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Terra e territorio nella Sicilia greca

Terra e territorio nella Sicilia coloniale: qualche riflessione

Terre et territoire dans la Sicile coloniale. Quelques réflexions
Some Reflections on Land and Territory in colonial Sicily
Stefania De Vido
p. 133-152

Résumés

Réfléchir sur terre et territoire oblige à englober de nombreux thèmes, anciens et nouveaux, qui sont aujourd’hui repensés à la lumière des nouvelles découvertes archéologiques ou des modèles d’interprétation les plus récents. Dans cet article, il s’agit de proposer quelques réflexions générales sur des aspects de nature historique (le paysage), sociale (les aristocraties), économique (la gestion de la terre), culturelle (la relation avec les indigènes), et politique (la fondation des colonies et la formation de leur hiérarchie interne): tous sont liés entre eux et contribuent à nourrir le débat théorique actuel sur la colonisation grecque.

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Texte intégral

1. Terra e territorio

  • 1 In queste considerazioni introduttive non posso né intendo ripercorrere le linee generali di una di (...)
  • 2 Sulle risonanze che ha la contemporaneità dello studioso nelle ricerche sulla colonizzazione greca (...)
  • 3 Si tratta di un dibattito ormai uscito da tempo dalla strettoia troppo rigida tra primitivisti e mo (...)
  • 4 Nell’indagine sulla storia economica e sociale della Sicilia arcaica e classica con particolare att (...)

1Che la terra sia il fondamento delle società preindustriali è un’ovvietà che non chiede di essere dimostrata, ma solo ribadita1. Che tale ovvietà, forse proprio perché tale, sia stata di recente un po’ trascurata negli studi sulla colonizzazione in Occidente è cosa che va ascritta ai cicli della ricerca storica, che sovente rispondono più o meno consapevolmente alle domande poste dal presente di chi professa la disciplina2. Tenendo ferme sia le molte e innovative riflessioni intorno a decolonizzazione, etnicità e ibridismi, sia le linee del dibattito sempre appassionante sull’economia degli antichi (e dei moderni)3, vorrei qui tentare insieme ad alcuni colleghi una sorta di ritorno alla terra, avviando una discussione sulla Sicilia di età arcaica e classica, che anche sotto questo aspetto si conferma luogo formidabile di ricerca4.

  • 5 Punto di partenza necessario sia per la riflessione di metodo sia per l’ampia panoramica di testi e (...)
  • 6 Ritengo ancora fondamentali e insuperati su questi temi gli studi di Ettore Lepore (Lepore, 1968, 1 (...)

2E’ proprio dalla terra, infatti, che riceviamo spunti molto appassionanti, si tratti dello studio degli impianti urbani (si pensi a Imera o a Megara Iblea) o delle esperienze di media e larga scala di ricognizione estensiva, che consentono di riflettere su basi meglio documentate su tempi e modi dell’occupazione del territorio. Proprio le indagini sul campo, inoltre, hanno restituito documenti epigrafici di eccezionale rilevanza che, pur costringendo a faticosi esercizi di esegesi, aprono squarci fondamentali su aspetti di storia economica e sociale altrimenti ignoti5. Acquistano nuovo spessore in tal modo sia la rilettura di testi storiografici canonici (a cominciare da Tucidide e da Diodoro), sia l’elaborazione di modelli di lettura che, trovando riscontro concreto, si sottrae almeno in parte al rischio di restare imprigionata in un dibattito solo nominalistico o astratto. Certo, nessun dato analitico può distogliere dagli aspetti più generali che riguardano il metodo di indagine e le nozioni interpretative che si vogliano attivare: da questo punto di vista sono imprescindibili alcune riflessioni teoriche che hanno segnato la stagione di studi della seconda metà del secolo scorso6 e che, per ragioni che non è qui l’occasione di approfondire, hanno riguardato prevalentemente la Magna Grecia o comunque aree coloniali diverse dalla Sicilia.

3Proprio la disponibilità di nuova documentazione e l’esigenza di verificare alcune istanze di metodo ci hanno invece indirizzato proprio verso la Sicilia, oggetto privilegiato non solo perché geograficamente, e dunque storicamente, ben definito dall’insularità, ma anche perché in essa possiamo vedere dispiegate tutte le potenzialità della nozione di chora, secondo quella doppia accezione di ‘terra’ e ‘territorio’ su cui ha posto l’attenzione già Ettore Lepore. Terra, ovvero risorsa primaria di tutte le società antiche, che in Sicilia forse più che altrove è perno di processi economici e politici di lungo periodo, in ragione dell’evidente disponibilità e feracità del suolo. E territorio, ovvero luogo fisico dell’esercizio del potere, che indirizza sia il primo costituirsi degli insediamenti coloniali, sia il formarsi di esperienze dinastiche ed egemoniche che arrivano a risalire oltre lo Stretto (si pensi alla Siracusa dei Dionisii), sia, infine, le forme di resistenza messe in atto dagli indigeni nelle aree più interne (come nel caso dei Siculi di Ducezio).

2. Paesaggio

  • 7 Si pensi soltanto alle potenzialità aperte dalla ricerca sulle emozioni inaugurata da A. Chaniotis (...)
  • 8 Sereni, 1961.
  • 9 Da rileggere sono anche le pagine sull’Italia preromana e in particolare sulla fondazione di Turi ( (...)

4Al dittico ‘terra’ e ‘territorio’ si può utilmente aggiungere un terzo termine, che nel tempo ha assunto via via accezioni sempre nuove e financo fascinose anche nello studio dell’antichità greca: ‘paesaggio’. In questa sede, però, non penso ai molti paesaggi - emotivi, sonori, sensoriali - di cui è ricca la storiografia contemporanea e che stanno ampliando in maniera inaspettata la nozione stessa di ‘storia’ e di ‘documento’7; in questo percorso preferisco ricorrere a uno dei testi cardine di qualsiasi studio interessato alla terra, ovvero alla Storia del paesaggio agrario italiano di Emilio Sereni8. E’ vero che Sereni antichista era interessato più alla penisola italica preromana e romana, con predilezione per i paesaggi liguri, e che sono poche le pagine dedicate in maniera specifica a tempi e luoghi della colonizzazione greca, ma nell’impostazione generale di quel volume e nelle osservazioni dedicate al ‘giardino mediterraneo’ di Sicilia e Magna Grecia rintracciamo alcune osservazioni che indirizzano utilmente anche la presente riflessione. Di quell’antico paesaggio Sereni metteva in rilievo infatti la regolarità geometrica dei campi, l’uso del maggese e l’utilizzo di colture arboree e arbustive per dividere lo spazio dedicato alle attività agricole da quello eminentemente pastorale; non solo: egli individuava nell’adozione di un sistema ortogonale da parte delle colonie il segno dell’appropriazione privata della terra e vi rintracciava una delle cause profonde dell’aspetto dinamico di quel paesaggio evidenziandone così la dimensione autenticamente storica, ovvero mutevole nel tempo9.

  • 10 Per questi due documenti si vedano, rispettivamente, 56. Cirene: rinnovo della cittadinanza ai colo (...)
  • 11 Mi riferisco naturalmente al noto lavoro di Osborne, 1998 che ha aperto una ampia e proficua discus (...)

5In effetti, la pratica della ripartizione egualitaria della terra secondo uno schema geometrico è stata a lungo uno dei capisaldi nella ricostruzione moderna dei processi che governarono la colonizzazione greca: a partire da alcuni passaggi dei teorici politici antichi e dalla lettera di noti documenti epigrafici, quali ad esempio il cosidetto giuramento dei fondatori di Cirene o il decreto ateniese per la fondazione di Brea10, si è postulata un’attenta regia organizzativa tesa a garantire sin dall’origine l’eguaglianza dei coloni anche in termini di possesso terriero. Questa lettura per certi versi un po’ astratta non può rimanere inerte di fronte a recenti proposte interpretative che hanno invitato a riconsiderare sotto diverso occhio tutte le testimonianze antiche (comprese quelle epigrafiche) in cui si sia descritto il processo che avrebbe condotto a fondare una nuova città, da leggersi non già come documento di una filiera reale di gesti e di scelte, quanto come prodotto di riletture più tarde che avrebbero proiettato su età precedenti esperienze e ricostruzioni ideologiche solidali con una fase matura della polis11.

  • 12 Cosi Sereni, 1091, p. 37.

6Come vedremo più avanti, anche non volendo assumere un atteggiamento spiccatamente ipercritico sulle fonti e mantenendo comunque la prospettiva di una riconoscibile istanza comunitaria nel processo coloniale, resta la necessità di riconsiderare attentamente il tema della distribuzione della terra, ancorandolo sia alla valutazione di singoli casi meglio documentati sia a una riflessione più generale sulla natura e sui tempi del fenomeno coloniale. Dell’immagine di Sereni possiamo utilmente trattenere, allora, non tanto l’idea in parte preconcetta di un originario assetto ortogonale, quanto, assai più interessante, la consapevolezza dell’importanza dell’iniziativa individuale (sia essa di singoli, di famiglie o di gruppi sociali definiti) nell’incidere un paesaggio che nel tempo « si sminuzza e si contorce »12. In quello che nel linguaggio di Sereni è chiamato il ‘giardino mediterraneo’, inoltre, la separazione tra attività pastorali e attività agricole segna un ulteriore momento di definizione senza ritorno, non solo per l’evidente primato riconosciuto all’agricoltura (la ben nota trilogia mediterranea), ma anche per la centralità che attraverso il maggese viene ad assumere la produzione cerealicola, che dialoga virtuosamente con l’allevamento del bestiame, relegandolo però in spazi ad esso specificamente dedicati.

  • 13 Per inquadrare l’opera di Sereni anche alla luce dei lavori incompiuti si veda il bel saggio di Gia (...)

7Il paesaggio così osservato, ed è lezione di metodo non aggirabile, diventa documento d’elezione dei processi di trasformazione: per questa ragione esso non si accontenta di una descrizione statica, quasi pittorica e attenta soprattutto alla classificazione, ma chiede sia visto e interpretato come manifestazione evidente delle dinamiche sociali ed economiche di cui esso è insieme sensore e motore. Anzi, il paesaggio - secondo un assunto molto caro a Sereni - non solo è testimone, ma è parte integrante del processo storico, soprattutto lì dove esso partecipa dall’interno, in parte determinandole, sia alle attività produttive che alle forme di vita associata13.

3. La città e la terra

  • 14 Come osservato da Ampolo, 1996, p. 320 il possesso della terra e il godimento delle rendite sono as (...)
  • 15 Di Finley basti qui citare il bellissimo saggio sulla città che traccia le coordinate concettuali a (...)
  • 16 Molto stimolante la lettura proposta ora da Launaro, 2016 che in maniera persuasiva tenta di supera (...)
  • 17 Come osservato da Gallo, 1997, p. 431, « la più importante strategia di intensificazione di sfrutta (...)
  • 18 Ancora Gallo, 1997 mette in guardia dalle generalizzazioni in tema di economia greca e invita a ten (...)

8Il richiamo alla vita associata fa virare il percorso verso il suo perno: il discorso sul paesaggio e sulla terra diventa (anzi, è sin dall’inizio) un discorso sulla città, tema prediletto quando si studi qualsivoglia aspetto del mondo greco14. Non possiamo che ricorrere alle pagine fondative di Moses I. Finley, che ha più volte sottolineato che la storia della città antica è la storia della terra, dato che centro urbano e chora, funzionali uno all’altro, costituiscono un insieme unitario15. Al di là della marcatura che si intende dare alla lettura di Finley dell’economia antica16, non si può che ribadire insieme a lui l’assoluta centralità della terra e dei processi economici e sociali che su di essa insistono anche nella storia della colonizzazione greca. Possiamo infatti considerare ampiamente superata l’opposizione tra colonie commerciali e colonie agrarie che ha dominato un’intera stagione di studi arrivando persino a postulare un tratto etnico, e dunque deterministico, nel valutare gli obiettivi di un insediamento coloniale; tutte le città, e dunque tutte le colonie, avevano infatti bisogno di terra per esistere come comunità organizzate e indipendenti. E’ vero, però, che per alcune aree l’ampia disponibilità di terra coltivabile è sottolineata già dalla tradizione antica ed è risorsa caratterizzante capace di innescare processi di lungo periodo e di rilevanza mediterranea17: tra esse, insieme a Cirenaica e Ponto, spicca senz’altro la Sicilia, le cui apokiai potevano contare su chorai molto vaste e dunque su ampie risorse, agricole e non solo18.

  • 19 Rimando qui alla lucida sintesi di Bravo, 1996, che traccia in maniera molto efficace tutte le impl (...)
  • 20 In un saggio di taglio generale M. I. Finley (Finley, 1981) manifestava molte perplessità sulla pos (...)
  • 21 La centralità di tali elementi nell’evoluzione delle colonie occidentali è stata già ben sottolinea (...)

9Per le città dell’isola si può allora postulare una specificità che spinge a chiedersi come in questi contesti siano state declinate quelle dinamiche di sviluppo della città già ben descritte in modelli ricostruttivi moderni, i quali, pur secondo assunti diversi, hanno comunque ampiamente sottolineato la funzione strutturante della terra ai fini della definizione del corpo cittadino e delle relazioni economiche e sociali che articolano le comunità arcaiche19. I ragionamenti sul nesso tra la proprietà fondiaria e il determinarsi dei diritti, sulle diverse gradazioni di status tra gli estremi costituiti dai cittadini proprietari e dagli schiavi legati alla terra, sull’interazione con altre forme di acquisizione di ricchezza, quale sopra tutti il commercio, devono essere verificati alla prova della specificità del contesto coloniale20, in cui la terra conquistata, messa a coltura e difesa diventa il filo rosso di dinamiche riconoscibili fino alla piena età classica, quando l’occupazione del territorio assume altre forme e altri soggetti. In questa sede vorrei soffermarmi in particolare su due aspetti che mi paiono fondamentali nella storia delle apoikiai arcaiche (quantomeno di quelle siceliote) e che consentono di cogliere la specificità del contesto coloniale nella gestione della terra attraverso una doppia e complementare dialettica, con le ondate successive di coloni da un lato e con gli indigeni dall’altro21.

3.1. Apoikiai e aristocrazie

  • 22 Così Bravo, 1996, p. 531-532.

10La prima questione di rilievo riguarda la scrittura del corpo politico delle apoikiai, attraverso la definizione della cittadinanza e, ad essa necessariamente collegata, della proprietà terriera; e di nuovo, non possiamo non chiederci che efficacia abbiano i differenti modelli di lettura proposti per la città arcaica quando applicati ai contesti coloniali. B. Bravo ha individuato due linee interpretative, l’una che legge la polis arcaica come realtà fluida, poco compatta e sostanzialmente dominata da un gruppo ristretto di aristocratici, l’altra incline a riconoscere già alle esperienze di VIII/VII secolo una precoce caratura politica e comunitaria, tale per cui si può affermare che sin da subito la polis è una comunità di cittadini22. Per la città coloniale bisogna tener conto inoltre di almeno due elementi specifici, ovvero la natura, individuale o comunitaria, delle iniziative coloniali da un lato, e dall’altro le relazioni sociali e produttive che si creano con la fondazione delle nuove poleis sia in termini di possesso che di dipendenza.

  • 23 Solo tardivamente rispetto all’età della colonizzazione, infatti, il gradiente di libertà o autonom (...)
  • 24 Ho proposto qualche osservazione in merito alla compatibilità tra istanza comunitaria e iniziativa (...)
  • 25 Non mi discosto, su questo punto, dalla raffinata argomentazione di Giangiulio, 1996, in part. p. 5 (...)

11Il cuneo tra le diverse letture rischia di allargarsi senza rimedio se non si mette primariamente a fuoco l’attore sociale di questo processi: pur nelle differenti proposte interpretative, a mio parere esso va ragionevolmente identificato nell’aristocrazia, da intendersi come gruppo ristretto, e dunque elitario, che possiede ma non coltiva direttamente la terra, e che per questa ragione da un lato si differenzia dai piccoli contadini indipendenti, tendenzialmente autarchici ma impossibilitati a innescare un’economia che non sia di pura sussistenza, e dall’altro determina forme di dipendenza più o meno codificata23. Se è così, se cioè è questo gruppo sociale a determinare le spinte dinamiche in virtù della capacità economica, della divisione del lavoro e delle conoscenze fattuali, diventa meno pressante chiedersi se il processo coloniale sia stato attivato dall’aristocrazia o dalla comunità24. Perché - detto in maniera un po’ apodittica - l’aristocrazia è essa stessa comunità e va intesa non come sommatoria disorganica di individui e di famiglie capaci di stabilire soltanto relazioni individualiste, ma come terreno di incubazione di forme di relazione più complesse sia orizzontali che verticali, e dunque di un’intenzione comunitaria, ovvero di un sistema di rapporti che, uscito dall’ambito dell’oikos, già rappresenta un corpo sociale organizzato25.

3.2. Isomoiria

  • 26 Cf. Arist. Pol. V, 1301b.
  • 27 Lo studio classico sulla distribuzione della terra resta Asheri, 1966, che va comunque ritenuto com (...)
  • 28 Sul kleros e sull’uguaglianza tra i coloni insiste in più punti il testo del già citato patto dei f (...)
  • 29 L’individuazione di un equilibrio tra tipologia e varietà nella riflessione storica è un principio (...)
  • 30 Utilizzo qui la nozione di eschatia tenendo presenti le riflessioni di Giangiulio, 2001, che deline (...)

12A questo punto è opportuno chiedersi se e come questa aristocrazia si trasformi attraverso l’esperienza coloniale, se essa si ridefinisca secondo diverse coordinate, se, soprattutto, essa rimanga ancora riconoscibile secondo quegli indicatori aristotelici, ricchezza e nascita26, di cui mi sembra si possa ribadire la piena validità euristica. Domande tanto più urgenti, considerando che appartenenza familiare e proprietà fondiaria sembrerebbero azzerati nelle comunità nuove, per le quali anzi la tradizione antica ha molto enfatizzato una precoce vocazione egualitaria. Secondo alcuni studi recenti l’isomoiria è da ritenere principio utopistico da ascrivere a ricostruzioni di stampo filosofico più che criterio reale operativo nello stabilire i nuovi insediamenti27; d’altra parte, però, le maglie regolari dell’impianto urbano di alcune colonie arcaiche sembrerebbero confermare nella concretezza dell’organizzazione topografica quell’intento egualitario così bene riassunto dall’insistenza sul kleros, il lotto di terra estratto a sorte e garantito a tutti i coloni28. L’apparente aporia può essere almeno in parte superata tenendo ferme alcune considerazioni generali, quali l’ovvia cautela nel far reagire ordini di testimonianze differenti e la consapevolezza della varietà di esperienze e di soluzioni adottate anche in termini di spartizione della terra nei contesti coloniali, tale per cui rischia di suonare comunque impropria l’individuazione di un modello generale29. Si aggiunga infine che su una nozione astratta di terra ‘uguale’, perché divisa more geometrico in lotti tutti uguali la cui qualità si misura solo in funzione della vicinanza al centro urbano, è utile far prevalere la concretezza storica del paesaggio, dove vanno tenuti in debito conto fattori variabili che riguardano la produttività effettiva, la differenza delle colture (specializzate e ceralicole), le interazioni non solo con la città abitata ma anche con le vie di comunicazione, la vicinanza al mare, le risorse dell’eschatia30.

  • 31 Per questo tema si veda il contributo di Moggi, 1995 con ampia casistica e accurata discussione. Su (...)

13Al di là delle proiezioni teoriche da un lato e delle variabili contestuali dall’altro, l’insistenza delle fonti antiche e in particolare dei filosofi politici sulle modalità di spartizione della terra non può comunque essere aggirata, se non altro perché essa denuncia in maniera chiara la piena consapevolezza che su di essa si fondava l’architettura sociale delle nuove comunità. Se l’isomoiria va sensatamente depotenziata come principio ordinatore assoluto, pensando ai primi insediamenti resta del tutto plausibile postulare, io credo, la ricerca di una certa parità di condizioni (assoluta o proporzionale che fosse: su questo sarà opportuno riflettere in maniera approfondita) anche in termini proprietari, perseguita non già in ragione di una progettualità ideologicamente democratica del tutto anacronistica, ma, più immediatamente, al fine di garantire sopravvivenza materiale e ordine sociale a gruppi umani ancora ridotti. La genesi aristocratica della colonizzazione non collide con la necessità di individuare un’efficace organizzazione concreta volta, contemporaneamente, a disinnescare per quanto possibile i conflitti interni e a mettere rapidamente a frutto i vantaggi del nuovo insediamento. Le numerose tradizioni sulla sostanziale impossibilità di tornare in patria per i partecipanti alle spedizioni31 esprimono infatti l’urgenza per certi versi drammatica non tanto del moto espulsivo dalla madrepatria, quanto del rapido radicamento di queste piccole comunità che sin da subito devono trovare autoregolazione normativa e mezzi di sussistenza.

4. Processi

  • 32 Lombardo, 2004, p. 351-354 insiste giustamente sulla necessità di integrare lo studio sulle apoikia (...)

14Rivolgiamo dunque alle apokiai appena fondate uno sguardo che focalizza la polis nel suo farsi32, nel suo farsi politico, che significa capacità di individuare un nomos certo e condiviso, e nel suo farsi concreto, che comporta l’efficacia nell’individuare le condizioni per una sopravvivenza duratura e in certa misura autarchica. E’ proprio a questo punto, nel punto in cui viene superato il crinale del primo insediamento che contiene per sua natura un aspetto intrinseco di emergenza, che va verificato se e come si possa essere evoluta, ammesso che sia stata chiaramente espressa, un’eventuale intenzionalità egualitaria, tanto più che, ed è un dato che mi pare non abbastanza valorizzato, le poche notizie che abbiamo sulle politeiai nelle città coloniali di età arcaica e prima età classica descrivono comunità che si strutturano in costituzioni tendenzialmente oligarchiche, attraversate da conflitti violenti e generatori di tenaci esperienze di tirannidi, a loro volta espressione, come noto, di un’evoluzione interna all’assetto aristocratico più tradizionale.

  • 33 Sulla distanza del mondo occidentale da esperienze democratiche e la persistenza di assetti oligarc (...)
  • 34 Riferendosi al caso di Megara Iblea è stato Malkin, 2002 a individuare nella prima generazione il p (...)
  • 35 Megara Iblea rappresenta un riferimento necessario quando si parli della polis coloniale: mi limito (...)
  • 36 Mi trovo del tutto in sintonia con gli interrogativi che si pongono Gras, Tréziny, 2012, p. 1142: « (...)

15La ricerca è chiamata oggi, dunque, a meglio comprendere l’apparente aporia tra un livello fondativo, rappresentato come egualitario e innervato da precipue istanze orizzontali e comunitarie, e quello storicamente meglio documentato, che dipinge invece un mondo coloniale conflittuale, ineguale, in cui le politeiai sono espressione di una piramide sociale fortemente gerarchizzata33. Una possibile chiave risiede, mi pare, in una diversa angolatura prospettica. Anche a causa di una tradizione letteraria molto ricca su prodromi, protagonisti e scelta del luogo della ktisis, si è posta molta attenzione sul momento fondativo in sé, a volte considerato nel suo aspetto puntuale (di qui la ricerca di una quanto più precisa collocazione cronologica), che avrebbe sin da subito generato l’assetto in termini urbanistici e topografici. E’ utile sottolineare, invece, l’aspetto processuale successivo all’arrivo dei coloni, a partire cioè dalla prima generazione e poi attraverso progressivi e forse mai definitivi aggiustamenti34. In questo senso potrebbero essere rilette anche alcune situazioni canoniche come quella, notissima, di Megara Iblea, dove lo studio dell’impianto urbano si è accompagnato a un’acuta riflessione di carattere storico e sociale35. I cosiddetti ‘accampamenti’ che precedono l’impianto urbano definitivo potrebbero costituire l’evidenza concreta proprio di questa dimensione processuale, la scoperta di strutture di VIII sec. destinate forse al culto degli antenati potrebbe ragionevolmente sostenere l’ipotesi della prevalente dimensione familiare e gentilizia dei primi gruppi di coloni: resta naturalmente da capire come sia evoluta la società megarese, che senso sociale o politico abbiano l’articolazione in lotti e isolati e se, soprattutto, essa costituisca una fedele rappresentazione di una analoga spartizione della chora36.

4.1. Rincalzi

  • 37 Rimando senz’altro al lavoro introduttivo di Lombardo, 2009 che spiega premesse e finalità della ri (...)

16Proprio il caso di Megara madrepatria di Selinunte mostra con chiarezza l’intrinseca dinamicità delle apoikiai, che si esprime in quelle che sono state chiamate ‘colonie di colonie’37, una definizione che nella sua semplicità fa emergere l’aspetto strutturalmente mobile della colonizzazione, da leggersi come serie di ondate, più o meno forti o fragorose, ma sostanzialmente continue. L’utilità di un modello attento non solo alla prima ktisis, ma anche ai successivi flussi insediativi è opportuno anche per le colonie più antiche, anch’esse sottoposte per alcune generazioni a rinnovate sollecitazioni provenienti dalla Grecia propria (non necessariamente dalla madrepatria), che certamente contribuirono a definire in itinere il corpo civico e sociale della nuova polis. Nonostante schemi di lettura un po’ scolastici mutuati in parte dalla tradizione storiografica che tende a disegnare corrispondenze biunivoche tra madrepatria e colonie, in una sorta di blindatura ‘etnica’ o culturale, la tradizione antica restituisce traccia di più di una slabbratura ogni volta che ricorda spedizioni congiunte tra coloni di provenienza diversa (per i Rodii e i Cretesi di Agrigento, ad esempio), molteplicità di fondatori (nel caso di Selinunte), aggregazione di gruppi che condividono solo a posteriori un’esperienza di fondazione (come in quella Imera dall’incerta identità). Fermo restando che si tratta di processi destinati a restare opachi, credo sia possibile ipotizzare che la rappresentazione antica possa aver agglutinato intorno al primo momento della ktisis componenti e protagonisti che si sono invece distribuiti in un tempo più o meno lungo.

  • 38 Cf. Hdt., 4, 147-164. Su Cirene e, più in generale, sull’importanza dei rincalzi nello studio dei p (...)
  • 39 In questa prospettiva sono di grande interesse le riflessioni proposte da Gras, Tréziny, 2017 che l (...)
  • 40 Come suggerito da Giangiulio, 2001, p. 352-355, è ormai opportuno che si torni a riflettere sull’op (...)

17Soccorre in questo senso quella sorta di ipostasi di racconto coloniale che è il logos erodoteo sulla fondazione e sulla storia di Cirene38, dove grande attenzione viene dedicata ai conflitti interni (con la fondazione di Barce, colonia di colonia), all’arrivo di nuovi coloni, alla promessa di terra e alla necessaria ridefinizione del corpo cittadino. Il dettaglio del racconto storico e la lettura in controluce con il patto dei fondatori rendono il caso di Cirene davvero eccezionale: al di là dello statuto di verità di questi testi, risaltano in entrambi la centralità della terra da distribuire e da assegnare e le ricadute in termini di cittadinanza e articolazione sociale, elementi tanto importanti da essere fissati o rigenerati nella memoria. E’ un tema che credo si possa assumere come distintivo in molte altre storie coloniali, pur meno documentate: le nuove poleis si trovarono spesso (probabilmente più spesso di quanto attesti la documentazione) a dover disciplinare la corrente di nuovi arrivi, che da fisiologica poteva divenire perturbante se non minacciosa, e che dunque richiedeva opportuni dispositivi di risposta in termini sia di possesso terriero sia, in un nesso solidale e necessario, di cittadinanza e di collocazione all’interno dell’articolazione politica e sociale nel frattempo creatasi39. E’ utile in tal senso la documentazione epigrafica, invero non ricca e disomogenea per cronologia e collocazione geografica: quanto basta, però, per mostrare i modi in cui le città hanno cercato di prevedere l’arrivo di nuovi coloni, e le modalità di assorbimento che necessariamente dovevano passare anche attraverso un’opportuna distribuzione di terre, forse di diversa ‘qualità’40.

  • 41 Sul termine epoikos rimando a Moggi, 2010, che si concentra sulle esperienze di colonizzazione aten (...)

18L’arrivo dei rincalzi coloniari, ed è questo il punto che mi preme sottolineare, non deve essere considerato dunque come evenienza straordinaria ed emergenziale, ma è da ritenere elemento strutturale e per così dire intrinseco alla colonizzazione stessa; sarà interessante, piuttosto, chiedersi se nei singoli casi è determinabile a che punto del tempo generazionale sopra evocato si debba considerare esaurito il flusso dei fondatori e dove cominci invece l’arrivo dei ricalzi, se insomma sia possibile distinguere in termini concreti apoikoi, epoikoi e synoikoi, definizioni che usiamo con disinvoltura, non sempre verificandone il senso nei contesti storici cui vanno riferiti41.

4.2. Fondatori

  • 42 In uno studio fondamentale D. Asheri ha privilegiato un’analisi di lungo periodo che, prendendo in (...)
  • 43 Va sottolineato che è in atto un’importante riflessione teorica in merito alla nozione storica di ‘ (...)
  • 44 Come osserva Bravo, 1996 la comunità arcaica si forma e struttura anche grazie alla contrapposizion (...)

19Ogni città ha la sua storia, e sono tutte storie diverse, a volte molto differenti perché tante sono le variabili in gioco: caso per caso, dunque, potrà essere individuata la linea, anch’essa certo soggetta a negoziazione, che distinse i primi dagli altri. Al di là delle variabili va comunque impugnato come elemento ‘forte’ proprio il discrimine tra fondatori e rincalzi, leggibile non soltanto in termini di proprietà terriera, ma anche nella definizione di rapporti di forza più generali che si traducono in termini di esercizio del potere (politico, giuridico e militare) e di status sociale42. E’ anche questa, mi pare, la forma che può assumere l’aristocrazia coloniale, che da un lato si allinea alle dinamiche proprie di qualsivoglia città arcaica e dall’altro tiene conto delle inedite peculiarità della realtà dei nuovi insediamenti43. Alle consuete polarità che già sono state utilmente individuate come fattori di formazione ed evoluzione della polis - cittadini vs non cittadini, liberi vs schiavi o, sempre, ricchi vs poveri - se ne aggiunge così una nuova, che differenzia e in qualche caso oppone vecchi vs nuovi, ovvero coloni di antica data vs quelli arrivati dopo44.

  • 45 Si veda su questo punto essenziale, con opportuni riferimenti ai testi di Platone e Aristotele, Gal (...)

20E’ anche attraverso tali passaggi, dunque, che le apoikiai si evolvono, con una progressiva e forse rapida alterazione delle condizioni di partenza (comprese le presunte istanze egualitarie) e un altrettanto rapido ricostituirsi di una struttura piramidale in cui a emergere è un’élite, la cui arche, principio cronologico e generativo, sta nella prima ktisis. Come nelle città di Grecia propria, anche nel mondo coloniale è opportuno ragionare dunque in termini di aristocrazia e non di oligarchia, privilegiando come nel linguaggio aristotelico l’aspetto qualitativo (e non quantitativo), da rintracciare nei due canonici criteri di nascita e ricchezza che abbiamo sopra richiamato. In questo quadro può essere ripensata anche la nozione di isotes, da intendersi non in termini aritmetici ma relativi, perché commisurati a condizioni di intrinseca diseguaglianza, in cui a essere salvaguardati dovevano essere non solo le proprietà, ma soprattutto i rapporti di cui esse erano funzione45.

21Il tempo delle colonie insomma non è solo quello ‘mitico’ che sancisce l’orizzonte dell’immaginario, o quello religioso che passa attraverso la parola dell’oracolo delfico, o - ancora - quello della ricostruzione storiografica classica che lo imbriglia in una cronologia ‘assoluta’, diventando il riferimento per le ricostruzioni successive. E’ anche un tempo relativo e generazionale, all’interno del quale la nuova polis assesta e ribadisce una propria struttura fisica e simbolica, da rintracciare in tutte le sue manifestazioni, dalla chora al corpo sociale alle istituzioni.

5. Indigeni

  • 46 Su questo punto trovo molto incisive le osservazioni di Porciani, 2015 sia a proposito delle catego (...)
  • 47 Si rileggano, in tal senso, le preziose considerazioni di Sereni, 1970, p. 112 a proposito del rapp (...)

22In tutti i temi che abbiamo fino a qui evocato - la formazione della comunità politica, il definirsi di un corpo sociale, la gestione della terra – si deve tener conto delle relazioni con le popolazioni indigene, una variabile che determina dall’interno la storia delle apoikiai anche quando guardata dal punto di vista della chora. La ricerca si è molto esercitata a proporre modelli interpretativi atti a descrivere e comprendere i modi del contatto tra Greci e indigeni46: in un panorama molto ricco dal punto di vista teorico e ormai denso di ampia casistica, credo ci sia ancora spazio per ripensare questo tema proiettandolo sullo sfondo della terra, risorsa primaria per gli uni e per gli altri, e dunque fatalmente specchio dei poteri che su di essa si esercitano e delle funzioni in essa svolte dai diversi gruppi sociali ed etnici. La rigenerazione delle indagini sulle relazioni tra ethne diversi in terra coloniale richiede un tentativo di superamento dell’opposizione pregiudiziale tra Greci e barbari che qui considero sovrastrutturale rispetto ad altri processi più propriamente connessi alle dinamiche attivate dall’occupazione del territorio e dal grado di coinvolgimento e integrazione degli indigeni nel sistema politico e produttivo delle colonie47. Anche a costo di una certa semplificazione, si può ritenere che nelle loro prime fasi le apoikiai abbiano sperimentato forme di contatto, o di conflitto, che hanno certamente innescato un distanziamento culturale sull’asse identità/alterità, ma che sono state dettate almeno in prima battuta da altre e assai più immediate urgenze, condensate nell’opposizione tra necessità non facilmente mediabili. Quelle dei coloni che dovevano assicurarsi acqua potabile, terra coltivabile, approdi e sicurezza per insediamenti stabili; e quelle di chi già viveva in loco (gli indigeni) e che doveva cercare di mantenersi in vita in uno spazio di cui non possedeva più il totale controllo. In gioco sono i modi di organizzazione sociale delle comunità, la disponibilità e la spartizione delle risorse e i rapporti di forza che esse determinano, i soggetti sociali dell’interazione che quando non si risolve nella brutalità dell’occupazione diventa terreno di una contrattazione di cui rimane eco nelle molte varianti narrative su dinasti locali, matrimoni e ratti, oracoli interpretati con l’aiuto dei nativi.

  • 48 Per le tecniche agricole e le modalità di produzione di grano e olio si veda il classico studio di (...)
  • 49 Era un tema molto caro a Giuseppe Nenci, di cui mi è grato qui ricordare il contributo sui cereali (...)

23Per la Sicilia la riflessione sembra facile solo a patto di attenersi alla rappresentazione ‘canonica’ che abbiamo ereditato da Tucidide e che vede, in bell’ordine, una corona di insediamenti greci sulle coste orientale e meridionale dell’isola e un interno tutto seppur variamente indigeno. Tale immagine fatalmente oppone le grandi poleis costiere e portuose alle comunità indigene, sovente arroccate in posizioni naturalmente difese, in una griglia insediativa a maglie strette e commisurata a comunità relativamente ridotte. Sono ancora le fonti storiografiche a documentare qui e là contese specificatamente territoriali, alcune delle quali destinate a generare ben altri disastri, ma in sé annoverabili tra quei conflitti di piccolo respiro che lo stesso Tucidide considera propri dell’età arcaica anche in Grecia propria: perenni tensioni per territori, pascoli, controllo di fiumi e passaggi. Quello che però le fonti letterarie dicono poco o rischiano persino di oscurare è il processo di trasformazione subito dal territorio lungo tutta l’età arcaica, ovvero a partire delle prime fondazioni fino alle prime descrizioni etnografiche, che datano alla metà del V secolo. La ricerca storico-archeologica può contribuire in maniera decisiva non solo a verificare i mutamenti in termini di densità e modalità insediative determinati dalla colonizzazione greca, ma anche i modi in cui reagì e cambiò il paesaggio rurale: ci si può dunque domandare se e come si siano trasformate colture, tecniche agricole e cicli produttivi, se si sia sperimentato un diverso rapporto tra attività agricole e attività pastorali, quanto nell’allevamento abbiano prevalso su animali piccoli e medi (ovini) le mandrie di animali di grossa taglia (in particolare di cavalli) 48. E’ difficile che eventuali innovazioni portate dai coloni non abbiano interferito con la geografia antropica e con l’assetto consuetudinario degli indigeni; ma sicuramente attraverso queste differenze passò anche la caratterizzazione identitaria degli uni e degli altri, marcata da cultura materiale, abitudini alimentari e poi, su su, dall’assetto sociale di cui la gestione delle risorse è sempre specchio fedele49.

  • 50 Gallo, 2001, p. 66-70 giustamente insiste sulla condizione servile cui furono ridotti gli indigeni (...)

24Le differenze tra gli uni e gli altri vanno misurate anche in termini di diversa potenzialità economica, probabilmente vicina alla sola sussistenza nella maggioranza delle comunità dell’interno e di ben più ampia capacità nelle colonie, la cui crescita ebbe fondamento importante e forse necessario, pur mai dichiarato, proprio negli indigeni. La ricerca, di nuovo, si è molto interrogata sull’influenza (mi si consenta l’uso di un termine tanto generico) dei Greci sugli indigeni e ha spesso sottolineato la presenza di gruppi ellenici all’interno delle comunità indigene o la formazione di comunità miste. Non eguale attenzione, invece, viene riservata al ruolo degli indigeni all’interno delle colonie greche, probabilmente data per scontata ma non approfondita se non per categorie particolari (le giovani donne, ad esempio, individuate come soggetti attivi dell’interrelazione culturale). Ma si può procedere un po’ oltre, cercando di individuare con maggiore precisione il profilo degli individui o dei gruppi che a diverso livello vennero integrati nel corpo sociale della città, vuoi in forme riconoscibili perché portatori di qualche speciale sapere, o tecnica o funzione, vuoi, soprattutto, in quelle esperienze indistinte ma irrevocabili che convergono nella semplice definizione di ‘forza-lavoro’. L’impiego della quale è da considerare evidentemente scontata non solo nel grande sforzo edilizio e monumentale che caratterizza tutte le colonie siceliote a partire da una fase abbastanza precoce della loro storia, ma anche nello sfruttamento delle risorse del territorio - allevamento, cave, boschi, trasporti e, naturalmente, terra coltivabile – per le quali, tra l’altro, gli indigeni potevano portare un contributo anche in termini di conoscenze e tecniche adatte allo specifico contesto geografico50.

25Lo studio della produzione agraria deve tener conto insomma dei soggetti sociali che in essa erano impegnati. In Sicilia alla consueta dialettica tra grandi e piccoli proprietari, tra agricoltori indipendenti e lavoratori dipendenti, tra liberi e schiavi va aggiunta quella tra coloni e popolazioni locali (cui vanno aggiunti anche gruppi di altri ethne: Fenici, Punici, Osci, Etruschi). E tutti contribuirono dal di dentro a formare il corpo sociale delle nuove città. Il confronto tra Greci e non Greci, così, non può essere risolto in maniera né rigida né semplice e chiede si tengano presenti l’intersezione tra le diverse identità sociali, la mai scontata coincidenza tra funzione economico/sociale e profilo etnico, l’ignota gradazione del ruolo dei non Greci all’interno delle comunità, il progressivo bisogno di forza servile e il ruolo svolto per questo dalla guerra. Per ciascuno di questi temi la terra (come risorsa e come territorio) riveste un ruolo comunque centrale, diventando il perno su cui si definiscono posizione e ruolo all’interno del sistema città/campagna che costituisce la polis.

Conclusione

26La terra si conferma sensore doppiamente significativo. Lì dove essa è oggetto di distribuzione e assegnazione, segnala la pienezza della cittadinanza, è il fondamento del formarsi di un’élite proprietaria, scandisce e manifesta l’articolazione sociale della città coloniale che nel giro di poche generazioni vede definirsi con chiarezza il suo corpo politico. Ma, nella stessa misura, essa concorre anche al formarsi del corpo sociale che comprende sia Greci liberi ma di limitata proprietà terriera sia l’universo dei lavoratori della terra, spesso indistinto quanto a pienezza di diritto o appartenenza etnica. Attraverso la terra, così, ripensiamo la forma che nelle nuove poleis assumono i rapporti sociali in senso verticale e orizzontale, nonché i processi di trasformazione che accompagnano le interazioni tra Greci e indigeni, da comprendere non solo a livello ideologico ma anche nella concretezza dei rapporti economici e sociali. Sullo sfondo della chora possiamo meglio capire le dinamiche della prima colonizzazione, l’evoluzione delle colonie in età arcaica e, infine, i processi che a partire dalle tirannidi di età classica hanno fatto del territorio sovracittadino il luogo dell’esercizio del potere.

  • 51 Un’interessante ed equilibrata messa a punto su questa pratica sia nella spartizione primaria che i (...)
  • 52 Tra gli studi disponibili ricordo Amouretti, 1986; Burford, 1993; Brunet, 1999 e, recentissimo, McH (...)
  • 53 Per questi aspetti rimando alla sintesi di Schnapp, 1996, in part. p. 155-165, che attraverso un’am (...)
  • 54 Sull’opportunità di approfondire il tema delle controllo del territorio anche attraverso le differe (...)

27Con queste considerazioni generali ho inteso soprattutto spiegare la scelta del tema e introdurre i contributi più analitici tratteggiando un possibile sfondo che li possa contenere almeno in parte. Si tratta solo di spunti che esigono approfondimento sia sul piano teorico generale che su quello dell’analisi di singoli casi. Tuttavia, le riflessioni qui proposte e soprattutto gli studi qui raccolti mi pare possano indicare qualche linea di indagine da perseguire nel segno del dialogo tra studiosi di discipline e metodologie differenti messi alla prova del medesimo oggetto di ricerca. Penso, in primo luogo, agli aspetti squisitamente lessicali, visto che l’analisi della documentazione letteraria (nelle diverse variabili di genere) ed epigrafica mostra ampi margini di approfondimento quando si vogliano comprendere usi e significati di termini o espressioni più o meno tecnici, quali, a puro titolo di esempio, epoikoi, geonomoi, ges anadasmos51. Penso, su un piano diverso, alle definizioni sociali testimoniate dalle fonti storiografiche, da mettere meglio in relazione con la specificità dei contesti delle singole colonie siceliote. Penso anche all’approfondimento di alcuni aspetti relativi a soggetti, modalità e tecniche di gestione della terra, già in parte indagati per la Grecia propria52, ma che possono essere verificati nelle situazioni note della Sicilia anche per mettere in rilievo, se esistono, eventuali specificità in ragione di particolarità geomorfologiche e climatiche, di ‘tecnologia’ agricola e organizzazione delle colture. Penso infine alle modalità di insediamento sul territorio53 che consente di cogliere nella concretezza di dinamiche tangibili il configurarsi del rapporto tra centro urbano e chora attraverso esistenza, densità e funzione di fattorie stanziali, di strutture di appoggio, di edifici rurali come torri o fortificazioni adibite insieme a difesa e a deposito di derrate54. Proprio queste ultime, tra l’altro, rappresentano al meglio quella doppia accezione di chora da cui eravamo partiti e mostrano nel concreto come non sia possibile pensare la funzione produttiva disgiunta da quella politica, visto che il controllo delle risorse è espressione diretta della gerarchia di una comunità.

  • 55 Così Lepore, 1981, p. 100.

28I modi in cui il possesso della chora definisce corpo politico e corpo sociale, la scrittura dei suoi confini, il controllo degli uomini e delle attività che sono ad essa connesse mutano nel tempo e rappresentano uno dei più importanti fattori di evoluzione e sviluppo della città antica. Nel mondo dei Greci, strutturalmente plurale, questi modi sono molteplici e variabili, e per certi versi non si può che condividere la « malinconica nota di scetticismo su una ‘teoria generale della chora coloniale’ » con cui Ettore Lepore portava a conclusione un suo importante scritto su questo tema. Ma è più utile muovere dalla nota che egli subito aggiungeva, esortando alla « ricerca del comparabile e del commensurabile nei termini della realtà storica che aspiriamo a comprendere »55. Per misurare e comparare grandezze quanto più possibili omogenee, uno dei passi necessari, tanto semplice quanto facilmente disatteso, consiste nel mettere chiaramente a fuoco le diverse fasi dell’esperienza coloniale, proponendo un abbozzo di periodizzazione. Essa non deve per forza con quella convenzionalmente adottata per la storia della madrepatria, né va intesa secondo spartiacque fissi o date assolute: essa va piuttosto computata, come detto, proprio in termini generazionali e commisurata alle grandi fase di trasformazione della Sicilia greca. Nella sua storia è certamente tutto il V secolo a segnare un momento di svolta decisiva con l’emergere delle grandi tirannidi, la battaglia di Imera e poi le guerre con Cartagine, le spedizioni ateniesi; ed è dunque il periodo precedente, l’arcaismo delle fondazioni, delle colonie di colonie e dei rincalzi, a veder progressivamente definito quel paesaggio storico che sopra abbiamo delineato, che determina l’articolazione sociale delle città, i rapporti tra le apoikiai, le forme dell’interazione con gli indigeni. E’ in questo periodo insomma che tutto il territorio dell’isola, costiero e interno, greco e non greco, assume quell’assetto che costituisce la premessa per tutte le grandi trasformazioni del periodo classico e del primo ellenismo.

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Notes

1 In queste considerazioni introduttive non posso né intendo ripercorrere le linee generali di una discussione imponente: per un primo orientamento segnalo solo gli studi di Musti, 1987; Migeotte, 2003 (in part. cap. 2), Bresson, 2007, in part. capp. 5-6; nel corso dell’argomentazione mi riservo però di citare lì dove opportuno quelle letture che mi hanno guidato e che costituiscono il presupposto di un lavoro di ricerca che vorrei fosse di lungo periodo.

2 Sulle risonanze che ha la contemporaneità dello studioso nelle ricerche sulla colonizzazione greca si leggano le pagine sempre illuminanti di Asheri, 1996, in part. p. 106-115.

3 Si tratta di un dibattito ormai uscito da tempo dalla strettoia troppo rigida tra primitivisti e modernisti che ha segnato una stagione fondamentale negli studio sul mondo antico: per un inquadramento generale ho trovato utili due saggi introduttivi, distanti per generazione ma egualmente efficaci, che nel presentare la traduzione italiana di testi classici nello studio dell’economia antica ricostruiscono in maniera chiara le linee principali di protagonisti e temi: Sordi, 1984 e Valente, 2017.

4 Nell’indagine sulla storia economica e sociale della Sicilia arcaica e classica con particolare attenzione per terra e agricoltura si distinguono gli studi di F. De Angelis (segnalo in particolare De Angelis, 2000 e De Angelis, 2016), che programmaticamente valorizza soprattutto i risultati della ricerca archeologica con qualche incursione anche di tipo statistico e comparativo. Il ritorno alla terra che qui proponiamo comprende naturalmente recenti risultati da scavi e ricognizione, ma intende valorizzare anche la rilettura delle fonti epigrafiche e letterarie, nella prospettiva di saldare in maniera più solida la ricerca su questi aspetti della colonizzazione in Occidente con l’interesse per la terra e per le dinamiche ad essa legate testimoniato ora per l’età arcaica dal monumentale lavoro di Zurbach, 2017.

5 Punto di partenza necessario sia per la riflessione di metodo sia per l’ampia panoramica di testi epigrafici relativi alla gestione delle terra coloniale è ovviamente Lombardo, 2001, con la ricca Appendice documentaria a cura di F. Aversa e F. Frisone.

6 Ritengo ancora fondamentali e insuperati su questi temi gli studi di Ettore Lepore (Lepore, 1968, 1973 e 1981) che insieme a quelli di Moses I. Finley (Finley 1975; 1976; 1985) costituiscono il costante presupposto di molte delle presenti riflessioni: una presentazione critica dei due studiosi di cui si colgono affinità e complementarietà proprio nell’approfondimento di temi legati alla colonizzazione si deve ora a Lombardo, 2000. Vanno quindi menzionate le riflessioni sulla chora sviluppate nei Convegni tarantini, qui interessanti soprattutto per lo sfondo teorico generale e per la possibilità di spunti di confronto tra Sicilia e altre aree: per un utile bilancio si vedano Wasowicz, 2001 e Lombardo, 2001, con l’importante raccolta dpocumentaria di Aversa, Frisone, 2001.

7 Si pensi soltanto alle potenzialità aperte dalla ricerca sulle emozioni inaugurata da A. Chaniotis (si veda ad esempio Chaniotis, 1992, in part. p. 11-19), che ha non poche implicazioni anche nello studio delle possibili accezioni di paesaggio. Le valenze materiali e immateriali del paesaggio sono messe in luce da Doukellis, 2007 in un volume tutto concentrato sulla Grecia propria (fino e oltre le soglie della modernità); si vedano anche Gehrke 2003; Doukellis, Mendoni, 2004; Foxhall 2005 e Shipley, Salmon, 2005.

8 Sereni, 1961.

9 Da rileggere sono anche le pagine sull’Italia preromana e in particolare sulla fondazione di Turi (Sereni, 1970, p. 111-112), in cui, sulla scorta di riconoscibili coordinate culturali, Sereni valorizza la nozione di ‘blocco storico’ per la saldatura tra città e campagna.

10 Per questi due documenti si vedano, rispettivamente, 56. Cirene: rinnovo della cittadinanza ai coloni terei e giuramento dei fondatori di G. Boffa e 23. Decreto ateniese per la fondazione di Brea di M.H. Campigotto in Antonetti, De Vido, 2017.

11 Mi riferisco naturalmente al noto lavoro di Osborne, 1998 che ha aperto una ampia e proficua discussione sulla natura della colonizzazione arcaica: le linee del dibattito successivo sono ripercorse criticamente da Lombardo, 2004, p. 353-357 e più recentemente da Greco, Lombardo, 2012 e Lombardo, 2016, con un approccio metodologico che mi sembra del tutto persuasivo.

12 Cosi Sereni, 1091, p. 37.

13 Per inquadrare l’opera di Sereni anche alla luce dei lavori incompiuti si veda il bel saggio di Giardina, 1996, che chiarisce bene il rilievo che per Sereni ha la storia antica, luogo ideale per elaborare un efficace paradigma interpretativo al fine di cogliere il rapporto tra città e campagna nei processi storici determinati dai rapporti di produzione. Gli spunti di Sereni sono sviluppati nell’importante saggio di Corsaro, 2003 che lavora sull’apporto della documentazione epigrafica per approfondire aspetti di ambiente e paesaggio della Magna Grecia; questo contributo, insieme a quello di Gallo, 2003 dedicato alle fonti letterarie, costituisce un ottimo riferimento di metodo per studiare i medesimi temi all’interno del complesso delle fonti antiche relative alla Sicilia.

14 Come osservato da Ampolo, 1996, p. 320 il possesso della terra e il godimento delle rendite sono aspetti non sempre adeguatamente considerati nel valutare la concezione della città antica; cfr. anche su questo punto Schnapp, 1996.

15 Di Finley basti qui citare il bellissimo saggio sulla città che traccia le coordinate concettuali a proposito della città antica come ‘tipo’: cf. Finley, 1985, in part. p. 29: « Non è mia intenzione in questo saggio di enumerare le variabili e di formulare una tipologia [sc. delle città]. Molti, però, degli elementi da tenere presenti sono impliciti (e qualche volta espliciti) in ciò che ho già detto: l’estensione (e, in rari casi, l’assenza) del territorio agricolo appartenente alla città; le dimensioni della città e della sua popolazione; l’accesso alle vie d’acqua; l’estensione e la ‘localizzazione’ della forza-lavoro servile; l’autosufficienza delle grandi proprietà; le condizioni di pace o di guerra; la trasformazione del ruolo dello stato con lo sviluppo dei grandi imperi territoriali. Questa non è una lista esauriente, ma sarà sufficiente per il nostro obiettivo attuale. Si torna così ai problemi che distinguono la teoria dalla ricerca antiquaria ».

16 Molto stimolante la lettura proposta ora da Launaro, 2016 che in maniera persuasiva tenta di superare l’etichettatura banalizzante di M. I. Finley come ‘primitivista’, sottolineando piuttosto come cruciale la nozione di ‘Embedded Economy’.

17 Come osservato da Gallo, 1997, p. 431, « la più importante strategia di intensificazione di sfruttamento della terra va probabilmente ravvisata nell’estensione della superficie sottoposta a coltura », il che fa ben intendere quanto potesse essere incisiva sul lungo periodo la grande disponibilità di terreni coltivabili.

18 Ancora Gallo, 1997 mette in guardia dalle generalizzazioni in tema di economia greca e invita a tenere in considerazione sia l’intero prisma delle coltivazioni possibili, comprendendo in esse olivo e vite, cereali (orzo e frumento), leguminose, sia risorse diverse come cave o legnatico.

19 Rimando qui alla lucida sintesi di Bravo, 1996, che traccia in maniera molto efficace tutte le implicazioni in termini di storia sociale connesse al diverso peso dato al possesso fondiario e alla gestione della terra nei modelli interpretativi elaborati in sede storica.

20 In un saggio di taglio generale M. I. Finley (Finley, 1981) manifestava molte perplessità sulla possibilità di ragionare fondatamente sulle norme che regolavano il possesso della terra nelle colonie occidentali, ma dati e riflessione critica maturati a partire dagli studi di D. Asheri e E. Lepore consentono di guardare a questi contesti con maggiore fiducia conoscitiva.

21 La centralità di tali elementi nell’evoluzione delle colonie occidentali è stata già ben sottolineata da Lepore, 1981, in part. p. 73-80, pagine cui deve molto anche la presente riflessione.

22 Così Bravo, 1996, p. 531-532.

23 Solo tardivamente rispetto all’età della colonizzazione, infatti, il gradiente di libertà o autonomia dei lavoratori della terra cessa di essere un’astrazione per diventare (si pensi all’Atene tra Solone e Clistene) ingrediente significativo nella definizione di comunità complesse.

24 Ho proposto qualche osservazione in merito alla compatibilità tra istanza comunitaria e iniziativa aristocratica nell’analisi della colonizzazione arcaica in De Vido, 2013; cfr. anche le conclusioni di Lombardo, 2016, p. 269. Per le radici ‘elitarie’ o ‘comunitarie’ della polis mi sembra comunque molto stimolante, pur non riferita al contesto coloniale, la recente riflessione di Ma, 2016.

25 Non mi discosto, su questo punto, dalla raffinata argomentazione di Giangiulio, 1996, in part. p. 503-508 con riferimento alle esperienze pionieristiche di matrice euboica e corinzia.

26 Cf. Arist. Pol. V, 1301b.

27 Lo studio classico sulla distribuzione della terra resta Asheri, 1966, che va comunque ritenuto come imprescindibile punto di partenza. Per il ripensamento della nozione di isomoiria accanto alle acute osservazioni di Lepore, 1981, si vedano i lavori di L. Gallo, in part. Gallo, 2001 con una disamina analitica e per molti versi originale delle fonti letterarie; e Gallo, 2009 che ribadisce la distanza tra il preconcetto interpretativo e la documentazione disponibile, nonché la differenza tra le situazioni arcaiche e quelle di piena epoca classica (cui sarebbero da ascrivere, ad esempio, anche i casi ‘esemplari’ in letteratura di Metaponto e Chersoneso Taurica).

28 Sul kleros e sull’uguaglianza tra i coloni insiste in più punti il testo del già citato patto dei fondatori di Cirene: le recenti riflessioni sul prevalente aspetto ‘memoriale’ di questa iscrizione (si veda ad esempio Giangiulio, 2012) non inficiano ma anzi enfatizzano, mi pare, la valenza ‘ideologica’ che assumono le norme sulla divisione della terra nel vissuto della colonia anche a secoli di distanza dal suo insediamento.

29 L’individuazione di un equilibrio tra tipologia e varietà nella riflessione storica è un principio che governa la riflessione di M. I. Finley anche a proposito delle colonie: cfr. Finley, 2000.

30 Utilizzo qui la nozione di eschatia tenendo presenti le riflessioni di Giangiulio, 2001, che delineano molto chiaramente sia l’opportunità di superare una definizione solo topografica mutuata dalle rappresentazioni letterarie antiche, sia l’opportunità di individuarne il pieno inserimento nella dinamica economica e sociale della parte agricola della chora; cf. anche le considerazioni di Greco, 2001, in part. p. 183.

31 Per questo tema si veda il contributo di Moggi, 1995 con ampia casistica e accurata discussione. Su questo toma è tornato di recente Malkin, 2016 all’interno però di una riflessione generale sulla colonizzazione tesa a valorizzare la nozione di ‘network’, operativa sulla lunga distanza tra metropoli e colonie.

32 Lombardo, 2004, p. 351-354 insiste giustamente sulla necessità di integrare lo studio sulle apoikiai con gli studi generali sulla polis. Cogliendo questo invito, mi pare sia particolarmente interessante la riflessione di Zurbach, 2013, che pur concentrata sulle città di Grecia propria evidenzia una serie di temi centrali anche nella storia delle apoikiai (quali la definizione dei gruppi sociali, la gestione della terra, l’evoluzione istituzionale), dove peraltro conobbero probabilmente uno sviluppo a sé proprio.

33 Sulla distanza del mondo occidentale da esperienze democratiche e la persistenza di assetti oligarchici fondati su una strutturale diseguaglianza nel possesso del territorio insiste Lombardo, 1990, ancora sulla scorta dell’insegnamento di E. Lepore.

34 Riferendosi al caso di Megara Iblea è stato Malkin, 2002 a individuare nella prima generazione il periodo necessario per il definirsi dell’insediamento apecistico. Sull’aspetto processuale della nascita della città e della colonizzazione torna sinteticamente anche Lombardo, 2016, p. 262-263 con opportuni richiami bibliografici.

35 Megara Iblea rappresenta un riferimento necessario quando si parli della polis coloniale: mi limito qui a richiamare la pubblicazione complessiva di riferimento (Gras, Tréziny, Broise, 2005) e alcune successive utili sintesi (Tréziny, 2009, p. 163-167; Gras, Tréziny, 2012 e Gras, Tréziny, 2017), rimandando per una discussione più analitica al mio contributo « Possedere la terra, diventare un’élite. Osservazioni a partire dai casi di Megara Iblea e Selinunte », in corso di stampa negli Atti della International Conference Comparing Greek Colonies: mobility and settlement consolidation from Southern Italy to the Black Sea (8th – 6th century BC) tenutasi a Roma nel novembre 2018.

36 Mi trovo del tutto in sintonia con gli interrogativi che si pongono Gras, Tréziny, 2012, p. 1142: « Come si diventa il vicino del proprio vicino? Perché un lotto è occupato e quello accanto lo è soltanto più tardi? Quando sapremo rispondere a questo interrogativi, avremo compreso non soltanto il fenomeno coloniale, ma anche la struttura sociologica del gruppo dei fondatori e quella dei gruppi arrivati successivamente: avremo cioè compreso la strutturazione delle società coloniali ».

37 Rimando senz’altro al lavoro introduttivo di Lombardo, 2009 che spiega premesse e finalità della riflessione su questo speciale aspetto della colonizzazione, tentando una classificazione tra le diverse esperienze proprio a partire dalla nozione di ‘spazio generazionale’ che io trovo di grande efficacia interpretativa per tutte le colonie, primarie o secondarie che siano.

38 Cf. Hdt., 4, 147-164. Su Cirene e, più in generale, sull’importanza dei rincalzi nello studio dei processo di insediamento ha richiamato l’attenzione già Lombardo, 2004, p. 359-360, che con Lepore evidenzia la « distinzione gerarchica tra le diverse ondate di coloni, che avrebbe deifnito diversi ‘livelli’ della cittadinanza ».

39 In questa prospettiva sono di grande interesse le riflessioni proposte da Gras, Tréziny, 2017 che leggono in maniera coesa e solidale l’evoluzione della topografia urbana e l’articolazione istituzionale e civica della Megara arcaica, dove è evidente come nel piano (urbanistico e civico) della nuova città fossero ampiamente contemplati l’arrivo e l’integrazione degli epoikoi.

40 Come suggerito da Giangiulio, 2001, p. 352-355, è ormai opportuno che si torni a riflettere sull’opposizione dicotomica tra terra vicina e terra lontana dal centro urbano, tra terra coltivata e assegnata e terra adespotos e non coltivata. In ogni caso bisogna anche tener conto del fatto che lo statuto della terra coloniale potesse essere diverso da quello ‘normale’ della Grecia propria, come in certa misura rilevato anche dai teorici politici antichi: si vedano a questo proposito le osservazioni di Bravo, 1996, p. 552-560 e di Gallo, 2001, p. 55-57 sulle norme che regolavano la proprietà fondiaria a Locri e Leucade secondo la tradizione aristotelica.

41 Sul termine epoikos rimando a Moggi, 2010, che si concentra sulle esperienze di colonizzazione ateniese, ma che a livello generale richiama l’opportunità di non annullare o attenuare le valenze del lessico e in particolare la differenza tra epoikos e apoikos.

42 In uno studio fondamentale D. Asheri ha privilegiato un’analisi di lungo periodo che, prendendo in considerazione uno spettro ampio di testimonianze (epigrafiche) dall’età arcaica alla piena età ellenistica, ha infine suggerito una possibile distinzione tra un modello ‘arcaico’ e un modello ‘moderno’: solo nel primo, però, la specificità del regime terriero costituisce un « privilegio esclusivo delle famiglie più antiche e quasi, si direbbe, un contrassegno di aristocrazia » (Asheri, 1971, p. 90).

43 Va sottolineato che è in atto un’importante riflessione teorica in merito alla nozione storica di ‘aristocrazia’ che acquista ulteriore complessità se pensata nelle speciali dinamiche sociali delle aree coloniali: in generale rimando alle linee di critica e di indagine discussi da Fisher, van Wees, 2015 nell’introdurre un volume dedicato alle aristocrazie da leggersi anche alla luce delle considerazioni di Giangiulio, 2016.

44 Come osserva Bravo, 1996 la comunità arcaica si forma e struttura anche grazie alla contrapposizione tra questi soggetti; ma si veda già Finley, 1985. Ho cominciato a riflettere sulla definizione sociale ed economica nelle colonie a partire dalla nozione di ‘primogenitura’ in De Vido, 2018.

45 Si veda su questo punto essenziale, con opportuni riferimenti ai testi di Platone e Aristotele, Gallo, 2001, p. 54-55; il rovello tra eguaglianza politica e diseguaglianza proprietaria è ben presente nell’importante lavoro di Foxhall, 2002.

46 Su questo punto trovo molto incisive le osservazioni di Porciani, 2015 sia a proposito delle categorie interpretative più in voga in tema di colonizzazione, sia nella chiave di lettura scelta per valorizzare come ‘documento’ un luogo classico della ricerca quale l’impianto di Megara Iblea.

47 Si rileggano, in tal senso, le preziose considerazioni di Sereni, 1970, p. 112 a proposito del rapporto città/campagna rispetto al quale « neanche la più aspra dialettica di profondi contrasti etnici o di classe può prescindere dalla sostanziale omogeneità del dato contesto storico-sociale, o far velo ad essa ».

48 Per le tecniche agricole e le modalità di produzione di grano e olio si veda il classico studio di Amouretti, 1986.

49 Era un tema molto caro a Giuseppe Nenci, di cui mi è grato qui ricordare il contributo sui cereali minori in area mediterranea (Nenci, 1999), particolarmente calzante per la Sicilia, dove accanto a grano e orzo dobbiamo mettere in conto la coltivazione di miglio e panico da parte degli abitanti delle aree interne dell’isola (si veda anche Nenci, 1989).

50 Gallo, 2001, p. 66-70 giustamente insiste sulla condizione servile cui furono ridotti gli indigeni nella chora coloniale, in esperienze che furono certamente assai più diffuse rispetto al poco che trapela dalle fonti greche. Un interessante contributo in questo senso viene ora dal volume di Zuchtriegel, 2017 che però si concentra soprattutto sul periodo classico con particolare attenzione per alcune realtà magnogreche.

51 Un’interessante ed equilibrata messa a punto su questa pratica sia nella spartizione primaria che in quella secondaria si deve a Cecchet, 2009.

52 Tra gli studi disponibili ricordo Amouretti, 1986; Burford, 1993; Brunet, 1999 e, recentissimo, McHugh, 2017; per una rassegna sullo stato degli studi nel mondo egeo mi limito a rimandare a Brunet, 2001.

53 Per questi aspetti rimando alla sintesi di Schnapp, 1996, in part. p. 155-165, che attraverso un’ampia panoramica mette a fuoco i modelli interpretativi generali, sottolineando la grande varietà delle esperienze greche, in cui la Sicilia attende ancora, mi pare, un adeguato studio d’insieme. Come evidente in molti studi, il terreno di confronto più immediato per l’isola sembra essere la Magna Grecia: mi chiedo però se statuto coloniale e prossimità geografica giustifichino di per sé procedimenti analogici a fronte di palesi differenze in termini di paesaggio geografico e risorse naturali.

54 Sull’opportunità di approfondire il tema delle controllo del territorio anche attraverso le differenti strutture edilizie in esso individuabili insiste opportunamente Gallo, 2001, p. 65-66; un’utile rassegna delle conoscenze degli insediamenti rurali in Sicilia si deve a Mosca, 2010.

55 Così Lepore, 1981, p. 100.

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Pour citer cet article

Référence papier

Stefania De Vido, « Terra e territorio nella Sicilia coloniale: qualche riflessione »Pallas, 109 | 2019, 133-152.

Référence électronique

Stefania De Vido, « Terra e territorio nella Sicilia coloniale: qualche riflessione »Pallas [En ligne], 109 | 2019, mis en ligne le 19 février 2020, consulté le 06 novembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/pallas/16635 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/pallas.16635

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Auteur

Stefania De Vido

Dipartimento di Studi Umanistici
Università Ca’ Foscari, Venise
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