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Verso una nuova poetica della testimonianza. Ovvero una panoramica dell’evolversi del concetto di impegno attraverso tre esempi di teatro narrazione: Paolini, Celestini, Baliani

Laura Rorato
p. 51-65

Testo integrale

Il dovere di ogni intellettuale è quello di ricostruire la cultura del popolo [...] per ridarla al popolo e farne lo strumento più alto e progressivo della rivoluzione.

Dario Fo

Teatro Civile
Quando il Teatro si fa serio.
Il palcoscenico utilizzato per farci riflettere sulla memoria
,
la collettività e il vivere comune.

http://www.teatro.org/​rubriche/​teatro_civile/​

  • 1 Burns, Jennifer, Fragments of Impegno. Interpretations of Commitment in Contemporary Italian Narrat (...)
  • 2 Ibid., p. 54.

1Il presente lavoro intende fornire una panoramica di come il concetto di impegno politico stia cambiando attraverso tre esempi di teatro narrazione. Si partirà da una definizione e da una breve storia del genere per illustrare in che senso il teatro narrazione sia utile in un dibattito sul rapporto tra letteratura e politica. Tra i vari autori si è deciso di privilegiare Paolini, Celestini e Baliani in quanto particolarmente rappresentativi non solo dal punto di vista delle evoluzioni subite dal genere nel tempo, a partire dalla sua nascita negli anni Ottanta, ma soprattutto per quanto riguarda l’affermarsi di una nuova poetica della testimonianza che sembra riassumere alcune delle principali connotazioni che il concetto di impegno sta assumendo nel contesto italiano contemporaneo. In un importante saggio sull’evolversi della nozione di impegno tra il 1980 e il 2000, Jennifer Burns aveva delineato numerose tendenze, a volte parallele e a volte con percorsi che si intersecano secondo svariate modalità, tutte riconducibili alle posizioni di alcuni padri e teorici della letteratura italiana, quali Calvino, Vittorini e Pasolini da un lato e l’ultimo Calvino e Celati (con influssi di Roland Barthes e di altri filosofi francesi e americani) dall’altro1. Come si vedrà in seguito, gli autori qui presi in esame sono in un certo senso legati al filone celatiano che, come sottolinea Burns, pur essendo legato a un autore spesso citato come esempio di disimpegno, rappresenta invece la nascita di un nuovo concetto di impegno2 che si manifesta in un rinnovato interesse per il linguaggio e le forme di rappresentazione.

  • 3 A questo proposito Davide Enia ricorda: “Il teatro, infatti, nasce dal fatto che ogni singolo citta (...)
  • 4 Barba, Eugenio, The Paper Canoe. A Guide to Theatre Anthropology, London/New York, Routledge, 1995, (...)
  • 5 Gambula, Nevio, “Il teatro di narrazione. Note polemiche su un fenomeno alla moda”, in Ateatro, n. (...)

2Il teatro narrazione risulta particolarmente interessante nel contesto di un dibattito sul rapporto tra letteratura/arte e politica poiché proprio in quanto teatro rimanda alla polis3. Inoltre, come sosteneva Eugenio Barba in La canoa di carta, in un’epoca in cui tutto è riproducibile e la memoria è affidata all’elettronica, lo spettacolo teatrale fa appello alla memoria vivente, che non è un museo ma una continua metamorfosi, e fare teatro vuol dire intraprendere un’attività produttrice di senso4. Anche Nevio Gambula, nonostante un marcato scetticismo di fondo nei confronti del genere, vede nel recupero della narratività tipico del teatro narrazione una consapevolezza che “il racconto apre la possibilità di ‘fare comunità’”5 e sottolinea come

  • 6 Gambula, Nevio, “Il teatro di narrazione”, cit.

la “nostalgia di un senso” produc[a] la volontà di creare “un nuovo senso” [...]. Nell’assenza di luoghi in cui fare circuitare significati diversi da quelli dell’effimero e dell’edonistico esaltarsi nell’intrattenimento, pian piano emerge la necessità di creare legami sociali di tipo nuovo, nuove modalità di stare insieme e di ripensare la socialità6.

  • 7 Ibid.
  • 8 Questa definizione di politica appare in apice alla rubrica “Politica, Poetica” della rivista onlin (...)
  • 9 Gambula, Nevio, “Il teatro di narrazione”, cit.
  • 10 Anche questa definizione di poetica è presa dalla rivista Zibaldoni, cit.

3Pur trattandosi di un’affermazione “eminentemente politica”7, il termine politica non è da intendersi “nel senso classico delle dottrine politiche, bensì nel senso di luogo comune in cui parlare di cose che ci feriscono e che sono i muri dove sbattiamo la testa”8. Secondo Gambula la politica finisce per trasferirsi in un suo surrogato, cioè l’assemblea teatrale, perché “ancora troppo forti sono i rumori dei colpi di coda del ‘terrorismo’ e della repressione statale”9. La poetica, quindi, diventa lo strumento “per parlare di ciò di cui è impossibile parlare, perché la comunicazione produce questa impossibilità, questo muro, e solo buttandosi a testa bassa contro il muro alla fine può venirne fuori qualcosa”10.

  • 11 Ponte di Pino, Oliviero, “Libri & altro: le origini del teatro di narrazione”, recensione a Guccini(...)
  • 12 Ibid.
  • 13 Guccini, Gerardo (a cura di), La bottega dei narratori. Storie, laboratori de metodi di: Marco Bali (...)
  • 14 Guccini, Gerardo, “Teatro di narrazione”, in Hystrio, n. 1, gennaio 2005, http://www.hystrio.it/num (...)

4Prima di procedere all’analisi dei singoli autori è indispensabile soffermarsi brevemente sulle origini e sull’evolversi del teatro narrazione. Il genere nasce verso la fine degli anni Ottanta “in un momento particolarmente delicato, [...] quando il Nuovo Teatro, sia sul versante della Postavanguardia sia su quello del Terzo Teatro, si trovava in una fase di grave impasse”11. In questo scenario il teatro narrazione continua da un lato il “recupero della parola”, già promosso fin dalla metà degli anni Ottanta da gruppi come Pontedera e Il Carrozzone, mentre dall’altro si concentra sul “recupero della dimensione drammatica, contrapposta a quella perdita di senso che è l’esito estremo del postmoderno che i narratori rifiutano”12. Al suo interno convivono diverse soluzioni creative e diverse possibilità scenico-interpretative quali il teatro ragazzi, il teatro danza (Pina Bausch), la sperimentazione, il teatro immagine (Robert Wilson), il teatro di prosa e il teatro nel sociale13. Comune denominatore, “pur nella diversità degli esiti, è la capacità di metabolizzare il vissuto e la Storia, di tradurre in pratiche inventive l’imprinting narrativo dell’infanzia e di coniugare identità personale e repertori preesistenti”14. Il genere si diffonde in tutta Italia ma due centri di particolare importanza sono Torino, o più precisamente le attività del Teatro Settimo (nato nel 1981 e di cui Laura Curino è uno dei fondatori), e Milano con la scuola Paolo Grassi, diretta a partire dal 1987 da Gabriele Vacis, già collaboratore del Teatro Settimo. L’etichetta si afferma negli anni Novanta con spettacoli che impongono all’attenzione del pubblico la figura del narratore quali Kolhaas (1990) di Marco Baliani, Passione (1993) di Laura Curino e Racconto del Vajont (1994) di Marco Paolini.

  • 15 Si tratta naturalmente di generalizzazioni e di caratteristiche che non si escludono necessariament (...)
  • 16 Cruciani, Fabrizio, citato in Guccini, Gerardo (a cura di), La bottega dei narratori, cit., p. 39.
  • 17 Guccini, Gerardo, “Teatro di narrazione”, in Hystrio, n. 1, gennaio 2005, cit.
  • 18 Ibid.

5La storia del teatro narrazione può essere divisa in tre fasi: gli anni Ottanta, gli anni Novanta e il terzo millennio. Nella prima fase si assiste al passaggio da drammi narrativi (che alternano i racconti alle relazioni tra i personaggi) alla narrazione pura, passo, come vedremo, estremamente importante per quanto riguarda l’evolversi del concetto di impegno. In questo periodo, inoltre, i teatranti più prominenti di questa tendenza sviluppano impronte autonome legate al diverso modo di rapportarsi alla tradizione precedente. Vediamo quindi che il teatro di Baliani assume principalmente un’impronta epica, quello della Curino un’impronta autobiografica e quello di Paolini un’impronta civile15. Negli anni Novanta, invece, scompare il bisogno di confrontarsi con la tradizione e si ha una situazione molto eterogenea in cui, come afferma Fabrizio Cruciani, “il teatro diventa il luogo dei possibili”16. Secondo Guccini, il teatro narrazione degli anni Novanta, “a differenza delle precedenti esperienze dello stesso segno”17, riesce finalmente a mutare la morfologia del panorama teatrale: il fatto che l’atto di narrare costituisca una forma autosufficiente di teatro è ormai dato per scontato e questo ha stimolato “una molteplicità di tentativi e di percorsi”18. In questa seconda fase molti teatranti si formano nei laboratori degli esponenti della generazione precedente: Baliani, Curino, Vacis e Paolini tengono regolarmente seminari e corsi in tutta Italia suscitando di anno in anno notevole interesse. Infine, se gli anni Ottanta e Novanta sembrano dominati da attori/autori nati negli anni Cinquanta, con il nuovo millennio si affermano un gruppo di narratori nati negli anni Settanta. Tra i rappresentanti più significativi di questa generazione troviamo il romano Ascanio Celestini (1972), il siciliano Davide Enia (1974) e il Teatro Minimo dei pugliesi Michele Santorano (1974) e Michele Sinisi (1976). Quello che qui importa sottolineare è che i loro spettacoli si differenziano da quelli della generazione precedente in quanto esprimono una volontà di rendere teatrali aspetti della realtà che in origine non lo erano affatto o, come dice Celestini, di portare sulla scena quello che si è imparato come persona alla ricerca del senso antropologico del narrare. In altre parole, ci troviamo di fronte a narrazioni sempre più autobiografiche in apparenza lontanissime dall’impegno civile di opere ormai classiche come Racconto del Vajont (1994) e I TIGI. Canto per Ustica (2000) di Paolini, o Corpo di Stato. Il delitto Moro (2003) di Baliani.

6Come si è precedentemente sottolineato, attraverso l’analisi di tre figure chiave del teatro narrazione, quali Paolini, Celestini e Baliani, il presente lavoro intende mostrare come il concetto di impegno politico/civile stia cambiando e come questo cambiamento non sia esclusivamente legato a un fatto generazionale (l’ultima produzione di Marco Baliani ne è un esempio), ma dipenda dalla natura stessa della nozione di impegno e da quella del mezzo teatrale scelto da questi autori che proprio per la sua maggiore immediatezza, più di altre forme espressive, deve evitare di scadere nello stereotipo per poter essere efficace. In un’intervista del 2005, per esempio, Davide Enia sottolineava:

  • 19 Soriani, Simone, “Tradire la tradizione. Conversazione con Davide Enia”, in Laboratorio del segnali (...)

Ormai il teatro di narrazione è diventato un genere codificato, emergono cliché. Gli stessi narratori rischiano di diventare “cantautori”. La narrazione non ha più rischi, è facile e comoda al punto tale che è ormai divenuta consolante, consolatoria e necessaria. Ma il teatro non è un supermercato e non è neanche un tranquillante19.

7Come già accennato, particolarmente interessante è il caso di Marco Baliani che all’apice della propria carriera sente il bisogno di staccarsi dalla classica formula del teatro “civile.” Nel resoconto scritto del suo progetto tra i ragazzi di strada di Nairobi che ha portato alla nascita dello spettacolo Pinocchio nero, Baliani afferma:

  • 20 Baliani, Marco, Pinocchio nero. Diario di un viaggio teatrale, Milano, Rizzoli, 2005, pp. 9-10.

Ero a Genova, a cena con Giuseppa Cederna. Poche ore prima al teatro dell’Archivolto, in occasione dell’anniversario dei fatti del G8, avevamo messo in scena uno spettacolo-testimonianza, cucendo insieme memorie, cronache, articoli, per ricostruire quelle giornate infauste e drammatiche in cui le forze dell’ordine si erano scagliate contro manifestanti innocenti. Lo spettacolo era venuto bene [...]. Un teatro documento asciutto e crudo che quella sera era stato a lungo applaudito dal pubblico numeroso [...]. Cerco di spiegare a Giuseppe che non mi interessa fare un teatro “civile”, penso piuttosto che il teatro debba essere “incivile” come diceva Pasolini, debba mettere in scena conflitti non risolvibili ideologicamente, meno che mai additare i buoni e i cattivi [...]. Gli ribadisco che questo teatro non mi suscita un senso di sfida [... perché] l’attore diventa professore, magari con una mappa della città sulla scena, si mette a fare informazione, suscita sdegno, attribuisce responsabilità ma non inquieta l’animo né lo ferisce20.

8Sempre secondo Baliani, il contenuto politico non basta più per fare un teatro che sia veramente politico, capace di parlare veramente alla polis:

  • 21 Ibid., p. 11. Il concetto di utilità è molto importante anche in Celestini. Si veda ad esempio l’in (...)

La sfida deve mettere in gioco anche in noi le poetiche sperimentate, ci deve costringere a lavorare in condizioni estreme, ci deve spingere a cercare spettatori mai visti. È il solo modo per restituire al nostro teatro un senso di utilità21.

  • 22 Baliani, Marco, Pinocchio nero, cit., pp. 14-15.
  • 23 Si veda a questo proposito il seguente brano della recensione “Il Paese dei balocchi tour 2005”, di (...)
  • 24 Baliani, Marco, Pinocchio nero, cit., p. 156.
  • 25 Ibid., p. 155.
  • 26 Ibid., p. 156.

9Baliani risolve la propria crisi andando a lavorare in uno slum di Nairobi dove, come lui stesso afferma, ha messo in scena uno spettacolo che non solo ha riscosso successo di pubblico e di critica ma è anche “il racconto di una metamorfosi che, proprio come accade nel libro di Collodi, trasforma venti burattini di legno in bambini con un corpo, una voce, una cittadinanza”22. Pur partendo da un classico italiano, Baliani ha saputo adattare il testo di Collodi alla realtà africana23. Il nuovo testo mette al centro la morte come misurazione della vita perché quella è la lezione appresa dai ragazzi di strada, dalle loro storie di cicatrici e violenze24. Così anche la fata non risolve nulla in questo Pinocchio nero. Salva Pinocchio dall’impiccagione ma solo per dirgli che nella vita bisogna arrangiarsi da soli25. Alle suppliche di Pinocchio affinché lo faccia diventare di carne, sangue e ossa risponde: “Siwezi kukubalidisha. Hijo inategemea na wewe. Non posso trasformarti. Questo dipende solo da te26.

  • 27 Baliani, Marco, L’amore buono, Milano, Rizzoli, 2006, risvolto di copertina.

10Dopo questa esperienza, Baliani ritorna in Africa con un progetto ancora più ambizioso, dedicato al problema dell’AIDS, virus che solo in Kenya uccide 500 persone al giorno. Da questo sforzo nasce Mapenzi Tamu/ L’amore buono in kiswahili, spettacolo teatrale presentato in prima mondiale a Roma il primo dicembre 2006. Questa volta Baliani non usa più la mediazione della favola occidentale: i suoi giovani neoattori presentano canzoni scritte da loro e racconti autobiografici legati all’esperienza diretta del virus, dando vita a un insieme che illustra “la rabbia, le frustrazioni, l’ipocrisia delle religioni, il comportamento criminale delle case farmaceutiche, l’inferno delle discariche abitate da milioni di individui, la solitudine della malattia”27.

  • 28 Porcheddu, Andrea, L’invenzione della memoria. Il teatro di Ascanio Celestini, Pozzuolo del Friuli, (...)

11Pur staccandosi dal filone più classico del teatro civile degli anni precedenti, permane in queste opere quello che Porcheddu chiama “sguardo d’indagine”28 che tende invece a scomparire nella generazione di autori nati negli anni Settanta. È ancora una volta Davide Enia a esprimere chiaramente le difficoltà e perplessità dei suoi coetanei rispetto al modello tradizionale di teatro narrazione:

La nuovissima leva dei teatranti nati negli anni ’70, si è ritrovata in un contesto di assoluta tabula rasa per quanto concerne il mito: la generazione a noi precedente, dopo un ventennio (anni ’60-’70) di enorme fede e speranza, sia essa nel progresso o nel sol dell’avvenire o nella santa madre chiesa, dopo questo ventennio di tanto formidabile quanto male incanalata energia, codesta generazione si è ritrovata nel merdaio degli anni ’80: il trionfo dell’apparire, l’automobile come status simbol, l’eroina di stato nei quartieri popolari. La ribellione di quella generazione è stata comprensibile, ma ha sfogato unicamente in una direzione: la distruzione. Sono state abbattute le ipostasi, sono stati uccisi i miti, tutto è stato messo in discussione, l’iconoclastia è la cifra ricorrente e finale. Questo è lo scenario cui la nuovissima leva teatrale si è affacciata. Un deserto di miti, con una coscienza sradicata da una ragione forte. Così adesso è germogliato l’impulso di riappropriarsi del mito, per risarcire un vuoto e per creare una struttura forte di senso. Ritorna la narrazione, che ha in sé nella drammaturgia il bisogno di struttura, e nel racconto un narrato che anela ad una dimensione che sia per davvero mitica. Cosa si narra, infatti? Si narrano quei miti che adesso è possibile fare propri e sviscerare: il mito del luogo o dello spazio che si abita. O una particolare esperienza biografica29.

12Autobiografismo però, sottolinea Enia, non vuol dire cedere all’autoreferenzialità nella costruzione della storia. Significa invece avere un’enorme cura per il particolare:

  • 30 Ibid.

Un lavoro quasi da filologo, che investe nel dettaglio piccolissimo (il colore di una scarpa, il gesto di un dito, l’inflessione di una cadenza) la massima ricerca di precisione. Poiché è sempre il particolare che si innalza all’universale diventando metafora, non il contrario. Il resto è slogan politico, pubblicità, prostituzione di idee, anafora30.

  • 31 Porcheddu, Andrea, L’invenzione della memoria, cit., pp. 105-106.

13Chi meglio di tutti esemplifica questo nuovo spirito è Ascanio Celestini la cui “corda civile”, ci ricorda Porcheddu, consiste nel cercare l’uomo e le sue parabole: “nelle memorie delle persone Ascanio scorge le tracce del mito, ed è il mito a legittimare la storia [...]. Nel cerchio rituale del racconto la comunità ritrova i propri valori fondanti, in senso antropologico e sociale”31.

  • 32 Ibid., p. 120.
  • 33 Celestini, Ascanio, “L’estinzione del ginocchio. Storia di tre operai e di un attore che li va a re (...)
  • 34 Celestini, Ascanio, “L’estinzione del ginocchio, cit., p. 176.
  • 35 Interessanti sono anche le affermazioni di Baliani sull’ascolto: “L’attuale dato politico è che orm (...)
  • 36 Porcheddu, Andrea, L’invenzione della memoria, cit., p. 94.
  • 37 Ibid., p. 96.
  • 38 Ibid., p. 184.

14Si afferma così una nuova poetica della testimonianza volta a dare spazio alla dimensione umana e individuale all’interno della grande macchina della storia, basata su un concetto di memoria come qualcosa che è capace di riconsegnare un’identità agli oggetti della storia32. Il racconto che nasce da questo tipo di approccio, dice ancora Porcheddu, non è mai un monologo perché basato sull’intervista, da intendersi come inter-vista, cioè incrocio di sguardi: chi racconta lo fa sempre nella speranza che qualcuno gli risponda, gli faccia delle domande perché “non esiste narratore senza narratario”33. Si tratta quindi di una poetica fondata sull’ascolto. Secondo Celestini se il racconto oggi è in crisi lo è non per mancanza di storie o narratori, ma di luoghi e persone deputate all’ascolto34. Questa convinzione lo porta quasi a una forma chiusa di narrazione con una gestualità vicina allo zero, un’orchestrazione delle risorse vocali al minimo per inchiodare il pubblico all’ascolto35 negandogli non solo l’emotività ma addirittura il tempo di reagire36. Per Celestini il narratore deve dare il meno possibile affinché lo spettatore recuperi le proprie immagini, metta in moto il suo meccanismo, utilizzando le cose che sa già37. Sempre secondo Celestini, bisogna “restare nella dimensione del reale senza cadere nel realismo [...]. Ciò che conta sono la suggestione, l’incanto, le immagini che il racconto evoca”38.

  • 39 Ibid., p. 82.
  • 40 Ponte di Pino, Oliviero, “Il racconto. Conversazione con Marco Baliani. 1995”, cit., p. 10.
  • 41 Porcheddu, Andrea, L’invenzione della memoria, cit., p. 141.
  • 42 Ibid., p. 119.
  • 43 Ibid., pp. 104-105.
  • 44 Celestini, Ascanio, “L’estinzione del ginocchio”, cit., pp. 185-86.
  • 45 Ong, Walter J., Orality and Literacy, London, Routledge, 1988, p. 71.

15Va inoltre ricordato che alla raccolta delle testimonianze segue sempre una loro rielaborazione creativa39 in quanto le fonti orali non sono mai impersonali: gli individui nel momento in cui raccontano/ricordano qualcosa si prendono la responsabilità di quello che dicono. Anche secondo Baliani il narratore è uno che inventa le storie e, dal punto di vista storico, il racconto è sempre un falso40. Il compito del narratore è quello di far proprie le storie che racconta filtrandole attraverso la sua soggettività in modo da trasformare lo spettacolo in una specie di auobiografia collettiva in cui lo spettatore ritrova frammenti della propria autobiografia41. Mettere al centro la soggettività significa per Celestini “assumersi la responsabilità politica del racconto e dotare i suoi personaggi di una lingua personale”42. Nell’operazione del rammemorare ciò che conta non è la ricostruzione degli eventi ma il bisogno di raccontarli oggi, avvicinando così il passato al presente secondo meccanismi molto simili a quelli della cultura orale, facendo sì che memoria e fiaba si tocchino43. La voce, sostiene Celestini, rovescia il senso del tempo distorcendolo: gli eventi non sono più disposti lungo l’ipotetica linea del tempo ma diventano tutti presenti44, in quanto nell’ascolto il suono giunge all’orecchio simultaneamente da diverse direzioni e a differenza della visione, che separa, l’udito unifica45.

  • 46 Porcheddu, Andrea, L’invenzione della memoria, cit., pp. 134-137.
  • 47 Ibid., p. 146. Secondo Balzola è quanto accade nel teatro di Baliani che diventa casa di un progett (...)
  • 48 Porcheddu, Andrea, L’invenzione della memoria, cit., p. 69.
  • 49 Ibid., p. 124.
  • 50 Ibid., p. 121.

16Secondo Cambi, l’autobiografia, matrice profonda della cultura del ’900, esprime il bisogno universale di comunicare la propria memoria e di comprendere la propria avventura esistenziale. Il racconto autobiografico sottopone l’identità a continue variazioni immaginative e diviene luogo privilegiato per una riflessione/comprensione del proprio vissuto in una società/soggetto in stato di crisi46: “non potendo più trovare salvezze ultraterrene [...] non resta che trovare in noi noi stessi. Dal singolo alla società attraverso la cultura”47. In particolare, il racconto orale permette di esprimere una visione alternativa del mondo: la parola orale prende il mondo così com’è e lo rovescia. La fine del racconto ristabilisce lo status quo ma con la consapevolezza della possibilità di un mondo diverso, ed è proprio questa sua caratteristica a renderlo politico48. “Il mio teatro è politico [dice Celestini] perché mostra che c’è un altro modo di guardare le cose. Che c’è un punto di vista dal basso. Una quotidianità della storia”49. I suoi personaggi infatti non sono mai eroi e i grandi fatti vengono sempre raccontati dai margini della storia. Come fa notare Porcheddu, il teatro di Celestini si basa su un altro concetto di verità, un concetto che appartiene all’universo della soggettività e al bisogno di raccontare storie che siano utili e non solo belle, come quelle di sua nonna Marianna, che attraverso streghe e immagini femminili ribelli ribaltava la condizione subalterna della donna. L’invenzione fantastica, dice ancora Porcheddu, costituisce il paradosso e la sostanza del teatro politico di Celestini50. In realtà, come fa notare lo scrittore Gianni Celati in un articolo dedicato al rapporto tra letteratura e antropologia, che Celestini si serva dell’invenzione fantastica non è affatto paradossale perché memoria e fantasia sono da sempre legate:

  • 51 Celati, Gianni, “Dialogo sulla fantasia. Gianni Celati risponde a Massimo Rizzante”, in Zibaldoni e (...)

In un trattato sulla memoria [Aristotele] dice che sono oggetti di memoria quelli che cadono sotto l’immaginazione, dunque immaginazione e memoria non sono mai separabili. Ricordare vuol sempre dire anche immaginare la cosa ricordata, dunque re-inventarla fantasticamente. È anche l’idea di Giambattista Vico, il quale diceva che “la memoria è l’istesso della fantasia” e diceva che la parola memorabile vuol dire “una cosa da potersi immaginare” [...] perché gli uomini si intendono sempre attraverso quello che possono immaginare, e vanno sempre in cerca di altri con cui condividere le loro proiezioni immaginative. E se non riescono più a farlo diventano orribilmente avviliti e odiano la vita. Gaston Bachelard l’ha detto: “l’immaginazione aumenta il valore della realtà”51.

17Va inoltre ricordato che la fiaba popolare, col suo valore iniziatico, è anche il modello storico del narrare autobiografico: parlando di noi stessi non facciamo altro che costruire la favola della nostra vita, ritrovando il senso e il non senso di quanto ci è accaduto, rivendicando per noi stessi un ruolo da protagonisti in una scena normalmente creata e gestita da altri. Ecco quindi spiegato l’interesse per questo genere in molti autori del teatro narrazione (tra cui Marco Baliani) o l’importanza di una raccolta come Cecafumo all’interno dell’opera di Celestini.

  • 52 Paolini, Marco, Del Giudice, Daniele, Quaderno de I-Tigi, Torino, Einaudi, 2001, p. 75. Per un’anal (...)

18Per concludere, possiamo dire che nel teatro narrazione oggi convivono due strategie di impegno, una che consiste nel dar voce a chi non ce l’ha, tematizzando ingiustizie o argomenti ad alto contenuto civile (Paolini, Baliani), e un’altra che intende l’impegno come il saper proporre nuovi modelli di visione. Sebbene questa seconda strategia sembri prevalere tra gli autori dell’ultima generazione, molti aspetti erano già presenti in Paolini e Baliani. In Quaderno de I-TIGI, ad esempio, Paolini e Del Giudice (dal cui racconto Staccando l’ombra da terra è tratto I-TIGI. Canto per Ustica) rivelano di avere un concetto debole di scrittura, di concepire il racconto come qualcosa che è sempre legato all’ascolto. Nel cercare il tono giusto con cui presentare la tragedia di Ustica, rifuggono all’idea che il racconto possa trasformarsi in arringa, che sembri organizzato secondo una tesi da sostenere. Anche l’immaginazione ha un ruolo fondamentale in quest’opera: I TIGI, nome misterioso, in realtà la sigla che contrassegnava il DC9 dell’Itavia colato a picco la sera del 27 giugno 1980, viene associato a un antico popolo sommerso, a una varietà di alberi secolari o a una specie di fenice, “una creatura di metallo inabissata e risorta, come in un racconto mitico”52. Oppure, si pensi a Corpo di stato di Baliani, in cui l’autore afferma di aver dovuto trasformare il suo lavoro quasi in un diario personale per poter narrare uno degli eventi più gravi e significativi della storia italiana degli anni Settanta:

  • 53 Baliani, Marco, Corpo di stato. Il delitto Moro, Milano, Rizzoli, 2003, pp. 94-95.

Dov’ero io in quei cinquantacinque giorni della prigionia di Moro? Di che mi occupavo? Come ero passato dalla lotta politica al teatro? Cosa era accaduto intorno e dentro di me? Una volta formulate con chiarezza queste e altre simili domande, per diversi giorni non feci che rammemorare, di colpo ero io ad avere diritto di parola e non più i giornali e i libri di saggistica [...]. In quei giorni della memoria vedevo Mirto, mio figlio di ventuno anni, ascoltare i miei racconti con l’aria di uno a cui si rivela una dimensione inaspettata. Di quegli anni da me aveva ascoltato poco o niente, immagini da documentario, accenni di esistenza, folclore. Ora invece sentiva che mi stavo immergendo in un paesaggio per lui sconosciuto53.

  • 54 Paolini, Marco, Del Giudice, Daniele, Quaderno de I-Tigi, cit., p. 122.
  • 55 Le affermazioni di Pia Schwarz Lausten si riferiscono al suo intervento “Una letteratura che ci ren (...)
  • 56 Porcheddu, Andrea, L’invenzione della memoria, cit., pp. 144-147.
  • 57 Ponte di Pino, Oliviero, “Il racconto. Conversazione con Marco Baliani. 1995”, cit., p. 15.
  • 58 Ibid., pp. 176-178. Si veda su questo tema anche il sottocapitolo “Vedere con la mente”, in Guccini(...)

19Riassumendo, possiamo dire che l’impegno come modello di visione non lavora sulle ideologie, non si propone di colmare il vuoto – si pensi ancora a I TIGI Canto per Ustica di Paolini che si chiude con una parola sospesa, “gua...”54, l’ultima parola della scatola nera dell’aereo precipitato – bensì cerca di creare un rapporto affettivo con il mondo attraverso memoria e ascolto. Come sostiene la studiosa danese Pia Schwarz Lausten a proposito di autori quali Celati, Benati o Cornia, questo tipo di impegno ci insegna a rispettare il mondo e ci rende meno apatici, che vuol anche dire veri cittadini55. Se dovessimo usare tre parole chiave per definire quest’approccio all’impegno proporrei quelle suggerite da Porcheddu a proposito dell’opera di Celestini: contingenza, ironia e solidarietà, da intendersi nei termini proposti dal filosofo americano Richard Rorty. In tal senso, contingenza si riferisce alla totale consapevolezza da parte dei protagonisti del teatro narrazione di non poter offrire certezze o essenze universali di alcun tipo; ironia come la capacità di sostenere risolutamente le proprie opinioni e convinzioni pur riconoscendo la loro validità contingente e, infine, solidarietà come il bisogno di raccontare il lato peggiore dell’essere umano, gli aspetti più oscuri di noi stessi per arrivare ad accettare noi stessi56 o, come diceva Baliani, “per differire la morte”57. Come si è precedentemente accennato nell’introduzione, a proposito dei modelli di impegno identificati da Jennifer Burns, questo tipo di impegno di matrice celatiana è spesso anche legato al linguaggio e alle forme di rappresentazione. In tutti questi autori, infatti, si riscontra sempre un desiderio di fuga dall’omologazione linguistica: la parola serve per costruire un’immagine in modo da evitare di realizzare narrazioni didascaliche o didattiche58.

  • 59 Burns, Jennifer, Fragments of impegno, cit., p. 5.

20Infine, per riprendere una delle domande principali presentate nell’introduzione, cioè perché parlare di teatro narrazione, vorrei lasciare la parola a Paolini, citando dalla nota introduttiva a Teatro civico. Cinque monologhi per Report, in quanto mi sembra chiaramente esprimere quel ritorno all’etica che secondo Burns caratterizza le nuove forme di impegno a partire dalla fine degli anni Ottanta59:

  • 60 Paolini, Marco, Teatro Civico. 5 monologhi per Report, Torino, Einaudi, 2004, p. VI.

Il teatro serve per aprire le porte dell’altrove [...]: serve a partire, trampolino di lancio verso altre storie, come Le mille e una notte [...]. Per ogni parola usata ce n’è sempre una a cui bisogna rinunciare, bisogna esser concisi. I racconti orali non sono libri, sono fatti per cambiare nel tempo, non hanno l’ambizione di scrivere la Storia, di esaurire un argomento, ma di incuriosire, provocare, far ricordare, stimolare. Gli spettatori di questi racconti hanno il diritto e il dovere di dubitare di quanto abbiamo raccontato, di non accontentarsi. Le storie diventano tali solo se smettono di appartenere a qualcuno, e prendono vita costringendo anche chi voleva ignorarle a tenerne conto60.

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Note

1 Burns, Jennifer, Fragments of Impegno. Interpretations of Commitment in Contemporary Italian Narrative, Leeds, Northern Universities Press, 2001, pp. 57-58.

2 Ibid., p. 54.

3 A questo proposito Davide Enia ricorda: “Il teatro, infatti, nasce dal fatto che ogni singolo cittadino d’Atene riconosceva di appartenere ad un organismo collettivo, ma anche concreto, circoscritto, ben noto: la polis, per l’appunto” (in Guccini, Gerardo, “La narrazione e le sue ombre. Conversazione con Davide Enia”, in Prove di drammaturgia, n. 2, dicembre 2005, p. 7).

4 Barba, Eugenio, The Paper Canoe. A Guide to Theatre Anthropology, London/New York, Routledge, 1995, p. 36. Eugenio Barba rappresenta uno dei punti di riferimento chiave per molti degli autori del teatro narrazione. Trasferitosi in Danimarca verso la fine degli anni Cinquanta, nel 1964 fonda l’Odin Teatret, nel 1976 pubblica il manifesto del Terzo Teatro e nel 1979 fonda l’ISTA (International School of Theatre Anthropology). Marco Baliani ricorda così il primo incontro con gli spettacoli dell’Odin Teatret a Roma negli anni Settanta: “vidi il loro primo spettacolo, Min Fars Hus: per me fu sconvolgente, il giorno dopo ero con loro, insieme ad altre quaranta persone, a fare esercizi fisici che non avrei mai pensato di fare” (in Ponte di Pino, Oliviero, “Conversazione con Marco Baliani 1995”, http://www.trax.it/olivierodp/Baliani95.htm, consultato il 21/06/2007).

5 Gambula, Nevio, “Il teatro di narrazione. Note polemiche su un fenomeno alla moda”, in Ateatro, n. 89.33, http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro89.htm#89and33, consultato il 09/08/2007. Secondo Gambula, il teatro narrazione è un genere ormai troppo codificato che mira alla facile comunicazione e i cui spettacoli tendono a fossilizzarsi in un “rituale pedagogico” piuttosto che in un rito teatrale e proprio per questo motivo hanno un effetto consolatorio o placebo. Gambula concorda con Nosari quando questi afferma che nel teatro narrazione “il narratore racconta spesso ciò che gli spettatori sanno già (le fiabe, un fatto di cronaca) e fa emergere opinioni già condivise” (Nosari, Pier Giorgio, “I sentieri dei raccontatori di storie: ipotesi per una mappa del teatro di narrazione”, in Prove di drammaturgia, n. 1, luglio 2004, pp. 11-14).

6 Gambula, Nevio, “Il teatro di narrazione”, cit.

7 Ibid.

8 Questa definizione di politica appare in apice alla rubrica “Politica, Poetica” della rivista online Zibaldoni, a cura di Enrico De Vivo (http://www.zibaldoni.it/wsc/default.asp?PagePart=menusection&StrIdPaginatorMenu=31, consultato il 06/08/200).

9 Gambula, Nevio, “Il teatro di narrazione”, cit.

10 Anche questa definizione di poetica è presa dalla rivista Zibaldoni, cit.

11 Ponte di Pino, Oliviero, “Libri & altro: le origini del teatro di narrazione”, recensione a Guccini Gerardo e Marelli, Michela, Stabat Mater. Viaggio alle fonti del ‘teatro narrazione’”, in Ateatro, 28/02/05, http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro81.htm#81and51, consultato il 21/06/2007.

12 Ibid.

13 Guccini, Gerardo (a cura di), La bottega dei narratori. Storie, laboratori de metodi di: Marco Baliani, Ascanio Celestini, Laura Curino, Marco Paolini, Gabriele Vacis, Roma, Dino Audino Editore, 2005. I paragrafi successivi dedicati alla storia del teatro narrazione rappresentano un riassunto schematico dell’introduzione del volume di Guccini intitolata “Poetiche e percorsi del ‘teatro narrazione’”, pp. 5-43. Per capire l’impatto e il rapido espandersi del teatro narrazione sulla scena italiana è anche interessante seguire alcune affermazioni di Guccini comparse su 3 numeri della rivista Prove di drammaturgia a partire dal 2003. In un articolo dedicato a Celestini per il n. 2 del dicembre 2003, Guccini presentava il teatro narrazione come “un oggetto culturale al contempo forte ed evanescente [...], un movimento vitale nel tempo [...] capace di diramarsi e rigenerarsi”. Nell’editoriale del n. 1 del luglio 2004, Guccini e Meldolesi sentivano il bisogno di rendere giustizia a un genere sempre più in voga al cui interno confluivano svariate tendenze, e proponevano la nozione di nuova performance epica: “parlando di una nuova performance epica intendiamo, infatti, indicare che si sono costituite delle possibilità recitative imperniate allo svolgimento narrativo dell’eloquio; che queste sottendono diversi vissuti e tecniche di attuazione; che il riconoscimento di tali diversità richiede l’utilizzo d’una visione più ampia di quella richiesta dalle singole modalità considerate” (ibid., p. 3). Infine, il termine performance epica viene riproposto nel secondo numero di Prove di drammaturgia del 2005 che significamente si intitola “Ai confini della performance epica”, come a voler sottolineare il continuo evolversi del genere.

14 Guccini, Gerardo, “Teatro di narrazione”, in Hystrio, n. 1, gennaio 2005, http://www.hystrio.it/numero/articolo.php?id=236&numero=1&anno=2005&mese=gennaio%20%20marzo(consultato il 21/06/2007).

15 Si tratta naturalmente di generalizzazioni e di caratteristiche che non si escludono necessariamente a vicenda tanto che nell’opera di questi autori convivono spesso più tendenze. È interessante notare però che Baliani è uno dei pochi a riconoscere nel teatro epico di Brecht uno dei suoi punti di riferimento diretti tanto che in un’intervista del 1995 dichiara: “Mi sembra di poter continuare il lavoro di Brecht sul teatro epico, affrontando da una parte il problema della percezione, dello sguardo dello spettatore con tutta la sua dimensione caotica, dall’altro il problema del dramma” (in Ponte di Pino, Oliviero, “Il racconto. Conversazione con Marco Baliani”, http://www.trax.it/olivieropdp/Baliani95.htm, consultato il 21/06/2007, p. 10).

16 Cruciani, Fabrizio, citato in Guccini, Gerardo (a cura di), La bottega dei narratori, cit., p. 39.

17 Guccini, Gerardo, “Teatro di narrazione”, in Hystrio, n. 1, gennaio 2005, cit.

18 Ibid.

19 Soriani, Simone, “Tradire la tradizione. Conversazione con Davide Enia”, in Laboratorio del segnalibro, n. 3, dicembre 2005, in http://www.davideenia.org/interv_laboratoriodelsegnalibro.htm, consultato il 05/05/2007.

20 Baliani, Marco, Pinocchio nero. Diario di un viaggio teatrale, Milano, Rizzoli, 2005, pp. 9-10.

21 Ibid., p. 11. Il concetto di utilità è molto importante anche in Celestini. Si veda ad esempio l’introduzione alla raccolta Cecafumo (Celestini, Ascanio, Cecafumo. Storie da leggere ad alta voce, Roma, Donzelli Editore, 2002, p. XII).

22 Baliani, Marco, Pinocchio nero, cit., pp. 14-15.

23 Si veda a questo proposito il seguente brano della recensione “Il Paese dei balocchi tour 2005”, di Andrea Balzola: “Lo spettacolo [...] raggiunge i suoi momenti poetici più alti proprio quando riesce a compenetrare il senso del racconto con la realtà specifica a cui s’ispira, come quando, all’inizio, tutti i ragazzi s’irrigidiscono come pezzi di legno, oscillano e cadono a terra, formando una “discarica” umana, da cui prende poi vita Geppetto e nasce la storia [...]. O quando il Paese dei Balocchi diventa la proiezione dei desideri dei ragazzi di strada reali: vedere film a luci rosse, sniffare colla, bere birra, mangiare camion di polli e soprattutto giocare a pallone per tutto il tempo, il vero mito di emancipazione contemporanea dei ragazzini poveri africani [...]. La dimensione poetica diventa poi magia scenica quando il racconto trova la sua espressione nell’immaginario africano, come nella bellissima scena dell’uccisione di Pinocchio e della sua resurrezione ad opera di una Fata Turchina velata che indossa una maschera di grande intensità, circondata da altri spiriti mascherati” (Balzola, Andrea, “Un Pinocchio di strada. Operazione Pinocchio nero di AMREF-Baliani. Dalla scuola-casa teatro di Nairobi allo spettacolo e ai libri”, in Ateatro, n. 84.4, 12 maggio 2005, http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro84.htm#84and4, consultato il 10 agosto 2007).

24 Baliani, Marco, Pinocchio nero, cit., p. 156.

25 Ibid., p. 155.

26 Ibid., p. 156.

27 Baliani, Marco, L’amore buono, Milano, Rizzoli, 2006, risvolto di copertina.

28 Porcheddu, Andrea, L’invenzione della memoria. Il teatro di Ascanio Celestini, Pozzuolo del Friuli, Il principe costante Edizioni, 2005, p. 154.

29 Enia, Davide, “La narrazione in Italia adesso”, settembre 2003, http://www.davideenia.org/la_narrazione.htm, consultato il 05/05/2007. A proposito dell’importanza per la narrazione del “luogo e dello spazio che si abita” è interessante ricordare che in un primo momento, quando uscì il libro di Alessandro Portelli sulla strage delle Fosse Ardeatine, l’allora direttore dello stabile romano pensò di affidarne la trasposizione teatrale a Marco Paolini. L’idea fu però presto scartata “per via della parlata veneta dell’attore, che contrastava con gli ambienti storici della vicenda [...]: una voce inequivocabilmente romana [...] avrebbe infatti rafforzato la funzione testimoniale della narrazione”. Il compito venne quindi affidato a Celestini che ne trasse Radio Clandestina (cfr. Guccini, Gerardo, “Teatro di narrazione”, in Hystrio, cit.). In un’altra intervista rilasciata a Guccini nel 2005, Enia sottolinea ulteriormente come alle origini del teatro il rapporto col territorio fosse un aspetto fondamentale e come questo oggi questo sia andato perduto, in parte col subentrare della televisione e in parte in seguito a una gestione dell’istituzione teatrale che separa il lavoro dei teatranti dal territorio, tanto che lo stesso Enia non ha mai recitato a Palermo, sua città natale. Secondo Enia, invece il pubblico di una città avrebbe non solo il diritto ma quasi il dovere “di vedere e giudicare spettacoli che parlano di loro, della loro polis” (in Guccini, Gerardo, “La narrazione e le sue ombre. Conversazione con Davide Enia”, in Prove di drammaturgia, n. 2, dicembre 2005, pp. 7-8).

30 Ibid.

31 Porcheddu, Andrea, L’invenzione della memoria, cit., pp. 105-106.

32 Ibid., p. 120.

33 Celestini, Ascanio, “L’estinzione del ginocchio. Storia di tre operai e di un attore che li va a registrare”, in Guccini, Gerardo, La bottega dei narratori, cit., p. 176. Si veda anche a proposito del racconto come inter-vista: Celestini, Ascanio, “Il vestito della festa: Dalla fonte orale a una possibile drammaturgia”, in Prove di drammaturgia, n. 2, dicembre 2003, p. 22.

34 Celestini, Ascanio, “L’estinzione del ginocchio, cit., p. 176.

35 Interessanti sono anche le affermazioni di Baliani sull’ascolto: “L’attuale dato politico è che ormai viviamo in una società esclusivamente visiva, e questo mi spaventa molto. Allora recuperare la narrazione significa privilegiare l’ascolto, fare un corto circuito sulla vista e mettere in gioco l’udito, e questo presuppone che lo spettatore debba più immaginare che vedere” (Ponte di Pino, Oliviero, “Il racconto. Conversazione con Marco Baliani. 1995”, cit., p. 10).

36 Porcheddu, Andrea, L’invenzione della memoria, cit., p. 94.

37 Ibid., p. 96.

38 Ibid., p. 184.

39 Ibid., p. 82.

40 Ponte di Pino, Oliviero, “Il racconto. Conversazione con Marco Baliani. 1995”, cit., p. 10.

41 Porcheddu, Andrea, L’invenzione della memoria, cit., p. 141.

42 Ibid., p. 119.

43 Ibid., pp. 104-105.

44 Celestini, Ascanio, “L’estinzione del ginocchio”, cit., pp. 185-86.

45 Ong, Walter J., Orality and Literacy, London, Routledge, 1988, p. 71.

46 Porcheddu, Andrea, L’invenzione della memoria, cit., pp. 134-137.

47 Ibid., p. 146. Secondo Balzola è quanto accade nel teatro di Baliani che diventa casa di un progetto antropologico e permette all’attore attraverso il personaggio di trasportare “l’uomo verso, la realizzazione di se stesso” (Balzola, Andrea, “Un Pinocchio di strada”, cit.).

48 Porcheddu, Andrea, L’invenzione della memoria, cit., p. 69.

49 Ibid., p. 124.

50 Ibid., p. 121.

51 Celati, Gianni, “Dialogo sulla fantasia. Gianni Celati risponde a Massimo Rizzante”, in Zibaldoni e altre meraviglie, http://www.zibaldoni.it, consultato il 05/05/2007.

52 Paolini, Marco, Del Giudice, Daniele, Quaderno de I-Tigi, Torino, Einaudi, 2001, p. 75. Per un’analisi di I-TIGI Canto per Ustica si veda Rorato, Laura, “Raccontare I-TIGI: viaggio tra memoria tecnica ed immaginaria in Staccando l’ombra da terra e I-TIGI Canto per Ustica di Daniele Del Giudice e Marco Paolini”, in Gola, Sabina, Rorato, Laura (a cura di), La forma del passato, Bruxelles, Peter Lang, 2007 (in corso di stampa).

53 Baliani, Marco, Corpo di stato. Il delitto Moro, Milano, Rizzoli, 2003, pp. 94-95.

54 Paolini, Marco, Del Giudice, Daniele, Quaderno de I-Tigi, cit., p. 122.

55 Le affermazioni di Pia Schwarz Lausten si riferiscono al suo intervento “Una letteratura che ci rende ‘meno apatici’: L’impegno di Gianni Celati”, presentato al convegno Letteratura come fantasticazione: a colloquio con Gianni Gelati, svoltosi a Leicester il 2-4 maggio 2007, organizzato da Laura Rorato e Marina Spunta. Gli atti del convegno usciranno nel 2008.

56 Porcheddu, Andrea, L’invenzione della memoria, cit., pp. 144-147.

57 Ponte di Pino, Oliviero, “Il racconto. Conversazione con Marco Baliani. 1995”, cit., p. 15.

58 Ibid., pp. 176-178. Si veda su questo tema anche il sottocapitolo “Vedere con la mente”, in Guccini, Gerardo, La bottega dei narratori, cit., pp. 18-22.

59 Burns, Jennifer, Fragments of impegno, cit., p. 5.

60 Paolini, Marco, Teatro Civico. 5 monologhi per Report, Torino, Einaudi, 2004, p. VI.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Laura Rorato, «Verso una nuova poetica della testimonianza. Ovvero una panoramica dell’evolversi del concetto di impegno attraverso tre esempi di teatro narrazione: Paolini, Celestini, Baliani»Narrativa, 29 | 2007, 51-65.

Notizia bibliografica digitale

Laura Rorato, «Verso una nuova poetica della testimonianza. Ovvero una panoramica dell’evolversi del concetto di impegno attraverso tre esempi di teatro narrazione: Paolini, Celestini, Baliani»Narrativa [Online], 29 | 2007, online dal 01 octobre 2022, consultato il 08 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/narrativa/1848; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/narrativa.1848

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Laura Rorato

University of Wales, Bangor

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