significato dell’aggettivo, da A. Brugnone a proposito della prassi delle città greche di conservare due o più copie delle leggi56. La copia della legge affissa nell’area sacra di Himera e realizzata in bronzo si potrebbe dunque autoconfigurare come un documento particolarmente solido e difficile da danneggiare57.

  • 58 Manganaro, 1997, p. 318 n. 57.

7) Le ultime lettere leggibili nella linea finale della lamina sono <ENTA>. A. Brugnone non propone nessuna integrazione, mentre Manganaro si avventura in un ἓν το͂[ν hεμισχ[οίνο̄ν(?) Image 1000000000000009000000144CD720C788FC2E5F.pngτο͂ν οἰϙοττέδο̄ν εἶναι vel εἶμεν], una lettura che presenta due evidenti problemi58. La quarta lettera ancora leggibile sulla lamina è chiaramente alpha, non omicron; e la lamina termina con questa linea, come si vede chiaramente dal margine destro inferiore ancora superstite, dove non c’è posto per un’ulteriore linea destrorsa (che, data la lunghezza dell’integrazione proposta, dovrebbe giungere fino al margine destro). Le lettere superstiti <ENTA> potrebbero invece far parte dell’avverbio ἐνταῦθα, forse un nuovo riferimento alla lamina, specialmente se seguito da un verbo come «scrivere», «registrare». Una breve forma verbale potrebbe trovare posto in un’ipotetica linea supplementare, che però dovrebbe terminare prima del frammento di margine destro integro, che non reca scrittura.

10. Una proposta di nuovo testo

67Propongo qui di seguito il testo da me integrato seguito da traduzione:

1

[․4-5․]εντο̄ν hε̄μίσχοι[νον]

[․․․]εδε τõν [οἰ]ϙοπέδο̄ν [φῦ-]

λα δανκλαῖα (vel φυλὰ δανκλαία) ποιε͂σαι ἄ[φ]-

αρ Image 1000000000000009000000144CD720C788FC2E5F.pnghαι φρατρίαι ἀ[ν]έδειξα-

5

ν τὰ καταγεγραμ(μ)ένα· ἰ-

ὰν [δέ τι]ς πὰρ τὸ χάλϙο̄μα

ἐργάσδε̄ται Image 1000000000000009000000144CD720C788FC2E5F.pngτὸ [χ]ά[λϙ]-

[ο̄μ]α [ἀφ]ανὲς ποιImage 100000000000000A000000135A70E13011AC56DC.pngσε̄ι Image 1000000000000009000000144CD720C788FC2E5F.pngθ[ε̃ι]

[Image 1000000000000009000000144CD720C788FC2E5F.png μετ]αθ[ε̃ι τ]ι περὶ το͂ χα[λϙ]-

10

[Image 100000000000000900000012EB0ABFF186A379F5.png]ματο[ς] Image 1000000000000009000000144CD720C788FC2E5F.png[ν]έμε̄ι Image 1000000000000009000000144CD720C788FC2E5F.pngμοίρ-

[-ε̄ι] Image 1000000000000009000000144CD720C788FC2E5F.pngκακImage 100000000000000A000000148A31A3C9503B2B62.pngImage 1000000000000009000000144CD720C788FC2E5F.png] ἀγαθImage 100000000000000A000000148A31A3C9503B2B62.png [ν γε̃-]

ν το͂ι αὐτο͂<ι> αὐτὸν ἔχε[σ]-

θαι ἐν hο͂ιπερ h[ὸς μImage 100000000000000A000000148A31A3C9503B2B62.png ] λ-

[αχImage 100000000000000900000014038FFDD57F2F1623.png]ν γέε̄ς ἀναδαιθμο͂.

15

μνImage 100000000000000A000000135A70E13011AC56DC.pngσεται περὶ δ[ὲ] τ-

ο͂[ν] δεχο[μένο̄]ν κατὰ τ-

ὸ χά[λ]ϙο̄μα καρτ-

ερῶ[ς] ἐντα[ῦθα— — — —]

« […] metà schoinos […] delle preselle. (Di) costituire (due?) phylai zanclee non appena le fratrie abbiano esposto (le disposizioni) redatte per iscritto. Se qualcuno si adopera contro la lamina, o rende illeggibile la lamina, o aggiunge o cambia qualcosa che riguarda la lamina, o assegna o divide cattiva o buona terra […]. Sia costui sia nella stessa posizione di colui che […] menzioni una divisione della terra. Relativamente a coloro che hanno ricevuto (i lotti?) secondo (le disposizioni della) lamina in forma permanente qui (si registri?). »

11. Verso una nuova reinterpretazione globale

  • 59 Anche il recente articolo di Brugnone, 2011a, che pure fa il punto sulle varie interpretazioni prop (...)
  • 60 Brugnone, 1997, p. 300 cautamente propende per l’ipotesi che la legge presupponga un ordinamento is (...)
  • 61 Dettagli di questi passi molto discussi in Brugnone, 1997, p. 301-304. Critiche alla sua interpreta (...)

68L’interpretazione qui proposta sulla base di una puntuale analisi linguistico-testuale della lamina conferma che la porzione centrale del testo si occupasse di terra: non tuttavia per regolamentare una sua distribuzione, ma al contrario per impedirne una qualsiasi forma e per proteggere solidamente le disposizioni contenute nella lamina. Non si tratta dunque di una «legge sulla distribuzione della terra», ma piuttosto di una legge di altro tipo, forse comunque riguardante lotti di terreno ma sicuramente nell’ambito di un contesto istituzionale i cui contorni ci sfuggono. In verità, la lamina ha attirato poca attenzione per quanto riguarda gli spiragli che apre sull’assetto istituzionale di Himera59. Ci si potrebbe chiedere, per esempio, se la costituzione di phylai, specificatamente zanclee (ll. 2-3), sia una risposta a una situazione di turbolenza sociale60. Al momento ci si è soffermati solo sulla questione se questo sia un indizio a favore delle notizie tucididee e aristoteliche secondo le quali gli Zanclei vennero espulsi dalla loro città ad opera di quei Samii e quegli Ioni che, secondo Erodoto 6.22-24, avevano abbandonato la Ionia all’indomani del fallimento della rivolta ionica nel 494 a.C61.

  • 62 Brugnone, 1997, p. 273. Le nuove tribù sarebbero dunque unità del tipo denominato da Jones, 1987, p (...)
  • 63 Queste domande mi sono state suscitate dalla lettura di Loraux, 1996, sulla riforma di Clistene, ch (...)

69Ma quale rilevanza può avere avuto la creazione di nuove phylai – per stessa ammissione del testo su base etnica e forse composte di esuli – all’interno del corpo civico imerese?62 Qual era l’assetto politico-istituzionale di Himera in quegli anni? Le phylai erano garanzia di ordine, un argine al proliferare di lotte tra fazioni e alla stasis? O si deve piuttosto pensare che l’aumento del numero delle phylai sia esso stesso un segnale che Himera stava provvedendo all’instaurazione di un nuovo ordinamento?63 E, da questo punto di vista, il testo fa veramente riferimento a delle generiche «tribù (φῦλα) zanclee» o si tratta piuttosto di un numero più accurato, «due tribù (φυλά: duale) zanclee»?

  • 64 Brugnone, 1997, p. 278, ripetuto verbatim in Brugnone, 1997-1998, p. 585-586. Cfr. Roussel, 1976, p (...)

70Inoltre, quale rapporto intercorre tra φῦλα/φυλαί e φρατρίαι? Nell’interpretazione datata da A. Brugnone le fratrie imeresi hanno un ruolo pubblico: agiscono come una sorta di ‘stato civile’ e sono responsabili di dare diffusione alle decisioni degli organi di governo della polis e dell’archiviazione dei documenti; esse sono anche «le uniche istituzioni della polis in grado di fornire l’elenco degli aventi diritto all’assegnazione dei lotti»64. È casuale che sia un testo affisso in un’area sacra a menzionare il ruolo delle fratrie nella pubblicazione delle decisioni pubbliche? L’interpretazione di τὰ καταγεγραμ(μ)ένα (l. 5) come «le decisioni prese» coglie nel segno o si può pensare che questa frase faccia riferimento a un coinvolgimento delle fratrie nella composizione stessa delle φῦλα/φυλαί? In questo caso, forse τὰ καταγεγραμ(μ)ένα potrebbe essere inteso come «(le φῦλα), quelle registrate» e l’intera frase delle ll. 4-5 come «una volta che le fratrie abbiano reso pubbliche (quali sono) le (phylai) che sono state registrate».

  • 65 Nelle tessere pubblicate da Cordano, 1992 e discusse in Cordano, 1999, p. 150-151.
  • 66 Si veda il parallelo della possibile creazione di nuovi cittadini fatta da Clistene, contestato per (...)
  • 67 Su questo intervallo vd. Davies, 1996, p. 619, seguito da Brugnone, 1997-1998, p. 584.

71Le fratrie imeresi sono dunque suddivisioni minori e trasversali rispetto alle φῦλα/φυλαί, come più tardi a Camarina?65 Gli individui zanclei inseriti in queste nuove φῦλα/φυλαί devono essere considerati alla stregua di stranieri, che dunque vanno a ricaratterizzare il corpo civico imerese nel senso della mescolanza?66 Non solo l’eventuale ruolo delle φρατρίαι imeresi non è stato discusso a sufficienza, ma non si è neanche sufficientemente sottolineata la straordinarietà della menzione di φρατρίαι in questo testo: non tanto o non solo perché è la prima di ambito coloniale (Brugnone 1997, p. 275), ma perché è la prima che intercorre in ordine cronologico tra Omero (Il. 2.362) e i testi della metà del V secolo67. Risposte sicure difficilmente si raggiungeranno, vista la frammentarietà del testo: e però vale la pena di rimettersi a studiare da cima a fondo le tracce di questa legge e di ripensare gli assunti che, sin dalla sua pubblicazione nel 1997, si sono saldati nel dibattito scientifico quasi come binari fissi sui quali si deve necessariamente procedere.

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Notes

1 Per i rapporti tra fonti storiche e archeologia, si veda ora Vassallo, 2012.

2 I più importanti sono raccolti in IGDS I n° 6-14 e IGDS II n° 15-17. Gli scavi successivi hanno restituito solo brevi graffiti (Grotta, 2008) e una sferetta iscritta (Brugnone, 2011b). Si attende la pubblicazione preliminare delle defixiones rinvenute nella necropoli ovest: cfr. infra.

3 Sul ruolo di Himera in questa parte del territorio siciliano, si vedano Vassallo, 2002 e Vassallo, 2015. Per quanto riguarda l’organizzazione degli spazi tra città alta e città bassa, una recente rassegna è Vassallo, 2013.

4 Vassallo, 2009, p. 250-254; Vassallo, 2010.

5 Si vedano Finglass, 2014, p. 7-8; Cassio, 1999, p. 205; Willi, 2008, p. 55, tutti più o meno interessati a definire la facies linguistica del testo di Stesicoro. Tratto più approfonditamente del dialetto di Himera in Tribulato (c.d.s.).

6 Sul quale vd. Bonacasa, 1982, p. 50; Vassallo, 2013, con bibliografia precedente.

7 Vd. Vassallo, 2013, p. 81-82.

8 Rimando agli studi di Brugnone, 1997; Brugnone, 1997-1998; Manganaro, 2000; Lombardo, 2001, p. 79-80; Brugnone, 2011a.

9 Altri brevi testi frammentari sono stati rinvenuti nel temenos del tempio D: vd. Manni Piraino, 1974, p. 265-269.

10 Altri studi o ricostruzioni del testo (citati anche in apparato) sono Manganaro, 1997, p. 318 n. 57; SEG 47, n° 1431; Brugnone, 1997-1998, p. 579-586; Dubois, 1999; Manganaro, 2000; Brugnone, 2011a. Il testo è discusso più brevemente anche in Manganaro, 1999, p. 420 n. 70; BE 2002 n° 500 (L. Dubois); Aversa e Frisone, 2001, p. 120-121; Lombardo, 2001, p. 79-80; 85; Manganaro, 2008, p. 329.

11 Cfr. Brugnone, 1997-1998, p. 581.

12 Brugnone, 1997, p. 266.

13 Invece περὶ τοῦ χαλκώματος della l. 9 è neutro dal punto di vista dialettale: περί non subisce apocope in dorico. Ad esclusione di Mimbrera 2012, p. 196, che attribuisce l’espressione πὰρ τὸ χάλκωμα al carattere misto del dialetto di Himera, nessun altro studioso ha offerto una spiegazione del perché un elemento di questo tipo possa essere finito in un testo ionico-euboico. Cfr. Brugnone, 1997, p. 279: «παρ è forma apocopata di παρά». Dubois (IGDS II, n° 15) non commenta.

14 All’inizio di questa linea occorre una forma di οἰκόπεδον, di solito interpretata come un genitivo singolare. Il fatto che la prima sillaba è in lacuna non permette di appurare se il testo facesse uso di digamma (per il quale potrebbe esserci spazio sufficiente) e dunque se qui potesse essere contenuta un’altra forma dorica. Cfr. Mimbrera Olarte, 2012, p. 82.

15 Brugnone, 1997, p. 271-274.

16 Cfr. Dubois, IGDS II, p. 29. In una struttura sintattica di accusativo e infinito non è invece possibile pensare a un nominativo dorico φυλά (= φυλή), come invece fa Manganaro: vd. Manganaro 1997, p. 318 n. 57; e soprattutto Manganaro, 2000, p. 750: «φυλά è la forma dorica [...] spiegabile in una città come Himera, che si era avviata alla crasi linguistica» (interpretazione poi sconfessata dall’Autore negli errata corrige cartacei acclusi al secondo volume delle Terze giornate di studio sull’area elima).

17 IGDS II, n° 15, p. 29.

18 Brugnone, 1997, p. 273-274.

19 Manganaro, 1997, p. 318 n. 57.

20 Dubois, 1999, p. 712; IGDS II, n° 15, p. 30.

21 Non si attende l’apocope del preverbio, che in dorico si verifica solo davanti a dentale sorda e sorda aspirata: cfr. Mimbrera Olarte, 2012, p. 130.

22 Brugnone, 1997, p. 276.

23 IGDS II, n° 15, p. 30.

24 Lejeune, 1972, p. 112-115. Cfr. anche Dubois IGDS II, n° 15, p. 30-31.

25 Cfr. EM 411.57.

26 Cfr. supra, apparato.

27 Cfr. supra, apparato.

28 Brugnone, 1997, p. 266.

29 Brugnone, 1997, p. 268; 288. Come informa Brugnone, 1997, p. 267, Manganaro propose questa integrazione durante il XI Congresso di epigrafia greca (Roma 1997): il testo di Manganaro fu poi pubblicato nello stesso volume di La Parola del Passato in cui compare l’editio princeps (Manganaro, 1997).

30 IGDS II, n° 15, p. 32: « je reste donc réservé sur cette restitution ». Cfr. anche Dubois, 1999, p. 712: « je ne comprends pas cette proposition de restitution ».

31 Per la prospettiva storico-culturale, si veda Camassa, 1994, il quale rievoca anche la tradizione antica che attribuisce all’area occidentale il primato della codifica scritta delle leggi (e dunque della loro inviolabilità).

32 Una soluzione alternativa è di supporre che in lacuna occorra veramente il congiuntivo θέλῃ ipotizzato da Manganaro, ma che esso regga un infinito di μετατίθημι, col significato «se vuole cambiare qualcosa relativamente alla lamina». È una soluzione più semplice perché elimina il congiuntivo θῇ per il quale non ci sono paralleli nel senso di «aggiungere qualcosa in una legge» (vd. infra). Ma perché questa frase funzioni nel contesto di ciò che è leggibile sulla lamina non si può integrare né l’infinito aoristo ionico μεταθεῖναι né quello dorico μεταθέμειν: lo spazio prima di <I> di [τ]ι permette di integrare solo una forma molto breve.

33 Manganaro, 2000, p. 750.

34 Esempi in Brugnone, 1997-1998, p. 583 n. 64.

35 Brugnone, 1997, p. 281; Dubois IGDS II, n° 15, p. 31. Questa stessa interpretazione in Dubois, 1999, p. 712; Brugnone, 1997-1998, p. 583; Brugnone, 2011a, p. 8-9.

36 Cfr. Brugnone, 1997-1998, p. 583.

37 Cfr. anche Dubois, 1999, p. 712.

38 ICos ED 55B, ll. 12-15 (IV sec. a.C.): αἰ δέ τίς κα μετ[αθῆι τι τῶν ἐν τᾶιδε τᾶι διαγραφᾶι γεγραμμένων, ὥστε τ]ὰμ πόλιν ἐξ ὧμ μ[ετετέθη βλάπτεσθαι ἢ τὰ ἱερὰ μὴ καλῶς συντελεῖσ]θαι, ζαμιούντω κτλ. «Se qualcuno altera [qualcosa di ciò che è scritto in questo decreto], così che la città venga danneggiata da quanto è stato modificato o i sacrifici non vengano compiuti in modo corretto, paghi, etc.». Nonostante il fatto che il complemento di stato in luogo ἐν τᾶιδε τᾶι διαγραφᾶι suoni meno ostico del περὶ τοῦ χαλκώματος del testo imerese, mi pare che entrambe le espressioni si riferiscano al contenuto dei testi su cui sono iscritte, contenuto che non va alterato, pena una punizione: nell’iscrizione coa i trasgressori sono puniti con il pagamento di un’ammenda (ζαμιούντω).

39 Camassa, 1996, p. 575. Cfr. anche le considerazioni simili di Thomas, 1994, p. 38-39.

40 Brugnone, 1997, p. 267.

41 Per l’uso di αὐτός in una struttura sintattica simile, cfr. IG II2, 42, 15-20: ἐάν τις βόλ[ηται […] Ἀθηναίων σύμμαχ[ος εἶναι κ]αὶ τῶν συμμάχων, ἐξεῖναι αὐ[τ]ῶ[ι ἐλευθέρ]ωι ὄντι καὶ αὐτονόμωι.

42 Su questo argomento rimando alla rassegna di Lombardo, 2001, p. 79. Vd. anche Brugnone, 1997, p. 289-292.

43 Brugnone, 1997, p. 295.

44 Cf. LSJ s.v. εἰ II e III («with optative: never with ἄν in early Greek, later ἐάν c[um] o[ptativo] Dam. Pr. 114, al.»).

45 Cfr. Chantraine, DELG, p. 678.

46 Per il problema della collocazione di μνήσεται/μνήσηται si veda Dubois, IGDS II n° 15, p. 33, che riprende la divisione del testo già proposta da Manganaro, 1997, p. 318 n. 57.

47 Brugnone, 1997, p. 293.

48 Ad esse si aggiungano le seguenti iscrizioni, dove i paralleli sono però in parte integrati: IG I3 52, ll. 18-19: [ἐνεχέσθω τοῖς α]ὐτοῖς hοῖσπερ ἐά[ν τι ἐσ]φέρειν εἴπῃ ἒ ἐπιφ[σηφίσῃ (434/3 a.C.); IIasos 247, ll. 2-4: [ἀνάγ]κη ἐνέχεσθαι δὲ [τὸν] παρὰ ταῦτα ποιήσοντα ὥσπερ τὸν ἰς τὰ καθωσιωμένα τοῖς Σεβαστοῖς πλημμελοῦντα, dove compare ἐνέχεσθαι con accusativo seguito da participio introdotto da ὥσπερ.

49 Brugnone, 1997, p. 292-293.

50 Brugnone, 1997, p. 267-268.

51 Brugnone, 1997, p. 267.

52 Cfr. Dubois IGDS II, p. 34: «c’est un adverbe, un adjectif ou un participe signifiant ‘délibérément, avec une intention précise’ qu’il faut restituer».

53 Per una costruzione sintattica simile, con θέλων, cfr. IG XII,2 1, ll. 13-15 (Mitilene, probabile metà del V sec.): αἰ δέ κε καταγρέθηι τὸ χρύσιον κέρναν ὐδαρέστερον θέλων θανάτωι ζαμιώσθω («se viene colto a fondere volontariamente l’oro in modo meno puro, paghi con la morte…»).

54 Rimando alle considerazioni di Brugnone, 1997, p. 297-298.

55 Brugnone, 1997, p. 299.

56 Brugnone, 1997, p. 298.

57 Sulla rilevanza del bronzo nella cultura epigrafica siceliota e magnogreca si vedano anche le considerazioni di Lombardo, 2011, p. 77.

58 Manganaro, 1997, p. 318 n. 57.

59 Anche il recente articolo di Brugnone, 2011a, che pure fa il punto sulle varie interpretazioni proposte per questo documento, si sofferma solo brevemente sull’analisi del suo lessico istituzionale.

60 Brugnone, 1997, p. 300 cautamente propende per l’ipotesi che la legge presupponga un ordinamento istituzionale tirannico, ipotesi ripresa in Brugnone, 2011a, p. 12. È d’uopo ricordare che l’editrice fa finire la frase contenente l’apodosi proprio con γέε̄ς ἀναδαιθμο͂ e non con μνήσεται e che prima di essa integra nelle ll. 13-14 h[ο μ] λ|[αχ]ν (cfr. apparato supra). Sul riassetto delle tribù in connessione con riforme civiche, vd. Roussel, 1976, p. 265-267.

61 Dettagli di questi passi molto discussi in Brugnone, 1997, p. 301-304. Critiche alla sua interpretazione in Dubois ,1999, p. 713.

62 Brugnone, 1997, p. 273. Le nuove tribù sarebbero dunque unità del tipo denominato da Jones, 1987, p. 8 «Landsmannschaftlich», diffuse in ambiente coloniale e i cui membri «were actually, or at least claimed to be, of a common place of origin». Utile il paragone con Cirene, dove una tribù era costituita dai discendenti dei fondatori terei: vd. Roussel, 1976, p. 300-301; Jones, 1987, p. 216-219.

63 Queste domande mi sono state suscitate dalla lettura di Loraux, 1996, sulla riforma di Clistene, che potrebbe essere quasi contemporanea della legge di Himera.

64 Brugnone, 1997, p. 278, ripetuto verbatim in Brugnone, 1997-1998, p. 585-586. Cfr. Roussel, 1976, p. 105.

65 Nelle tessere pubblicate da Cordano, 1992 e discusse in Cordano, 1999, p. 150-151.

66 Si veda il parallelo della possibile creazione di nuovi cittadini fatta da Clistene, contestato però da alcuni: cfr. Loraux, 1996, p. 1096-1097.

67 Su questo intervallo vd. Davies, 1996, p. 619, seguito da Brugnone, 1997-1998, p. 584.

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Pour citer cet article

Référence papier

Olga Tribulato, « La legge tardo-arcaica di Himera (SEG 47, no 1427; IGDS II no 15). Un riesame linguistico ed epigrafico »Pallas, 109 | 2019, 167-193.

Référence électronique

Olga Tribulato, « La legge tardo-arcaica di Himera (SEG 47, no 1427; IGDS II no 15). Un riesame linguistico ed epigrafico »Pallas [En ligne], 109 | 2019, mis en ligne le 19 février 2020, consulté le 13 novembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/pallas/16702 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/pallas.16702

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Auteur

Olga Tribulato

Università Ca’ Foscari, Venezia
Dipartimento di Studi Umanistici
olga.tribulato[at]unive.it

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