Che fare? Narrazione dei margini e margini
di narrazione nella scrittura delle donne
Abstract
L’articolo intende indagare la ricezione europea di una domanda di tradizione russa, Che fare?, divenuta punto di riferimento tematico e stilistico per importanti autrici come Matilde Serao e Virginia Woolf. Dopo una disamina storico-teorica della narrativa dei/dai margini innescata dalla domanda “che fare?”, l’articolo si sofferma su alcune forme di scrittura ibrida dell’Italia contemporanea e in particolare sul libro di Geneviève Makaping, Traiettorie di sguardi. E se gli altri foste voi? (Rubbettino, 2001).
Indice
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Premessa. Una domanda politicamente connotata
- 1 Nancy Jean-Luc, Que faire?, Paris, Galilée, 2016, p. 63 [« se pose, s’impose »].
1Che fare? La domanda non è neutra. Se considerata al di fuori del contesto in cui è formulata, può presupporre senso d’impotenza, disperazione e, al tempo stesso, spinta alla ribellione. Oppure può lasciar intendere una richiesta di rigore morale e normativo in grado di dare vita a programmi di lotta, a ipotesi di azione più o meno concreta; di far fronte a un “fare” che non resti teoria ma trovi attuazione, che segni l’avvio di una fase di cambiamento effettivo o la creazione di un’utopia. Una domanda comune che “si pone, s’impone”1, che richiede la formulazione di un’azione e che innesca, al tempo stesso, narrative stilisticamente connotate. Come ha messo in luce Jean-Luc Nancy, nella risposta a questa domanda la dimensione “narrativa” e quella “agentiva” sono strettamente interconnesse:
- 2 Ibid.
Il ne peut y avoir de « traité » de la question que faire ? qu’à la condition qu’on diffère d’y répondre et on ne peut y répondre qu’à la condition de ne pas seulement articuler une réponse, mais de faire aussi quelque chose2.
- 3 Ibid., p. 75.
2Per comprendere cosa significhi tale affermazione occorre ricapitolare la storia di questa domanda, una domanda complessa che si muove dalla Russia per attraversare l’Europa, intrecciandosi saldamente al problema della marginalità. Se il Che fare? è il quesito che sottostà a larga parte della letteratura utopica di ogni tempo, esso muta radicalmente nel momento in cui diventa il soggetto stesso della trattazione, andando a toccare “au plus vif le nerf d’une époque”3, nella quale la questione sociale diviene il centro della narrazione. Non è un caso se questa domanda, dall’Ottocento in avanti, dà il titolo a molte opere incentrate sul problema della marginalità, perdendo i connotati fantastici tipici della letteratura utopica per ancorarsi saldamente alla realtà con intento programmatico.
- 4 Il romanzo fu pubblicato a puntate sulla rivista Sovremennik nel 1863 (numeri 3, 4 e 5), fu poi seq (...)
- 5 Al di là dell’ingenuità politica e dell’inefficacia a priori del progetto di Tolstoj, la critica è (...)
- 6 La prima traduzione italiana è del 1902 e circola sotto forma di opuscolo; sarà poi pubblicata a Ro (...)
3Che fare? è anzitutto il titolo di tre libri russi, interrelati, nei quali si dispiega il tentativo di definire una nuova forma di organizzazione sociale, che sappia arginare i problemi della miseria e della marginalità. Si tratta di tre libri stilisticamente molto diversi, il primo dei quali è un romanzo (Что делать? [Che fare?]), scritto dal rivoluzionario populista russo Nikolaj Gavrilovič Černyševskij tra il 1862 e il 1863, mentre è detenuto nella fortezza di Pietro e Paolo a Pietroburgo a causa dei suoi scritti ritenuti sovversivi4. Nelle pagine di Černyševskij si assiste allo sviluppo di un progetto sociale, imperniato sull’emancipazione femminile, l’uguaglianza tra i sessi, il cooperativismo e l’impegno etico per l’eliminazione del problema della miseria. Il titolo del romanzo è poi ripreso da Tolstoj nel 1886, in un saggio filosofico-politico intitolato Che fare, dunque? (Так что же нам делать?). Concepito in polemica con il romanzo di Černyševskij, giudicato troppo rivoluzionario nei temi e poco controllato nella forma, il saggio di Tolstoj costituisce un ulteriore tentativo di arginare il problema della marginalità e della povertà da parte della classe borghese, con interventi mirati e tuttavia politicamente ingenui5. Un’ulteriore risposta, questa volta in consonanza con il libro di Černyševskij, sarà formulata da Lenin nel suo pamphlet intitolato Che fare?. Problemi scottanti del nostro movimento6. Scritto tra il 1901 e il 1902, è uno dei suoi più importanti manifesti, nel quale è raccolto un vero e proprio piano di organizzazione di lotta per la Russia, alla base del futuro leninismo internazionale, al centro del quale è trattata la questione della libertà di pensiero, strettamente connessa all’emancipazione dalla condizione di marginalità.
- 7 Cito da Fiorani Eleonora, Leonetti Francesco, “Introduzione”, in Che fare?, Černyševskij Nikolaj Ga (...)
- 8 Utilizzo il termine riprendendolo dal saggio di de Lauretis Teresa, Sui generis. Scritti di teoria (...)
4In tutti questi libri la narrazione della marginalità è involta in dispositivi retorici e moraleggianti, che presuppongono uno sguardo esterno, dall’alto – potremmo dire in termini bakhtiniani. Nel romanzo di Černyševskij tale procedimento è particolarmente evidente dal momento che l’autore, che coincide con il narratore, si rivolge direttamente al pubblico di lettrici e lettori, chiedendo di non interpretare il testo ma di attenersi alla sua “veracità”7, portatrice di una precisa visione morale. L’unico punto di vista “eccentrico”8 rispetto al sistema sociale risulta essere interno alla narrazione stessa, ovvero quello della protagonista del romanzo di Černyševskij, Vera Pavlovna, la quale è al centro di un interessante caso di ricezione letteraria, sul quale mi soffermerò brevemente di seguito per spiegare come esso abbia influito sulle sperimentazioni narrative di molte autrici fino all’epoca più recente.
- 9 Le due critiche più note al Che fare? di Černyševskij furono mosse da Dostoevskij nelle Memorie del (...)
- 10 Cfr. in particolare il saggio, apertamente polemico nei confronti del libro di Černyševskij: Frank (...)
- 11 L’espressione si trova nella tesi di estetica di Černyševskij del 1855, cfr. Chernyshevsky Nikolay (...)
- 12 Figes Orlando, La danza di Nataša. Storia della cultura russa (XVIII-XX secolo), Torino, Einaudi, 2 (...)
5A questo proposito è necessario anzitutto fare i conti con una lettura distorta del libro, dovuta al carattere sovversivo del suo portato politico e che ancora oggi influenza la sua ricezione critica. Il Che fare? di Černyševskij è un libro controverso, la cui rilevanza letteraria è stata fin da subito ridimensionata9 mentre si tentava di tenerne a bada la diffusione eclatante10: conosciuto inizialmente tramite copie clandestine, concepito come un “manuel de vie”11, esso divenne “una bibbia per i rivoluzionari, compreso il giovane Lenin, il quale disse di averne avuto la vita completamente trasformata”12. Nel suo pamphlet, Lenin si ispira al personaggio di Rachmetov, che diventa modello per una generazione di rivoluzionari. Scrive a tal proposito lo storico Orlando Figes:
- 13 Figes Orlando, A people’s tragedy. The Russia Revolution, London, The Bodley Head, 2014, p. 130.
The most heroic of these positive heroes was Rakhmetev in Chernyshevsky’s dreadful novel What Is To Be Done? (1863). This monolithic titan, who was to serve as a model for a whole generation of revolutionaries (including Lenin), renounces all the pleasures of life in order to harden his superhuman will and make himself insensible to the human suffering which the coming revolution is bound to create. […]
Allowing the publication of Chernyshevsky’s novel was one of the biggest mistakes the tsarist censor ever made: for it converted more people to the cause of the revolution than all the works of Marx and Engels put together (Marx himself learned Russian in order to read it)13.
- 14 Tra gli studi più influenti in Europa e che riservano una scarsa attenzione al romanzo di Černyševs (...)
- 15 A proposito delle posizioni più critiche nei confronti del romanzo cfr. Frank Joseph, Through the R (...)
- 16 Un aspetto dell’ironia è dato dal fatto che, sebbene il personaggio di Rakhmetev sia interpretato d (...)
- 17 Cfr. Matich Olga, Erotic Utopia. The Decadent Imagination in Russia’s Fin-de-Siècle, Madison, WI, U (...)
6Leggendo il romanzo si rimane confusi circa il dileggio al quale il libro – definito comunemente “a dreadful novel” – è stato sottoposto fino ai giorni nostri14. In primo luogo Rachmetov, personaggio minore, appare in pochissime pagine e sembra essere trattato da Černyševskij con ironia, a dispetto di quanto sostenuto dalla critica15. L’autore infatti spinge fino al parossismo l’elogio nei confronti di un presunto asceta rivoluzionario, attraverso la descrizione di un supereroe che giunge morbosamente a costruirsi un letto di chiodi16, all’interno di un romanzo in cui la protagonista, la vera eroina rivoluzionaria, pratica l’amore libero e non necessariamente procreativo17. Il romanzo racconta infatti la storia del processo di emancipazione della protagonista, Vera Pavlovna, la quale cerca un modo per liberare le altre donne dal giogo dell’oppressione della famiglia patriarcale e per contrastare, al tempo stesso, il problema della miseria e della marginalità, attraverso una nuova organizzazione del lavoro. A questo scopo, Vera Pavlovna apre una sartoria interamente gestita da donne, dove lei non ricopre il ruolo di capo dispotico, ma svolge le funzioni di un’operaia, come le altre, collaborando alla crescita produttiva e culturale delle altre operaie e di se stessa. Pavlovna rappresenta un nuovo modello di società, concepito da una donna in una dimensione cooperativa e basato sull’equa redistribuzione dei profitti. Sebbene il ruolo della protagonista sia stato completamente trascurato dalla critica europea, esso ha invece percorso in maniera carsica la rivoluzione femminile, influenzando generazioni di lettrici e scrittrici future. È il caso, ad esempio, di Matilde Serao e Virginia Woolf, le quali inaugurano sperimentazioni narrative – probabilmente influenzate dalla domanda di Černyševskij e dal personaggio di Vera Pavlovna –, che avranno un influsso sulla scrittura delle donne fino ai giorni nostri.
Narrare i margini: Matilde Serao e Virginia Woolf
- 18 Serao Matilde, Il ventre di Napoli, Milano, F.lli Treves, 1884; Ead., Il ventre di Napoli (Nuove se (...)
- 19 Černyševskij Nikolay Gavrilovich, Che fare?, tr. it. di Federico Verdinois, Milano, F.lli Treves, 1 (...)
- 20 Verdinois dedica un breve ritratto letterario alla scrittrice, cfr. Verdinois Federico, Profili let (...)
- 21 Tolstoj Lev, Che fare?, Genova, Libreria moderna, 1902.
- 22 Cito da Figes Orlando, La danza di Nataša. Storia della cultura russa (XVIII-XX secolo), Torino, Ei (...)
- 23 Il discorso sulla povertà nell’opera di Černyševskij non è ancora stato debitamente affrontato, sep (...)
- 24 La giornalista e attivista Marguerite Durand, fondatrice del quotidiano La Fronde, invita a collabo (...)
- 25 Belova Maria, “The Circulation and Critical Reception of Matilde Serao’s Writings in Russia”, in Ma (...)
7È il 1906 quando Matilde Serao dà alle stampe, a distanza di vent’anni dalla prima edizione, una nuova versione ampliata del Ventre di Napoli18, reportage-inchiesta dall’acceso tono di denuncia che racconta le condizioni di miseria della città partenopea. Uno dei capitoli della nuova sezione – resoconto critico a distanza di due decenni dall’inefficace legge di risanamento promulgata nel 1884 dal presidente del Consiglio Antonio De Pretis – è intitolato proprio Che fare?. In quello stesso anno, nel 1906, era uscita la prima edizione italiana del romanzo di Černyševskij19. La traduzione è di Federigo Verdinois, giornalista e traduttore napoletano, direttore del Corriere del mattino, con il quale Serao collabora20. È soltanto un caso se Serao inserisce nella seconda edizione del libro un capitolo intitolato Che fare?, proprio negli anni in cui Verdinois traduce il romanzo di Černyševskij e mentre circola nell’entourage culturale italiano il Che fare? di Tolstoj, tradotto nel 1902?21 Leggendo l’edizione del 1906 del libro di Serao, accanto al romanzo di Černyševskij e al libro di Tolstoj, è possibile ipotizzare che la scrittrice abbia ritrovato nelle pagine di entrambi “il progetto di una nuova società”22, che si poneva come obiettivo primario l’abolizione della miseria e della marginalità23 e affrontava dunque la scrittura delle sue pagine sulla povertà di Napoli con lo stesso spirito progettuale. Nell’edizione ampliata del Ventre di Napoli, alla denuncia si affianca il tentativo di ripensamento delle politiche assistenziali e abitative della città, in una forma narrativa ibrida che affonda certamente le sue radici nel modello giornalistico dell’inchiesta, mantenendo tuttavia i tratti stilistici della scrittura romanzesca. È una donna, dunque, a compiere un’operazione simile a quella compiuta da Vera Pavlovna, nel romanzo da cui Serao trae probabilmente ispirazione. A rafforzare l’ipotesi che Serao abbia letto la traduzione di Verdinois negli anni in cui stava lavorando alla nuova edizione del Ventre di Napoli è il fatto che proprio in quel periodo i suoi rapporti con la Russia, e in particolare con il femminismo russo, si erano intensificati. Come ha messo in luce Maria Belova in un recente studio, nell’autunno del 1900, durante l’Esposizione di Parigi, Matilde Serao incontra Marguerite Durand, insieme ad altre colleghe del giornale femminista La Fronde24, ed è intervistata dalla giornalista russa E.V. Fuks, corrispondente da Londra per uno dei più importanti giornali femministi della Russia di quegli anni, intitolato Zhensky Vestnik25. L’intervista, che uscirà soltanto nel 1907, raccoglie alcune posizioni in contraddizione con il presunto anti-femminismo della scrittrice, che lo stesso Verdinois aveva contribuito a diffondere, tracciando il profilo della scrittrice in alcune pagine pubblicate per la prima volta nel 1882. Così si chiude la nota di Verdinois su Serao:
- 26 Verdinois Federico, Profili letterari e ricordi giornalistici, cit., p. 189.
[Serao] Legge giornali, scrive romanzi, non parteggia per l’emancipazione, non va nei meetings, difende la monarchia dello Stato, dà un occhio alla cucina, scrive la nota della lavandaia e non si mangia le unghie26.
- 27 Belova Maria, The Circulation and Critical Reception of Matilde Serao’s Writings in Russia, cit., p (...)
8Non molti anni dopo, tuttavia, Serao siede a Parigi al tavolo con le femministe de La Fronde e risponde alle domande di una femminista russa, proprio prima di riprendere in mano la scrittura del Ventre di Napoli. Alla prima domanda di E.V. Fuks, concernente lo status delle donne in Italia, Serao fa riferimento all’“educazione paralizzante”27 delle ragazze italiane:
- 28 Ibid. (si tratta della traduzione inglese del testo russo). Come ha messo in luce Belova, la prima (...)
In Italy, one can say that the woman question does not exist. Women are content with their destiny there. Brought up exclusively for marriage, they start to prepare for a life of domesticity from a tender age. And, in general, happy to be spouses, they devote themselves body and soul to their husband and children. This is the result of a centuries-long atavism. There would be no need to criticise such an upbringing if it did not deprive them of any kind of initiative, any desire for learning outside of the home and kitchen. This system produces excellent mothers, loving and docile, but boring wives with little culture28.
- 29 Černyševskij Nikolay Gavrilovich, Que faire ?, Lodi, Soc. tip. P. Vitali, 1875. A proposito della d (...)
9Considerando l’attenzione che il movimento femminista russo aveva rivolto al romanzo di Černyševskij, facendosi da tramite anche per la sua diffusione in Occidente grazie alla rete transnazionale del femminismo, non è difficile ipotizzare che Serao sia tra le prime lettrici italiane del romanzo; potrebbe averlo letto, ancor prima che nella traduzione italiana del collega e amico Verdinois, nella precoce traduzione francese del romanzo, curiosamente stampata nel 1875 da un tipografo italiano mentre in Russia circolava ancora tramite copie clandestine29. Certo è che la scrittura di Serao sembra risentire dello stesso piglio programmatico che caratterizza l’operato di Vera Pavlovna nel romanzo. Così scrive, infatti, Serao nel capitolo intitolato Che fare?, esplicitando la sua volontà di un impegno fattivo:
- 30 Cito da Serao Matilde, Il ventre di Napoli, edizione integrale a cura di Patricia Bianchi, con uno (...)
Ma si permetta a un’anima solitaria e ardente di passione, pel suo paese, come è la mia, di chiedere una parte di tutto questo, una povera, piccola parte per migliorare le condizioni igieniche e morali del popolo napoletano. [...] Tutto deve esser fatto con modeste ma tenaci idee di bene, con semplici ma ostinati rimedii, con umili ma costanti intenzioni di giovare. Bando alla rettorica sociale, bando alla rettorica industriale, bando alla rettorica amministrativa, quella che viene dal Comune, la peggior rettorica perché guasta quanto di pratico, di utile, di buono si potrebbe fare, dagli edili nostri. Perché dunque non si obbligano la società dei nuovi quartieri al Vasto, all’Arenaccia, al Quartiere Orientale, di ridurre al minimo possibile le pigioni, in modo che le case fatte pel popolo siano abitate proprio da esso e non dalla piccola borghesia, in modo che ogni stanza non costi più di nove o dieci lire e non vi possano per regolamento stare più di due o tre persone, quando vi sono bimbi? Si tenti questo!30
- 31 Ibid., p. 51
10Se nella prima parte, pubblicata nel 1884, Serao descrive le condizioni di miseria della città di Napoli e di chi la abita, nella seconda parte del libro, in risposta alla domanda Che fare?, dispensa una serie di proposte di azione, consigli pratici e considerazioni morali. Dalla prospettiva privilegiata della sua condizione sociale, Serao cerca di smascherare le false retoriche politiche, richiamandosi alla necessità di una maggior veridicità, data dalla pratica di osservazione delle realtà marginalizzate. La prosa di Serao risente di questo nuovo modo di narrare e dal quale risulta una forma di scrittura ibrida, estremamente razionale, che adotta gli stilemi della cronaca, il linguaggio di incitamento tipico del manifesto, pur mantenendo lo stile del racconto in prima persona, sovrapponendo la dimensione “agentiva” a quella “narrativa”. Il suo pensiero è rivolto al popolo in miseria e, in particolar modo, alle donne, “lavandaie, pettinatrici, stiratrici a giornata, venditrici di spassatiempo, rimpagliatrici di seggiole (mpagliaseggie)” e alla loro povertà, ai loro “mestieri che le espongono a tutte le intemperie, a tutti gli accidenti, a una quantità di malattie, mestieri pesanti o nauseanti, [e che] non fanno guadagnare a quelle disgraziate più di dieci soldi, quindici soldi al giorno”31.
- 32 Černyševskij Nikolay Gavrilovich, Che fare?, cit., p. 56.
11Il nesso tra la condizione femminile e quella della povertà, la cui presenza nell’opera di Serao è certamente rivoluzionaria per quei tempi, è ben evidente anche nel romanzo di Černyševskij, mentre è assente nel saggio di Tolstoj. Si veda ad esempio questo passo in cui Vera Pavlovna, in dialogo con il personaggio di Lopuchov esplicita la connessione tra le due condizioni e annuncia il “piano dell’avvenire”32 che sarà elaborato nelle pagine seguenti e sarà portato avanti dalla “fidanzata” di Lopuchov, la quale altro non è che Vera Pavlovna stessa:
- 33 Ibid., pp. 60-61. L’esclamazione “Ah! perché non nacqui uomo!” è significativamente invertita nel t (...)
“‘Ah, quanto pagherei per essere uomo!’ Non c’è donna al mondo che non lo pensi e non lo dica. E badate che se il desiderio fosse appagato, addio donne!”
“È giusto”, rispose Vera sorridendo.
“Allo stesso modo che la razza dei poveri scomparirebbe, se fosse appagato il desiderio di ciascun povero. Vedete dunque che poveri e donne sono ugualmente degni di pietà. A chi può piacere vedere i poveri? Ecco perché a me dispiace vedere le donne, da che conobbi il loro segreto. E questo mi fu svelato dalla mia gelosa amica, il giorno stesso in cui ci fidanzammo. Prima, amavo molto la compagnia delle donne, da quel giorno son guarito”.
“Una ragazza di cuore e d’ingegno la vostra fidanzata! Sì, povere creature siamo noi!… E chi è, se è lecito la vostra fidanzata?”
“Questo non ve lo dirò... Per me, d’accordo coi poveri, vorrei che la povertà scomparisse: e la cosa accadrà. Prima o dopo, organizzeremo in tal modo la vita, che di poveri non ce ne sarà neppur uno…”
“No? Così ho sempre pensato anch’io,” disse Vera, “ma il modo non m’è riuscito di scoprirlo. Sentiamo, sentiamo.”
“A me solo non mi riesce dirvelo. Se fosse qui la mia fidanzata, vi spiegherebbe lei. Per conto mio, vi dirò che appunto lei se ne occupa, e che è forte, più forte di ogni altro essere al mondo. Ma noi si parlava delle donne. Quanto ai poveri, son contento che spariscano, visto che ciò sarà fatto dalla mia sposa. Quanto alle donne, no, perché la cosa è impossibile; e con l’impossibile io mi rassegno. Ma un altro desiderio ho io; ed è che le donne facciano amicizia con la mia sposa, la quale prenderebbe a cuore la loro sorte, come appunto quella dei poveri. In tal caso, io non avrei più motivo di compatirle e nessuna donna sospirerebbe più: ‘Ah! perché non nacqui uomo!’”.33
- 34 Cito da Woolf Virginia, Una stanza tutta per sé, tr. it. di Livio Bacchi Wilcock e J. Rodolfo Wilco (...)
- 35 Ibid., p. 38.
12Anche il saggio femminista di Virginia Woolf Una stanza tutta per sé (1929) prende le mosse dalla presa di coscienza della relazione stringente tra la condizione femminile e la questione della povertà, dalla consapevolezza della “riprovevole povertà del nostro sesso”34; una povertà non soltanto esperita negli anni del dopoguerra anche dalle donne di più agiata condizione sociale e osservata per le strade della città, ma alla quale le donne sembrano essere destinate secondo il modello impositivo del “regime patriarcale”35 che governa la società:
- 36 Ibid., pp. 32-33.
Così ritornai alla mia locanda, e mentre percorrevo le strade buie pensavo a questo e a quello, come si è soliti fare alla fine di una giornata di lavoro. Mi domandavo perché la signora Seton non aveva potuto lasciarci un soldo; e qual era l’effetto della povertà sulla mente; e quale l’effetto della ricchezza sulla mente; e pensavo a quegli strani vecchi signori che avevo visto al mattino, con le pelliccette sulle spalle; e ricordavo che c’era uno di loro il quale scappava non appena sentiva fischiare; e pensavo a rombo dell’organo nella cappella e alle porte chiuse della biblioteca; e pensavo com’è spiacevole rimanere chiusi fuori; e poi quanto deve essere peggio rimanere chiusi dentro; e pensando alla sicurezza e alla prosperità di uno dei sessi, e alla povertà e all’insicurezza dell’altro, e all’effetto della tradizione e della mancanza di tradizione sulla mente dello scrittore, decisi infine che era giunto il momento di arrotolare la sgualcita pergamena del giorno, con le sue discussioni, le sue impressioni, la sua collera e la sua gioia, e buttarla dietro una siepe36.
- 37 Olga Matich, in una nota del saggio intitolato Erotic utopia, suggerisce una vicinanza d’intenti tr (...)
- 38 La prima traduzione inglese del romanzo di Černyševskij appare nel 1886 a New York, nella traduzion (...)
- 39 Sulle connessioni tra Constance Garnett e la cerchia di intellettuali e politici russi, cfr. Daviso (...)
- 40 Sull’influenza del romanzo di Černyševskij su alcuni racconti di Mansfield (come ad esempio A Dill (...)
13È possibile affermare, come ha suggerito la studiosa Olga Matich37, che il saggio di Woolf sia direttamente ispirato al romanzo di Černyševskij, probabilmente letto da Woolf grazie all’intermediazione di Constance Garnett, una delle più importanti traduttrici inglesi di letteratura russa, frequentatrice del Bloomsbury Group38. Garnett lavora infatti in stretto contatto con Sergey e Fanny Stepniak, socialisti radicali e anch’essi frequentatori del Bloomsbury Group, attenti lettori e divulgatori del Che fare? di Černyševskij39. L’influenza di questo romanzo su Virginia Woolf e altre scrittrici, come ad esempio Katherine Mansfield, passa proprio dalla mediazione e dal rapporto stretto con Constance Garnett40.
- 41 Woolf Virginia, Una stanza tutta per sé, cit., p. 11.
- 42 Černyševskij Nikolay Gavrilovich, Che fare?, cit., p. 89.
14Spiegando l’importanza dell’emancipazione – sociale ed economica – delle donne e la creazione di uno spazio personale per loro, Woolf scrive: “Una donna, se vuole scrivere romanzi, deve avere soldi e una stanza per sé, una stanza propria”41. E Vera stessa, perseguendo il suo sogno di una società basata sull’uguaglianza tra i sessi e l’abolizione della povertà, afferma: “Il denaro, voi dite, è la base di tutto. Chi ha danaro, ha il potere. Una donna, dunque, che vive alle spalle di un uomo non è che la schiava di lui”42. Ed esplicita il suo desiderio di poter avere una propria stanza personale, per vivere la propria indipendenza:
- 43 Ibid., p. 91.
Sta ora bene attento: ecco come vivremo […] Prima di tutto, avremo due camere, la tua e la mia; in una terza camera, faremo colazione, pranzeremo, riceveremo gli amici comuni. In secondo luogo, io non entrerò in camera tua, per non seccarti, proprio come fa Kirsanov; per questo è che non vi siete mai bisticciati… E tu nemmeno entrerai nella mia43.
- 44 Si veda ad esempio un altro caso interessante – oltre a quello già menzionato di Katherine Mansfiel (...)
- 45 Sia nel libro di Serao, sia nel saggio di Woolf si nota una crescente insistenza sull’io che si muo (...)
15Woolf teorizza ciò che il personaggio di Vera Pavlovna aveva suggerito. E, al pari di Serao, lo fa attraverso una scrittura ibrida: scrive un saggio-manifesto, utilizzando un linguaggio che richiama lo stile narrativo del romanzo autobiografico, pur distaccandosene. È impossibile ora dare conto del repertorio critico-testuale che dimostra la circolazione europea del romanzo tra le donne44, tuttavia, i testi di Woolf e Serao permettono di capire come le donne abbiano contribuito a ripensare la società da una prospettiva innovativa, con l’obiettivo di ridefinire l’agency dei soggetti vulnerabili e marginali, in particolare di donne e poveri, attraverso la scrittura: una scrittura che scaturisce dalle prime pratiche di narrazione di sé e di osservazione della condizione delle donne marginalizzate45.
Forme ibride di narrazione dai margini: il caso di Geneviève Makaping
- 46 Nancy Jean-Luc, Que faire?, cit., p. 92.
- 47 Ibid., p. 75.
16Se è possibile considerare la letteratura come una di quelle sfere “où s’invalide d’emblée le partage entre être (ou penser) et faire”46, dove praxis e poiesis coincidono nella parola, proprio questo suo carattere peculiare permette di “vedere” meglio e distinguere più nettamente i momenti della storia in cui la letteratura ha cercato di spostarsi maggiormente verso la praxis. Di questo slittamento danno conto appunto i libri di Serao e Woolf, nei quali prende vigore “le sentiment d’une necessité urgente du faire”47 e parallelamente di un mutamento nella percezione della questione femminile. Di fronte alla domanda “che fare?” molte scrittrici elaborano una lingua capace di esprimere l’intenzionalità del fare, un tono da “trattato”, una narrazione specifica di carattere programmatico che racchiuda la visionarietà del progetto, dell’oggetto e di un effetto.
- 48 Un caso peculiare è quello della scrittrice e drammaturga canadese Mavis Gallant, a lungo vissuta a (...)
- 49 Paperno Irina, Chernyshevsky and the age of realism, cit., p. 4.
- 50 Mickenberg Julia L., “Suffragettes and Soviets: American Feminists and the Specter of Revolutionary (...)
- 51 Noto che nel bel saggio di Daniela Brogi, uscito di recente, un paragrafo è significativamente inti (...)
17Sebbene sia difficile tracciare sistematicamente la ricezione diretta in anni recenti del romanzo di Černyševskij48, è però possibile comprendere le ragioni della sopravvivenza di questa domanda nel contesto femminista fino agli anni più recenti. Se, come ha messo in luce Irina Paperno, il libro di Černyševskij “has had the greatest impact on human lives in the history of Russian literature”49, esso si è diffuso anche in Occidente grazie alla rete transnazionale del femminismo e al processo migratorio50. Nell’ambito più strettamente letterario, invece, la ricezione contemporanea della domanda “che fare?” è mediata da autrici come Virginia Woolf o Matilde Serao, le cui opere qui menzionate costituiscono un punto di riferimento teorico e stilistico sui temi della marginalità e del femminismo51. Si mantiene in effetti viva la memoria di questi due modelli di scrittura, capaci di forgiare una narrazione innanzitutto identitaria, scaturita da processi di scrittura del sé e di autocoscienza, con l’obiettivo di “organizzare” possibili vie d’uscita da quei margini che divengono l’oggetto stesso della narrazione.
18Occorre tuttavia riconoscere che nel caso di Woolf e Serao, così come dei loro antecedenti russi, la risposta al Che fare? e il tentativo di abolire la marginalità provenivano dalla prospettiva agiata del milieu borghese. Con il processo di decolonizzazione e fino ai giorni nostri, il tentativo di riconsiderare la marginalità proviene invece dai margini stessi. Proprio al saggio di Virginia Woolf, A Room of One’s Own, fa riferimento la scrittrice Gloria Anzaldúa, cittadina texana originaria del Messico e esponente del cosiddetto femminismo “chicano”, termine che indica l’identità della popolazione di origine messicana residente negli USA. Anzaldúa si ispira al lavoro di Woolf e ne prende tuttavia le distanze, come ha messo in luce in un suo scritto del 1979 intitolato Speaking in Tongues: A Letter to Third World Women Writers:
- 52 Anzaldúa Gloria, Speaking in Tongues: A Letter to Third World Women Writers [1979], in The Gloria (...)
Forget the room of one’s own-write in the kitchen, lock yourself up in the bathroom. Write on the bus or the welfare line, on the job or during meals, between sleeping or waking. I write while sitting on the john. No long stretches at the typewriter unless you’re wealthy or have a patron—you may not even own a typewriter. While you wash the floor or clothes listen to the words chanting in your body. When you’re depressed, angry, hurt, when compassion and love possess you. When you cannot help but write52.
- 53 Questo libro è direttamente ispirato alla celebre affermazione di Virginia Woolf tratta da Three Gu (...)
- 54 Come ha messo in luce la sociologa Rachele Borghi, il termine “fortemente impregnato di neoliberism (...)
- 55 Ibid., introduzione: #Note a(l) margine.
19Il suo libro più noto, nel quale Anzaldúa mette in pratica le istanze riassunte nella Letter to Third World Women Writers sopra menzionata, si intitola Borderlands/La Frontera: The New Mestiza (1987)53 ed è uno scritto semi-autobiografico, a metà strada tra l’esercizio di autocoscienza e quello programmatico. Il libro di Anzaldúa testimonia che i margini della narrazione cambiano quando muta la concezione stessa del margine nell’ambito del pensiero femminista. Una volta avvenuta la presa di coscienza del proprio posizionamento nel mondo, il racconto della condizione di marginalità non può più essere fatto da un osservatore esterno ma deve provenire dai margini stessi. Choosing the Margin as a Space of Radical Openness, così si intitola uno scritto di bell hooks, che ha avuto larga diffusione tra i movimenti femministi dagli anni ’80 fino ai nostri giorni. La sua lettura del margine come spazio di resistenza e luogo radicale di possibilità offre una visione “impoterante”54: nell’ottica di hooks il margine non deve più essere inteso come spazio di sottomissione, bensì come luogo di creazione. Come ha notato la sociologa Rachele Borghi, “questa inversione del punto di vista permetteva di pensare il margine come uno spazio da abitare, in cui trovare il proprio posto, dove restare e non solo come spazio di transito nell’attesa di raggiungere il centro”55.
20Un caso interessante di sperimentazione nella narrativa italiana degli anni Duemila è influenzato proprio dal pensiero sui margini di bell hooks. Si tratta di un libro stilisticamente peculiare di Geneviève Makaping, scrittrice e antropologa nata in Camerun nel 1958, la quale vive in Calabria dal 1988. Il titolo Traiettorie di sguardi, improntato al linguaggio saggistico, trova la sua prima ibridazione nel sottotitolo E se gli altri foste voi? L’introduzione della politica e sociologa Laura Balbo dà immediatamente conto di quello spostamento verso la praxis finora osservato nelle forme di narrativa ibrida che mettono al centro la domanda “che fare?” e la questione dell’agency del soggetto vulnerabile e marginale:
- 56 Balbo Laura, “Introduzione” a Makaping Geneviève, Traiettorie di sguardi. E se gli altri foste voi?(...)
Questo è un libro con cui si fa un “pezzo di lavoro”.
Provo a spiegare il senso di questa frase con la quale – evidentemente avendoci riflettuto – comincio questa breve presentazione.
Molti libri si leggono, con alcuni si lavora: ci si ragiona su, ci si ferma, si rileggono passaggi. Certe persone sottolineano le frasi che trovano importanti […]. Si utilizzano per la propria riflessione e scrittura: in qualche caso, sono libri che ci segnano56.
- 57 La connessione fra le due dimensioni è messa infatti in luce dalla citazione in exergo di un saggio (...)
- 58 Makaping Geneviève, Traiettorie di sguardi, cit., p. 137.
21Makaping elabora a tutti gli effetti una narrazione de-genere, capace di ibridare i generi. Il “viaggio antropologico”, di cui Makaping parla nell’introduzione, prende i tratti del racconto letterario57 e del “diario non molto intimo”58. Aspetto peculiare è che il procedimento di ibridazione è svelato direttamente dall’autrice già nell’incipit:
- 59 Ibid., pp. 7-8.
– “Voglio sposarti, è da quando sono qui che ti sto osservando, mi piaci molto.”
Da oltre un mese Marcel alloggiava nell’albergo di Père Takala, Hôtel des Palmiers. Era con un suo amico. Provenivano da un altro paese africano, il Gabon – dissero. Marcel mi aveva guardata a lungo. Tra la mia gente, l’osservazione non è così diretta, specialmente quando si tratta di chiedere una donna in matrimonio. Sono i genitori, i parenti più stretti o gli amici fidati che osservano per conto dell’interessato.
Mai avrei pensato che l’osservazione sarebbe ritornata nella mia vita con così forte impatto, che avrei fatto un mestiere dove l’osservazione fosse fondamentale. Mai avrei pensato che l’osservazione sarebbe ritornata nella mia vita con così forte impatto, che avrei fatto un mestiere dove l’osservazione fosse fondamentale. Solo molti anni dopo il mio arrivo in Occidente avrei scoperto che degli scienziati fondavano le loro ricerche sull’osservazione.59
- 60 Nel saggio sopra menzionato, Decolonialità e privilegio, Rachele Borghi evidenzia a più riprese l’i (...)
- 61 Cfr. Makaping Geneviève, Traiettorie di sguardi, cit., p. 52: “Ebbene dall’incontro con le donne bi (...)
- 62 Il rapporto tra scrittura letteraria e scrittura sociologica è stato ben indagato in Immaginazione (...)
- 63 Faccio riferimento al saggio teorico di Russo Cardona Tommaso, Le peripezie dell’ironia. Sull’arte (...)
22La narrazione, come esplicitato, scaturisce dal processo di osservazione, con l’intento di invertire lo sguardo consueto: l’autrice sceglie di non svolgere il ruolo dell’osservata, come spesso accade agli individui che occupano lo spazio della marginalità (siano essi classificati come “stranieri”, “forestieri”, “poveri”, “diversi”), bensì quello dell’osservatrice. Makaping mette le sue competenze e gli strumenti metodologici propri dell’antropologia a servizio della narrazione letteraria. Sebbene la rilevanza di questo lavoro sia stata ben messa in luce nell’ambito degli studi sociologici, il libro di Makaping non è abbastanza noto nell’ambito letterario60. Si presenta come il racconto autobiografico di un io che veste i panni dell’osservatrice etnografica, per osservare i bianchi con i quali è venuta in contatto nell’arco della sua esistenza, raccogliendo una serie di aneddoti che danno conto del razzismo subìto in Occidente. L’ambivalenza tra discorso scientifico-antropologico e narrativo-biografico costituisce la forza di questo lavoro che fonde la pratica dell’autocoscienza di matrice femminista61, alle modalità narrative proprie dell’antropologia e del discorso sociologico62, alla narrazione di viaggio, al racconto didascalico-morale, alla raccolta aneddotica di episodi quotidiani di razzismo, trattati con sarcasmo, e tramite quell’arte del rovesciamento discorsivo63 che connota tanta parte delle narrative decoloniali.
- 64 Makaping Geneviève, Traiettorie di sguardi, cit., p. 37. Cfr. anche Sabelli Sonia, “Quando la subal (...)
23Cosa c’entra il Che fare? da cui abbiamo iniziato con tutto questo? Certamente non parliamo di ricezione diretta del romanzo di Černyševskij nel caso di Makaping, bensì di ricezione di una modalità d’espressione. Poiesis e praxis sono davvero fusi insieme nella narrazione di Makaping e la domanda “che fare?” risulta essere essenziale nella sua ricerca narrativa. Davanti a tale domanda, sembra esserci una risposta principale, ovvero narrare se stesse/i, come aveva suggerito di fare Anzaldúa nella sua critica a Woolf: “La parola prima a me stessa: adesso parlo io”64, scrive Makaping. E facendolo, offre ancora nuovi margini di narrazione alla narrazione dei margini. La domanda che fare?, dunque, non innesca più soltanto uno sguardo esterno e programmatico sui margini e sulla loro esistenza, com’è stato nel corso del Novecento, ma determina un punto di osservazione che proviene dai margini stessi, capace di forgiare un linguaggio e uno stile narrativo attivo, proprio della lotta, come esplicita Makaping, citando bell hooks:
- 65 Ibid., p. 42.
In quale lingua devo parlare a loro? Sono loro in grado di capire la mia lingua? La lingua di chi non ha potere? La lingua della sofferenza e degli stenti? Insomma, come fa il margine a parlare al centro, se già il dialogo non è scontato fra quelli che stanno al margine? Mi viene in mente un’affermazione della scrittrice africana-americana bell hooks: “Noi siamo uniti nella lingua, viviamo nelle parole. Avrei il coraggio di parlare all’oppresso e all’oppressore con la stessa voce? Avrei il coraggio di parlare a voi con un linguaggio che scavalchi i confini del dominio – un linguaggio che non vi costringa, che non vi vincoli, che non vi tenga in pugno? Il linguaggio è anche un luogo di lotta. Gli oppressi lottano con la lingua per riprendere possesso di se stessi, per riconoscersi, per riunirsi, per ricominciare. Le nostre parole significano, sono azione, resistenza. Il linguaggio è anche un luogo di lotta”65.
24Makaping risponde dunque al “che fare?” con altre domande generative, capaci di dare avvio a una nuova riflessione politico-civile e di contribuire, al tempo stesso, a una ulteriore metamorfosi estetico-letteraria nella rappresentazione del margine.
- 66 Nancy Jean-Luc, Que faire?, cit., p. 65.
25La traiettoria tracciata in queste pagine, dalla Russia fino all’Italia contemporanea, non è certo esaustiva, ma costituisce il terreno germinale di un lavoro di ricognizione sulla storia – tutta ancora da raccontare, come ha scritto Nancy66 – della domanda “che fare?”, una domanda essenziale che percorre in maniera carsica la letteratura europea socialmente impegnata e che interseca continuamente la scrittura delle donne dall’Ottocento ai nostri giorni.
Note
1 Nancy Jean-Luc, Que faire?, Paris, Galilée, 2016, p. 63 [« se pose, s’impose »].
2 Ibid.
3 Ibid., p. 75.
4 Il romanzo fu pubblicato a puntate sulla rivista Sovremennik nel 1863 (numeri 3, 4 e 5), fu poi sequestrato e diffuso tramite copie clandestine. Fu pubblicato integralmente solo nel 1905.
5 Al di là dell’ingenuità politica e dell’inefficacia a priori del progetto di Tolstoj, la critica è stata sempre concorde nel riconoscere a Tolstoj il merito di essersi interessato di un tema come quello della miseria, considerato scomodo per la classe borghese di cui anch’egli era parte. Si veda ad esempio la ricezione da parte di Antonio Banfi del libro di Tolstoj (studiata da Gisondi Marcello, Una fede filosofica. Antonio Banfi negli anni della sua formazione, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, 2015) oppure il recente contributo di Nuccio Ordine, che pone l’accento sul valore morale del saggio di Tolstoj: Ordine Nuccio, Il Che fare dunque? di Tolstoj: “porsi al servizio del prossimo e dell’utilità collettiva dell’umanità”, in Id., Gli uomini non sono isole. I classici ci aiutano a vivere, Roma, La nave di Teseo, 2018.
6 La prima traduzione italiana è del 1902 e circola sotto forma di opuscolo; sarà poi pubblicata a Roma in forma di libro dalla Società editrice l’Unità nel 1944.
7 Cito da Fiorani Eleonora, Leonetti Francesco, “Introduzione”, in Che fare?, Černyševskij Nikolaj Gavrilovič, tr. it. di Federico Verdinois, Milano, Garzanti, 2016, p. 12.
8 Utilizzo il termine riprendendolo dal saggio di de Lauretis Teresa, Sui generis. Scritti di teoria femminista, Milano, Feltrinelli, 1996, p. 162.
9 Le due critiche più note al Che fare? di Černyševskij furono mosse da Dostoevskij nelle Memorie del sottosuolo (1864) e successivamente da Nabokov ne Il dono (1938). Sulla ricezione russa del romanzo cfr. Paperno Irina, Chernyshevsky and the age of realism: a study in the semiotics of behavior, Stanford, Stanford University Press, 1988 e Werner Sonia A., “The Reality Effect and the Real Effects of Chernyshevsky’s’What is to be done?’”, in Novel. A Forum on Fiction, 47, 3, 2014, pp. 422-442. Tra i primi a considerare il libro in Italia c’è Prezzolini, il quale lo giudica “un assai mediocre romanzo” (Prezzolini Giuseppe, “Che fare?”, in La Voce, 23 giugno, II, 28, 1910, p. 1).
10 Cfr. in particolare il saggio, apertamente polemico nei confronti del libro di Černyševskij: Frank Joseph, Through the Russian Prism: Essays on Literature and Culture, Princeton, Princeton University Press, 1990, pp. 187-200 (p. 187: “Yet no work in modern literature, with the possible exception of Uncle Tom’s Cabin, can compete with What Is To Be Done? in its effects on human lives and its power to make history. For Chernyshevsky’s novel, far more than Marx’s Capital, supplied the emotional dynamic that eventually went to make the Russian Revolution”).
11 L’espressione si trova nella tesi di estetica di Černyševskij del 1855, cfr. Chernyshevsky Nikolay Gavrilovich, The Aesthetic Relation of Art to Reality [1855], in Id., Selected Philosophical Essays, Moscow, Foreign Languages Publishing House, 1953, p. 379.
12 Figes Orlando, La danza di Nataša. Storia della cultura russa (XVIII-XX secolo), Torino, Einaudi, 2004, p. 192. Scrivono, inoltre, Eleonora Fiorani e Francesco Leonetti a proposito del libro: “È stato definito da Kropotkin ‘breviario di ogni giovane russo’; riferisce Plekanov che ‘nessun romanzo, nessuno scritto, da quando esiste una tipografia in Russia, ebbe mai il successo del romanzo di Černyševskij’; la Krupskaia, di cui le memorie serbano spesso impressioni e idee sulle letture del grande rivoluzionario che fu suo compagno, dice che ‘nessuno, forse, fu tanto amato da Lenin quanto Černyševskij’” (Fiorani Eleonora, Leonetti Francesco, “Introduzione”, in Che fare?, Černyševskij Nikolay Gavrilovich, cit., p. XV).
13 Figes Orlando, A people’s tragedy. The Russia Revolution, London, The Bodley Head, 2014, p. 130.
14 Tra gli studi più influenti in Europa e che riservano una scarsa attenzione al romanzo di Černyševskij, c’è il saggio di Franco Venturi sul populismo russo (Venturi Franco, Il populismo russo, Torino, Einaudi, 1952) e la sua ricezione inglese mediata da Isaiah Berlin (cfr. in particolare Venturi Franco, Roots of Revolution: A History of the Populist and Socialist Movements in Nineteenth Century Russia, introduction by Isaiah Berlin, London, Weidenfeld & Nicolson, 1960).
15 A proposito delle posizioni più critiche nei confronti del romanzo cfr. Frank Joseph, Through the Russian Prism, cit., pp. 195-196.
16 Un aspetto dell’ironia è dato dal fatto che, sebbene il personaggio di Rakhmetev sia interpretato dalla maggior parte della critica come un moderno asceta, egli si nutre soltanto di carne al sangue. Tale ipotesi circa l’ambivalenza ironica del personaggio di Rakhmetev è confermata dallo studio di Drozd Andrew M., Chernyshevskii’s What Is To Be Done? A Reevaluation, Evanston, Northwestern University Press, 2001, pp. 113-115.
17 Cfr. Matich Olga, Erotic Utopia. The Decadent Imagination in Russia’s Fin-de-Siècle, Madison, WI, University of Wisconsin Press, 2005, pp. 22-23.
18 Serao Matilde, Il ventre di Napoli, Milano, F.lli Treves, 1884; Ead., Il ventre di Napoli (Nuove sezioni: Venti anni fa; Adesso; L’anima di Napoli), Napoli, F. Perrella, 1906.
19 Černyševskij Nikolay Gavrilovich, Che fare?, tr. it. di Federico Verdinois, Milano, F.lli Treves, 1906 [1862-1863].
20 Verdinois dedica un breve ritratto letterario alla scrittrice, cfr. Verdinois Federico, Profili letterari napoletani, Napoli, A. Morano, 1881. Si veda anche la riedizione: Id., Profili letterari e ricordi giornalistici, a cura di Elena Craveri Croce, Firenze, Le Monnier, 1949, consultabile su: https://www.liberliber.it/online/autori/autori-v/federigo-verdinois/profili-letterari-e-ricordi-giornalistici/
21 Tolstoj Lev, Che fare?, Genova, Libreria moderna, 1902.
22 Cito da Figes Orlando, La danza di Nataša. Storia della cultura russa (XVIII-XX secolo), Torino, Einaudi, 2004, p. 192.
23 Il discorso sulla povertà nell’opera di Černyševskij non è ancora stato debitamente affrontato, seppur sia un argomento centrale. È la protagonista del romanzo, Vera Pavlovna, a immaginare un nuovo modello di società a partire dall’abolizione della miseria.
24 La giornalista e attivista Marguerite Durand, fondatrice del quotidiano La Fronde, invita a collaborare Véra Starkoff, attivista russa, la quale sceglie il proprio nome in onore di Vera Pavlovna ed è autrice di un ritratto biografico dell’autore che ama: Starkoff Véra, “Tchernychevsky”, in Portraits d’hier, 1er juin 1910, n. 30, p. 163. Cfr. Auffret Séverine, Vayrou Georges, “Une militante à (re)découvrir: Véra Starkoff (1867-1923)”, in Cahiers d’histoire. Revue d’histoire critique (Migrations et nation: le cas italien), 143, 2019. Disponibile qui: https://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/chrhc/12072
25 Belova Maria, “The Circulation and Critical Reception of Matilde Serao’s Writings in Russia”, in Matilde Serao. International Profile, Reception and Networks, a cura di Romani Gabriella, Fanning Ursula, Mitchell Katharine, Paris, Classiques Garnier, 2022, pp. 60-78 (p. 72).
26 Verdinois Federico, Profili letterari e ricordi giornalistici, cit., p. 189.
27 Belova Maria, The Circulation and Critical Reception of Matilde Serao’s Writings in Russia, cit., p. 73.
28 Ibid. (si tratta della traduzione inglese del testo russo). Come ha messo in luce Belova, la prima traduzione russa di un testo di Serao risale al 1885 ed è un racconto intitolato “Scuola normale femminile”, pubblicato sul giornale Russkaya Mysl, giudicato d’interesse per la capacità dell’autrice di ritrarre le donne, la cui rappresentazione spettava generalmente a scrittori uomini (ibid., p. 60).
29 Černyševskij Nikolay Gavrilovich, Que faire ?, Lodi, Soc. tip. P. Vitali, 1875. A proposito della diffusione transnazionale del romanzo nel contesto femminista, cfr. Mickenberg Julia L., “Suffragettes and Soviets: American Feminists and the Specter of Revolutionary Russia”, in The Journal of American History, vol. 100, n. 4, 2014, pp. 1021-1051. L’immigrazione ebbe un ruolo fondamentale, nel corso del Novecento, per la diffusione del romanzo di Černyševskij. Cfr. a tal proposito Cassedy Steven, “Chernyshevskii Goes West: How Jewish Immigration Helped Bring Russian Radicalism To America”, in Russian History, 21, m. 1, 1994, pp. 1-21.
30 Cito da Serao Matilde, Il ventre di Napoli, edizione integrale a cura di Patricia Bianchi, con uno scritto di Giuseppe Montesano, Roma, Avagliano editore, 2009, pp. 131-132.
31 Ibid., p. 51
32 Černyševskij Nikolay Gavrilovich, Che fare?, cit., p. 56.
33 Ibid., pp. 60-61. L’esclamazione “Ah! perché non nacqui uomo!” è significativamente invertita nel titolo di un’opera di Joyce Salvadori Lussu, L’uomo che voleva nascere donna. Diario femminista a proposito della guerra (1978), un’altra opera ibrida nella quale l’autrice tenta di rispondere al quesito “che fare?”, riguardante il problema della marginalizzazione della donna e il suo ruolo nella guerra: “Che fa una donna che si trova nell’occhio di una guerra terribile, organizzata e condotta dagli uomini, che ha bruciato tutti gli spazi del confronto civile e non lascia aperto che il confronto delle armi, nell’alternativa tra la complicità e la lotta, tra la schiavitù e la vita?”: Salvadori Lussu Joyce, L’uomo che voleva nascere donna. Diario femminista a proposito della guerra, a cura di Chiara Cretella, Camerano, Gwynplaine, 2012, p. 58. A proposito della questione della marginalità nell’opera di Lussu cfr. Sermini Sara, “Violence and Resistance: Joyce Lussu’s Minority Revolution in Trans-lation”, in European Review of History: Revue européenne d’histoire, vol. 25, 5, 2018, pp. 831-847.
34 Cito da Woolf Virginia, Una stanza tutta per sé, tr. it. di Livio Bacchi Wilcock e J. Rodolfo Wilcock, con uno scritto di Marisa Bulgheroni, Milano, SE, 1991, p. 29.
35 Ibid., p. 38.
36 Ibid., pp. 32-33.
37 Olga Matich, in una nota del saggio intitolato Erotic utopia, suggerisce una vicinanza d’intenti tra il libro di Woolf e “la stanza tutta per sé” di Vera Pavlovna. Cfr. Matich Olga, Erotic utopia, cit., p. 305.
38 La prima traduzione inglese del romanzo di Černyševskij appare nel 1886 a New York, nella traduzione di Benjamin Ricketson Tucker; Constance Garnett traduce le Memorie dal sottosuolo di Dosteovskij nel 1918, e conosce dunque necessariamente il romanzo di Černyševskij, contestato da Dostoevskij (sul rapporto di Woolf con la cultura russa e in particolare con Memorie dal sottosuolo, cfr. Rubenstein Roberta, Virginia Woolf and the Russian point of view, New York, Palgrave Macmillan, 2009, pp. 19-58).
39 Sulle connessioni tra Constance Garnett e la cerchia di intellettuali e politici russi, cfr. Davison Claire, Translation as Collaboration: Virginia Woolf, Katherine Mansfield and S. S. Koteliansky, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2014, p. 19.
40 Sull’influenza del romanzo di Černyševskij su alcuni racconti di Mansfield (come ad esempio A Dill Pickle), nonché sull’intermediazione di Constance Garnett nella ricezione del romanzo, cfr. Diment Galia, Kimber Gerri, Martin Todd (a cura di), Katherine Mansfield and Russia, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2017, pp. 107-120.
41 Woolf Virginia, Una stanza tutta per sé, cit., p. 11.
42 Černyševskij Nikolay Gavrilovich, Che fare?, cit., p. 89.
43 Ibid., p. 91.
44 Si veda ad esempio un altro caso interessante – oltre a quello già menzionato di Katherine Mansfield – ricostruibile attraverso la corrispondenza tra Lili Brik e Elsa Triolet, che testimonia la condivisione di un forte interesse per l’intera opera di Černyševskij e l’influsso contenutistico e stilistico del Che fare? in particolare sull’opera Le grand jamais di Elsa Triolet (1965): Brik Lili, Triolet Elsa, Correspondance. 1921-1970, préface et notes de León Robel, Paris, Gallimard, 2000, p. 1244.
45 Sia nel libro di Serao, sia nel saggio di Woolf si nota una crescente insistenza sull’io che si muove nel mondo e osserva o che si osserva riflettere e racconta il “processo mentale” della sua riflessione (in particolare nel caso di Woolf).
46 Nancy Jean-Luc, Que faire?, cit., p. 92.
47 Ibid., p. 75.
48 Un caso peculiare è quello della scrittrice e drammaturga canadese Mavis Gallant, a lungo vissuta a Parigi. Nel 1982 mette in scena presso il Tarragon Theatre di Toronto, una commedia ambientata nel 1942, nel pieno della guerra contro il fascismo, e intitolata What is to be done?. Protagoniste della pièce sono due donne, le quali, ispirate dal pamphlet di Lenin e dal romanzo di Černyševskij, sognano un nuovo modello di società per l’Europa del dopoguerra. Cfr. Gallant Mavis, What is to be done?, introduzione Linda Leith, Montreal, Linda Leith Publishing, 2017.
49 Paperno Irina, Chernyshevsky and the age of realism, cit., p. 4.
50 Mickenberg Julia L., “Suffragettes and Soviets: American Feminists and the Specter of Revolutionary Russia”, in The Journal of American History, vol. 100, n. 4, 2014, pp. 1021-1051. L’immigrazione ebbe un ruolo fondamentale, nel corso del Novecento, per la diffusione del romanzo di Černyševskij. Cfr. Cassedy Steven, “Chernyshevskii Goes West: How Jewish Immigration Helped Bring Russian Radicalism To America”, in Russian History, 21, n. 1, 1994, pp. 1-21.
51 Noto che nel bel saggio di Daniela Brogi, uscito di recente, un paragrafo è significativamente intitolato Cosa fare, nel quale si fa riferimento proprio a A Room of One’s Own di Woolf. Cfr. Brogi Daniela, Lo spazio delle donne, Torino, Einaudi, 2022.
52 Anzaldúa Gloria, Speaking in Tongues: A Letter to Third World Women Writers [1979], in The Gloria Anzaldúa Reader, a cura di AnaLouise Keating, Durham, Duke University Press, 2009, pp. 26-35.
53 Questo libro è direttamente ispirato alla celebre affermazione di Virginia Woolf tratta da Three Guineas: “As a woman, I have no country. As a woman I want no country. As a woman my country is the whole world” (Woolf Virginia, Three Guineas, a cura di J. Marcus, New York, Harcourt, 2006, p. 129), dalla quale Anzaldúa prende le distanze nell’ottica di un riposizionamento identitario: “As a mestiza I have no country, my homeland cast me out […]. As a lesbian I have no race, my own people disclaim me […]. I am cultureless because, as a feminist, I challenge the collective cultural/religious male-derived beliefs”: Anzaldúa Gloria, Borderland/La Frontera: The New Mestiza, San Francisco, Aunt Lute, 1987, p. 80.
54 Come ha messo in luce la sociologa Rachele Borghi, il termine “fortemente impregnato di neoliberismo e di gender mainstream” è utilizzato per la prima volta da Maria Nadotti nella sua traduzione dell’Elogio del margine di bell hooks del 1998. Cfr. Borghi Rachele, Decolonialità e privilegio. Pratiche femministe e critica al sistema-mondo, Milano, Meltemi, 2020, nota 1, epub.
55 Ibid., introduzione: #Note a(l) margine.
56 Balbo Laura, “Introduzione” a Makaping Geneviève, Traiettorie di sguardi. E se gli altri foste voi?, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2001, p. V.
57 La connessione fra le due dimensioni è messa infatti in luce dalla citazione in exergo di un saggio di Matera Vincenzo, Raccontare gli altri. Lo sguardo e la scrittura nei libri di viaggio e nella letteratura etnografica, Lecce, Argo, 1996.
58 Makaping Geneviève, Traiettorie di sguardi, cit., p. 137.
59 Ibid., pp. 7-8.
60 Nel saggio sopra menzionato, Decolonialità e privilegio, Rachele Borghi evidenzia a più riprese l’importanza del lavoro di Makaping. A livello letterario, il lavoro più approfondito sul libro di Makaping è di Sonia Sabelli. Si veda la sua tesi di Dottorato, dal titolo Scrittrici eccentriche. Identità transnazionali nella letteratura italiana, disponibile online: https://sonia.noblogs.org/?p=540 e in parte pubblicata in Dentro/Fuori – Sopra/Sotto. Critica femminista e canone letterario negli studi di italianistica, Ronchetti Alessia, Sapegno Serena (a cura di), Ravenna, Longo, 2007, pp. 171-179.
61 Cfr. Makaping Geneviève, Traiettorie di sguardi, cit., p. 52: “Ebbene dall’incontro con le donne bianche ha inizio la ricerca della mia radice, della mia storia, della mia memoria, delle mie donne. Incomincio a rivolgere lo sguardo su di me. Di queste donne alcune le ho incontrate personalmente, altre le ho conosciute leggendo quanto scritto. Qualche nome: Mila Busoni – Colette Guillaumin – bell hooks – Donatella Barazzetti – Nicole Claude Mathieu – Giuliana Mocchi – Giovannella Greco – Anna Maria Rivera – Renate Siebert – Paola Tabet – Barbara Alberti”.
62 Il rapporto tra scrittura letteraria e scrittura sociologica è stato ben indagato in Immaginazione sociologica e immaginazione letteraria, Turnaturi Gabriella, Roma-Bari, Laterza, 2003.
63 Faccio riferimento al saggio teorico di Russo Cardona Tommaso, Le peripezie dell’ironia. Sull’arte del rovesciamento discorsivo, postfazione di Grazia Basile e Felice Cimatti, Milano, Meltemi, 2009.
64 Makaping Geneviève, Traiettorie di sguardi, cit., p. 37. Cfr. anche Sabelli Sonia, “Quando la subalterna parla. Le Traiettorie di sguardi di Geneviève Makaping”, in Fuori centro. Percorsi postcoloniali nella letteratura italiana, de Robertis Roberto (a cura di), Roma, Aracne, 2010, pp. 131-148.
65 Ibid., p. 42.
66 Nancy Jean-Luc, Que faire?, cit., p. 65.
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Notizia bibliografica
Sara Sermini, «Che fare? Narrazione dei margini e margini
di narrazione nella scrittura delle donne», Narrativa, 44 | 2022, 63-81.
Notizia bibliografica digitale
Sara Sermini, «Che fare? Narrazione dei margini e margini
di narrazione nella scrittura delle donne», Narrativa [Online], 44 | 2022, online dal 01 décembre 2023, consultato il 05 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/narrativa/2019; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/narrativa.2019