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HomeNuméros30It’s a man’s world? I maschi malv...

Testo integrale

  • 1 Memorabile a tale proposito è la scena in cui Rino Zena riesce a convincere il figlio a far prova d (...)

11. Leggendo i romanzi e racconti di Niccolò Ammaniti, ci s’imbatte regolarmente in personaggi maschili che, per l’aspetto fisico, per i comportamenti aggressivi, per le opinioni che esprimono e le vicende in cui sono coinvolti (e in cui è spesso questione di una esibizione piuttosto disgustosa di una serie di funzioni corporali), difficilmente susciteranno nel lettore sentimenti spontanei di simpatia o identificazione; al contrario, si tratta di personaggi poco appetitosi o addirittura repellenti. Capostipite di siffatta “bella scola” è indubbiamente Rino Zena, uno dei protagonisti di Come Dio comanda. Testa rapata, tatuaggi vistosi, modi violenti, propositi maschilisti e razzisti socialmente inaccettabili, Zena professa ad alta voce la sua filosofia del “farsi valere”, che cerca di trasmettere anche al figlio Cristiano, se necessario anche a suon di pugni1. E se gli amici di Rino Zena, Danilo Aprea e Corrado Rumitz (in arte Quattro Formaggi) non vengono alle mani con la stessa facilità, né condividono, almeno non expressis verbis, il credo battagliero di Rino, alcune loro caratteristiche (l’aspetto fisico trasandato di Quattro Formaggi, l’alcolismo, la sconsolata visione del mondo misoginica e razzista di Danilo Aprea, le precarie condizioni economiche e psicologiche di entrambi) ne fanno degli autentici “compagni di merenda” dello Zena.

  • 2 Ammaniti, Niccolò, Fango [1996], Milano, Mondadori, 1999, pp. 137-148.
  • 3 Ammaniti, Niccolò, Ti prendo e ti porto via, Milano, Mondadori, 1999. Si possono menzionare i perso (...)
  • 4 Ammaniti, Niccolò, Io non ho paura, Torino, Einaudi, 2001. Fra gli adulti di Acque Traverse, il pae (...)
  • 5 Questo tipo di “maschilità primaria” corrisponde alle rappresentazioni del maschio violento, antiso (...)
  • 6 Ammaniti, Niccolò, Ti prendo e ti porto via, cit., p. 68.

2Non è difficile trovare rappresentanti della stessa casta in altre opere di Ammaniti, dal coro anonimo dei ragazzi violenti nel racconto Rispetto2, protagonisti di un truce episodio di violenza sessuale, a diversi personaggi di Ti prendo e ti porto via3 e Io non ho paura4, sebbene va precisato subito che molti dei maschi mal rasati, ciucchi o sboccati nelle opere precedenti di Ammaniti appartengono a gruppi sociali leggermente superiori rispetto a quelli di Come Dio comanda. In Ti prendo e ti porto via, gli amici che Graziano Biglia rivede durante i ritorni sporadici a Ischiano Scalo (e lo stesso vale per alcuni loro parenti) vivono in condizioni economiche meno precarie dei loro lontani cugini in Come Dio comanda, i quali, specie da quando gli imprenditori locali hanno cominciato a impiegare clandestini, non potranno neanche più ambire (si fa per dire) al precariato; non sembra esagerato cogliere nella loro situazione socioeconomica un graduale ma inesorabile declassamento, che li vede relegati ormai in una specie di “sottoprecariato”. Ma il fatto che i maschi di Ti prendo e ti porto via abbiano un lavoro stabile (e in qualche caso anche un posto fisso), o che siano riusciti in qualche modo a fondare una famiglia, non implica necessariamente che vengano presentati al lettore come una compagnia piacevole; anzi, spesso il narratore li ritrae, e a volte in termini che non lasciano nulla all’immaginazione, come personaggi grossolani, sempliciotti, dalle vedute ristrette e in preda a manifesti sentimenti d’inferiorità e di frustrazione. Ad onta delle condizioni economiche più stabili, anche la loro è un’esistenza a basso tasso di progettualità (in termini di valori, di carriera, di affetti durevoli) e con un alto grado di maschilità per così dire “primaria” – o, per essere più precisi, di comportamenti, valori e atteggiamenti considerati (anche dagli interessati) come tipici di un’identità di genere ad alto tasso di maschilità primaria5; con l’ostentazione di questo tipo d’identità di genere, i personaggi maschili cercano di compensare le ristrettezze di un’esistenza poco riuscita, visto che l’inclinazione a esibire una certa violenza verbale e fisica è inversamente proporzionale al potere economico, al prestigio sociale, a una vita affettiva poco gratificante, se non addirittura virtualmente inesistente. Soprattutto durante le loro conversazioni è possibile osservare in diretta i codici di questa identità maschile primaria su cui si basano implicitamente o esplicitamente i loro comportamenti. Esemplare è l’atmosfera dei raduni di Graziano Biglia e i suoi amici di Ischiano Scalo, un’atmosfera efficacemente riassunta dal narratore di Ti prendo e ti porto via nella triade “Pernacchie. Risate. Gomitate”6.

3È ovvio che vi sono anche personaggi maschili che non appartengono alla categoria, né si può dire che tutte le donne siano vittime immolate sull’altare della maschilità primaria; rimane comunque il fatto che nella narrativa di Ammaniti non sono certamente pochi i maschi brutti, sporchi e cattivi, personaggi che, dal punto di vista estetico, morale, fisico, igienico-sanitario, psicologico sono impresentabili (o che sono – come si cercherà di dimostrare, non è una mera freddura – inequivocabilmente presentati come impresentabili). Importa sottolineare che questi maschi malvagi occupano una posizione centrale nei racconti e romanzi di Ammaniti, facendo da perno a un insieme di strategie narrative e rappresentative che meritano una lettura attenta, e che riguardano, oltre a una curiosa combinazione di meccanismi d’identificazione e di presa di distanza (2.), i rapporti tra i personaggi maschili e quelli femminili (3.), i rapporti tra le generazioni (4.), e, infine, una caratterizzazione della narrativa di Ammaniti in termini di una poetica del tragico (5.).

  • 7 Ciò è particolarmente evidente nei confronti di Quattro Formaggi: “Era così magro e alto che assomi (...)
  • 8 Si veda ad esempio la reazione di un certo Giovanni Pagani, giovane perbene anche se un po’ corto d (...)

42. Si è già avuto modo d’illustrare alcuni dei motivi per i quali i maschi malvagi di Ammaniti difficilmente riusciranno a destare nel lettore reazioni positive. Se già gli stessi comportamenti dei personaggi non sono tali da suscitare sentimenti d’empatia, anche il narratore onnisciente di romanzi come Ti prendo e ti porto via e Come Dio comanda si mostra poco indulgente nei loro confronti, e sembra piuttosto incline ad enfatizzare ulteriormente i segni dell’emarginazione sociale e del degrado umano dei personaggi maschili. Nei ritratti non proprio allettanti di questi maschi malvagi, indugia in particolare su dettagli fisiologici e materiali turpi e disgustosi, chiudendo a volte con commenti piuttosto espliciti che sembrano voler marcare una certa distanza tra l’universo del narratore e quello dei personaggi7. Simili affermazioni del narratore onnisciente convergono idealmente con i giudizi formulati da altri personaggi, appartenenti piuttosto ai ceti medi, e le cui condizioni e convinzioni si avvicinano di più a quelle del lettore medio; in particolare in Come Dio comanda, i personaggi che per un motivo o un altro vengono a contatto con i maschi del sottosuolo reagiscono con sbalordimento e con sbigottimento a questi rapidi incontri con una realtà umana completamente estranea ai codici della normalità borghese8.

5Non sono pochi gli indizi che orientano il lettore verso una reazione di antipatia e di presa di distanza nei confronti dei maschi malvagi, sennonché altre strategie rappresentative suscitano, a volte in modo subdolo, a volte in modo manifesto, oltre alle reazioni immediate di rigetto istintivo, reazioni di natura diversa.

  • 9 “Io e te siamo attaccati a un filo, lo capisci o no? E tutti lo vogliono spezzare. Ma nessuno ci ri (...)
  • 10 L’esistenza di Danilo Apnea è sconvolta dalla tragica morte della figlia Laura, soffocata per aver (...)
  • 11 Cfr. il resoconto di Sergio Matera, capo dei sequestratori di Filippo Carducci, sulla morte sospett (...)

6In primo luogo, è importante sottolineare che proprio i maschi più malvagi, più violenti, più reietti, si mostrano capaci di sentimenti di una profondità sorprendente e di una autenticità sconcertante (o forse i sentimenti appaiono tali proprio perché si manifestano in ambienti di questo tipo): il filo indissolubile che lega padre e figlio9, lo strazio lancinante di un padre per la morte accidentale di una bambina10, i dolori di un padre (pur coinvolto in alcuni episodi di malavita) per un figlio morto in circostanze sospette durante il viaggio di nozze11. Al terrore, al ribrezzo, allo sdegno che i maschi malvagi avevano ispirato in un primo momento si possono sovrapporre in seguito sentimenti d’empatia, di compassione, di pietà. Il lettore rischia di sentirsi intrappolato, vedendo l’avvertimento del contrario di pirandelliana memoria tramutarsi in una specie di sentimento del contrario, poiché dietro le quinte di un mondo abietto che a prima vista non può che suscitare reazioni di rifiuto, si scorge ora una realtà umana ben diversa. Termini come “terrore” e “pietà” ricordano i principali effetti che secondo la Poetica di Aristotele una buona tragedia dovrebbe riuscire a provocare, e se a prima vista il collegamento fra l’interpretazione aristotelica della tragedia e la narrativa di Ammaniti può sembrare alquanto ricercato (e per alcuni aspetti anche improponibile), vi sono comunque elementi che consentono di parlare a proposito della prosa di Ammaniti di una vera e propria “poetica del tragico” (ma su questo argomento si tornerà nell’ultima sezione del presente articolo).

  • 12 Sull’amplificazione di personalità e azioni dei personaggi (amplificazione si combina però con abol (...)

7I meccanismi d’identificazione e di rifiuto nei confronti dei maschi malvagi si complicheranno ulteriormente per via dell’enfasi con cui i connotati negativi della maschilità primaria vengono rappresentati. In un certo senso la predisposizione al rifiuto dei maschi malvagi è talmente lampante, e la reazione di antipatia è provocata in maniera talmente vistosa, che la logica narrativa e rappresentativa di distanziamento, condanna ed esclusione, è troppo evidente per mantenere qualche sembianza di verosimiglianza12. I maschi malvagi sono quasi troppo malvagi per essere credibili. Too bad to be true.

  • 13 Sul momento d’identificazione riflessiva nel processo di fruizione cinematografica (ma le osservazi (...)

8Una tale tendenza a esibire la malvagità di alcuni personaggi maschili fa sì che al livello dell’identificazione del lettore con i personaggi (che nel caso dei maschi malvagi, diventa piuttosto una non identificazione e una presa di distanza) si aggiunge un’identificazione di secondo livello, di carattere riflessivo, che riguarda invece il modo in cui nascono e si sviluppano gli stessi processi d’identificazione o di presa di distanza nei confronti dei personaggi. Questa identificazione riflessiva è innescata proprio da strategie rappresentative particolarmente enfatiche, che attirano l’attenzione sulle stesse logiche narrative e rappresentative attive nel testo. La violenza delle rappresentazioni e dei sentimenti che tendono a provocare può indurre il lettore a rivolgere l’attenzione piuttosto alle modalità rappresentative attive nel testo, e verso i modi in cui queste rappresentazioni mirano a orientare i giudizi e gli atteggiamenti di chi legge13.

  • 14 Sulla nozione di “discorso sociale”, e sulle possibilità di leggere il romanzo in questa chiave, si (...)
  • 15 Sulla metafora di “trasporto” (transportation) per indicare il coinvolgimento psicologico durante l (...)
  • 16 Sulle dinamiche di lettura contrastanti (compresa una lettura critica, di “resistenza”) che possono (...)

9La posta in gioco di questo secondo livello d’identificazione riguarda la dinamica della lettura, nonché il modo in cui la lettura si riallaccia a un insieme di valori, pratiche e strutture sociali. L’identificazione riflessiva appena evocata riguarda pertanto la funzione e la portata del romanzo come componente specifica (e anche potenzialmente critica) del discorso sociale, nonché la dinamica di riproduzione e rielaborazione critica di rappresentazioni culturali e sociali (come, nella fattispecie, una serie di rappresentazioni dell’identità maschile). Nel processo di presa di distanza riflessiva messo in moto dalla rappresentazione di alcuni personaggi impresentabili vengono messe in luce proprio le singolari e straordinariamente variegate capacità del romanzo di elaborare e propinare ai lettori una porzione del discorso sociale (definibile come un insieme di rappresentazioni, giudizi e pregiudizi, governato da regole e pratiche che delimitano il “dicibile” e il “pensabile”) sottoponendo il materiale discorsivo selezionato a trasformazioni di vario genere14. Nella narrativa di Ammaniti proprio le rappresentazioni particolari di alcuni personaggi maschili (e delle modalità della loro rappresentazione) suscitano una presa di coscienza critica che risale dalle reazioni emotive, morali e politiche ai modi in cui questi effetti vengono suscitati e orientati. Si tratta di una riflessione che accompagna lo svolgimento (e la comunicazione) della storia e che, lungi dall’annullare necessariamente altre istanze d’identificazione, d’empatia o di “trasporto”15, fa risaltare le manipolazioni operate dalla macchina narrativa e rappresentativa del romanzo sul discorso sociale, e il modo in cui queste manipolazioni producono effetti emotivi e giudizi normativi. Confrontato con l’umanità grottesca e reietta dei maschi malvagi (compresi i vari ingredienti splatter e trash), il lettore rischia di sperimentare appunto ciò che si è chiamato un “sentimento del contrario” di secondo grado, che riguarda la posizione del lettore all’interno del discorso sociale, le modalità di conoscere, percepire e giudicare la realtà sociale (e in particolare quei settori del discorso sociale che riguardano i gruppi sociali più bassi). Le rappresentazioni della maschilità primaria generano pertanto una dinamica di lettura complessa, segnata da tensioni contraddittorie tra gli effetti immediati di queste rappresentazioni e una forma di riflessione innescata proprio dal modo in cui il testo produce e provoca questi effetti immediati16. Il lettore rischia perfino di sentirsi preso in trappola dalle prime e spontanee reazioni di disgusto, rifiuto, o riso beffardo, poiché queste reazioni (e forse proprio perché spontanee) sono suscettibili, in un’ottica d’identificazione riflessiva, di ritorcersi contro lo stesso lettore, mettendo in luce fino a che punto egli stesso sia succube e complice di giudizi prefabbricati nel discorso sociale e attivati nel romanzo a suon di pugni, parolacce e pernacchie.

  • 17 Ammaniti, Niccolò, Come Dio comanda, cit., pp. 122-123.
  • 18 Id., Ti prendo e ti porto via, cit., pp. 239-242.
  • 19 Id., Io non ho paura, cit., pp. 156-157.
  • 20 Appena Patrizia rifiuta di aver con Bruno Miele una relazione puramente sessuale, questi prima cerc (...)

103. Se è vero che i codici comportamentali di Rino Zena fanno capo a una specie di maschilità primaria, non è difficile indovinare quali trattamenti vengano riservati alle donne nel loro immaginario. In un certo senso si può parlare di una rappresentazione prettamente funzionale, dal momento che le donne sono percepite esclusivamente in termini d’eccitazione erotica e di soddisfazione sessuale; l’unico fattore di differenziazione riguarda i diversi gradi di feticismo o di perversione della libido (il caso limite è quello di Ramona, personaggio in un film pornografico). Le donne che finiscono poi effettivamente negli ingranaggi della maschilità primaria non sono proprio trattate coi guanti: insultate e schiaffeggiate (come l’anonima one night stand di Rino Zena17), aggredite da amici o parenti (come Flora Palmieri18 o come la madre di Michele Amitrano19), brutalmente congedate (come Patrizia, l’ex fidanzata di Bruno Miele20), e in qualche caso fanno anche una fine particolarmente brutta: Fabiana Ponticelli, scambiata da Quattro Formaggi per la protagonista di un film pornografico, verrà brutalmente aggredita e uccisa.

11Com’è logico, l’atteggiamento dei maschi primordiali nei confronti delle donne è un rapporto con un alto tasso di primordialità, sennonché i loro rapporti con il sesso femminile si rivelano a volte ben più intricati, segnati da intrecci particolarmente aggrovigliati di odi e amori, foia sessuale e legami affettivi: Rino Zena sembra nutrire sentimenti di questa sorta per la madre di Cristiano, più di dodici anni dopo che l’ha abbandonato con il piccolo ancora in fasce; Danilo Aprea, abbandonato dalla moglie Teresa dopo la morte della loro figlia Laura, cerca disperatamente di convincerla a tornare da lui, ed è ossessionato dalla possibilità di sfondare un bancomat pur di avere i soldi necessari per persuaderla. In Ti prendo e ti porto via, Graziano Biglia, il quarantaquattrenne tombeur de femmes, detentore del record del rimorchio estivo a Riccione, sente per la modella Erica Trettel un fascino di sapore quasi stilnovistico. E perfino nell’atteggiamento di Italo Miele, il bidello della scuola media “Michelangelo Buonarroti” di Ischiano Scalo, uno dei personaggi più grotteschi di Ammaniti, nei confronti di Alima, la prostituta nigeriana che frequenta e che ogni tanto porta a cena, vi è, malgré tout, una nota di un attaccamento affettivo (una nota che manca del tutto negli atteggiamenti di Italo Miele nei confronti della moglie). Anche nella più turpe delle anime maschili sembra possibile scorgere a volte un briciolo di autentica vita affettiva, e alla spontanea (e logica) condanna dei loro comportamenti nei confronti delle donne si possono sovrapporre anche momenti di pietà e di compassione.

  • 21 La vita di Gina Biglia, la madre di Graziano, è dominata da tre ossessioni: l’igiene, la religione, (...)

12Il codice della maschilità primaria circoscrive un’idea di “femminilità primaria” che, pur determinando molti dei loro comportamenti, s’incrina anche in più di un caso, mostrando una realtà psichica fatta di frustrazione e insoddisfazione, incomunicabilità e ottusità. A osservare poi i vari personaggi femminili, viene spontaneo identificare il pendant femminile della maschilità primaria nei non infrequenti destini di paziente, silenziosa, costante sopportazione di mali cronici di vario genere. Non sono pochi i personaggi femminili insabbiati in un destino di acciacchi fisici, piccole e grandi nevrosi, angherie e abusi, costrizioni e compulsioni. Alla temporalità dell’istintualità esplosiva, dello sfogo violento, del furore che domina l’esistenza dei maschi malvagi si contrappone nel caso di molti personaggi femminili la temporalità della pazienza e della cura materna (o, in alcuni casi, della devozione figliale)21.

13Maschi prepotenti e maneschi, donne remissive e arrendevoli: non è neanche esagerato parlare di una deliberata e cruda esibizione di destini stereotipati, se non addirittura di versioni iperboliche di personaggi e situazioni comuni, atte a suscitare nel lettore reazioni ugualmente iperboliche. E se i destini dei personaggi femminili non necessariamente provocano risposte altrettanto forti di quelle generate dai maschi malvagi, le condizioni in cui vivono, i trattamenti che subiscono, la remissività con cui sopportano tutto questo sono tali da orientare il lettore odierno piuttosto verso reazioni di sdegno e di rivolta (non solo per gli abusi che le donne subiscono, ma anche per la passività con cui queste sembrano sopportare tutto ciò che succede).

  • 22 Si veda la reazione di Bruno Miele quando ferma una macchina di grossa cilindrata con dentro due gi (...)

14A osservare più da vicino i rapporti tra l’insieme dei personaggi maschili e quelli femminili si nota una particolare asimmetria, che riguarda soprattutto le contrapposizioni di tipo socioculturale e socioeconomico. La rappresentazione dei vari destini maschili si contraddistingue per la presenza di opposizioni classiste particolarmente vistose (sia perché il narratore vi attira l’attenzione, sia perché gli stessi personaggi non mancano d’identificarle e di trasformarle in un argomento di loro discorsi e pensieri), mentre i segnali di una contrapposizione sociale ed economica tra i singoli destini femminili sono molto meno manifesti, e a volte quasi del tutto assenti. Tra i maschi malvagi di Come Dio comanda e i personaggi borghesi con i quali s’incrociano (soprattutto imprenditori, alti funzionari e liberi professionisti), il contrasto non potrebbe essere più grande: l’esistenza stentata e sregolata e dei primi si contrappone radicalmente alla stabilità, alla progettualità, all’agiatezza che caratterizzano vita professionale e vita privata degli ultimi, ed entrambi i gruppi si rendono anche conto della distanza abissale che li separa. I contrasti tra il mondo dei piccolo-borghesi e i borghesi benestanti in Ti prendo e ti porto via a prima vista possono sembrare meno forti (poiché entrambi condividono un tipo di stabilità economica e familiare), ma non per questo l’atteggiamento dei primi nei confronti dei secondi è più benevolo: la loro è un’attitudine forse meno aggressiva e anarcoide, ma sicuramente le critiche che formulano nei confronti di chi sta meglio di loro non sono meno veementi22.

  • 23 Esemplari i destini della madre di Fabiana Ponticelli (Id., Come Dio Comanda, cit., p. 204, p. 380) (...)

15Invece, tra i destini delle donne precarie, proletarie, piccolo-borghesi da una parte e le loro colleghe borghesi dall’altra, le differenze sono molto meno accentate, anzi vi è questione di una differenza soltanto graduale, e risulta quasi impossibile parlare di contrasti aperti. Tutte le categorie sociali, anche le donne borghesi23, vivono una vita decisa prima di tutto dalle scelte dei rispettivi mariti, e le forme di resistenza aperta o subdola di cui in più di un caso danno prova non alterano veramente la condizione di sottomissione. Woman is the nigger of the world.

16Se l’universo maschile è caratterizzato da forti antagonismi interni sostanziati di ragioni sociali, culturali ed economiche, quello femminile si contraddistingue per una certa omogeneità interna, caratterizzata da una condizione subalterna generalizzata. Da questa condizione esulano (ma con esiti piuttosto variabili, e non sempre positivi) i personaggi femminili dal comportamento spregiudicato e indipendente, che operano scelte decise e si prendono gioco dei maschi, sfidandoli o manipolandoli: a questa categoria appartengono ad esempio la madre di Esmeralda Guerra in Come Dio comanda, il cui atteggiamento indipendente ispira chiaramente anche la generazione successiva, nelle persone della figlia e della sua amica Fabiana Ponticelli. In Ti prendo e ti porto via sarà Gloria Celani, l’amica di Pietro Moroni, a sfidare ragazzi maneschi e litigiosi come Pierini, e in Io non ho paura è la madre di Michele Amitrano a realizzare, nei limiti del possibile, una certa indipendenza di spirito. Può sembrare un controsenso, ma è difficile trovare nell’opera di Ammaniti personaggi maschili che raggiungano un analogo atteggiamento di spregiudicatezza e di coraggio (e forse anche, di liberazione e di felicità interiore) nell’affrontare i pericoli (compresi quelli fisici) di un mondo dominato dai codici maschili.

  • 24 Cfr. Ammaniti, Massimo, Ammaniti, Niccolò, Nel nome del figlio. L’adolescenza raccontata da un padr (...)
  • 25 “A dodici anni Pietro aveva deciso di non perdere troppo tempo a ricamare sul perché delle cose. Er (...)

174. Nella narrativa di Ammaniti non sembrano mancare mai i protagonisti che si trovano “nel turbine dell’adolescenza”24: ragazzi la cui età media si aggira intorno ai dodici-tredici anni, la cui situazione di vita si contraddistingue per una certa vulnerabilità psicologica, spesso (ma non sempre) dovuta a o incrementata da un contesto sociale, economico o famigliare non proprio stabile. Nel microcosmo giovanile sono in vigore regole abbastanza rigide che definiscono la gerarchia interna e i rapporti di forza, i comportamenti accettabili o meno, e le sanzioni nei confronti di coloro che sbagliano. Sono regole che costituiscono una versione più forte, più intensa, più schietta di quelle in vigore nella società dei grandi: le gerarchie sociali nelle scuole, ad esempio, imitano, offrendone una formulazione più forte, le graduatorie di prestigio sociale in vigore nella società adulta. Allo stesso modo i comportamenti del trio teppista Pierini-Bacci-Ronca in Ti prendo e ti porto via costituisce una versione in miniatura dei codici verbali e comportamentali della maschilità primaria. Vivono in un mondo in cui le cose avvengono rapidamente e spietatamente, al punto che le loro vittime abituali (come Pietro Moroni) hanno imparato ormai a rinunciare alla domanda sul perché del trattamento che subiscono25.

  • 26 “In seguito Cristiano Zena ricordò il momento in cui si portarono via suo padre su una lettiga come (...)
  • 27 Cfr. rispettivamente Id., Come Dio comanda, cit., pp. 177-353 e Io non ho paura, cit., pp. 182-187.

18Nello stesso tempo, a onta delle regole apparentemente perentorie della vita di gruppo degli adolescenti, il loro è un universo caratterizzato da un notevole grado di apertura, come lo illustrano gli sviluppi imprevisti che finiscono per scuotere profondamente il loro piccolo mondo. Se è incontestabile che i protagonisti adolescenti vivono esperienze sconvolgenti di trasformazione e, in qualche modo, anche di crescita, difficilmente si può parlare di una crescita basata su una specie di Bildung: le esperienze dei protagonisti adolescenti s’imperniano piuttosto su svolte repentine, illuminazioni improvvise, intuizioni estemporanee. Se è lecito parlare di un’esperienza di crescita, attraverso il contatto con (o il distacco da) valori, modelli o punti di riferimento, si tratta di fenomeni nient’affatto riconducibili all’acquisizione graduale di un sapere, ma provocati piuttosto da scosse violente e (almeno apparentemente) aleatorie, legate a un concorso di circostanze, e dagli effetti a volte traumatici. Gli esempi più clamorosi riguardano i rapporti tra padri e figli: alcuni casi di trasformazione vistosa quanto improvvisa nei rapporti tra padre e figlio – dalla cura del padre paralizzato nel caso di Cristiano Zena in Come Dio comanda26 al distacco psicologico dal padre nel caso di Michele Amitrano in Io non ho paura – si concretizzano in modo repentino, attraverso un rapido precipitarsi degli eventi, mentre le circostanze meteorologiche conferiscono agli avvenimenti dei connotati traumatici e apocalittici: in Come Dio Comanda, Cristiano soccorre il padre durante “la notte”, che vede imperversare su Varrano e dintorni “la tempesta del secolo”, mentre in Io non ho paura la visita di Michele al bambino catturato con la quale rompe il giuramento al padre si svolge durante una violenta tempesta estiva27.

  • 28 Alcune delle caratteristiche elencate da Aristotele sembrano comunque applicabili, almeno in una ce (...)
  • 29 Sterminata la bibliografia – storica e recente – sul tragico. Per un’utile sintesi si rimanda al vo (...)

195. La rappresentazione dei maschi malvagi in Ammaniti innesca una dinamica di lettura in cui si combinano sentimenti di disgusto e commozione, di terrore e pietà, termini che, come si è già segnalato, riportano alla descrizione aristotelica degli effetti da realizzare con la rappresentazione di una tragedia. Si tratta di effetti particolari che, secondo il noto ma piuttosto enigmatico passo nel libro VI della Poetica, sono in grado di suscitare una “catarsi” o “purificazione” delle emozioni rappresentate; a prescindere dall’annosa questione in che senso vada intesa il concetto “catarsi”, non è certamente intuitivo che si possa parlare per la narrativa di Ammaniti di una vera e propria “purificazione” d’emozioni (anzi, per alcuni aspetti il misto di orrore e pietà produce piuttosto un cortocircuito emotivo, e un vero e proprio blocco di qualsiasi effetto catartico), né sembra possibile (o necessario) cercare d’applicare le varie distinzioni retorico-tipologiche elaborate da Aristotele28. Sembra tuttavia lecito parlare di una vistosa presenza del “tragico” nella configurazione narrativa dei romanzi d’Ammaniti29. Avvenimenti ed esperienze risultano organizzati in un racconto la cui posta in gioco riguarda i dati fondamentali e decisivi di un’esistenza, i rapporti affettivi per cui si vive o si muore; un racconto che riguarda, a volte letteralmente (attraverso la violenza e la minaccia d’eliminazione fisica), questioni di vita e morte, che – per le reazioni psichiche particolarmente intense che provocano – perturbano e modificano drasticamente i destini di coloro che vi rimangono coinvolti. Come si è già additato nel caso della trasformazione destinale dei personaggi adolescenti, si tratta di avvenimenti che si verificano in modo subitaneo, tempestivo, estemporaneo, e la dimensione “tragica” della narrativa ammanitiana ha a che fare con l’enfasi posta sui repentini e misteriosi travolgimenti che segnano i destini dei personaggi. La temporalità dominante, legata ai momenti decisivi è quella dominata dal kairos, il tempo dell’ordine divino e degli avvenimenti ‘speciali’ che vi appartengono, mentre il tempo-chronos della causalità lineare e prevedibile risulta nettamente secondario. L’organizzazione narrativa dei romanzi di Ammaniti risulta spesso imperniata su una scena centrale, dai connotati apocalittico-catastrofico, che in un breve arco di tempo (una notte, la durata di una tempesta), vede l’improvviso precipitarsi delle vicende e il violento scontrarsi e aggrovigliarsi di destini umani. Le esistenze che si sono incrociate e scontrate sono sconvolte dall’accaduto e non saranno mai più le stesse. In particolare per gli adolescenti, come si è già accennato, la realtà del dopo è profondamente diversa da quella del prima: le esperienze fondative della loro esistenza, la conquista di un’identità, risultano legata ad un avvenimento violento e travolgente.

  • 30 Su questo argomento, e in generale sui rapporti fra romanzo e tragico, cfr. Eagleton, Terry, “Trage (...)

20Sin dal suo emergere nel pensiero moderno, la categoria del tragico è stata inserita in contrapposizioni di vario genere, di solito nell’ambito di un progetto di critica culturale e filosofica della civiltà occidentale. In un contesto di configurazione narrativa e romanzesca, la subordinazione del tempo graduale e causale al kairos del tempo tragico può essere letta come una presa di distanza dall’organizzazione discorsiva del romanzo realista e borghese, e dall’intera gamma di idee e presupposizioni conoscitive, psicologiche, sociali e politiche ivi connesse: ideali di Bildung e sviluppo graduale e coerente della personalità, un’immagine della realtà come concatenazione di piccole cause ed effetti, analizzabili nel loro aggrovigliarsi ed evolversi, un’organizzazione ideale dello spazio politico-sociale (basata su democrazia, consenso, riformismo, ordine e normalità) e quant’altro30. In siffatta luce, la posizione preminente dei maschi malvagi nella narrativa di Ammaniti acquista un significato particolare. Vivendo un’esistenza priva di progettualità, concatenazione causale, regolarità e disciplina, essi cercano prima di tutto di beffarsi dell’ordine sociale e di rimanere al di fuori delle grinfie dei suoi meccanismi di disciplina e di controllo (sintomatica è la messinscena della “giornata della bella figura”, con la quale Rino e Cristiano Zena preparano le visite bisettimanali dell’assistente sociale Beppe Trecca). La loro è un’esistenza fatta d’emozioni intense e improvvise (anche se a volte altamente prevedibili), in cui manca ogni forma di compromesso, e in cui ci si esprime letteralmente senza mezzi termini. La loro maschilità primaria, collegata ad una vasta gamma di esternazioni politicamente scorrette e di comportamenti impresentabili, diventa l’emblema pregnante di ciò che nel discorso sociale odierno risulta indicibile e impresentabile. Rino Zena, Italo Miele, e compagnia bella, associandosi alla temporalità del kairos, a un’organizzazione tragica del romanzo e dell’universo, incarnano un ordine simbolico difficilmente conciliabile con i paradigmi dominanti di un discorso sociale ossessionato dal programmabile, dal progettabile, dal controllabile. Il tragico, insomma, la temporalità del kairos, risulta identificata quasi letteralmente con codici, comportamenti ed esperienze “impresentabili” e ed “irrappresentabili”.

21Non che i nostri tempi siano scevri di avvenimenti tragici, né sembra assente la temporalità della catastrofe improvvisa e del repentino precipitarsi di eventi. Si tratta tuttavia di una tragicità che, se non proprio rimossa, risulta difficilmente pensabile e rappresentabile all’interno del discorso sociale dominante; proprio per questo motivo il tragico nella cultura contemporanea ha nello stesso tempo qualcosa di ossessivo, di minacciosamente pervasivo, e di subdolamente onnipresente. Da questo punto di vista, il kairos degli anni Duemila ha la sua incarnazione più forte in una figura ben precisa del maschio malvagio: quella del terrorista suicida (i pochissimi casi di terroriste femmine sono effettivamente trattati come delle eccezioni), figura astratta e anonima, onnipresente e aleatoria, le cui azioni risultano difficilmente comprensibili nei termini di una precisa logica politica e ideologica.

  • 31 Sull’intricato rapporto fra modernità e tragico, si veda Eagleton, Terry, Sweet Violence, cit., pp. (...)
  • 32 Per alcune indicazioni sulla lettura come rielaborazione critica di aspetti ambigui e conflittuali (...)

22Resta da affrontare la domanda sul perché dell’associazione così forte fra il tragico e la maschilità primaria nell’universo di Ammaniti. In un mondo in cui avvenimenti tragici di vario genere si associano prima di tutto alla sorte della metà femminile dell’umanità, sembra un controsenso identificare alcune qualità particolari dell’esperienza tragica nell’esperienza di certi personaggi maschili, e per giunta in maschi malvagi come Rino Zena. Se è giusto individuare nella narrativa di Ammaniti le tracce di una poetica del tragico, la posizione preminente dei maschi malvagi in questa narrativa sembra segnalare che l’esperienza del tragico nella cultura odierna richiede di affrontare anche distinzioni e dinamiche di genere, non prive forse di un elemento provocatorio: se la dimensione tragica insita nelle rappresentazioni delle identità femminili nella cultura occidentale degli anni Duemila può considerarsi come socialmente riconosciuta e ufficializzata al punto da apparire addirittura come evidente e quasi scontata (oggetto di un consenso sociale e di un “grande racconto” di cambiamenti politici; anche se, sia ben chiaro, la diffusione e la posizione preminente di questo grande racconto nel discorso sociale non garantisce certamente l’effettiva realizzazione di ciò che il grande racconto auspica), ciò sembra suggerire che le espressioni più conflittuali, le istanze più contraddittorie del tragico vanno cercati piuttosto in certe rappresentazioni d’identità maschile. Ricordando le raccomandazioni aristoteliche a privilegiare, per raggiungere gli effetti tipici della tragedia, trame imperniate su errori fondamentali, su trasgressioni di norme, su contrasti violenti fra ascesa e discesa, fra lealtà e tradimento, si può effettivamente dire che i destini dei maschi malvagi di Ammaniti sono incontrovertibilmente segnati da errori, conflitti, comportamenti difficilmente concepibili o dicibili – compresa la stessa difficoltà, tipica dell’esperienza moderna del tragico, a dare un senso al tragico31. Nello stesso tempo, la maschilità primaria non è una mera metafora neutra della sorte del tragico nella cultura moderna, una sorte caratterizzata da violenza, volgarità e assenza di progettualità; i maschi malvagi mettono in luce alcune caratteristiche pregnanti e conflittuali delle identità maschili effettivamente attive nella cultura attuale, invitando il lettore, anche (e in particolare) attraverso le reazioni non univoche suscitate nel corso della lettura, a entrare in un dialogo critico con gli aspetti conflittuali dei personaggi maschili. Proprio la rappresentazione dei personaggi maschili, e il modo in cui questa suscita e provoca la reazione del lettore, illustra fino a che punto nell’opera di Ammaniti l’elaborazione del tragico si associ a un’idea della lettura come elaborazione critica e autocosciente di rappresentazioni culturali di vario genere, non in ultima istanza di rappresentazioni di genere32.

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Note

1 Memorabile a tale proposito è la scena in cui Rino Zena riesce a convincere il figlio a far prova della propria durezza dandogli una capocciata; dopo il colpo di testa di Cristiano, che gli arriva direttamente sul naso, Rino Zena esulta perché il figlio è riuscito a rompergli il setto nasale (cfr. Ammaniti, Niccolò, Come Dio comanda, Milano, Mondadori, 2006, p. 161).

2 Ammaniti, Niccolò, Fango [1996], Milano, Mondadori, 1999, pp. 137-148.

3 Ammaniti, Niccolò, Ti prendo e ti porto via, Milano, Mondadori, 1999. Si possono menzionare i personaggi di Bruno e Italo Miele, il padre di Pietro Morone, alcuni dei compagni di classe di Pietro Morone; per certi versi si potrebbe aggiungere pure un altro protagonista del romanzo, Graziano Biglia, anche se i comportamenti questo latin lover ormai attempato e desideroso di mettere su casa e famiglia sono difficilmente assimilabili al machismo violento e qualunquista di Rino Zena.

4 Ammaniti, Niccolò, Io non ho paura, Torino, Einaudi, 2001. Fra gli adulti di Acque Traverse, il paese in cui si svolge la vicenda, il personaggio che più si avvicina ai maschi malvagi di Come Dio comanda è Felice Natale, fratello maggiore del “Teschio”, cit., pp. 74-76.

5 Questo tipo di “maschilità primaria” corrisponde alle rappresentazioni del maschio violento, antisociale, riassunte da John Benyon nella formula “men running wild” (cfr. Beynon, John, Masculinities and Culture, Buckingham, Open University Press, 2002).

6 Ammaniti, Niccolò, Ti prendo e ti porto via, cit., p. 68.

7 Ciò è particolarmente evidente nei confronti di Quattro Formaggi: “Era così magro e alto che assomigliava a un giocatore di basket uscito da Auschwitz. Braccia e gambe sproporzionate, mani e piedi immensi. Sul palmo destro aveva un’escrescenza callosa e sul polpaccio sinistro una cicatrice dura e marroncina. Sopra il collo ossuto poggiava una testa piccola e tonda come quella di un gibbone cinerino. Una barba stenta macchiava le guance scavate e il mento. I capelli, al contrario della barba, erano neri e lucidi e gli calavano sulla fronte bassa come la frangetta di un indio” (Ammaniti, Niccolò, Come Dio comanda, cit., p. 34).

8 Si veda ad esempio la reazione di un certo Giovanni Pagani, giovane perbene anche se un po’ corto di cervello (dixit il narratore), su Quattro Formaggi: “Quel tipo che era sceso da un Boxer tutto scassato sembrava fosse appena fuggito da un manicomio, gettato di peso in un camion dei rifiuti e per finire in bellezza picchiato da una banda di hooligan” (ibid., p. 393).

9 “Io e te siamo attaccati a un filo, lo capisci o no? E tutti lo vogliono spezzare. Ma nessuno ci riuscirà. Io sarò sempre con te e tu sarai sempre con me. E io aiuterò te e tu aiuterai me. Con il cervelletto che ti ritrovi non capisci che non bisogna mai mostrare la gola?” (ibid., p. 95).

10 L’esistenza di Danilo Apnea è sconvolta dalla tragica morte della figlia Laura, soffocata per aver ingoiato il tappo di un flacone di shampoo (ibid., pp. 275-279).

11 Cfr. il resoconto di Sergio Matera, capo dei sequestratori di Filippo Carducci, sulla morte sospetta del figlio prediletto (Io non ho paura, cit., pp. 120-122).

12 Sull’amplificazione di personalità e azioni dei personaggi (amplificazione si combina però con abolizione di ogni movente, trasformando i personaggi in “traballanti fantocci inconsapevoli, [che] sono veri, sono autentici, e lo sono proprio in virtù della loro inconsapevolezza, della mancanza di ‘movente’ per le loro azioni, del loro nulla e del vuoto che li circonda”), si veda Bianchi, Alberto, “L’autenticità dell’immagine. Lo specchio catodico di Niccolò Ammaniti”, in Narrativa, n. 20-21, 2001, pp. 342-343.

13 Sul momento d’identificazione riflessiva nel processo di fruizione cinematografica (ma le osservazioni si possono applicare anche, mutatis mutandis, alla lettura di un’opera letteraria), si veda Metz, Christian, Le signifiant imaginaire. Psychanalyse et cinéma, Paris, Union générale d’Editions, 1977, pp. 61-81, capitolo “Identification, miroir”, in part. pp. 69-73 (“Le spectateur, en somme, s’identifie à lui-même, à lui-même comme pur acte de perception (comme éveil, comme alerte): comme condition de possibilité du perçu, et donc comme à une sorte de sujet transcendantal, antérieur à tout il y a”, p. 69). Simili momenti d’identificazione riflessiva sono provocati in particolare (ed è a questo proposito che le osservazioni di Christian Metz sul cinema si possono applicare anche alla narrativa di Ammaniti) da alcuni procedimenti tecnici che orientano e organizzano in modo particolarmente forte e vistoso lo sguardo dell’io: “L’angle rare [...] oblige mon regard à mettre fin pour un instant à son errance libre dans l’écran, et à traverser celui-ci selon des lignes de force plus précises qui me sont imposées. Ainsi, c’est l’emplacement de ma propre présence-absence dans le film qui pour un moment me devient directement sensbile, du seul fait qu’il a changé”, ivi, p. 77. Sull’identificazione (o su concetti affini o alternativi come “simpatia” ed “empatia”) nella ricezione estetica, si vedano Cupchik, Gerald C., “Identification as a Basic Problem for Aesthetic Reception”, in Tötösy de Zepetnek, Steven, Sywenky, Irene (a cura di), The Systemic and Epmpirical Approach to Literature and Culture as Theory and Application, Edmonton, University of Alberta, 1997, pp. 11-22, nonché Andringa, Els e Schreier, Margrit (a cura di), Poetics Today, XXV, 2004, n. 2, numero monografico dedicato a How Literature Enters Life.

14 Sulla nozione di “discorso sociale”, e sulle possibilità di leggere il romanzo in questa chiave, si vedano Angenot, Marc, 1889. Un état du discours social, Longueil, Editions du Préambule, 1989; Duchet, Claude (a cura di), Sociocritique, Paris, Nathan, 1979; Littérature, n. 140, 2005, numero monografico dedicato a Analyse du discours et sociocritique.

15 Sulla metafora di “trasporto” (transportation) per indicare il coinvolgimento psicologico durante la lettura di un testo narrativo (metafora particolarmente adatta alle notevoli capacità di coinvolgimento che contraddistingue la narrativa di Ammaniti), si veda Gregg, Richard J., Experiencing Narrative Worlds. On the Psychological Activities of Reading, New Haven & London, Yale University Press, 1993, in part. pp. 2-5.

16 Sulle dinamiche di lettura contrastanti (compresa una lettura critica, di “resistenza”) che possono essere generate dalle rappresentazioni d’identità maschili (o, mutatis mutandis, d’identità femminili) in testi di finzione, si veda Knights, Ben, Writing Masculinities. Male Narratives in Twentieth-Century Fiction, Basingstoke/London, Macmillan Press, 1999, in part. pp. 10-34.

17 Ammaniti, Niccolò, Come Dio comanda, cit., pp. 122-123.

18 Id., Ti prendo e ti porto via, cit., pp. 239-242.

19 Id., Io non ho paura, cit., pp. 156-157.

20 Appena Patrizia rifiuta di aver con Bruno Miele una relazione puramente sessuale, questi prima cerca di svignarsela con una serie di scuse, quindi l’abbandona dandole della “brutta cozza” (Id., Ti prendo e ti porto via, cit., p. 378).

21 La vita di Gina Biglia, la madre di Graziano, è dominata da tre ossessioni: l’igiene, la religione, e la cucina (ibid., p. 56); Mariagrazia Moroni, madre di Pietro, soffre di una depressione cronica che le impedisce di lavorare (ivi, pp. 52-53) e cerca di correre ai ripari quando il marito malmena i figli; Ida Miele, la moglie del bidello della scuola media di Ischiano Scalo, è in preda ad attacchi paranoici dopo esser stata aggredita da un ladro (ibid., pp. 116-118); Flora Palmieri da anni si prende da sola cura della madre demente (ibid., pp. 214-215).

22 Si veda la reazione di Bruno Miele quando ferma una macchina di grossa cilindrata con dentro due giovani pariolini, “figlidipapà travestiti da teppisti” (ibid., pp. 188-189).

23 Esemplari i destini della madre di Fabiana Ponticelli (Id., Come Dio Comanda, cit., p. 204, p. 380) e del personaggio secondario Rita Baldi (ivi, p. 426).

24 Cfr. Ammaniti, Massimo, Ammaniti, Niccolò, Nel nome del figlio. L’adolescenza raccontata da un padre e da un figlio [1995], Milano, Mondadori, 2003, p. IX.

25 “A dodici anni Pietro aveva deciso di non perdere troppo tempo a ricamare sul perché delle cose. Era peggio. I cinghiali non si chiedono perché il bosco brucia e i fagiani non si chiedono perché i cacciatori sparano. Scappano e basta” (Ammaniti, Niccolò, Ti prendo e ti porto via, cit., p. 79).

26 “In seguito Cristiano Zena ricordò il momento in cui si portarono via suo padre su una lettiga come quello che cambiò la sua esistenza. [...] Il mondo cambiò e la sua esistenza divenne importante, degna di essere raccontata, quando vide la testa del pelato scomparire dentro l’ambulanza” (Id., Come Dio comanda, cit., p. 354).

27 Cfr. rispettivamente Id., Come Dio comanda, cit., pp. 177-353 e Io non ho paura, cit., pp. 182-187.

28 Alcune delle caratteristiche elencate da Aristotele sembrano comunque applicabili, almeno in una certa misura, alla narrativa di Ammaniti; si pensi al cap. XI, dedicato al rovesciamento (peripeteia), il cap. XIII, in cui si insiste sull’importanza di un grave errore (hamartia), o il cap. XIV, dove si insiste sul fatto che per realizzare una vera compresenza di terrore e pietà è indicato rappresentare fatti di violenza fra personaggi legati da una stretta alleanza o affinità (in particolare un rapporto di parentela).

29 Sterminata la bibliografia – storica e recente – sul tragico. Per un’utile sintesi si rimanda al volume Le tragique, textes choisis & présentés par Marc Escola, Paris, Flammarion, 2002; una prospettiva stimolante (e non priva di spunti polemici) si trova nella monografia di Eagleton, Terry, Sweet Violence. The Idea of the Tragic, Oxford, Blackwell, 2003. La categoria del “tragico”, coniata da alcuni pensatori romantici circa due secoli fa (ma ovviamente associata a un genere letterario ben più antico), ha conosciuto numerosi impieghi, da quello filosofico-culturale in senso lato (per indicare certe visioni del mondo o certe fasi nella storia della civiltà) a quello letterario (per indicare determinate qualità di un’opera d’arte) a quello quotidiano (l’identificazione come “tragici” di fatti e fenomeni di vario genere). La caratteristica di base del tragico si può forse definire in termini di configurazione narrativa, come un certo modo di organizzare e raccontare una sequenza di fatti (“Ainsi, le prédicat de ‘tragique’ nomme moins une qualité intrinsèque de l’événement qu’une façon de le percevoir ou de le configurer par sa mise en récit – la configuration constituant une spéculation sur la causalité à l’oeuvre dans l’événement”, Le tragique, cit., p. 12).

30 Su questo argomento, e in generale sui rapporti fra romanzo e tragico, cfr. Eagleton, Terry, “Tragedy and the Novel”, in Sweet Violence, cit., pp. 178-202; particolarmente rilevante per la lettura dei romanzi di Ammaniti sono le osservazioni sugli stretti rapporti fra il tragico e il carnevalesco stabiliti da Bachtin, il quale “links tragedy and laughter in opposition to a browbeating rhetoric. Both tragedy and laughter, he comments, strive to expel fear from change and catastrophe; but the former does this by a kind of ‘serious courage, remaining in the zone of closet-up individuality’, whereas laughter responds to change with ‘joy and abuse’. […] they link hands in their hostility to ‘moralizing and optimism, to any kind of premature and “abbreviated” harmony in what exists […]. Tragedy and laughter equally fearlessly look being in the eye, they do not construct any sort of illusions, they are sober and exacting’ […]. Tragedy and carnival are all about change, abrupt reversals, the larger than life, in contrast to the seedy continuities of everyday life” (ibid., pp. 185-186); il saggio (non identificato) di Bachtin da cui proviene la citazione figura nel vol. V dell’edizione delle opere di Bachtin in russo a cura di S.G. Bocharov & L.A. Gogotishvili, Mosca, 1996, p. 463.

31 Sull’intricato rapporto fra modernità e tragico, si veda Eagleton, Terry, Sweet Violence, cit., pp. 205-209 e ss. Il rapporto tra modernità e tragico sembra di mutua esclusione, ma in realtà si può parlare di una interazione paradossale, tant’è vero che l’esperienza della modernità è segnata da una serie di conflitti tragici: “Proclaiming values which it can never realize, modernity is caught up in the chronic bad faith of a performative contradiction” (ibid., p. 208).

32 Per alcune indicazioni sulla lettura come rielaborazione critica di aspetti ambigui e conflittuali di rappresentazioni di genere presenti nel romanzo del Novecento si veda Knights, Ben, Writing Masculinities, cit., in part. pp. 21-25.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Bart Van den Bossche, «It’s a man’s world? I maschi malvagi di Niccolò Ammaniti»Narrativa, 30 | 2008, 283-299.

Notizia bibliografica digitale

Bart Van den Bossche, «It’s a man’s world? I maschi malvagi di Niccolò Ammaniti»Narrativa [Online], 30 | 2008, online dal 01 septembre 2022, consultato il 06 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/narrativa/1789; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/narrativa.1789

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Autore

Bart Van den Bossche

Université de Louvain (K.U. Leuven)

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