Navigazione – Mappa del sito

HomeNuméros28Quando il cinese Chung Fu scopre ...

Quando il cinese Chung Fu scopre il golfo di Napoli

Alain Sarrabayrouse
p. 181-192

Testo integrale

1Il signor Chung Fu non fa parte della folta schiera di cinesi che da qualche anno gestiscono negozi di ogni genere nei centri delle città italiane. Non è neanche uno di quelli che, ad esempio, hanno sostituito gli italiani davanti ai telai meccanici di Prato. E non è clandestino.

2 Il signor Chung Fu non è nemmeno da annoverare tra i sempre più numerosi turisti cinesi che affollano i centri storici, visitano i musei, scoprono le bellezze del Vecchio continente, e quindi anche dell’Italia.

3 Eppure, durante una sua permanenza a Napoli, il signor Chung Fu, accompagnato da Vincenzo Buonocore, ex operaio dell’Ilva di Bagnoli, s’inoltra nelle viuzze della vecchia città e del porto. Durante questa visita, i due salgono sul terrazzo della nonna dell’ex operaio:

  • 1 Rea, Ermanno, La dismissione, Milano, Rizzoli, 2002, p. 232.

Tutto il golfo ai nostri piedi – dice Buonocore – con il mare, le gru, i bastimenti. E le nuvole quasi a portata di mano […]. “Magnificent, very magnificent!”, mormorò Chung Fu con voce rapita. Non avrebbe potuto essere più appropriato: era tutto davvero grandioso, uno scenario mai dipinto da alcun pittore1.

4Questo personaggio non è né un negoziante né un operaio né un turista, ma è un tecnico mandato dalla Repubblica popolare cinese per controllare l’andamento dei lavori di destrutturazione della grande acciaieria Ilva di Bagnoli: deve assicurarsi che tutto si svolga bene, che i pezzi scelti dalla Repubblica popolare per ricostruire, per quanto possibile, lo stesso stabilimento a Meishan siano smontati perfettamente. Altri pezzi di quella Ferropoli partiranno alla volta dell’India, altri ancora verso la Tailandia.

5 Quanto a Vincenzo Buonocore, è un tecnico dell’Ilva scelto dalla direzione per entrare a fare parte della Steel Works, la società che gestisce lo smembramento e la vendita della fabbrica siderurgica. L’intero libro di Ermanno Rea (370 pagine, 33 capitoli) ruota intorno a questo personaggio, che spiega a un amico narratore – usando continuamente il “tu” – le varie tappe della chiusura, dello smontaggio e della vendita della fabbrica partenopea.

6 La presenza di Buonocore è costante nell’intero testo. Mentre Chung Fu, con l’insieme della delegazione cinese, compare soltanto al diciottesimo capitolo:

  • 2 Ibid., p. 161.

I cinesi – dice Buonocore – arrivarono un anno dopo, nell’ottobre del 1994. Due pullman li depositarono accanto ai prefabbricati […]. Ci inondarono di biglietti da visita. Appena qualcuno gli rivolgeva un sorriso oppure gli diceva una mezza parola – “Good morning” per dire “Ha fatto buon viaggio?” […] – mettevano subito la mano in tasca tirando fuori il loro bravo talloncino bianco che in qualche caso era perfino stampato con caratteri a rilievo o plastificato2.

7Chung Fu tornerà in Cina un anno dopo, nel ’95:

  • 3 Ibid., p. 304.

Da Pechino gli avevano chiesto di rimpatriare d’urgenza, di lasciar perdere l’Italia, l’Ilva, Napoli, le colate continue e quant’altro perché si imponeva la sua presenza altrove. Allora lui aveva protestato: stava svolgendo un compito delicato: non lo avevano riferito i membri della precedente delegazione tornando a casa? […]. Si era sfogato a lungo, ma senza ricevere risposte meno che irremovibili. Finché si era stancato e aveva pronunciato il fatidico e universale “obbedisco”. Gli erano stati concessi quattro giorni di tempo. E aveva dovuto contrattare anche su quelli3.

8L’annuncio della decisione di Pechino viene indicato alla fine del ventottesimo capitolo, e Chung Fu rimarrà nel testo fino all’inizio del ventinovesimo capitolo, cioè fino alla fine della festa d’addio, a pagina 307. Quindi, pur non essendo un personaggio centrale della vicenda, la sua presenza occupa più o meno centocinquanta pagine, un po’ meno della metà del volume.

***

9Ora mi sembra necessario presentare in maniera più dettagliata La dismissione. Il testo descrive fatti che si svolsero tra il 1991 e il 1998, anno che segnò l’inizio della distruzione con la dinamite di quello che restava dell’impianto. Si potrebbe parlare di un romanzo-reportage, visto che le descrizioni riportano con esattezza la fine reale di un’acciaieria reale degli ultimi anni Novanta. C’è però da chiedersi se sia realmente opportuno annoverare il testo fra i romanzi-reportage, data la presenza-assenza del narratore-destinatario che, come ho detto, si accontenta – o fa finta di accontentarsi – di trascrivere ciò che gli racconta Buonocore.

10 Chiedersi se si tratti o meno di un romanzo-reportage non è una domanda retorica, dato che l'interrogativo compare nel testo, precisamente alla fine dell’ultimo capitolo, uno dei pochi in cui il narratore si esprime in prima persona:

  • 4 Ibid., p. 370.

Non intendiamo svelare alcun segreto: per il semplice fatto che non vi sono segreti da svelare. Tra verità e menzogna vi è un solo confine, quello dell’onestà. E noi – possiamo giurarlo – questa storia, per quel che vale, l’abbiamo raccontata in purezza di cuore. Del tutto onestamente4.

11Al di là di questa questione, ce n’è ovviamente un’altra, più consona all’argomento del nostro convegno: chi è, se c’è, il protagonista della storia? Il tecnico ex operaio Buonocore? Oppure Marcella, la ragazza con cui l’ex operaio della scomparsa Ilva intreccia un rapporto di amicizia-amore inconcludente, che per di più avrà fine con la morte della ragazza, nel 1998, cioè nel momento esatto in cui gli ultimi pezzi della fabbrica verranno imbarcati su una nave diretta a Shangai? O è, invece, proprio la fabbrica? O la città di Napoli, che perde ogni anno tanti posti di lavoro nel settore industriale? O Chung Fu, che occupa tanto spazio nella narrazione, e di cui Buonocore parla all’inizio del testo, rispondendo al narratore?

  • 5 Ibid., pp. 13-14.

E sono all’ultima delle tue domande: il futuro, che cosa vedo al di là della punta del mio naso. Devi sapere che ho un amico cinese, Chung Fu, un uomo strano e colto che di tanto in tanto mi manda qualche lettera dal suo paese […]. Chung Fu è un uomo pressappoco della mia età (cinquantatré anni suonati), piccolo e brutto ma molto intelligente: ancora adesso vorrebbe che andassi in Cina a dirigere il mio vecchio impianto in esercizio nelle acciaierie di Meishan, a trecento chilometri circa dalla capitale. Più che inviti ormai sono rimproveri: “mister Buonocore, hai commesso un grave errore, avresti fatto l’esperienza più straordinaria della tua vita” […]. Sono sicuro – soggiunge Buonocore – che Chung Fu, se glielo propongo, si mette subito in azione, ci organizza un viaggio coi fiocchi, il meglio della Cina su un vassoio d’argento. Tutto sommato, quella gente è in debito di riconoscenza con me. So io quello che ho fatto per loro. Come vedi, al di là della punta del mio naso io non vedo proprio niente: sono soltanto un uomo che fantastica, un uomo spaesato in mezzo a tanti altri uomini spaesati. A Bagnoli, quanti ne vuoi5.

12Fabbrica spazzata via, uomini spaesati. Certo, la permanenza a Bagnoli di Chung Fu e della delegazione cinese, durata un anno, non rappresenta un flusso migratorio nel senso stretto della parola. È invece Chung Fu, come già precisato, ad auspicare una forma di emigrazione di Buonocore in Cina. Proprio questo mi pare interessante nella Dismissione: la presenza straniera non è intesa nel senso di sbarco a flusso continuo di clandestini sulle spiagge della Sicilia o della Puglia, e del loro eventuale inserimento nella società italiana. Si parla della presenza straniera in maniera del tutto opposta: nell’ambito della mondializzazione, del trasferimento di una fabbrica all’estero, e delle conseguenze sull’identità di una città, di una regione.

***

13Senza essere uno storico di Napoli, Ermanno Rea ci aveva dato nel 1995 un Mistero napoletano che già si poteva considerare, tanti anni dopo i fatti descritti, e attraverso la figura di una giornalista comunista, Francesca, un’indagine sugli ambienti politici di sinistra nella Napoli del dopoguerra. Un'indagine grazie alla quale si potevano cogliere i mutamenti all’interno della società e il volto nuovo che a poco a poco assumeva la città. Esprimendosi ad esempio a proposito delle fabbriche (e prendendo spunto da un rapporto comunista dell’epoca), il narratore di Mistero napoletano scriveva:

  • 6 Rea, Ermanno, Mistero napoletano, Torino, Einaudi, 1995, p. 244.

In tre anni di governo democristiano [siamo nel ’51] erano stati messi sul lastrico 6500 metalmeccanici; 1000 tessili; 2455 al settore dell’alimentazione; 700 a quello dei chimici e via di questo passo. Complessivamente, tra il 1948 e il 1951, furono chiuse 150 aziende industriali; i protesti cambiari, che nel ’47 non arrivarono a un miliardo, superarono i sei miliardi; i fallimenti triplicarono, passarono dai 315 del ’47 ai 919 del ’51. Quanto ai disoccupati, salirono a duecentomila: una città nella città […]. Quei risultati mettevano a nudo, con la crudezza di cui soltanto i numeri sono capaci, una realtà sconvolgente di degrado e di fame, una realtà che dimostrava come fosse in atto un irreparabile processo di decomposizione generale che coinvolgeva vita economica, sociale, civile, culturale, per finire alla città nella sua fisicità, alle sue pietre e ai suoi muri, che si sgretolavano non meno degli uomini6.

14Più avanti, ed è sempre il narratore di Mistero napoletano a parlare, si legge:

  • 7 Ibid., pp. 247-248.

E proprio mentre dai budelli della più nera miseria, dai vicoli, dalle baracche su su fino ai lungomare e alle strade abitate dagli uomini sazi si levava il grido “Napoli muore”, le agenzie di stampa cominciarono a battere la notizia-bomba: con ogni probabilità toccherà alla baia di Napoli ospitare il quartiere generale mediterraneo dell’ammiraglio Carney… Priva del suo scalo, a quale futuro [la città] avrebbe mai potuto aspirare? Correva lì, lungo quelle banchine, la candida striscia di partenza di ogni rinascita possibile. Invece cosa succedeva? Succedeva che i grandi transatlantici la sfiorassero appena senza dare il tempo ai turisti neppure di scendere a terra a comprare una cartolina. Perché? Soltanto gli americani sembravano appassionati al nostro porto, occupandolo sempre più frequentemente con la loro flotta super-armata7.

15A questo punto è opportuno sottolineare, o ribadire, che né Mistero napoletano La dismissione si possono limitare ad una fila sterminata di cifre sulla realtà napoletana degli anni Cinquanta, o alla descrizione dello smantellamento di una fabbrica negli anni Novanta. In ambedue i libri c’è un intreccio di personaggi che corrispondono a persone reali nel primo libro, e di situazioni, che vanno ben al di là del riassunto storico, che coinvolgono gli uomini nella loro vita, nella loro identità. E in ambedue i libri, c’è anche – guarda caso – la morte di un personaggio femminile di notevole importanza nella narrazione: il suicidio di Francesca in Mistero napoletano, e il “quasi suicidio” di Marcella nella Dismissione, tutte e due, per altro, ragazze alquanto misteriose. Ad accomunare i due libri, vi è anche la scelta dell’inchiesta, del romanzo-reportage, anche se nella Dismissione, come abbiamo visto, si tratta di una forma alterata o diversa di questo “genere letterario”, dato che la vicenda non è raccontata alla prima persona. E soprattutto, ed è forse quello che conta di più nell’ambito di questo convegno, c’è nei due libri una presenza straniera che affretta il disfacimento della città.

16 Bisogna ribadirlo: la presenza straniera che ci viene presentata non è quella dei poveri, degli sfortunati che occupano, o vorrebbero occupare, posti di lavoro che, in una supposta società del benessere, gli italiani non vogliono, o non vorrebbero, più occupare. Al contrario, gli stranieri visti da Rea non hanno deciso di insediarsi a Napoli. Stanno nella città temporaneamente. Però fungono da complici nella distruzione di luoghi preposti al lavoro dei napoletani.

17 A questo proposito è doveroso precisare il ruolo di Buonocore nella Dismissione. In quanto ex operaio dell’Ilva, è stato assunto, abbiamo detto, dalla Steel Works, società addetta allo smantellamento e alla vendita pezzo per pezzo della fabbrica. L'assunzione ha suscitato i rimproveri degli amici e dei sindacati. Buonocore ha ricevuto anche minacce anonime. Parlando di queste minacce con alcuni amici, spiega la sua scelta:

  • 8 Rea, Ermanno, La dismissione, cit., pp. 82-83.

Le minacce sono soltanto un modo di aggrapparsi a quella realtà che questi disperati sentono sfuggirgli dalle mani, un modo di farsi ancora prendere in considerazione da un mondo che ormai desidera soltanto chiudere con il passato e occuparsi d’altro, o forse non occuparsi più di niente […]. Dicevamo: l’Ilva entrerà nel vicolo e lo bonificherà. Alla lunga è accaduto l’inverso: il vicolo è entrato nell’Ilva e l’ha inquinata. La fabbrica di Napoli. La sola cosa buona che abbia prodotto è una certa quota di coscienza dentro la città melmosa. Ha prodotto questa mia smania di smontare adesso le colate continue a regola d’arte. Ha prodotto voi con questa vostra solitudine di irriducibili […]8.

18Tutto ciò significa che, se Buonocore accoglie con cordialità i cinesi – una cordialità che da ambo le parti si mescola inizialmente a una certa diffidenza –, non così reagiscono altri ex lavoratori dell’Ilva. Ad essere esatti, non è la permanenza dei cinesi a fare scoppiare l’ira degli operai messi in cassa integrazione, bensì, ancora una volta, quello che succede a Napoli.

***

19Direi che, nel libro, i cinesi della delegazione rappresentano il nodo centrale della costruzione narrativa, in quanto simbolo della sparizione della fabbrica, ma non sono oggetto, in quanto tali, di alcuna violenza, né verbale né tanto meno fisica. Mi sembra interessante individuare i momenti in cui si percepisce lo sfacimento della fabbrica e della città. Sono circoscrivibili tre momenti: quello storico a lungo termine, quello storico relativo al movimento operaio nel secondo Novecento, e quello più propriamente specifico della realtà presente.

20 Il momento storico a lungo termine è rappresentato dalla conferenza alla quale Buonocore assiste insieme alla moglie Rosaria, scena che occupa buona parte del sesto capitolo. L’episodio si svolge nei primi tempi della chiusura dell’Ilva, in una libreria di Portalba, dove un “professore”, parlando dei rapporti tra Napoli e la sua fabbrica, ha pronunciato, secondo Buonocore, il seguente discorso:

  • 9 Ibid., p. 63.

Nel 1863 […], i soldati piemontesi entrarono con i fucili spianati nelle officine di Pietrarsa, affollate da lavoratori inermi che scioperavano in difesa del salario e del posto di lavoro, uccidendone non so quanti: una carneficina di cui nessuno sa niente e della quale ormai si va perdendo perfino il ricordo. Altrove, quei morti, avrebbero mobilitato poeti, scrittori, pittori, politici, giornalisti, storici. Non trovate incredibile – dice ancora il professore – che questo episodio tenda addirittura a scomparire dalla memoria collettiva della città, a essere inghiottita dal pozzo dell’oblio generale? Una metropoli senza passato, potremmo definirla, senza storia. Tra i vicoli e i fondaci dei quartieri più degradati vive una sorta di poltiglia umana indistinguibile nelle sue variegate componenti: l’operosità di tante singole persone e gruppi è come riassorbita e cancellata da quell’indistinto sociale che va sotto il nome di plebe. I trenta-quarantamila operai censiti da qualche sporadica statistica d’epoca non hanno neppure il peso sociale corrispondente a quello numerico. Insomma, non contano. Non hanno riconoscimento9.

21Il secondo momento, relativo al movimento operaio del secondo novecento, è più ampiamente rappresentato, nella misura in cui la chiusura dell’Ilva avviene alla fine del Novecento. C’è da precisare che Buonocore fa parte di coloro che, al momento dell’annuncio della chiusura dell’acciaieria, si sono mobilitati contro la decisione e hanno partecipato, numerosissimi, ad ampie dimostrazioni nel cuore della città:

  • 10 Ibid., p. 105.

Scesi in piazza anch’io, accompagnato da Rosaria, com’era accaduto pochi mesi prima, in aprile se non ricordo male, quando ci fu chiesto di ridurre il personale a 1850 unità, adeguando la produzione a tale organico. Una delle solite trappole, dal momento che noi a stento eravamo in grado di galleggiare, dal punto di vista della remuneratività, con una produzione annua di acciaio di un milione e duecentomila tonnellate. Figuriamoci a ridurla ancora se non a dimezzarla. Pretendevano insomma che i nostri conti risultassero per forza in rosso, non abbastanza soddisfatti degli interessi passivi che eravamo costretti a pagare10.

22Ciò che conta, non sono tanto le spiegazioni fornite da Buonocore – benché sia importante indicarle – a proposito del modo in cui la produzione della fabbrica venga progressivamente spenta, quanto le sue riflessioni sulla fine di una tradizione e di una cultura operaia. Perché la descrizione del momento in cui Buonocore partecipa a queste manifestazioni va di pari passo ed è accompagnata da numerosi spaccati della vita operaia bagnolese. Ecco un esempio tra i tanti presenti nel romanzo:

  • 11 Ibid., pp. 184-185.

Per me, che provenivo dal cuore della vecchia Napoli – dice l’ex operaio -, Bagnoli tendeva ad assomigliare sempre più a un paese: non mi era parsa mai così lontana dalla metropoli come in quel momento. Anzi lontana da tutto: un remoto spicchio di umanità, un’isola senza bandiera […]. A Bagnoli […] il figlio dell’operaio era già mezzo operaio lui stesso: disciplina, senso del dovere, etica del lavoro facevano già parte del suo metabolismo naturale, costituivano un valore aggiunto alla forza-lavoro che egli rappresentava in quanto tale. Erano nate così le dinastie operaie, i grandi clan familiari che affondavano radici nell’alba stessa dello stabilimento: storie di bisavoli, nonni, zii, cognati, generi, intrecci orizzontali e verticali che spesso, a pretendere di ricostruirli con troppa ostinazione e minuzia, davano il capogiro11.

23Vediamo dunque emergere una presentazione graduale dell’universo industriale e operaio napoletano, e più precisamente bagnolese: primo momento, quello storico a lungo termine, rappresentato innanzitutto dalle parole del professore a proposito degli operai uccisi nell’Ottocento che “non contano”; secondo momento, ovviamente più dettagliato e illustrato, quello storico attinente al movimento operaio apparso verso la metà del Novecento, in particolare a Bagnoli, dal quale erano scaturite “dinastie operaie”, e che muore con la chiusura e lo smantellamento di Ferropoli. Questi due primi momenti sono episodi di morte, di morte sprofondata nell’oblio, di morte causata o accompagnata dalla presenza di “stranieri”, con o senza virgolette: i piemontesi subito dopo l’Unità, i cinesi, gli indiani, i tailandesi alla fine del Novecento. Se poi, in una percezione più ampia, aggiungiamo l’altro romanzo già citato di Rea, Mistero napoletano, vediamo delinearsi un quadro ancora più truce della realtà industriale napoletana, in cui, come abbiamo notato, sempre con la complicità dei politici romani e locali, le attività portuali vengono bloccate dalla presenza, dall’inizio degli anni Cinquanta in poi, delle navi da guerra americane.

***

  • 12 Ibid., p. 257.

24Ho parlato in precedenza di tre momenti, l’ultimo dei quali relativo alla realtà odierna. Torniamo alla visita di Napoli compiuta da Chung Fu insieme a Buonocore: perché dopo la scoperta del golfo dal terrazzo della nonna dell’ex operaio, dopo la passeggiata nelle viuzze della vecchia Napoli, c’è un’altra passeggiata, lo stesso giorno, “nel cuore della città, anzi nelle sue viscere, anfratti e buchi neri dove la vita va a nascondersi e a fermentare”12. I due si recano in visita ad un altro ex operaio dell’Ilva, Cesare Avolio, il quale

  • 13 Ibid., p. 237.

se ne era andato dall’Ilva il giorno in cui gli avevano offerto una buonuscita da cento milioni, oltre la liquidazione. Aveva i suoi progetti: mettersi in proprio, fare l’imprenditore. Il fatto è che abitava in “vico Lacoste”, come era stato ribattezzato vico Storto al Santuario, in omaggio alla collettiva dedizione alla chemise di qualità. Sennonché in vico Lacoste si falsificava di tutto e sua moglie, raffinata magliaia, eccelleva anche in altri campi, avendo lavorato da ragazza sia in una fabbrica di abiti da sposa sia in un paio di laboratori specializzati in pellame13.

25Però, dopo aver cercato a lungo il laboratorio dell’amico, poiché nessuno sapeva o voleva indicargli l’indirizzo preciso della ditta, si ritrovano in

  • 14 Ibid., p. 248.

un luogo che incuteva senza dubbio soggezione: per la sua vastità, certo, ma anche per la sproposita altezza del soffitto – non meno di cinque metri – attraversato da grandi tubi aeratori argentati che si diramavano in varie direzioni. “Ah, l’Ilva, l’Ilva, diceva [Avolio], credi che non la rimpianga? che non pensi mai al passato?” E poiché io non facevo che girare la testa intorno carico di meraviglia, lui mi ingiunse di non lasciarmi impressionare da quello che vedevo: “è tutto fumo, Buonocore, soltanto fumo”14.

26Più giù, inoltrandosi nel sottosuolo di questo laboratorio quantomeno misterioso, stranamente lussuoso, Buonocore percepisce, da un locale sottostante, una specie di grotta,

  • 15 Ibid., p. 249.

come una musica remota in sospensione, e anche delle voci, fuse e indistinte, ma di sicuro timbro femminile. Provenivano da un altoparlante? Fu – dice Buonocore – la mia prima ipotesi. Poi mi dissi che non era possibile. Oltre che quasi impercettibili, musica e voci erano anche intermittenti, andavano, si perdevano, ritornavano, ma per dissolversi subito di nuovo nel silenzio15.

  • 16 Ibid., p. 255.

27Ovviamente, quando Buonocore chiede all’amico Avolio da dove provengano le voci, costui fa finta di non capire, rispondendo soltanto “scordatele”16. E anche se Chung Fu sembra molto contento della visita, riuscendo perfino a fare ottimi affari con Avolio, comprandogli centinaia di cappotti in pelle, Buonocore rimane invece molto amareggiato da quello che ha visto. Il senso delle sue parole, appena uscito dal laboratorio, lascia intendere qualcosa di funesto:

  • 17 Ibid., p. 256.

Avido, disponibile, teatrale, un po’ falso, Cesare Avolio restava comunque, al fondo, una brava persona, incapace di arrendersi del tutto a quell’illegalità che lo aveva sequestrato quasi a sua insaputa. Prima o poi, pensai, lo ammazzeranno davvero, spaventati dalla sua nostalgia di normalità17.

28Con queste parole, e con questa visita, ci troviamo all’apice della presentazione del disfacimento della città e della fabbrica, quello relativo ai tempi odierni. Non è un caso, credo, che Chung Fu riesca a fare ottimi affari con Avolio, trascinato suo malgrado in una forma di lavoro illecito. Non è neppure un caso che Chung Fu non sembri affatto stupito dalle voci femminili che Buonocore sente a tratti, e che sembrano provenire da una grotta scavata nel tufo.

***

29La nuova azienda per cui lavora l’ex operaio Avolio, e la presenza di Chung Fu a Napoli, pur indifferente all’ambiente durante la visita fungono da metafora della permanenza prolungata degli stranieri a Napoli, anche se, ribadiamo, il cinese è un personaggio presentato come onesto. Non si tratta, in effetti, di mostrare una reazione negativa dei napoletani nei confronti dei cinesi. Non è questa la tematica implicita del testo. Si tratta di fare capire che, in una città ormai da decenni e forse da secoli privata di una parte rilevante delle proprie attività industriali, si è arrivati al punto che l’unico sbocco, anche per persone perbene come Avoglio, è quello di lasciarsi trascinare, suo malgrado, in attività a dir poco strane.

30 Cesare Avolio, per sopravvivere, deve gestire un laboratorio che, senza ombra di dubbio, fa lavorare clandestini i quali fanno una vita da schiavi. Chung Fu, da buon cinese, non è stupito né dall’aspetto strano della ditta, né dalle voci che sicuramente avrà sentito. Con questo episodio è come se volesse dimostrare che in certi luoghi della penisola, ma forse un po' dovunque in Europa, una certa deindustrializzazione dell’economia tende a produrre, o ad affrettare, una forma di “cinesizzazione”, nel senso più truce del neologismo, delle attività economiche.

  • 18 Ibid., p. 257.

31 E la scoperta di Napoli da parte di Chung Fu funge da teorema di una “spersonalizzazione della città”. Se il cinese si sente così bene negli anfratti più scuri e degradati di Napoli, è perché, in un certo senso, ha avuto l’impressione di essere quasi di casa. Questo indica chiaramente che la città ha perso connotati propri, si è tanto spersonalizzata da permettere a uno che viene dall’altro capo del mondo di sentirsi di casa. Può anche voler dire che ha assunto nuovi connotati, che sanciscono un avvicinamento e una similitudine con quelli di una città cinese. Non è un caso se, come riferisce Buonocore al narratore, “quella passeggiata […] restò a lungo nelle nostre chiacchiere e soprattutto nei rimpianti di Chung Fu che ogni volta levava le braccia in alto e diceva: ‘Oh, Naples, Naples, come vorrei portarmela in Cina!’”18.

***

  • 19 Ibid., p. 368.

32Vorrei concludere aggiungendo due osservazioni, importanti per la tematica del convegno. Ho detto che il libro è costruito su una base simile al reportage, direi “quasi romanzo-reportage”. Quasi nel senso che, da una parte c’è il filtro del narratore-destinatario e dall’altra la “presa di distanza”, l’“invenzione”19, così come la definisce lo stesso narratore nell’ultimo capitolo (ma ci sarebbe da chiedersi se, in qualsiasi romanzo-reportage, non ci sia una dose di invenzione, non foss'altro perché le necessità del narrare impongono “prese di distanza” e “invenzioni”). Non è questo che conta di più: quello che conta, ed è secondo me la cosa più rilevante, è il sapere se, per questo tipo di contenuto – disfacimenti e ristrutturazioni, sconvolgimento globale – l’unico modo di narrare non sia quello del reportage romanzato: perché è l’unico modo in grado di riprendere in mano i fili di una realtà che sfugge, che non possiamo più dominare, che ci è diventata estranea, per non dire “straniera”. Lo straniero di una volta, lo straniero di oggi, in tal caso, non sarebbe più il piemontese, o l’americano, o il cinese. Sarebbe l’immagine che abbiamo di un mondo non più consono al nostro passato, ai nostri schemi mentali. Ed è forse questo straniero, cioè il nostro presente così diverso da quello che conoscevamo o credevamo di conoscere, che spinge tanti scrittori, tra cui Ermanno Rea, a cercare di narrativizzare un evento reale piuttosto che offrire una fiction chiusa su di sé, ben regolata, ben ripulita, senza corrispondenza con quello che i lettori vivono e percepiscono nella loro esperienza quotidiana.

33 La seconda osservazione è che sia nella forma che nei contenuti, La dismissione si presenta come l’esatto opposto dei tanti romanzi della cosiddetta “letteratura industriale” degli anni Cinquanta e Sessanta. Non fosse altro perché in questi ultimi romanzi era accordato massimo rilievo all’arrivo e all’insediamento dei lavoratori nelle nuove fabbriche moderne, e anche perché l’ambiente rappresentato rimaneva quello della fabbrica; e infine perché non esisteva il senso di scompiglio e di disgregazione narrativa. Direi che l’ispirazione della “letteratura industriale” di epoca passata era di natura endogena, mentre oggi l’ispirazione della Dismissione è di natura esogena. Dopo tanti anni, assistiamo con questo libro al ritorno di una “letteratura industriale”, ma su modi e modelli involutivi. Una involuzione meticolosamente orientata a far emergere la presenza straniera.

Torna su

Note

1 Rea, Ermanno, La dismissione, Milano, Rizzoli, 2002, p. 232.

2 Ibid., p. 161.

3 Ibid., p. 304.

4 Ibid., p. 370.

5 Ibid., pp. 13-14.

6 Rea, Ermanno, Mistero napoletano, Torino, Einaudi, 1995, p. 244.

7 Ibid., pp. 247-248.

8 Rea, Ermanno, La dismissione, cit., pp. 82-83.

9 Ibid., p. 63.

10 Ibid., p. 105.

11 Ibid., pp. 184-185.

12 Ibid., p. 257.

13 Ibid., p. 237.

14 Ibid., p. 248.

15 Ibid., p. 249.

16 Ibid., p. 255.

17 Ibid., p. 256.

18 Ibid., p. 257.

19 Ibid., p. 368.

Torna su

Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Alain Sarrabayrouse, «Quando il cinese Chung Fu scopre il golfo di Napoli»Narrativa, 28 | 2006, 181-192.

Notizia bibliografica digitale

Alain Sarrabayrouse, «Quando il cinese Chung Fu scopre il golfo di Napoli»Narrativa [Online], 28 | 2006, online dal 01 janvier 2023, consultato il 07 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/narrativa/2487; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/narrativa.2487

Torna su

Autore

Alain Sarrabayrouse

Université Paris X-Nanterre

Torna su

Diritti d’autore

CC-BY-4.0

Solamente il testo è utilizzabile con licenza CC BY 4.0. Salvo diversa indicazione, per tutti agli altri elementi (illustrazioni, allegati importati) la copia non è autorizzata ("Tutti i diritti riservati").

Torna su
Cerca su OpenEdition Search

Sarai reindirizzato su OpenEdition Search