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Testi e scrittrici

Temporalità della perdita e strutture degli affetti nella narrativa di Donatella di Pietrantonio

Alberica Bazzoni 
p. 125-137

Abstract

Negli ultimi dieci anni Donatella Di Pietrantonio, autrice di quattro romanzi di ambientazione abruzzese, si è affermata come una delle scrittrici italiane più significative. Questo contributo propone una prima analisi complessiva dell’opera della scrittrice identificando nel tema della perdita e nella costruzione di legami d’affetto inediti la chiave della sua poetica.

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Testo integrale

Introduzione

  • 1 Di Pietrantonio Donatella, Mia madre è un fiume, Roma, Elliot, 2011; Bella mia [2014], Torino, Eina (...)
  • 2 Ead., A Girl Returned, Londra, Europa, 2019; A Sister’s Story, Londra, Europa, 2022.

1Donatella Di Pietrantonio (Arsita, 1962) è autrice di quattro romanzi, tutti di ambientazione abruzzese: Mia madre è un fiume (2011); Bella mia (2014); L’Arminuta (2017); e Borgo Sud (2020)1. Negli ultimi dieci anni, Di Pietrantonio si è affermata come una delle scrittrici italiane più significative, andando incontro a un ampio successo sia di lettura che di critica, segnato tra l’altro da numerosi premi: fra questi, il Tropea con Mia madre è un fiume; il Brancati con Bella mia; il Campiello, il Napoli e l’Alassio Centolibri con L’Arminuta; il Basilicata e la nomina nella cinquina dello Strega con Borgo Sud. I suoi libri sono stati tradotti in numerose lingue, fra cui spiccano le traduzioni in inglese per Europa Editions dell’Arminuta e di Borgo Sud ad opera di Ann Goldstein – lo stesso percorso di riconoscimento internazionale di Elena Ferrante2. Il romanzo L’Arminuta ha dato poi origine a un adattamento teatrale, messo in scena per la prima volta al Teatro Stabile d’Abruzzo nel 2019, e nel 2021 il regista Giuseppe Bonito ne ha tratto un film, di cui Di Pietrantonio ha curato direttamente la sceneggiatura.

  • 3 Sambuco Patrizia, “Mother-Daughter Nostalgia in the Abruzzi of Donatella Di Pietrantonio”, in Trans (...)
  • 4 Rorato Laura, “Narratives of Displacement: The Challenges of Motherhood and Mothering in semi-ficti (...)
  • 5 Karagoz Claudia, “Of Mothers and Sisters: Donatella Di Pietrantonio’s L’Arminuta”, in altrelettere, (...)
  • 6 Si vedano a questo proposito Giorgio Adalgisa, Writing Mothers and Daughters, Oxford, Berghahn Book (...)

2Nonostante i preziosi riconoscimenti di critica e di pubblico, l’opera di Di Pietrantonio attende ancora un’adeguata indagine critica. Il suo universo narrativo ha iniziato a essere esplorato in alcuni studi, significativamente in lingua inglese, a conferma di una maggiore disponibilità e ricettività degli studi di italianistica all’estero nei confronti delle autrici contemporanee. Accanto a varie interviste e recensioni (numerose quelle in lingua portoghese), la bibliografia critica comprende a oggi tre saggi principali che mettono a fuoco alcuni aspetti specifici dei romanzi Mia madre è un fiume e L’Arminuta, quali il tema della nostalgia3, la migrazione e il ruolo della figura materna4, e il rapporto fra lingua e dialetto e le relazioni affettive fra donne5, mentre non vi sono ancora studi sugli altri due romanzi della scrittrice, Bella mia e Borgo Sud. I saggi di Sambuco, Rorato e Karagoz si soffermano sul nodo centrale del rapporto con la madre, raccordandolo a un vasto corpus letterario di scrittrici che proprio a partire dalla necessità di riscrivere la soggettività femminile nell’incontro/scontro con il materno hanno dato vita a nuove forme, nuovi immaginari e nuove interpretazioni del reale6.

3Questo saggio offre la prima ricognizione complessiva dell’opera di Di Pietrantonio, identificando nel tema della perdita la chiave della poetica dell’autrice. In tutti e quattro i romanzi, infatti, la perdita emerge come elemento strutturante sia sul piano della costruzione testuale che sul piano esistenziale: lo sfaldarsi della memoria della madre malata di Alzheimer in Mia madre è un fiume, a cui si lega la progressiva scomparsa dei modi di vita dell’Abruzzo rurale; il terremoto dell’Aquila del 2009 e la morte della sorella gemella in Bella mia; il doppio abbandono famigliare e la morte di un fratello nell’Arminuta; e infine la morte di diversi famigliari, l’incidente della sorella e l’abbandono del marito in Borgo Sud. In questi romanzi, di Pietrantonio istituisce un movimento oscillatorio tra diversi piani temporali, in cui alla cognizione della dimensione strutturale della perdita si accompagna la costruzione di legami d’affetto inediti – imperfetti, manchevoli, eppure portatori di reale cura.

Forme della perdita fra passato e presente

4In tutti i romanzi Di Pietrantonio costruisce la narrazione contrapponendo fra loro piani temporali diversi, con una serie di perdite a fare da spartiacque fra un prima e un dopo. Al di là delle occorrenze specifiche, la perdita si configura come struttura fondante della condizione umana, a cui continuamente si torna per continuamente andare avanti. Il carattere irrisolto dell’oscillazione temporale fra passato e presente non è manifestazione di una fissazione traumatica, bensì di un moto il cui orizzonte è sempre il presente. La rivisitazione del passato, infatti, avviene sempre a partire da una ricerca di costruzione di senso nel presente. Per i personaggi di Di Pietrantonio la perdita non è condizione superabile, ma è condizione data, che si può imparare a riconoscere restando vivi, tracciando significazioni provvisorie, intrecciando legami umili e realistici nella loro manchevolezza. In questo senso la narrativa di Di Pietrantonio è radicalmente realistica: è narrazione di caducità, di provvisorio, di limiti, di tentativi, a esprimere una dimensione umana fortemente incarnata e dolorosa. Ha dichiarato la scrittrice:

  • 7 Cfr. l’intervista con Filippo La Porta, in occasione del Futura Festival, il 29 luglio 2017: https: (...)

Per me la letteratura è entrare nel profondo dell’esperienza umana, e in quel profondo io trovo il dolore. […] Io credo che la gioia, la spensieratezza, l’inconsapevolezza finisca nel momento in cui il bambino scopre e incontra la morte, e capisce che quello è il nostro status di esseri mortali7.

5Mia madre è un fiume è il romanzo d’esordio di Di Pietrantonio, costruito su più livelli narrativi. Un primo filone della narrazione racconta in prima persona la storia del rapporto sofferto e travagliato della protagonista con la propria madre, alternando la rievocazione del passato, caratterizzato da assenza e incomprensioni, alla riflessione sul presente, in cui la figlia si trova a doversi prendere cura della madre malata di Alzheimer. Presente e passato si alternano con fluidità, e così vicinanza affettiva e frustrazione:

  • 8 Ead., Mia madre è un fiume, cit., pp. 25-26.

Il nostro amore è andato storto, da subito. […] Lei mi amava, ma aveva altro da fare. […] Da grande mi sono appellata alla sua storia, ma non ci ho creduto abbastanza. […] Riprovo poche volte a memoria la voglia di stringermi al suo odore di contadina giovane e sana. Di lei è rimasta l’assenza. Avevo una madre inaccessibile, separata, non per disamore, per fretta, quest’altra forma del disamore8.

6Il secondo filone, che si alterna al primo, è condotto in seconda persona ed è costituito dal racconto della vita della madre che la figlia le restituisce nel tentativo di arginare la perdita della memoria e allo stesso tempo di tessere un rapporto nuovo con lei:

  • 9 Ibid., p. 10.

Ti chiami Esperia Viola, detta Esperina. Come una viola sei nata il venticinque marzo millenovecentoquarantadue, in una casa al confine tra i comuni di Colledara e Tossicia. Era l’ultima abitazione prima dei monti, un piccolo sasso rotolato per sbaglio dal fianco orientale dell’Appennino abruzzese9.

  • 10 Sambuco Patrizia, “Mother-Daughter Nostalgia”, cit., p. 164. La traduzione è mia, come sempre se no (...)
  • 11 Ibid., p. 171.

7Attraverso la storia di vita della madre, il racconto si apre al recupero collettivo della storia e dei modi di vita dell’Abruzzo rurale nel corso del Novecento. Non si tratta di una rievocazione nostalgica del bel tempo andato, tutt’altro. Come ha messo in luce Sambuco, al centro dell’operazione di Di Pietrantonio vi è una forma di nostalgia “intesa come un’emozione che facilita la rivisitazione sia del passato che del presente, piuttosto che come desiderio rivolto al passato a partire da un presente impoverito”10. Nella rievocazione del passato e nel fare i conti con la perdita, in altri termini, l’orizzonte di costruzione di senso è sempre il presente. Il racconto indirizzato alla madre è infatti anche un tentativo di rinegoziare un nuovo rapporto con un passato segnato da mancanza e sofferenza, esprimendo “il desiderio di una relazione che madre e figlia non hanno mai avuto”11.

8Anche in Bella mia, seconda opera di Di Pietrantonio, le vicende private dei protagonisti sono intrecciate all’ambientazione storico-sociale. Al centro del romanzo vi è un lutto che è allo stesso tempo personale e collettivo: il 6 aprile del 2009 un violento terremoto scuote L’Aquila, causando la distruzione di buona parte della città e la morte di oltre trecento persone. Fra queste vi è Olivia, sorella gemella della protagonista-narratrice, la quale si trova a vivere in un prefabbricato del progetto C.A.S.E. (edifici antisismici per gli sfollati) insieme alla madre e al nipote adolescente, Marco. La narrazione parte da qui, e oscilla fra il tentativo di ricostruzione della vita dopo il terremoto e il bisogno di ripercorrere il tempo che l’ha preceduto, ripensare i legami passati alla luce di quello che sono divenuti poi. Nella postfazione al volume, Di Pietrantonio sottolinea il processo messo in moto dalla morte di Olivia:

  • 12 Di Pietrantonio Donatella, Postfazione, Bella mia, cit., p. 182.

Intorno a questa perdita centrale si ricompone una famiglia anomala: la mamma di Olivia, il figlio adolescente, la sorella sopravvissuta. È lei l’io narrante. […] Si confrontano ognuno con il proprio dolore, lo stesso, ma diverso da quello degli altri due. E nel dolore Marco è chiamato a crescere, la zia a individuarsi rispetto alla gemella, nella cui ombra si era riparata12.

  • 13 Ead., Bella mia, cit., p. 92.
  • 14 Ibid., p. 37.

9Alla storia del nucleo famigliare della protagonista e del lutto condiviso ma diverso che accomuna i personaggi si affianca la distruzione del territorio e i lutti degli altri: c’è Lorenza, la giovane donna che vive nel prefabbricato accanto, che ha perso la figlia di 6 anni; c’è il signore anziano che continua a chiamare la moglie rimasta sotto le macerie: “Coltivava la folle speranza che prima o poi gli rispondesse lei in persona al posto della signorina registrata che la dichiarava irraggiungibile”13; c’è il cane Bric, che nel terremoto ha perso il padrone; e c’è L’Aquila, ferita: “La città non offre panorami a chi rientra, ci riprende e basta, mi annoda la gola con questa accoglienza di crepe incrociate sul fronte dei palazzi, piani intermedi ridotti di numero, pilastri avvitati intorno al loro asse”14.

10Come in Mia madre un fiume la perdita della madre non è occasionata dalla malattia, ma si radica in un’assenza che dura da sempre, così anche Bella mia dà voce a un senso di mancanza che precede la devastazione del terremoto, aprendosi a una visione della perdita come assunto esistenziale. Fantasticando sulla condizione uterina condivisa con la gemella, la protagonista identifica in un tempo prima della nascita l’origine di un senso di privazione che condiziona tutta la sua vita:

  • 15 Ibid., pp. 17-18.

Sono rimasta incastrata dietro, nel mio sacco, tra lei e i duri anelli d’osso della colonna vertebrale adulta. Ho finito il tempo alle strette, nel buio, nel silenzio. Mia sorella intercettava e tratteneva per sé onde e influssi esterni. […] Così fantasticavo sulle nostre vite intrauterine, verso gli otto anni. Ero certa di aver patito uno svantaggio primario15.

  • 16 Ibid., p. 95.

11Se il dolore della perdita di Olivia è brutale – “Questo scorcio così nero della notte è sempre dedicato a lei, mi manca senza pietà mentre dorme il dolore degli altri due”16 – riandando con il pensiero al tempo precedente il lutto la protagonista si confronta con una condizione di sofferenza sentita oscuramente come strutturale e incolmabile:

  • 17 Ibid., p. 156.

Fisso con lo sguardo lucido del risveglio anche il sisma, ridimensiono il suo torto nei miei confronti. È vero che ci ha atterrati uccidendo Olivia, ma in fondo io ero infelice anche prima. Non reggo uno stato di benessere duraturo, da sempre cerco un male o una colpa che mi consumi. Ne ho bisogno, per sapermi al mondo17.

  • 18 Ibid., p. 141.

12Anche Marco, del resto, ben prima della morte della madre aveva conosciuto il dolore dell’abbandono del padre Roberto, che li aveva lasciati per una donna più giovane, figlio a sua volta di un padre sparito nel nulla – perché “la mancanza si riproduce nelle generazioni successive, come un vizio ereditario, una maledetta necessità”18.

13L’Arminuta, vincitore del Premio Campiello, è il romanzo che ha portato Di Pietrantonio all’attenzione della critica e di un pubblico internazionale. È la storia di un doppio abbandono: una ragazzina di tredici anni viene “restituita” senza spiegazioni alla famiglia biologica dalla famiglia in cui è cresciuta fino a quel momento e che scopre quindi essere famiglia adottiva. La protagonista racconta la propria storia in prima persona, vent’anni dopo la “restituzione” e il breve periodo di circa un anno, tra l’estate del 1975 e l’autunno del 1976, che costituisce l’arco narrativo centrale. La ragazzina subisce un cambio di condizione traumatico: dalla città di mare (che si intuisce essere Pescara) in cui è cresciuta circondata dall’affetto e dagli agi di una famiglia borghese e delle amiche, si trova in un paesino dell’entroterra, in una famiglia sconosciuta numerosa e povera, che si esprime in dialetto, usa alla violenza più che alle manifestazioni di affetto, e dove tutti, inclusi i figli e le figlie, lavorano senza posa.

  • 19 Di Pietrantonio Donatella, L’Arminuta, cit., p. 92.

Io non conoscevo nessuna fame e abitavo come una straniera tra gli affamati. Il privilegio che portavo dalla vita precedente mi distingueva, mi isolava nella famiglia. Ero l’Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo più a chi appartenere. Invidiavo le compagne di scuola del paese e persino Adriana, per la certezza delle loro madri19.

14L’Arminuta perde in un istante un intero mondo affettivo e la propria identità, incluso il proprio nome, che non apprendiamo mai. Nel tempo viene a sapere che Adalgisa, la madre adottiva, non l’ha portata lì temporaneamente perché è malata, come credeva, ma perché è rimasta incinta di un altro uomo, e la scoperta sancisce il distacco definitivo da quel passato affettivo.

  • 20 Ibid., p. 88.
  • 21 Ibid., p. 37.

15Secondo una struttura tipica dei romanzi di Di Pietrantonio, la “restituzione” dell’Arminuta non è l’unica frattura fra il prima e il dopo, ma è parte di una serie di scansioni temporali date dalla perdita. L’abbandono inspiegato da parte di Adalgisa e del padre carabiniere, infatti, era stato preceduto dall’abbandono da parte della famiglia biologica quando la bambina aveva pochi mesi. Al disorientamento affettivo e identitario del doppio abbandono si aggiunge poi la tragica morte del fratello Vincenzo in un incidente stradale, e il dolore afasico del lutto che si abbatte in particolare sulla madre biologica, rendendola ancora più distante: “Eccola lì, la madre dolorosa di quello scapestrato. Era tutta per lui, chiuso tra le tavole di legno. Non aveva niente per me, che sopravvivevo”20. Ma la perdita si moltiplica anche indietro nel tempo, per esempio nel ricordo della giovane zia Lidia a cui la bambina era particolarmente affezionata, trasferitasi all’improvviso: “L’ho perduta così, ai Grandi Magazzini, qualche anno prima della mia restituzione. […] occupavo il tempo svuotato da Lidia. È tornata in agosto per le ferie, ma avevo paura di essere ancora felice con lei”21.

16Nell’Arminuta la scrittrice approfondisce il tema del rapporto manchevole con la figura materna, qui sdoppiata e doppiamente assente, che è uno dei nodi fondanti del senso di perdita che abita i romanzi di Di Pietrantonio. La ricerca di riconoscimento fra madre e figlia costituisce uno degli elementi più vitali delle opere delle scrittrici dal Novecento fino alla contemporaneità, andando a interrogare il rapporto con le strutture sociali patriarcali, il percorso di creazione di una soggettività femminile e le fratture generazionali. Nell’Arminuta, entrambe le madri si trovano intrappolate in costruzioni normative della maternità: la madre biologica perché non ha voce in capitolo sulla procreazione, Adalgisa perché identifica nella maternità l’unica funzione della donna, esponendosi alla dominazione dell’uomo che l’ha messa incinta. In entrambe le famiglie, il ruolo delle madri è sottoposto al dominio degli uomini, che impediscono un rapporto solidale con le figlie. Richiamandosi alla filosofia di Adriana Cavarero, Karagoz ha messo in rilievo

  • 22 Karagoz Claudia, “Of Mothers and Sisters”, cit., p. 68.

il modo in cui le madri privilegiano il rapporto con i maschi della famiglia […]. La priorità accordata agli uomini è una manifestazione del loro essere intrappolate nelle strutture famigliari tradizionali raffigurate nel romanzo, in cui gli uomini hanno sempre la precedenza e il legame madre-figlia ha uno statuto secondario22.

17Anche in Mia madre è un fiume, che inaugura il tema della madre distante, la violenza patriarcale segna a fondo il rapporto fra madre e figlia: la protagonista racconta infatti che la madre aveva subito molestie sessuali da parte del proprio padre, Fioravante, e riflette sul ruolo che questo ha avuto nel compromettere l’affettività fra madre e figlia.

  • 23 Di Pietrantonio Donatella, L’Arminuta, cit., p. 100.
  • 24 Ead., Borgo Sud, cit., p. 103.

18La violenza maschile gioca un ruolo determinante anche nell’ultimo romanzo, Borgo Sud, in cui la sorella Adriana è ricoverata in gravissime condizioni dopo essere stata spinta giù dal terrazzo dall’ex compagno, Rafael, nel corso di una lite per gelosia. Il romanzo è la continuazione dell’Arminuta, e ha quindi alle spalle il “paesaggio desolato”23 del doppio abbandono materno e la morte del fratello Vincenzo. La protagonista è oramai una donna adulta che ha lasciato l’Abruzzo e insegna letteratura all’università in Francia, quando riceve la notizia delle condizioni in cui versa Adriana. Il ritorno a casa è l’occasione per rivisitare il rapporto con la sorella, da cui si era allontanata, e con l’ex marito, Piero, che l’aveva lasciata dopo un lungo corso di tradimenti e una tormentata accettazione della propria omosessualità. I piani narrativi si intrecciano e si affastellano: il presente del rientro precipitoso a Pescara si alterna al ricordo di numerosi episodi, in ordine sparso, del rapporto con Adriana, della malattia e poi della morte della madre, del matrimonio con Piero e del suo progressivo allontanamento. La donna adulta che racconta porta i segni delle perdite subite nel corso della vita: “Ha asciugato le lacrime con i pollici e baciato gli occhi salati, il naso, la bocca. Piangevo di tutte le mie perdite, passate e presenti, lui compreso”24.

  • 25 Ibid., p. 99.
  • 26 Ibid., p. 136.

19La narrazione si fa bilancio riflessivo che mette a fuoco uno sradicamento originario legato all’intermittenza e indecifrabilità affettiva della madre, che accomuna la protagonista e Adriana: “Con mia sorella ho spartito un’eredità di parole non dette, gesti omessi, cure negate. E rare, improvvise attenzioni. Siamo state figlie di nessuna madre. Siamo ancora, come sempre, due scappate di casa”25. Eppure, la protagonista si era allontanata anche dalla sorella, avendo bisogno di frapporre una distanza grazie a cui potersi individuare: “Non so quando l’ho persa, dove si è incagliata la nostra confidenza. Non rintraccio un momento preciso, l’episodio determinante, un contrasto. Ci siamo solo arrese alla distanza, o forse era quello che in segreto cercavamo: un riposo, scrollarci l’altra di dosso”26. Adriana non muore: si risveglia e trova la protagonista accanto a sé. Le sorelle sono nuovamente vicine e unite, e il romanzo si chiude senza soluzione sul desiderio della protagonista di ripartire e sull’umile auspicio di tranquillità per Adriana e suo figlio Vincenzo.

Legami d’affetto inediti

20Il rapporto che Di Pietrantonio istituisce tra il passato e il presente è ambiguo, oscillatorio: da un lato, la perdita è un prima, un dato strutturale, una mancanza originaria; dall’altro è anche un evento che si ripete e intorno a cui si riorganizza la vita dei protagonisti nel presente. Ma proprio perché la perdita non è un evento singolare da riparare, ma una struttura originaria, il presente non si configura come suo superamento, bensì come continua ristrutturazione del sé e degli affetti intorno ad essa. Non c’è, in questi romanzi, un rifiuto melanconico di accettare la scomparsa dell’oggetto, ma un continuo spaesamento, un’impossibilità strutturale di appartenere completamente, uno sradicamento. Su questa condizione di partenza, Di Pietrantonio mette in scena relazioni sbilenche, parziali, manchevoli, che allo stesso tempo riescono a comunicare affetto e rendono la vita possibile. L’umiltà dei personaggi di Pietrantonio è anche quella che gli permette di costruire, poco, fragilmente, per tentativi, per approssimazioni, scartando in partenza ogni idealizzazione e assolutizzazione dell’amore. L’imperfezione dell’amore, in questi romanzi, non è la parola ultima, ma è una mancanza che apre spazi inediti di scoperta, di cura e di creatività.

  • 27 Di Pietrantonio Donatella, Mia madre è un fiume, cit., p. 27.

21In Mia madre è un fiume, la ricerca di un rapporto con la madre malata di Alzheimer è particolarmente doloroso. Il desiderio frustrato che ha caratterizzato il loro rapporto si è bloccato in una distanza affettiva difficile da colmare: “Non riesco a usarle dolcezza. Non la tocco mai. Immagino, solo, di poterla accarezzare, sulle braccia, le mani deformate dall’artrosi, le guance, la testa”27. Le due donne si cercano a vicenda, ma la paura e l’abitudine alla separazione creano un respingimento forte quanto il desiderio struggente di avvicinarsi.

  • 28 Ibid., p. 171.
  • 29 Ibid., p. 177.

22Eppure, per quanto la narratrice sia severa con sé stessa, abitata dalla colpa, per quanto non riesca ad esprimere amore fisicamente, si prende cura della madre, accompagnandola nella malattia. Il racconto che le offre giorno dopo giorno non serve solo a contrastare lo smarrirsi della memoria, ma anche e soprattutto a creare uno spazio condiviso, a scandire un tempo comune in cui incontrarsi. La figlia cambia di segno alcuni episodi, rinarrati alla madre come momenti di vicinanza invece che incontri mancati, facendole dono di un immaginario di affetto laddove c’era un vuoto. Il racconto non arriva a sciogliere una distanza che ha marcato una vita intera, ma lascia filtrare momenti di cura, brevi gesti che bucano per un attimo la barriera di paura, colpa e risentimento: “Appoggio la testa alle tue gambe, se non ti dispiace. Quando ero bambina non ti potevi sedere un attimo che ti mettevo la faccia in grembo”28. Fra le frasi sconnesse della madre che chiudono il romanzo, fa capolino infine un’espressione di gratitudine, che vale anche come una possibile assoluzione dalle colpe che la figlia si porta addosso: “Meno male che sei venuta, ti ha parlato l’angelo all’orecchio”29.

  • 30 Di Pietrantonio Donatella, Bella mia, cit., p. 100.

23In Bella mia è il rapporto fra zia e nipote a occupare il centro della riorganizzazione affettiva dopo la morte di Olivia. La colpa della protagonista, qui, è l’essere sopravvissuta alla sorella gemella, donna vitale e madre di un adolescente, e non avere risposte né amore sufficienti per il dolore del ragazzo: “Non è mio figlio. Marco e io non ci apparteniamo. E se una gemella doveva morire, non ho voluto io essere la superstite”30. A partire dalla devastazione del lutto privato e collettivo, questo romanzo mette in scena in modo esemplare il desiderio e le difficoltà di avvicinarsi affettivamente, di attraversare lo spazio fra i corpi, orchestrando una microfisica di moti ed esitazioni:

  • 31 Ibid., p. 29.

La gente passa e guarda, di sicuro ci crede madre e figlio. Aspetto il contrattacco e invece lui si volta di tre quarti e tace, so che quando fa così nasconde le lacrime. […] Provo a chiamare piano Marco, la voce si frantuma. Gli tocco un braccio e non lo sposta, non mi arriva allo stomaco la gomitata che merito. […] Stringo un po’ con la mano e sento quanto è esile e duro sotto l’imbottitura di piume. Restiamo fermi qualche altro minuto, poi ci muoviamo per un tacito accordo31.

  • 32 Ibid., p. 182.

24Il rapporto fra zia e nipote è un rapporto parziale, mezzo cercato e mezzo respinto da entrambe le parti, ma allo stesso tempo questa relazione manchevole apporta un calore nuovo nei loro orizzonti affettivi devastati. Sono spiragli di cura che intervengono nella perdita senza colmare o riparare niente, ma permettendo all’esistenza di continuare, sostenendo la vita. Come commenta Di Pietrantonio nella postfazione al romanzo, la protagonista “accetta gradualmente l’eredità che la sorella le ha lasciato, il figlio. Nipote, ma ormai anche figlio, per lei che non aveva voluto essere madre. I personaggi costruiscono parti di sé e una nuova trama di relazioni; non è una ricostruzione: niente sarà più come prima. Sullo sfondo la città, svuotata per forza”32.

  • 33 Cfr. l’intervista con Filippo La Porta, cit.
  • 34 Di Pietrantonio Donatella, L’Arminuta, cit., p. 10.

25Particolarmente efficace narrativamente è il rapporto fra l’Arminuta e la sorella Adriana. È lei ad aprirle la porta quando arriva nella nuova casa per la prima volta, e fra le due scatta un immediato riconoscimento, che “non è un riconoscimento del sangue, dei geni: è un riconoscimento tra disperate”33. Adriana aiuta la nuova sorella a navigare le dinamiche della famiglia, a fare i lavori in casa, e la protegge anche fisicamente dai colpi della madre. Di notte condividono il letto, e il corpo di Adriana è per l’Arminuta una fonte di calore e un appiglio in quel naufragio che è la sua nuova condizione: “Ogni sera mi prestava una pianta del piede da tenere sulla guancia. Non avevo altro, in quel buio popolato di fiati”34.

  • 35 Karagoz Claudia, “Of Mothers and Sisters”, cit., p. 55.

26Ispirandosi al concetto di “inclinazione” di Cavarero, Karagoz si è soffermata sul legame di protezione, riconoscimento e solidarietà fra le sorelle, che è legame salvifico per entrambe, in quanto gli atti di cura che Adriana mette in pratica verso l’Arminuta consentono a quest’ultima di “accettare le nuove circostanze e intraprendere un percorso di autodeterminazione”35. Il riconoscimento fra sorelle è infatti quello su cui si chiude il romanzo, con uno scambio di sguardi in cui l’Arminuta acquisisce consapevolezza di sé e della cura reciproca che le avvicina.

  • 36 Di Pietrantonio Donatella, Borgo Sud, cit., p. 45.

27In Borgo Sud i legami si moltiplicano e si sfilacciano. La sorellanza si fa più conflittuale, attraversata tanto da un amore che rimane fortissimo quanto dal bisogno di separarsi per individuarsi e dalla messa in campo di risposte molto diverse allo spaesamento originario da cui le due donne provengono. Adriana ha trovato nel borgo di pescatori una comunità solidale, e si è affidata in particolare alle cure di Isolina, la madre di Rafael: “Isolina deve averlo capito presto che quella ragazza non le avrebbe tolto Rafael, piuttosto il contrario, era lei che cercava un rifugio, cure semplici, protezione. […] Sembrava un’orfana”36. La protagonista si è invece stretta al marito ed è rimasta vicina alla madre nel momento della malattia fino alla morte, per poi trasferirsi in Francia e allontanarsi da tutti. Anche se una parte consistente del romanzo si concentra sulla fine del matrimonio con Piero, l’omosessualità di lui non annulla il loro rapporto, e pur con tutte le difficoltà del processo di trasformazione, c’è lui al fianco della protagonista quando torna per andare a trovare Adriana in ospedale:

  • 37 Ibid., p. 118.

Ci sediamo vicino alla vetrata con vista sul mare, come quando eravamo una coppia in vacanza. Ma non lo siamo […]. È sceso un uomo sbarbato di fresco, ci saluta con un cenno. Ogni tanto ci guarda sfogliando il giornale e non so chi siamo ai suoi occhi. Né coniugi né amanti, vorrei dirgli, mai nemici37.

28L’alleanza, fragile ma presente e reale, fra la protagonista e l’ex-marito raffigurata in questa scena risponde pienamente a quelle forme oblique e imperfette dell’amore che caratterizzano la convivenza con la perdita nella narrativa Di Pietrantonio, e che accompagnano la vita nella sua continuazione.

Conclusioni

29Di Pietrantonio si è affermata come una delle voci letterarie più originali e significative degli anni Duemila. Questo articolo ha proposto una prima indagine complessiva dei romanzi di Di Pietrantonio, mettendo in luce la funzione strutturante della perdita e della costruzione di legami d’affetto manchevoli ma vitali quali elementi centrali della poetica dell’autrice. La narrativa di Di Pietrantonio si ricollega a una ricca tradizione di scrittrici del Novecento e contemporanee, le cui narrazioni illuminano l’intreccio di storia collettiva e storie private, mostrando come le vite dei personaggi siano attraversate e modellate dal divenire delle strutture sociali e dei mutamenti storici. Il richiamo a una genealogia di scrittrici italiane è suggerito dalla stessa Di Pietrantonio attraverso le epigrafi dei romanzi, che contengono citazioni da Fuoco centrale di Mariangela Gualtieri in Bella mia, da Menzogna e sortilegio di Elsa Morante nell’Arminuta e da Mio Marito di Natalia Ginzburg in Borgo Sud.

  • 38 De Rogatis Tiziana, Elena Ferrante: Parole chiave, Roma, Edizioni e/o, 2018, p. 41.

30È in particolare nel rapporto – conflittuale, struggente, impossibile – fra madri e figlie che si concentrano i raccordi fra dimensione privata e collettiva, la ricerca di soggettività e il senso profondo di perdita che scandiscono le pagine della scrittrice. Come scrive Tiziana De Rogatis a proposito di Elena Ferrante, e l’osservazione si applica con profitto anche a Di Pietrantonio, il rapporto fra madri e figlie segna la collisione fra temporalità diverse, fra arcaico e iper-moderno: “L’arcaico si sedimenta […] nel romanzo genealogico del conflitto e del riconoscimento tra madre e figlia: il materno è portatore di una storia millenaria di subalternità femminile”38. Innestandosi su tale conflitto e sul senso di perdita irreparabile che anche da lì si genera, le oscillazioni temporali e il continuo ritorno al passato messi in scena dall’autrice sono affrontati con uno sguardo fortemente radicato nelle tensioni della contemporaneità.

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Note

1 Di Pietrantonio Donatella, Mia madre è un fiume, Roma, Elliot, 2011; Bella mia [2014], Torino, Einaudi, 2018; L’Arminuta, Torino, Einaudi, 2017; Borgo Sud, Torino, Einaudi, 2020.

2 Ead., A Girl Returned, Londra, Europa, 2019; A Sister’s Story, Londra, Europa, 2022.

3 Sambuco Patrizia, “Mother-Daughter Nostalgia in the Abruzzi of Donatella Di Pietrantonio”, in Transmissions of Memory: Echoes, Traumas, and Nostalgia in Post-World War II Italian Culture, Sambuco Patrizia (a cura di), Vancouver/Madison, Farleigh Dickinson University Press, 2018, pp. 163-176.

4 Rorato Laura, “Narratives of Displacement: The Challenges of Motherhood and Mothering in semi-fictional works by Laura Pariani, Mary Melfi, and Donatella Di Pietrantonio”, in International Journal of Comparative Literature and Translation Studies, 6, 1, 2018, pp. 75-82.

5 Karagoz Claudia, “Of Mothers and Sisters: Donatella Di Pietrantonio’s L’Arminuta”, in altrelettere, 2020, pp. 50-78.

6 Si vedano a questo proposito Giorgio Adalgisa, Writing Mothers and Daughters, Oxford, Berghahn Books, 2002; Sambuco Patrizia, Corporeal Bonds: The Daughter-Mother Bond in 20th-Century Italian Women’s Writing, Toronto, University of Toronto Press, 2012; Hefferan Valerie, Wilgus Gay (a cura di), Imagining Motherhood in the Twenty-First Century, London, Routledge, 2021.

7 Cfr. l’intervista con Filippo La Porta, in occasione del Futura Festival, il 29 luglio 2017: https://www.youtube.com/watch?v=m3UTBWN_gXM.

8 Ead., Mia madre è un fiume, cit., pp. 25-26.

9 Ibid., p. 10.

10 Sambuco Patrizia, “Mother-Daughter Nostalgia”, cit., p. 164. La traduzione è mia, come sempre se non indicato diversamente.

11 Ibid., p. 171.

12 Di Pietrantonio Donatella, Postfazione, Bella mia, cit., p. 182.

13 Ead., Bella mia, cit., p. 92.

14 Ibid., p. 37.

15 Ibid., pp. 17-18.

16 Ibid., p. 95.

17 Ibid., p. 156.

18 Ibid., p. 141.

19 Di Pietrantonio Donatella, L’Arminuta, cit., p. 92.

20 Ibid., p. 88.

21 Ibid., p. 37.

22 Karagoz Claudia, “Of Mothers and Sisters”, cit., p. 68.

23 Di Pietrantonio Donatella, L’Arminuta, cit., p. 100.

24 Ead., Borgo Sud, cit., p. 103.

25 Ibid., p. 99.

26 Ibid., p. 136.

27 Di Pietrantonio Donatella, Mia madre è un fiume, cit., p. 27.

28 Ibid., p. 171.

29 Ibid., p. 177.

30 Di Pietrantonio Donatella, Bella mia, cit., p. 100.

31 Ibid., p. 29.

32 Ibid., p. 182.

33 Cfr. l’intervista con Filippo La Porta, cit.

34 Di Pietrantonio Donatella, L’Arminuta, cit., p. 10.

35 Karagoz Claudia, “Of Mothers and Sisters”, cit., p. 55.

36 Di Pietrantonio Donatella, Borgo Sud, cit., p. 45.

37 Ibid., p. 118.

38 De Rogatis Tiziana, Elena Ferrante: Parole chiave, Roma, Edizioni e/o, 2018, p. 41.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Alberica Bazzoni , «Temporalità della perdita e strutture degli affetti nella narrativa di Donatella di Pietrantonio»Narrativa, 44 | 2022, 125-137.

Notizia bibliografica digitale

Alberica Bazzoni , «Temporalità della perdita e strutture degli affetti nella narrativa di Donatella di Pietrantonio»Narrativa [Online], 44 | 2022, online dal 01 décembre 2023, consultato il 07 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/narrativa/2409; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/narrativa.2409

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Autore

Alberica Bazzoni 

ICI Berlin Institute for Cultural Inquiry

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