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Movimenti, idee, ideologie

Il racconto della storia e la memoria del fascismo. Le strategie narrative di Valerio Evangelisti e Antonio Scurati

Adriano Vinale
p. 143-163

Abstract

L’articolo intende indagare il rapporto tra la nuova fortuna del romanzo storico italiano e la riflessione sulla memoria collettiva. In particolare, l’attenzione verrà rivolta a due cicli di romanzi: quello di Valerio Evangelisti, Il Sole dell’Avvenire (2013-2016), e quello di Antonio Scurati, M (2018-2022), i quali affrontano e problematizzano la memoria del fascismo da prospettive diverse e attraverso l’impiego di diverse strategie narrative.

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Testo integrale

Premessa e definizione del campo di indagine

1Scorrendo anche rapidamente l’albo del premio Strega nell’ultimo quarto di secolo, non si avrà difficoltà a constatare una notevole ricorrenza di romanzi storici, tra i vincitori o almeno nella cinquina finale. Ne richiamo alcuni, più o meno rapsodicamente: Q (1999) di Luther Blissett, N (2000) di Ernesto Ferrero, Le bibliotecarie di Alessandria (2002) di Alessandra Lavagnino, Stabat Mater (2008) di Tiziano Scarpa, Canale Mussolini di Antonio Pennacchi (2010), La ragazza con la Leica (2017) di Helena Janeczek, Resto qui (2018) di Marco Balzano, Questa sera è già domani di Lia Levi (2018), M. Il figlio del secolo (2018) di Antonio Scurati.

  • 1 Sulla storia del romanzo storico italiano, si vedano in particolare: Ganeri Margherita, Il romanzo (...)

2Non che un tale elenco voglia o possa avere particolare rilevanza critica. Semplicemente segnala una ricorsività nel recente panorama letterario italiano di romanzi storici o di ambientazione storica. A mostrare come l’elenco proposto non sia esaustivo ma solo spia di una tendenza abbastanza netta, basterebbe citare qualche altro titolo che, senza necessariamente aver incontrato unanime successo di pubblico, è riuscito a imporsi all’attenzione generale. Penso, tra gli altri, a Il birraio di Preston (1995) e a La concessione del telefono (1998) di Andrea Camilleri o a L’isola dell’angelo caduto (1999) di Carlo Lucarelli. Penso ad Antracite (2003), a Noi saremo tutto (2004) e a One Big Union (2011) di Valerio Evangelisti. Penso ancora a Manituana (2007) e a L’armata dei sonnambuli (2014), a L’invisibile ovunque (2015) e a Proletkult (2018) di Wu Ming. Anche questi, romanzi storici o di ambientazione storica. Può quindi essere utile riflettere sulle ragioni di questa proliferazione, indagando direttamente il rapporto tra nuova fortuna del romanzo storico italiano e riflessione sulla memoria collettiva1.

3Ma occorre prima restringere il campo. In questa galassia narrativa è difatti possibile individuare alcuni romanzi che trattano direttamente le vicende storiche italiane, concentrandosi su alcuni fuochi di lettura ricorrenti. Il Risorgimento, ad esempio, è al centro di Una storia romantica (2007) di Scurati così come di 1849. I guerrieri della libertà (2019) e Gli anni del coltello (2021) di Evangelisti. Il colonialismo italiano, invece, fa da sfondo non estemporaneo a Debrá Libanós (2002) di Luciano Marrocu, a La presa di Macallè (2003) e a Il nipote del Negus (2010) di Camilleri, a L’ottava vibrazione (2008), ad Albergo Italia (2014) e a Il tempo delle iene (2015) di Lucarelli, così come a Timira (2012) di Wu Ming 2 e Antar Mohamed. Sul fascismo, sulla sua coltura ottocentesca e la sua affermazione novecentesca, si concentrano infine le trame dei due cicli di Evangelisti e Scurati. È precisamente su Il Sole dell’Avvenire (2013-2016) e su M (2018-2022) che vorrei qui focalizzare la mia attenzione.

Romanzo storico e fascismo

  • 2 Frye Northrop, Baker Sheridan, Perkins George, Historical Novel, in Id., The Harper Handbook to Lit (...)
  • 3 Cfr. Lukács György, Il romanzo storico [1957], trad. it. di Eraldo Arnaud, Torino, Einaudi, 1970.
  • 4 Wesseling Elisabeth, Writing History as a Prophet. Postmodernist Innovations of the Historical Nove (...)
  • 5 Su quest’ordine di problemi si ragionava nel numero 57/2008 di Allegoria. In particolare, l’articol (...)

4Come Northrop Frye non manca di sottolineare, il romanzo storico conosce la propria genesi “in a time of rapid change, with old ways succumbing to new ones against a background of warfare or other civil turmoil”2. Questa definizione trova particolare cogenza quando riferita all’epoca d’oro del romanzo storico europeo – tra la fine dell’esperienza napoleonica e il 1848, giusto per seguire l’ormai canonica datazione proposta a suo tempo da György Lukács3. Come giustamente sottolineato da Elisabeth Wesseling, è nel corso dell’Ottocento che “the historical novel became the companion of historiography by presenting itself as a vehicle for conveying historical knowledge”4. Cosa ne giustifica invece la reinsorgenza nell’Italia del XXI secolo? Cosa agita il panorama politico e sociale nostrano? Che trasformazioni repentine ha subìto il nostro Paese e a quali esigenze prova a dare una risposta il prepotente ritorno in auge del romanzo storico?5

  • 6 Eco Umberto, Il fascismo eterno, Milano, La nave di Teseo, 2018, posizione kindle 84-87.
  • 7 I discorsi di Violante e Ciampi sono contenuti in Focardi Filippo (a cura di), La guerra della memo (...)

5“In Italia – scriveva nel 1997 Umberto Eco – c’è oggi qualcuno che dice che la guerra di liberazione fu un tragico periodo di divisione, e che abbiamo ora bisogno di una riconciliazione nazionale. Il ricordo di quegli anni terribili dovrebbe venire represso. Ma la repressione provoca nevrosi. Se riconciliazione significa compassione e rispetto per tutti coloro che hanno combattuto la loro guerra in buona fede, perdonare non significa dimenticare”6. Eco scrive queste parole a ridosso del famigerato discorso di insediamento di Luciano Violante nel maggio del 1996. Dando inizio al suo mandato – in quella stessa aula di Montecitorio dove nel gennaio del 1925 Benito Mussolini aveva liquidato l’omicidio Matteotti assumendosene “la responsabilità politica, morale e storica” –, in un misto di farsa e tragedia, il neoeletto Presidente della Camera invitava ad una riflessione sui “vinti di ieri”, sui “ragazzi di Salò”. Incamminandosi su un terreno assai sdrucciolevole, Violante affermava la sostanziale estraneità di Risorgimento e Resistenza alla “memoria collettiva dell’Italia repubblicana”. Nell’ottobre del 2001, così, l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, durante una cerimonia a Lizzano Belvedere in cui si ricordava la rivolta partigiana di Antonio Giuriolo – insegnante antifascista, alpino confluito prima nella brigate Giustizia e Libertà e poi nella brigate Matteotti, ucciso dai nazifascisti il 12 dicembre del 1944 –, pronunciava un invito a riconciliare, in nome dell’unità dell’Italia, la memoria dei partigiani con quella di quei “giovani che allora fecero scelte diverse […] credendo di servire ugualmente l’onore della propria Patria”7. Il 25 aprile del 2023, il Presidente del Senato Ignazio La Russa può quindi, del tutto conseguentemente, decidere di celebrare il settantottesimo Anniversario della Liberazione a Praga, omaggiando le vittime del comunismo. Alla luce di questi esiti, preveggenti e persino caute risuonano le parole di Eco sul rapporto nevrotico degli Italiani con il proprio passato fascista. È proprio contro questa coazione a dimenticare, contro questa pervicace volontà di oblio, che sembrano dirigersi i lavori di Evangelisti e Scurati.

  • 8 Cfr. Traverso Enzo, Il passato: istruzioni per l’uso. Storia, memoria, politica [2005], trad. it. d (...)

6In Italia lo studio storico del fascismo trova in Renzo De Felice il suo interprete più famoso. La sua voluminosa biografia di Mussolini si presenta come un’opera monumentale – in senso stretto, nietzschiano. Come acutamente rileva Enzo Traverso, l’opera di De Felice costituisce un imponente lavoro di riscrittura del fascismo e del suo fondatore8. La tesi di un’origine rivoluzionaria del fascismo e del suo ampio consenso popolare vanno insieme a una altrettanto problematica reinterpretazione dell’esperienza di Salò e dei rapporti con il nazismo. Questa sostanziale riabilitazione di Mussolini, ammantata di una pretesa scientificità documentale, costituisce, nella migliore delle ipotesi, una edulcorazione del fascismo. Nella peggiore, una sua apologia.

7Il punto problematico della ricostruzione defeliciana risiede proprio nel nesso storico-biografico. La sua riscrittura della memoria storica sembra palesemente mossa dall’intento di neutralizzare e anodizzare l’esperienza fascista. Non vi è dubbio che una certa sacralizzazione della lotta antifascista nella letteratura resistenziale del secondo dopoguerra abbia avuto il difetto di portare la riflessione collettiva sulla fase eroica dello scontro, pudicamente sorvolando sulla fase germinale e sulle motivazioni dell’ascesa del fascismo nel primo dopoguerra. Né vi è dubbio che gli otto milioni e mezzo di voti che nel marzo del 1929 decretano il successo del listone sono comunque indice di un alto grado di adesione ideologica che il fascismo seppe produrre. Il fascismo ha esercitato una presa sociale e politica sul popolo italiano, ma non può allegramente essere omessa la violenza che esso esercitò dal 1919 al 1945, e oltre. Né conviene ridurre il fascismo a puro fenomeno, a “fatto”, disinnescando le implicazioni politiche di un’esperienza ancora del tutto irrisolta in termini di memoria collettiva e di responsabilità storico-politiche. Spiegare il fascismo non può e non deve significare giustificarne l’esistenza in termini di cause ed effetti. Certo, vale per Mussolini quanto Primo Levi invitava a non fare con Hitler: conferirgli una statura mostruosa che servisse ad assolvere dalle proprie responsabilità il popolo che lo aveva seguito. Mussolini non è stato il mostro. Ma d’altra parte la sua umanizzazione defeliciana ottiene il risultato perverso di interpretarne la parabola come esito inevitabile della storia nazionale. Mentre in Italia c’è stato chi al fascismo si è opposto, al prezzo della vita. Il fascismo è stato… ma poteva non essere. Se non si tratta quindi di (ri)proporre una narrativa storico-martiriologica, neanche si può assecondare un meccanicismo giustificazionista. Perché ogni determinismo è in ultima istanza un tentativo di assoluzione. Di Mussolini e dell’Italia fascista.

Revisionismi

  • 9 Del Boca Angelo (a cura di), La storia negata. Il revisionismo e il suo uso politico, Vicenza, Neri (...)
  • 10 Cfr. Del Boca Angelo, Gli italiani in Africa Orientale, Roma-Bari, Laterza, 4 volumi, 1976-1984; Id(...)
  • 11 Cfr. Morone Antonio M., “Della memoria. Il Comitato per la documentazione dell’opera dell’Italia in (...)

8Il revisionismo nostalgico-fascista in Italia non è un fenomeno recente. La sua stura sì. A occuparsene in modo diretto e puntuale è stato un libro del 2009 curato da Angelo Del Boca. Nell’introdurre questo volume collettaneo, così scrive Del Boca a proposito del recente “uso politico della storia” in Italia: “Si tratta di un tentativo di riscrivere la storia contemporanea in Italia e in Europa, relativizzando gli orrori del nazismo e della soluzione finale, depenalizzando il fascismo e la sua classe dirigente, delegittimando la Resistenza e demonizzando il comunismo”9. Naturalmente, proprio i lavori di Del Boca sul colonialismo italiano hanno rappresentato una sistematica “revisione”, un analitico de-occultamento delle violenze perpetrate in Africa dall’Unità al secondo dopoguerra10. Ma la colpevole rimozione del nostro passato coloniale non è l’unico mutismo storiografico con il quale bisogna fare i conti. Se infatti sui crimini italiani in Africa semplicemente e per lo più si è taciuto – a iniziare proprio da De Felice assolutore del “Mussolini africano” e nonostante i quaranta tomi negazionisti pubblicati dal Comitato per la Documentazione dell’Opera dell’Italia in Africa tra il 1955 e il 198111 –, sul fascismo il dispositivo contro-discorsivo ha funzionato in modo diverso.

  • 12 A tal proposito, Pasquale Chessa, allievo di De Felice, parla di una “vulgata storiografica che ha (...)
  • 13 Cfr. De Luna Giovanni, “Revisionismo e Resistenza”, in Del Boca Angelo, La storia negata. Il revisi (...)

9Nel caso del Ventennio fascista si è lavorato non tanto per omissione ma direttamente per distorsione. L’attacco alla “vulgata” antifascista e resistenziale è stato frontale e immediato12. Questo attacco ha peraltro connotati molto precisi, temporali e politici, tattici e strategici. Sulla falsariga di alcune considerazioni fatte da Del Boca e da altri autori presenti nel volume del 2009, mi pare si possano individuare schematicamente tre ondate revisionistiche in Italia. Una prima, nell’immediato dopoguerra, che definirei di revisionismo “autobiografico”, è caratterizzata dalla pubblicazione di memorie come L’Italia nella Seconda guerra mondiale (1946) dell’ex Maresciallo d’Italia, Viceré di Etiopia e firmatario del Manifesto della razza Pietro Badoglio, o come Ho difeso l’Italia (1947) dell’ex Governatore di Somalia e Libia, Ministro della Difesa della RSI e Presidente del MSI Rodolfo Graziani. Una seconda ondata è quella che chiamerei di revisionismo “biografico”, il cui scopo è fare della vita di Mussolini la biografia di una nazione. Qui ovviamente campeggiano gli otto tomi e le seimilaquattrocentododici pagine (premesse e introduzioni escluse) del Mussolini di De Felice. Infine, il revisionismo “anti-antifascista” rappresenta la terza ondata di riscrittura creativa della storia del fascismo e della Resistenza. Quest’ultima pulsione revisionista – come ha giustamente sottolineato Giovanni De Luna13 – è strettamente mediatica, e si insinua nell’andito storico-politico che segna il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Al centro di questa terza fase vanno collocati La morte della patria (1996) di Ernesto Galli della Loggia, i libercoli di Giorgio Pisanò e, soprattutto, Il sangue dei vinti (2003) di Giampaolo Pansa.

  • 14 Cfr. d’Orsi Angelo, “Dal revisionismo al rovescismo. La Resistenza (e la Costituzione) sotto attacc (...)
  • 15 Tranfaglia Nicola, Un passato scomodo. Fascismo e postfascismo, Roma-Bari, Laterza, 1996, p. 79.

10Tra lo storico editorialista del Corriere della Sera, il giornalista repubblichino e quello che Angelo d’Orsi definisce il primo dei “rovistatori della Resistenza”14 va tuttavia di nuovo posto Renzo De Felice, che nel 1995 pubblica Rosso e Nero, un volumetto-intervista in cui anticipa le sue ultime tesi revisionistiche su Mussolini e sulla Repubblica Sociale Italiana. Come correttamente segnala Nicola Tranfaglia, il confronto con De Felice è reso particolarmente complicato da un elemento: il terreno di gioco. De Felice, difatti, attraverso lo stile (auto)biografico e il camouflage documentale, rende indiscernibili aneddotica e storia. Questo porta, da un lato, a ingrandire oltre ogni verosimiglianza la statura di Mussolini e, dall’altro, a sottovalutare la razionalità strumentale delle sue innumerevoli e mirabolanti giravolte politiche. De Felice spiega Mussolini attraverso Mussolini – in particolare, attraverso il ricorso ai suoi scritti – e attraverso Mussolini pretende di spiegare l’Italia del fascismo, l’Italia che lo allevò e quella che lo sostenne – economicamente, politicamente, socialmente e ideologicamente – per più di venti anni. L’Italia degli agrari padani, del Vaticano e di Confindustria. L’Italia dei reduci revanscisti e degli intellettuali di regime. Ma, per paradosso, quest’Italia è del tutto marginale nella sua ricostruzione. Fare della biografia di Mussolini la biografia di una nazione diviene così, nei fatti, una petitio principii. “Nella biografia defeliciana – scrive Tranfaglia –, di fronte a tutti i nodi della storia italiana negli anni venti, trenta e quaranta, la risposta dello storico, la spiegazione che egli propone si collega sempre strettamente allo stato d’animo del protagonista, alle motivazioni psicologiche e prepolitiche che lo muovono”15. In questo modo, a essere neutralizzato è il contesto socio-economico in cui il fascismo trovò spazio di crescita e margini di manovra. A essere neutralizzata, insomma, è la storia. Ad essere rimossa, la politica.

  • 16 De Felice Renzo, Rosso e Nero, Milano, Baldini&Castoldi, 1995, p. 25.
  • 17 Cfr. De Luna Giovanni, “Revisionismo e Resistenza”, cit., p. 311.

11I giudizi di De Felice sull’8 settembre – anticipati appunto nel Rosso e Nero – sono del tutto coerentemente assolutori. “Né fascisti, né antifascisti, né comunisti, né anticomunisti sono legittimati a spiegare alla gente quanto è avvenuto”16. Cosa avvenne, dunque? Il crollo della nazione, appunto. Non del regime, non del fascismo. Della nazione, la cui biografia in epitome Mussolini aveva fin lì scritto e rappresentato. In questa prospettiva, è chiaro e conseguente che la Resistenza sia ridotta a mero episodio, per giunta minoritario, ad accelerante chimico estemporaneo di un processo di tutt’altro corso e spessore. Con buona pace dei cinquantamila partigiani uccisi dai nazifascisti. Insomma, in quello che De Luna definisce il “manifesto programmatico del revisionismo italiano”17, un Mussolini umano troppo umano si sostituisce a tutti gli altri soggetti storici collettivi in lotta tra loro dall’Unità d’Italia alla Liberazione, e oltre.

  • 18 Cfr. Traverso Enzo, “Fascismi”, in Id., Il secolo armato. Interpretare le violenze del Novecento [2 (...)
  • 19 Ibid., p. 79.
  • 20 Ibid., p. 85.

12In un capitolo centrale di Il secolo armato, Enzo Traverso mette a confronto tre storici contemporanei dei fascismi: George Mosse, Zeev Sternhell ed Emilio Gentile18. La tesi di fondo di Traverso è che tutti e tre abbiano in De Felice il loro punto di origine. In particolare, Mosse, Sternhell e Gentile condividerebbero una visione del fascismo inteso come rivoluzione, ideologia, visione del mondo e cultura. Ovvero come tentativo di istituire una società nuova, attraverso una riformulazione anti-marxista e anti-liberale del nazionalismo, fondata su un impianto sostanzialmente liturgico, e culminante nella costituzione di un nuovo immaginario collettivo. In questo senso – per Traverso – Mosse, Sternhell e Gentile sono tutti figli di De Felice. Ma qual è il punto problematico di questa filiazione storiografica? Innanzitutto, la lettura del fascismo come fenomeno rivoluzionario. Questa interpretazione, esplicitamente defeliciana, rimuove un punto fondamentale e fondante della genesi del fascismo: l’anticomunismo. Il fascismo nasce come reazione alla rivoluzione bolscevica del 1917. La sua base sociale è costituita, in prima battuta, dalla borghesia agraria atterrita dagli scioperi del bracciantato e dalla borghesia industriale terrorizzata dalle occupazioni delle fabbriche nel biennio rosso. Un base sociale consolidatasi nella paura della speranza altrui, quindi strutturalmente controrivoluzionaria. E difatti – sottolinea più che opportunamente Traverso – i fascismi “non sovvertirono mai la struttura economica della società”19. Un secondo punto problematico delle interpretazioni defeliciane e post-defeliciane risiede poi nella rimozione del ruolo centrale della violenza nell’affermazione e nel consolidamento dei fascismi. L’insorgenza del fascismo italiano, ad esempio, risulta incomprensibile se non collocata sullo sfondo della guerra di trincea, di quella violenza reducista rimasta senza oggetto, materiale e simbolico, verso cui indirizzare la propria pulsione di morte. “La violenza del fascismo – conclude Traverso – è stata messa tra parentesi, i genocidi perpetrati in Africa sono stati cancellati e la sua complicità con la politica di sterminio del nazismo relativizzata. La violenza della Repubblica di Salò è stata separata dalla storia del fascismo e isolata nelle circostanze della guerra civile italiana degli anni 1943-1945, quando sarebbe esplosa come reazione alla violenza antifascista”20. È precisamente in questa rimozione della violenza fascista che risiede la possibilità, in sede storiografica, di neutralizzare e spoliticizzare la memoria storica del fascismo – e di rimando dell’antifascismo – in nome di una non meglio precisata, e certamente politicamente non neutra, riconciliazione nazionale.

Narrative del conflitto sociale: la saga popolare di Valerio Evangelisti

  • 21 Ginzburg Carlo, Rapporti di forza. Storia, retorica, prova, Milano, Feltrinelli, 2000, p. 49.

13In ultima analisi, la tara dei revisionismi nostrani risiede nell’aver in qualche modo ritenuto di per sé attendibile l’auto-narrazione del fascismo, dalle memorie dei gerarchi ai diari di Mussolini, dagli articoli dei giornali di regime alle veline di polizia, dai manifesti politici ai proclami pubblici. In questo senso, c’è stato uno stravolgimento dell’idea stessa di prova documentale. Il documento è stato fatto valere in quanto tale, senza dare cioè credito alla fondamentale indicazione metodologica formulata a suo tempo da Carlo Ginzburg: “Le fonti non sono né finestre spalancate […] né muri che ostruiscono lo sguardo […]: semmai, potremmo paragonarle a vetri deformanti”21.

  • 22 Cfr. Evangelisti Valerio, Zucchini Emanuela, Storia del Partito Socialista Rivoluzionario. 1881-189 (...)
  • 23 Cfr. Evangelisti Valerio, Il Gallo Rosso. Precariato e conflitto di classe in Emilia-Romagna. 1880- (...)

14Di tutt’altro segno è l’operazione di riscrittura della memoria collettiva messa in campo da Valerio Evangelisti. Una premessa è d’obbligo: all’origine, Evangelisti è uno storico. Si laurea con una tesi sul Partito Socialista Rivoluzionario22. Ha studiato la composizione del proletariato precario emiliano di fine Ottocento e le lotte bracciantili emiliano-romagnole di inizio Novecento23. In questo senso, anziché romanzare la storia – come De Felice –, Evangelisti storicizza il romanzo. E a fare da canovaccio ai primi due volumi della trilogia di Il Sole dell’Avvenire sono evidentemente i suoi studi storiografici. Conviene quindi ripercorrerne qui a grandi linee la trama, per potersi poi cimentare in alcune riflessioni sul senso generale del lavoro dello scrittore bolognese.

15Vivere lavorando o morire combattendo. Il primo capitolo della trilogia prende il titolo dalle parole d’ordine dei canuts, gli operai tessili di Lione insorti nel 1831 e nel 1834. Vivre en travaillant ou mourir en combattant. Questo libro del 2013 è a tutti gli effetti l’avvio di una saga familiare, e inizia nel 1875, seguendo le tracce di un garibaldino ravennate che sbarca il lunario tra lavori precari vari. A fare da sfondo, la Romagna di Andrea Costa, l’anarchico imolese che fu tra i promotori della sezione italiana della Prima Internazionale e fondatore dell’Avanti! (1881), del Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna (1881) – divenuto nel 1884 il Partito Socialista Rivoluzionario Italiano – e del Partito dei Lavoratori Italiani (1893) – divenuto nel 1895 il Partito Socialista Italiano. Il lasso temporale di questa prima parte del viaggio storico di Evangelisti va appunto dal 1875 – alla vigilia del primo governo De Pretis – fino al 1898 – l’anno della sanguinosa repressione delle rivolte popolari per il pane ad opera del generale Bava Beccaris, di re Umberto I e del presidente del Consiglio Di Rudinì.

  • 24 Evangelisti Valerio, Il Sole dell’Avvenire. Vivere lavorando o morire combattendo, Milano, Mondador (...)

16Evangelisti adotta una strategia narrativa “verista”, mettendo in scena l’incontro tra il bracciante garibaldino Attilio Verardi – “goffo, maldestro, incapace di difendersi dalle disgrazie”24 – e Rosa Minguzzi – proveniente invece ad una famiglia di mezzadri mazziniani. Sullo sfondo di un’Emilia-Romagna in cui disoccupati, escomiati e reduci delle patrie battaglie annaspano tra precariato, caporalato, vessazioni poliziesche e ricatti padronali, la vita di Attilio galleggia tra povertà e miseria, tra nostalgie risorgimentali e patrie galere, tra aspirazioni ideali e drammi familiari. Da qui, Evangelisti disegna un fitto intreccio tra personaggi storici – oltre Andrea Costa, lettrici e lettori incontrano Amilcare Cipriani, Gaetano Zirardini, Nullo Baldini, Armando Armuzzi, Alessandro Mussolini, Germanico Piselli, Pio Battistini e Giuseppe Massarenti – e personaggi d’invenzione. Lo scopo narrativo è quello di restituire “dal basso” la storia delle lotte bracciantili e del socialismo rivoluzionario emiliano-romagnolo. Il rovesciamento sistematico, insomma, della biografia defeliciana del fascismo: non una biografia storica della nazione, ma una contro-storia biografica delle lotte sociali e politiche dell’Italia di fine Ottocento. Al centro, le tensioni tra anarchismo, socialismo e repubblicanesimo, tra mutualismo bracciantile, collettivismo operaio e familismo contadino, nella cornice autoritaria e repressiva dello Stato liberale. È esattamente qui che avrà buon gioco a incunearsi, dopo la Prima guerra mondiale, il fascismo agrario.

  • 25 Ibid., p. 123.

17I personaggi di Evangelisti sono – come prescrive la regola manzoniana del romanzo storico – verosimili: sono tutti esistiti, sebbene non con quei nomi. Si tratta a tutti gli effetti di raccontare un’altra storia, quella dei vinti, dei senza nome, dei dimenticati. Un rovesciamento dell’immaginario collettivo che Evangelisti pratica con intenzione e scrupolo. “Sulla stampa nazionale continuava a prevalere l’immagine di una Romagna semibarbarica e quasi tribale, come l’aveva a suo tempo dipinta Marco Minghetti. Soprattutto di una regione immobile, malsana, fissa in forme di vita refrattaria al cambiamento. Chi l’abitava, però, sapeva che era una pura e semplice menzogna”25. In questo senso, particolarmente rivelatrice è la chiusa di Vivere lavorando o morire combattendo, che termina evocando alla lontana la strage di Milano perpetuata da Bava Beccaris nel 1898, ma descrivendo nel dettaglio il “piccolo” eccidio di Bagnacavallo. In termini di restituzione della memoria storica collettiva, il racconto dei sei morti del paesino del Ravennate ha un’efficacia narrativa decisamente superiore a una qualunque descrizione manualistica dei moti di Milano.

  • 26 Cangianti Luca, “Il valore delle battaglie perse. L’operaismo narrativo di Valerio Evangelisti”, in (...)
  • 27 Evangelisti Valerio, Il Sole dell’Avvenire. Chi ha del ferro ha del pane, Milano, Mondadori, 2014, (...)

18Qui a du fer a du pain. Sono le parole con cui Louis-Auguste Blanqui riassume il senso della rivoluzione del 1848. Frase che campeggerà sotto la testata del Popolo d’Italia dal novembre del 1914 al marzo del 1918. Praticamente, per l’intera durata della guerra. Chi ha del ferro ha del pane. La distorsione del senso di queste parole è la cifra della storia raccontata da Evangelisti nel secondo capitolo di Il Sole dell’Avvenire. La trama segue le vicende della seconda generazione dei Minguzzi e dei Verardi, dal 1900 al 1920, dal regicidio di Umberto I alla strage di Palazzo d’Accursio a Bologna. Come in Vivere lavorando o morire combattendo, anche qui siamo di fronte alla restituzione familiare di un’epopea sociale. Anche qui, Evangelisti ripercorre dal basso le tappe del drammatico fallimento del progetto di rivoluzione sociale, raccontando le tensioni, le fatiche e le sconfitte di una nuova generazione di vinti. La sua “poetica delle battaglie perdute”26 ha il dichiarato intento di “dipingere una storia immensa senza impennate retoriche e senza slanci inopportuni di nostalgia. Parlo di contadini e di braccianti, di povera gente che ha dato alla Romagna e all’Emilia la propria impronta. Senza curarsi troppo di chi, a livello politico, pretendeva di averne la guida”27.

  • 28 Ibid., p. 228.
  • 29 Ibid.
  • 30 Ibid., p. 509.
  • 31 Ibid., p. 303.

19I protagonisti immaginari del romanzo intrecciano anche questa volta le loro vite con quelle delle figure storiche del socialismo padano – Filippo Turati, Leonida Bissolati e Ivanoe Bonomi, Alceste De Ambris e Umberto Pasella, Giacinto Menotti Serrati e Nicola Bombacci. I social-riformisti, “profeti del compromesso”28 e figli putativi di Giolitti, i sindacalisti rivoluzionari “profeti della sconfitta”29, i massimalisti che parlano di rivoluzione ma “al dunque, non sanno mobilitare un bel nulla”30. Sul campo, da un lato, le sperimentazioni cooperative, le Leghe contadine e le Camere del Lavoro e, dall’altro, la Consociazione agraria e le Leghe bianche. Sullo sfondo, la Libia, la Grande guerra, il biennio rosso, Fiume. È in questo contesto che Evangelisti tratteggia le figure di Benito Mussolini e Leandro Arpinati. Ma le tratteggia soltanto, lasciando invece agire le loro concrezioni immaginarie, come Giosuè Minguzzi – fratello di Rosa, bracciante socialista divenuto reclutatore di crumiri “armati di revolver e carabine come un piccolo esercito”31 – o Luigi “Castagna” Minguzzi – nipote di Attilio e Rosa, e squadrista della prima ora. Dalla parte opposta, Eleuteria Verardi – figlia di Attilio e Rosa, e agitatrice socialista – e Comunarda “Narda” Minguzzi – figlia di Giosuè e antifascista della prima ora.

  • 32 Questo titolo è un riferimento esplicito e diretto all’autobiografia partigiana di Angelo Del Boca.
  • 33 Cfr. Tranfaglia Nicola, “Il ventennio del fascismo”, in Del Boca Angelo, La storia negata. Il revis (...)

20Le vicissitudini della terza generazione dei Minguzzi-Verardi sono raccontate nell’ultimo capitolo della saga storico-familiare di Evangelisti. Avendo deciso qui di trattare la contro-narrazione storica dell’emersione del fascismo e delle sue condizioni di possibilità, mi limiterò a fare solo una considerazione sulla prima parte di Nella notte ci guidano le stelle32. In questo terzo capitolo di Il Sole dell’Avvenire sono raccontate le vicende di Spartaco “Tito” Verardi, nipote di Attilio e Rosa, assaltatore fascista di Palazzo D’Accursio, dove il padre Canzio resta ucciso. Ardito, legionario fiumano, squadrista, parricida indiretto, Tito è l’esempio perfetto di quanto sostenuto da Traverso a proposito della centralità dell’anti-bolscevismo nella germinazione del fascismo. Così come è l’esempio perfetto di quanto sostenuto da Tranfaglia a proposito della centralità dell’esperienza della guerra di trincea nella conversione totalitaria della violenza politica dopo il 191833. Tito è difatti la traduzione della violenza bellica in violenza sociale. E incarna la contraddizione strutturale su cui si fonda il fascismo, di cui peraltro è consapevole.

  • 34 Evangelisti Valerio, Il Sole dell’Avvenire. Nella notte ci guidano le stelle, Milano, Mondadori, 20 (...)

Non mi piace la svolta che sta prendendo il Fascio. Aderiscono cattolici, monarchici, esponenti putridi del liberalismo. Ora mi dici che agrari e industriali ci pagano le armi. Io mi ero unito a un movimento rivoluzionario, repubblicano e anticlericale, deciso a spazzare via, assieme alla canaglia socialista, la borghesia antipatriottica e speculatrice, non a fare gli interessi di grassoni più obesi dei loro gatti34.

  • 35 Evangelisti Valerio, Il Sole dell’Avvenire, cit., posizione kindle 187-188.
  • 36 Ibid., 1240-1241.
  • 37 Ibid., 1500.

21E invece la lotta è lotta di classe, e lo squadrismo è il braccio armato di quella borghesia agraria e industriale che aveva acquisito coscienza di sé di riflesso, per reazione alle rivolte bracciantili e operaie. Il personaggio di Tito racchiude in sé la cifra simbolica del fascismo “popolare” delle origini. Il suo attivismo irriflesso, la sua compulsione all’azione come fine e non come mezzo, si accompagna ad una sistematica rimozione di ogni contraddizione ideale o ideologica in cui l’azione incappa. Dalla non assunzione di responsabilità per la morte del padre all’essere divenuto efferato interprete di interessi controrivoluzionari, Tito puntualmente rimuove: “Scacciò la riflessione fastidiosa”35; “Fu questione di pochi istanti, poi scacciò il pensiero”36; “Non voleva complicarsi la vita e aggiungere altre finzioni a quelle che già inscenava”37. L’esito naturale di questa rimozione di sé a sé, proprio come per il fascismo, non potrà che essere l’assecondare fino in fondo la propria pulsione di morte.

  • 38 In questo senso, Il Sole dell’Avvenire è l’opposto simmetrico della saga familiare di Canale Mussol (...)

22In conclusione, e dovendo individuare il senso generale dell’operazione narrativa di Evangelisti nella saga di Il Sole dell’Avvenire, mi pare si possa dire che essa sia la messa in scena, ad alzo zero, della violenza politica che dall’Unità all’avvento del fascismo ha segnato la storia dell’oppressione delle classi subalterne in Italia. Questa de-rimozione, questa rammemorazione, lavora in senso inverso rispetto al revisionismo defeliciano, restituendo alla violenza la centralità che le è propria nella storia del fascismo38.

M for memory: l’ucronia implicita di Antonio Scurati

  • 39 Hellekson Karen, Alternate History, in Bould Mark, Butler Andrew M., Roberts Adam, Vint Sherryl (a (...)
  • 40 Cfr. Singles Kathleen, Alternate History: Playing with Contingency and Necessity, Berlin-Boston, De (...)
  • 41 Cfr. Hellekson Karen, The Alternate History: Refiguring Historical Time, Kent, Kent State Universit (...)
  • 42 Wu Ming 1, New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Torino, Einaudi, 2009 (...)

23Quella che in inglese si definisce alternate history fiction è un sottogenere letterario che prova a mettere in discussione la linearità del tempo storico, per mostrarne la sua originaria indeterminatezza e precarietà. Karen Hellekson lo definisce così: “The alternate history […] is that branch of nonrealistic literature that concerns itself with history turning out differently than we know to be the case”39. In estrema sintesi, la peculiarità narrativa di quella che in italiano definiamo ucronia è individuare un punto specifico sulla linea del tempo, un nexus event a partire dal quale si fantastica su un possibile sviluppo alternativo del processo storico. Nella letteratura contemporanea, in particolare in quella di lingua inglese, si è assistito a una notevole fioritura ucronica. Mi limito a richiamare gli esempi più noti: Bring the Jubilee (1953) di Ward Moore, The Man in the High Castle (1962) di Philip Dick, The Plot Against America (2004) di Philip Roth, 11/22/63 (2011) di Stephen King. In italiano, un esempio è L’inattesa piega degli eventi (2008) di Enrico Brizzi. In tutti questi romanzi di storia alternativa, il punto di deviazione è individuato in un momento ritenuto particolarmente significativo per lo sviluppo successivo degli eventi40. In questo modo, le ucronie assolvono a una precisa funzione narrativa: mostrando l’indeterminatezza del tempo storico, provocano una riflessione critica sul presente, per come è e per come avrebbe potuto essere41. Riferendosi al panorama letterario italiano, Wu Ming 1 definisce invece “ucronie implicite” quelle narrazioni che “non fanno ipotesi ‘controfattuali’ su come apparirebbe il mondo prodotto da una biforcazione del tempo, ma riflettono sulla possibilità stessa di una tale biforcazione, raccontando momenti in cui molti sviluppi erano possibili e la storia avrebbe potuto imboccare altre vie”42. Quest’ultima definizione si attaglia particolarmente bene al ciclo di M di Antonio Scurati.

  • 43 Scurati Antonio, “Il fascismo è ancora vivo dentro di noi”, la Repubblica, 22 marzo 2019.

24In occasione del centenario della fondazione dei Fasci di combattimento a piazza San Sepolcro a Milano, Scurati così scrive: “L’identità nazionale italiana repubblicana si è fondata su una narrazione edificante, su un meccanismo d’identificazione positiva, su una memoria della gloriosa Resistenza antifascista (della realtà e del suo mito). […] Questa narrazione ha, però, comportato una rimozione: la nostra discendenza dal fascismo è stata parzialmente obliata, il lato oscuro della forza è stato proiettato ai margini della nostra coscienza storica”43. Mi pare che queste poche righe – che riecheggiano molto dappresso le riflessioni di Eco richiamate sopra – racchiudano la cifra del lavoro di militanza letteraria dello scrittore napoletano. Sicuramente questo vale per i tre volumi di M fin qui pubblicati.

  • 44 Scurati Antonio, M. Il figlio del secolo, Milano, Bompiani, 2018, p. 4.
  • 45 Cfr. Scurati Antonio, Letteratura e sopravvivenza. La retorica letteraria di fronte alla violenza, (...)

25In questa prospettiva, M. Il figlio del secolo è interessante già dal controfrontespizio, dove si legge: “Fatti e personaggi di questo romanzo documentario non sono frutto della fantasia dell’autore. Al contrario, ogni singolo accadimento, personaggio, dialogo o discorso qui narrato è storicamente documentato e/o autorevolmente testimoniato da più di una fonte. Detto ciò, resta pur vero che la storia è un’invenzione cui la realtà arreca i propri materiali. Non arbitraria, però44. Quella di Scurati è una vera e propria premessa metodologica. Dalla definizione del genere – un romanzo storico-documentario – alla rivendicazione della costruzione narrativa come sapiente utilizzo di uno strumento retorico cui un autore può e deve fare ricorso45. Altro elemento di particolare interesse è poi la sovracoperta dell’edizione italiana del libro, al cui interno è letteralmente nascosta una grande immagine fotografica, che rappresenta una folla, anonima e festante, che acclama Mussolini a piazza Venezia. Questa stessa folla estatica si può dire sia l’oggetto dell’indagine storico-narrativa di Scurati.

26Analizzando la struttura compositiva del romanzo, si può notare come una mole impressionante di fonti documentarie faccia da corredo a ogni capitolo del libro. Ma come Evangelisti, anche Scurati utilizza il documento in maniera radicalmente anti-defeliciana. L’identificazione benevola e autoassolvente che De Felice produce verso Mussolini ha nel documento il proprio appiglio metodologico. Anche per Scurati è così, ma l’identificazione che produce è ripugnante. Siamo costretti a guardare la storia d’Italia con gli occhi di Mussolini, che le carte d’archivio descrivono inappellabilmente come un erotomane, un trasformista e un doppiogiochista, come un opportunista e un giocatore d’azzardo della storia.

  • 46 Scurati Antonio, M. Il figlio del secolo, cit., p. 587.

27Entrando più nel merito, vorrei richiamare alcuni frangenti storici decisivi, alcuni watershed moments, prendendoli dai tre volumi di M fin qui usciti, per provare a dare solidità alla tesi sull’ucronia implicita. M. Il figlio del secolo tratta degli avvenimenti che vanno dalla fondazione dei Fasci di combattimento a piazza San Sepolcro – 23 marzo 1919 – al giorno del famoso discorso a Montecitorio dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti – 3 gennaio 1925. Il primo momento di ucronia implicita è collocato alla vigilia della Marcia su Roma, nella notte tra il 27 e il 28 ottobre del 1922. Luigi Facta è a Roma, dove si appresta a promulgare lo stato di assedio, sottoposto alla firma del re. Michele Bianchi ed Emilio De Bono sono a Perugia, assediati dalle guardie regie. Roberto Farinacci è a Cremona, anche lui respinto dall’esercito. Italo Balbo, Cesare Maria De Vecchi e Dino Grandi provano a tenere insieme le fila di un’organizzazione improbabile e rabberciata. Mussolini è a Milano, al sicuro. Tutto sembrerebbe giunto al punto di collasso, il fascismo sembrerebbe arrivato a quella fine cui lo destinerebbe un fallito colpo di Stato. Ma… Vittorio Emanuele III non firma lo stato d’assedio e la storia riprende il suo corso. Il fascismo riprende la propria marcia trionfale. “Inutile chiedersi il perché. Le ragioni sono tante e nessuna. La sfinge della storia siede muta, inamovibile, su ciò che è stato, che sarà, che avrebbe potuto essere e che invece resterà per sempre increato”46.

  • 47 Ibid., p. 825.

28Secondo possibile nexus event. Benito Mussolini nel suo discorso alla Camera dei deputati del 3 gennaio del 1925 si assume la responsabilità dell’assassinio di Matteotti. Invocando l’articolo 47 dello Statuto albertino – che prevede la possibilità di mettere in stato di accusa un ministro – chiede all’aula di procedere contro di lui. Ma… il silenzio regna sovrano, nessuno fiata, nessuno si alza, nessuno punta il dito contro un Primo ministro mandante di un omicidio politico. “Nessuno si alza ad arrestare il figlio del secolo”47.

  • 48 Scurati Antonio, M. L’uomo della provvidenza, Bompiani, Milano, 2020, p. 431.
  • 49 Ibid., p. 616.
  • 50 Ibid., p. 425.
  • 51 Ibid., p. 11.
  • 52 Ibid., p. 12.
  • 53 Ibid.
  • 54 Ibid., p. 96.
  • 55 Ibid., p. 122.

29Andando avanti nella ricostruzione storica del Ventennio, M. L’uomo della provvidenza copre gli anni che vanno dal 1925 al 1932, passando per la campagna in Libia – condotta da Badoglio e Graziani – e per i Patti Lateranensi nei quali Benito Mussolini, proprio come accadde il 18 ottobre del 1914 con l’antimilitarismo, seppellisce “con un solo tratto di penna, un’intera vita di anticlericalismo militante”48. In questo secondo capitolo di M, Scurati mette efficacemente in scena quella che definisce la “supremazia tattica del vuoto”49, l’estemporaneità mussoliniana rispetto a qualsiasi posizione politica e strategica, il suo essere “uomo del futuro anteriore”50 e al contempo figlio dell’evento e dell’occasione – in senso strettamente machiavelliano. All’indomani del compimento della rivoluzione, dopo la Marcia su Roma e l’autoassoluzione per l’omicidio di Giacomo Matteotti, per Benito Mussolini si tratta adesso di normalizzare il fascismo, di farne un’istituzione e insieme una religione, cui tributare disciplina e obbedienza. Il punto però è che “fatta la rivoluzione, restano i rivoluzionari. Conquistato il potere con la violenza, ti restano i violenti”51. È la stessa contraddizione in cui è incappato il Tito di Valerio Evangelisti e che è intollerabile per Roberto Farinacci, sedicente “capo degli intransigenti” e “custode della purezza rivoluzionaria”52. Perché gli “squadristi eterni”53 non vogliono finire la rivoluzione, ma restare nel presente della violenza. E tuttavia, il punto concettuale fondamentale è che – contrariamente alla vulgata defeliciana e post-defeliciana – il fascismo non è mai stato rivoluzionario, ma si è nutrito della connivenza e della complicità delle classi dominanti. E una volta al potere, non può che farsene interprete. “Costruire una nuova legalità – come dice in Senato Alfredo Rocco nel dicembre del 1925 – per rientrare nella legalità”54. Questa nuova legalità non potrà che essere una riconfigurazione istituzionale della violenza, una sua codificazione politica e sociale. “La violenza deve rimanere se stessa uscendo da sé, deve evaporare nelle piazze, negli stadi, nelle colonie marine, deve riecheggiare negli altoparlanti, impressionare nelle parate, insinuarsi nei sogni notturni, sedersi alle tavole domenicali, parlare per immagini e simboli, il potere deve fuggire dai palazzi del potere e dilagare là fuori, nel mondo impotente”55.

  • 56 Ibid., p. 206.
  • 57 Ibid., p. 421.

30Ma andiamo agli eventi cruciali dell’ucronia implicita del secondo M di Scurati. Tra gli esecutori materiali della normalizzazione del fascismo figurano Augusto Turati – il nuovo segretario del PNF – e Arturo Bocchini – il nuovo capo della polizia. È proprio il neosegretario a esporre durante la seduta del Gran Consiglio del fascismo – nell’ottobre del 1926 – il nuovo Statuto del PNF e la nuova configurazione del potere mussoliniano. Ma “sebbene tutti comprendano che il nuovo Statuto avrà conseguenze gravi per tutti loro, nessuno dei presenti alla riunione dell’8 ottobre lo critica o lo contesta”56. La scena si ripete il 16 marzo del 1928, quando alla Camera dei deputati viene approvata la nuova legge elettorale che prevede la lista unica fascista. Giovanni Giolitti – quello stesso Giovanni Giolitti che due anni prima aveva sarcasticamente irriso i deputati aventiniani malmenati dai fascisti a Montecitorio – si appella al principio della rappresentanza parlamentare e chiude il suo intervento, e il suo ultimo mandato, nell’indifferenza generale. E la scena si ripete ancora alla fine del 1931, quando solo dodici professori universitari su quasi milletrecento si rifiutano di prestare il giuramento di fedeltà al fascismo. “Uno s’immagina sempre che la fine debba giungere con uno schianto. Poi, quando arriva, scopri che gli uomini e i mondi muoiono in un lamento soffocato, qualcosa di molto simile a un frigno”57.

31Anche sfogliando le pagine di Gli ultimi giorni dell’Europa – che ripercorre gli anni 1938-1940, quelli delle leggi razziali e dell’entrata in guerra – non si ha difficoltà a individuare momenti decisivi davanti ai quali Scurati pone lettrici e lettori, quasi a voler far toccare loro con mano la non ineluttabilità degli eventi. Una premessa è però d’obbligo. Questo quarto capitolo di M tocca un punto storiografico nevralgico: l’alleanza con la Germania nazista. Tutta la storiografia revisionista nostrana fa di quella alleanza l’errore fatale del fascismo. Senza il Patto d’Acciaio, si dice, il fascismo sarebbe rimasto un regime autoritario come tanti altri, con i suoi punti di forza e i suoi punti di criticità. Mi pare invece che la contro-revisione storico-narrativa di Scurati voglia mettere alla berlina proprio questa tesi. Difficilmente Mussolini avrebbe potuto non allearsi con Hitler, e fascismo e nazismo restano consustanziali.

  • 58 Scurati Antonio, M. Gli ultimi giorni dell’Europa, Bompiani, Milano, 2022, pp. 11-12.
  • 59 Ibid., p. 67.

32In questo senso, non stupisce l’apertura del libro, che ci cala nella testa di Ranuccio Bianchi Baldinelli, archeologo dell’Università di Pisa e guida durante la visita di Hitler in Italia. “Antifascista generico” – come lui stesso si definisce – e “uomo che non cambiò la storia” – come recita il titolo del documentario di Enrico Caria a lui dedicato nel 2016. Baldinelli medita l’assassinio di Hitler, consapevole che l’alleanza che i due dittatori stanno stringendo provocherà milioni di morti. Ma la sua determinazione etica non si traduce in azione, culminando invece in alcune considerazioni particolarmente utili all’economia del nostro ragionamento. “E, poi, che diamine è questa Storia? Si lascia condurre per mano come un ragazzino, la Storia? Può bastare il clangore di un’esplosione, il sibilo di una coltellata a deviarne il corso? […] Se la guerra è storicamente necessaria, vale la pena di sacrificarsi solo per rimandarla di qualche mese? E se anche lui si sacrificasse, i popoli che sottrarrebbe al macello, gliene sarebbero grati o troverebbero solo parole di compianto per le sue vittime?”58. Sembrerebbe una messa in discussione di quanto ho fin qui sostenuto rispetto all’ucronia implicita. Non sarebbe cioè un omicidio a poter cambiare il corso della storia, e a ben vedere i cinque falliti attentati a Mussolini di cui Scurati ha dato conto in L’uomo della provvidenza hanno sortito l’unico effetto di rafforzare la presa poliziesca dello Stato fascista. Ma nel momento stesso in cui Scurati sembra mettere a lato l’idea di ripensare la storia con i “se”, richiama la “necessità storica”59 dell’incontro tra fascismo e nazismo. Come dire: il Patto d’Acciaio non poteva non essere firmato. Il suo obiettivo polemico, a quest’altezza, sembra proprio essere il revisionismo italiano.

  • 60 Ibid., p. 349.
  • 61 Ibid., p. 268.
  • 62 Cfr. Falasca-Zamponi Simonetta, Fascist Spectacle: The Aesthetics of Power in Mussolini’s Italy, Un (...)

33La situazione di quegli anni è nota, ed è stata ampiamente indagata in sede storiografica. Alcune acquisizioni sono ormai solide: gli effetti nefasti del Trattato di Versailles e la conseguente umiliazione della Germania, la crisi finanziaria del 1929 e l’ondata di disoccupazione che ne seguì, la forte avversione occidentale verso il bolscevismo e l’idea di bloccarne l’avanzata europea indirizzando la Germania nazista ad Oriente… Quello che però mi pare Scurati si proponga qui di mostrare è che l’alleanza di Benito Mussolini con Hitler, che certamente accelerò lo scoppio della guerra, non fu un errore di percorso, ma esito inevitabile della politica fascista. La politica estera furbesca ed istrionica del duce, che ha come suo interprete salottiero Galeazzo Ciano, è al solito fatta di temporeggiamenti, doppi giochi, attendismo e azzardo. La sua illusione è quella di riuscire a “cloroformizzare i tedeschi”60. Ma a essere cloroformizzati da tre lustri di dittatura sono innanzitutto gli italiani, un popolo di sonnambuli isterici. Mussolini per primo, prigioniero della propria immagine, vuole credere nel mito della propria infallibilità. Da qui il drammatico dialogo con Bernardo Attolico, ambasciatore a Berlino, che costituisce un altro fondamentale nexus point: “Duce! Siamo ancora in tempo. Chiedete una messa in mora della Germania a mezzo di un richiamo formale alle clausole e agli impegni dell’alleanza”. Mussolini: “Mai. Questo mai. […] Ho detto alla Germania davanti a un milione di tedeschi che con gli amici si va fino in fondo. No, stavolta l’insulto di Verräter [traditore] non ci verrà gettato in faccia”61. La politica del fascismo è stata sin dall’inizio violenza e spettacolo. Dopo la presa del potere, la violenza si è tradotta in disciplinamento e lo spettacolo in liturgia62. Ma dall’uno come dall’altra non è possibile recedere. Lo spettacolo deve continuare, e con esso la violenza che costerà quasi settanta milioni di morti.

  • 63 Cfr. Scurati Antonio, Dal tragico all’osceno. Raccontare la morte nel XXI secolo, Milano, Bompiani, (...)
  • 64 Scurati Antonio, M. Gli ultimi giorni dell’Europa, cit., p. 401.

34La storia fatta con i “se” serve a ribadire che ogni momento fatale avrebbe potuto avere un esito diverso. “Se” i socialisti fossero stati meno inerti e avessero risposto colpo su colpo allo squadrismo fascista, “se” non si fosse avuto paura, “se” si fossero puntati i piedi e si fosse alzata la voce quando era necessario farlo, “se” gli aventinisti avessero occupato Montecitorio invece di girare i tacchi e isolarsi… L’ucronia implicita è una posizione etica che pone il presente al condizionale. E questi condizionali storici sono utilizzati da Scurati come invito alla riflessione critica sulla spettacolarizzazione contemporanea della politica e sull’anodizzazione della militanza63. Quello che però non è possibile è chiedersi cosa sarebbe successo se Mussolini non fosse stato fascista. Non è possibile immaginare che Mussolini non interpreti il suo proprio mito. Davanti alla folla, il duce deve perciò farsi “ventriloquo di se stesso”64, e dal balcone di Palazzo Venezia – il 10 giugno del 1940 – dichiarare guerra a Francia e Gran Bretagna. L’entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale è l’esito naturale del fascismo come spettacolarizzazione della violenza.

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Note

1 Sulla storia del romanzo storico italiano, si vedano in particolare: Ganeri Margherita, Il romanzo storico in Italia. Il dibattito critico dalle origini al postmoderno, Lecce, Piero Manni, 1999; Benvenuti Giuliana, Il romanzo neostorico italiano. Storia, memoria, narrazione, Roma, Carocci, 2012; Piga Bruni Emanuela, La lotta e il negativo. Sul romanzo storico contemporaneo, Milano-Udine, Mimesis, 2018.

2 Frye Northrop, Baker Sheridan, Perkins George, Historical Novel, in Id., The Harper Handbook to Literature, New York, Harper & Row, 1985, pp. 227-228.

3 Cfr. Lukács György, Il romanzo storico [1957], trad. it. di Eraldo Arnaud, Torino, Einaudi, 1970.

4 Wesseling Elisabeth, Writing History as a Prophet. Postmodernist Innovations of the Historical Novel, Amsterdam, John Benjamins, 1991, p. 33.

5 Su quest’ordine di problemi si ragionava nel numero 57/2008 di Allegoria. In particolare, l’articolo di Raffaele Donnarumma (co-curatore della sezione tematica intitolata “Ritorno alla realtà? Narrativa e cinema alla fine del postmoderno”) mappava dettagliatamente il panorama letterario italiano dei primi anni Duemila e sosteneva con grande vigore teorico la causa del realismo italiano contemporaneo: “Non un realismo di scuola, ma una tensione realistica è forse oggi ciò che più di tutto può restituire alla narrativa il suo senso, in primo luogo contro la stanchezza che le superfetazioni e le autoassoluzioni postmoderne hanno generato in molti”, Donnarumma Raffaele, “Nuovi realismi e persistenze postmoderne: narratori italiani di oggi”, in Allegoria, 57/2008, pp. 26-54 (p. 54).

6 Eco Umberto, Il fascismo eterno, Milano, La nave di Teseo, 2018, posizione kindle 84-87.

7 I discorsi di Violante e Ciampi sono contenuti in Focardi Filippo (a cura di), La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2005, rispettivamente alle pp. 285-286 e 333-335. Il lavoro di Focardi è utile a capire la scansione temporale della narrazione antifascista e le sollecitazioni politiche cui è stata sottoposta nei vari snodi politici della storia repubblicana.

8 Cfr. Traverso Enzo, Il passato: istruzioni per l’uso. Storia, memoria, politica [2005], trad. it. di Gianfranco Morosato, Verona, ombre corte, 2006, passim.

9 Del Boca Angelo (a cura di), La storia negata. Il revisionismo e il suo uso politico, Vicenza, Neri Pozza, 2009, p. 9.

10 Cfr. Del Boca Angelo, Gli italiani in Africa Orientale, Roma-Bari, Laterza, 4 volumi, 1976-1984; Id., Gli italiani in Libia, Roma-Bari, Laterza, 2 volumi, 1986.

11 Cfr. Morone Antonio M., “Della memoria. Il Comitato per la documentazione dell’opera dell’Italia in Africa”, in Zapruder. Rivista di storia della conflittualità sociale, 23/2010, pp. 24-38.

12 A tal proposito, Pasquale Chessa, allievo di De Felice, parla di una “vulgata storiografica che ha tramandato l’immagine politica della Resistenza come lotta di popolo contro il nemico nazifascista, escludendo dal perimetro della memoria condivisa la Resistenza come ‘guerra civile’ in luogo del politicamente più corretto ‘guerra di liberazione nazionale’”; Chessa Pasquale, Guerra civile. 1943 1945 1948. Una storia fotografica, Milano, Mondadori, 2005, p. XVIII. Il libro reca un’introduzione di Giampaolo Pansa, a sottolineare, qualora ce ne fosse bisogno, la continuità tra De Felice e l’autore di Il revisionista (2009). A introdurre nel dibattito storiografico sulla Resistenza la (problematica) categoria di “guerra civile” è stato invece lo storico e partigiano Claudio Pavone: Pavone Claudio, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1991.

13 Cfr. De Luna Giovanni, “Revisionismo e Resistenza”, in Del Boca Angelo, La storia negata. Il revisionismo e il suo uso politico, cit., pp. 294-327, passim.

14 Cfr. d’Orsi Angelo, “Dal revisionismo al rovescismo. La Resistenza (e la Costituzione) sotto attacco”, in Del Boca Angelo, La storia negata. Il revisionismo e il suo uso politico, cit., pp. 330-371 (p. 332).

15 Tranfaglia Nicola, Un passato scomodo. Fascismo e postfascismo, Roma-Bari, Laterza, 1996, p. 79.

16 De Felice Renzo, Rosso e Nero, Milano, Baldini&Castoldi, 1995, p. 25.

17 Cfr. De Luna Giovanni, “Revisionismo e Resistenza”, cit., p. 311.

18 Cfr. Traverso Enzo, “Fascismi”, in Id., Il secolo armato. Interpretare le violenze del Novecento [2011], trad. it. di Luisa Cortese, Milano, Feltrinelli, 2012, pp. 65-86.

19 Ibid., p. 79.

20 Ibid., p. 85.

21 Ginzburg Carlo, Rapporti di forza. Storia, retorica, prova, Milano, Feltrinelli, 2000, p. 49.

22 Cfr. Evangelisti Valerio, Zucchini Emanuela, Storia del Partito Socialista Rivoluzionario. 1881-1893, Bologna, Odoya, 2013. Una prima versione del libro, edita da Cappelli, risale al 1981.

23 Cfr. Evangelisti Valerio, Il Gallo Rosso. Precariato e conflitto di classe in Emilia-Romagna. 1880-1980, Bologna, Odoya, 2015. Una prima versione del libro, edita da Marsilio, risale al 1982.

24 Evangelisti Valerio, Il Sole dell’Avvenire. Vivere lavorando o morire combattendo, Milano, Mondadori, 2013, p. 259.

25 Ibid., p. 123.

26 Cangianti Luca, “Il valore delle battaglie perse. L’operaismo narrativo di Valerio Evangelisti”, in Moiso Sandro, Sebastiani Alberto (a cura di), L’insurrezione immaginaria. Valerio Evangelisti autore, militante e teorico della paraletteratura, Milano-Udine, Mimesis, 2023, posizione kindle 454-455.

27 Evangelisti Valerio, Il Sole dell’Avvenire. Chi ha del ferro ha del pane, Milano, Mondadori, 2014, p. 532.

28 Ibid., p. 228.

29 Ibid.

30 Ibid., p. 509.

31 Ibid., p. 303.

32 Questo titolo è un riferimento esplicito e diretto all’autobiografia partigiana di Angelo Del Boca.

33 Cfr. Tranfaglia Nicola, “Il ventennio del fascismo”, in Del Boca Angelo, La storia negata. Il revisionismo e il suo uso politico, cit., pp. 108-147.

34 Evangelisti Valerio, Il Sole dell’Avvenire. Nella notte ci guidano le stelle, Milano, Mondadori, 2016, posizione kindle 68-71. Su questo punto cfr. Denunzio Fabrizio, “Il monopolio dell’immaginario di morte. Il racconto del fascismo nella narrativa italiana da Elio Vittorini a Valerio Evangelisti”, Democrazia e diritto, 2/2020, pp. 143-169.

35 Evangelisti Valerio, Il Sole dell’Avvenire, cit., posizione kindle 187-188.

36 Ibid., 1240-1241.

37 Ibid., 1500.

38 In questo senso, Il Sole dell’Avvenire è l’opposto simmetrico della saga familiare di Canale Mussolini, in cui Pennacchi riduce la violenza fascista a epifenomeno o ad avanspettacolo.

39 Hellekson Karen, Alternate History, in Bould Mark, Butler Andrew M., Roberts Adam, Vint Sherryl (a cura di), The Routledge Companion to Science Fiction, London-New York, Routledge, 2009, pp. 453-457 (p. 453).

40 Cfr. Singles Kathleen, Alternate History: Playing with Contingency and Necessity, Berlin-Boston, De Gruyter, 2013; Black Jeremy, Other Pasts, Different Presents, Alternative Futures, Bloomington, Indiana University Press, 2015.

41 Cfr. Hellekson Karen, The Alternate History: Refiguring Historical Time, Kent, Kent State University Press, 2001.

42 Wu Ming 1, New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Torino, Einaudi, 2009, p. 35.

43 Scurati Antonio, “Il fascismo è ancora vivo dentro di noi”, la Repubblica, 22 marzo 2019.

44 Scurati Antonio, M. Il figlio del secolo, Milano, Bompiani, 2018, p. 4.

45 Cfr. Scurati Antonio, Letteratura e sopravvivenza. La retorica letteraria di fronte alla violenza, Milano, Bompiani, 2012.

46 Scurati Antonio, M. Il figlio del secolo, cit., p. 587.

47 Ibid., p. 825.

48 Scurati Antonio, M. L’uomo della provvidenza, Bompiani, Milano, 2020, p. 431.

49 Ibid., p. 616.

50 Ibid., p. 425.

51 Ibid., p. 11.

52 Ibid., p. 12.

53 Ibid.

54 Ibid., p. 96.

55 Ibid., p. 122.

56 Ibid., p. 206.

57 Ibid., p. 421.

58 Scurati Antonio, M. Gli ultimi giorni dell’Europa, Bompiani, Milano, 2022, pp. 11-12.

59 Ibid., p. 67.

60 Ibid., p. 349.

61 Ibid., p. 268.

62 Cfr. Falasca-Zamponi Simonetta, Fascist Spectacle: The Aesthetics of Power in Mussolini’s Italy, University of California Press, Berkeley-Los Angeles-London, 1997.

63 Cfr. Scurati Antonio, Dal tragico all’osceno. Raccontare la morte nel XXI secolo, Milano, Bompiani, 2012.

64 Scurati Antonio, M. Gli ultimi giorni dell’Europa, cit., p. 401.

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Notizia bibliografica

Adriano Vinale, «Il racconto della storia e la memoria del fascismo. Le strategie narrative di Valerio Evangelisti e Antonio Scurati»Narrativa, 45 | 2023, 143-163.

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Adriano Vinale, «Il racconto della storia e la memoria del fascismo. Le strategie narrative di Valerio Evangelisti e Antonio Scurati»Narrativa [Online], 45 | 2023, online dal 01 décembre 2024, consultato il 16 mai 2025. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/narrativa/2839; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/narrativa.2839

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