Gli amorosi delitti. La dialettica maschile-femminile nella Nera novella di Alda Merini
Testo integrale
Il delitto è un infame desiderio d’amore.
Alda Merini
La follia è l’unica cosa capace di prolungare la giovinezza e tenere lontano la molesta vecchiaia.
Erasmo da Rotterdam
11. Giorgio Zampa, uno dei maggiori critici nonché amico personale di Eugenio Montale, nel curarne l’opera omnia, intitola il volume dedicato alla prosa giornalistica del poeta Il secondo mestiere. Il titolo gli venne suggerito da un articolo dello stesso Montale datato 27 gennaio 1959:
- 1 Cfr. Zampa, Giorgio, Introduzione a Montale, Eugenio, Il secondo mestiere. Prose 1929- 1979, a cura (...)
Quando vediamo negli scaffali le “opere complete” di un autore famoso, noi distinguiamo a colpo d’occhio le poche che appartengono alla sua arte dalle molte che sono di pertinenza del suo secondo mestiere: quello del produttore di parole stampate1.
- 2 Ibid., p. XI.
2ci sono, oppure la scrittura deve dichiarare la propria nemesi nel cercarle: Alla fine dell’articolo in questione Montale esprime l’auspicio che, se la dignità del poeta, dell’artista della parola, potrà salvarsi solo a condizione che la poesia non venga ridotta a merce, grazie all’esercizio di un altro diverso mestiere, “Ebbene – dice Montale, che passò una buona parte della propria esistenza cercando un cosiddetto posto fisso da ‘r.o.’ (redattore ordinario) – ben vengano i secondi e i terzi mestieri”2. Le affermazioni montaliane offrono due principali spunti di riflessione su cui vale la pena di soffermarsi.
- 3 Cfr. Corti, Maria, Introduzione a Merini, Alda, Fiore di poesia 1951-1997, Torino, Einaudi, 1998, p (...)
3Il primo riguarda la scelta di offrire in pasto agli editori e ai direttori di giornali e riviste una parte della propria produzione salvandone in contempo un’altra dall’inesorabile mercificazione. Quanto successo abbia avuto Montale nel farlo, con il senno di poi, è facile intuirlo. Quanto si riesca a farlo oggi, cinquant’anni dopo, è altrettanto facile intuirlo. Un poeta/una poetessa di fama si trova costretto/a a scendere a patti con il contorto universo editoriale profondendo il proprio ingegno in miriadi di plaquettes, edizioni numerate, fuori commercio, ecc. rendendo sovente quasi impossibile una sistemazione critica della sua opera. Riguardo all’opus di Alda Merini, Maria Corti ha avuto già modo di sottolinearlo in tempi non sospetti3 rimarcando la dispersività e la frammentarietà del mare magnum delle pubblicazioni della poetessa.
4Il secondo spunto concerne l’assegnazione della prosa al “secondo mestiere”, quello che vedrebbe un poeta farsi “scrittore a cottimo” per esigenze economiche. Naturalmente, sarebbe una forzatura affermare che lo status della prosa presso i poeti sia solo di natura similmente “infima”. Lo stesso Montale ne sarebbe la prova (si pensi solo alle magnifiche prose di La farfalla di Dinard). Significherebbe, inoltre, obliare le importantissime scritture di natura programmatica come ad esempio le introduzioni che spesso hanno tutte le caratteristiche di manifesti di poetica, oppure le scritture intime di natura diaristico-epistolare o autobiografica, spesso di grande utilità alla critica. Alla luce di queste affermazioni viene da concludere che la prosa all’interno dell’opera complessiva di un poeta occupi un posto speciale.
- 4 Dice ancora la Centovalli: “È degli ultimi anni un’accentuata propensione verso il prosimetro, segn (...)
- 5 La produzione in prosa vi appare concentrata negli anni Novanta e negli anni Duemila. Vedono la luc (...)
5Questo è quanto mai vero quando si parla di Alda Merini. La poetessa milanese sembra affidare alla prosa i momenti più intensi della propria parabola biografica generando opere che, indiscussi capolavori, tengono testa alla sua poesia, su tutti l’intenso dittico nato dalla sua esperienza manicomiale durata 12 anni, 46 elettroshock e culminata con la sterilizzazione forzata in manicomio a 39 anni: L’altra verità. Il diario di una diversa (Milano, Scheiwiller, 1986, in prosa) e Terra Santa (Milano, Scheiwiller, 1984, poesie). A questo si aggiunge anche una sempre più marcata propensione alla prosa degli ultimi anni che porta la Merini verso un’oralità prosastica da aedo4 facilmente deducibile anche dalle principali voci bibliografiche5 del periodo. Almeno dal punto di vista cronologico la Nera novella sembra essere l’acme di questo percorso di poetica che ha visto i suoi versi, già metricamente liberi, tramutarsi sempre di più in frasi.
- 6 La formula Nera novella del titolo, oltre a riferirsi allo specifico genere letterario, potrebbe an (...)
- 7 Cfr. ad es.: S.F., Alda Merini sperimenta il romanzo noir, in Europa, 30 marzo 2007, p. 9.
- 8 Sul risvolto di copertina leggiamo, tra l’altro: “Tutto ha inizio con il ritrovamento di una tibia (...)
62. La Nera novella appare come un’opera problematica sin dalla sua stessa definizione in quanto a genere: basti, qui, sapere che il titolo la vorrebbe “novella”6, il sottotitolo dice “umorismo nero”, la casa editrice la vorrebbe “romanzo noir”, l’autrice la dice essere un giallo. La critica7 aveva salutato l’uscita del libretto, nella primavera del 2007, affermando, non senza una punta di compiacimento “commerciale”, che la poetessa milanese tentava la fortuna nel genere noir. La stessa casa editrice aveva promosso il libro sottolineandone in un certo qual modo l’aspetto legato alla detection8. E così in un certo senso è. L’autrice dichiara, in più punti, che il suo giallo, irrisolto, è legato alla sua vita, ai suoi amori, alla sua follia, alla sua pluriennale reclusione manicomiale e al mistero a essi legato: “Siccome io mi arrovello la mente tutto il giorno su questi problemi, non ne vengo a capo, anche perché ho un mio risentimento personale interno: non ho risolto la mia entrata in manicomio” (NN, p. 48) oppure: “Anch’io ho paura di morire senza aver risolto il mio giallo, che non è il mio, ma quello di un’altra persona. Che ne è stato del mio dolce compagno? Perché da dolce innamorato si è trasformato in assassino? Cosa avviene nella mente umana? Cosa diavolo gli era entrato in capo? (NN, p. 83).
- 9 La prossimità con Manganelli è, in un certo qual modo, anche la prossimità con le tesi del Gruppo 6 (...)
- 10 Ciò viene per giunta fatto in maniera per niente peregrina; se ne potrebbe cioè cavare qualche dato (...)
7L’umorismo del sottotitolo in tal caso si farebbe il sentimento del contrario pirandelliano, novecentesco e ontologico indagatore di quanto di intimamente umano vi sia sotto l’epidermide. La stessa struttura deporrebbe a favore di quest’ipotesi. L’adombrata forma tra il “trattatelo semiserio” e un confuso conte philosophique sembra essere più che adatta allo scopo e il testo, nonostante l’andamento tutt’altro che lineare, serba fino alla fine una netta e chiara divisione in brevi capitoli. Simile struttura potrebbe anche dirsi mutuata da Manganelli9, dichiarato maestro di stile (per la prosa, a Quasimodo spetterebbe il magistero poetico, secondo la stessa Merini), ruvido educatore sentimentale (basti pensare alla deflorazione cantata in La presenza di Orfeo) e compagno di allucinati mondi mentali (Manganelli scrive l’Hilarotragoedia, opera prima e libercolo anch’esso “indagante”, a scopo terapeutico, dietro il consiglio dell’analista Ernst Bernhard. All’affiorare delle prime ombre della malattia mentale che affliggeranno l’intera vita della poetessa, sarà proprio Manganelli a portarla dai medici Fornari e Musatti, mentre la Corti l’affida all’esame del medico Clivio, il migliore psichiatra di Milano). L’ombra di Manganelli, è presente sin dall’incipit (nelle prime pagine viene riportata la sua massima “La letteratura è menzogna” (titolo dell’omonimo saggio del ’64) quasi a mo’ di avviso ai naviganti), e la poetessa lo cita più volte: a pagina 53 menziona Pinocchio: il libro parallelo, la riscrittura di Manganelli del capolavoro collodiano, e a pagina 43 menziona la stessa Hilarotragoedia10. A Manganelli sembra, inoltre, si debba lo stesso “movente” del libro (“A Manganelli piaceva perseguire il delitto e anche a me. Io sono curiosissima dei movimenti architettonici dei delinquenti: riescono a comporre dei mosaici bellissimi”, NN, p. 19). Allo stesso modo, a prescindere dalla citazione di Pinocchio, l’aspetto della Nera novella legato alla riscrittura sembra dipendere anch’esso da Manganelli. A pagina 72 leggiamo: “Manganelli mi portava sempre un libro, Il fantasma di Canterville, dove si raccontava di un castello maledetto, dove nessuno entrava mai”. La narrazione prosegue con la Merini che riassume il libro di Wilde (di cui cita anche Il ritratto di Dorian Gray) modificandolo a proprio piacimento. Vengono ad es. aggiunti alcuni particolari truculenti assenti nel finale del testo originale: “Il fantasma aveva la faccia reclinata da una parte e sgorgava un sangue copioso dalla bocca: gli era scoppiato il cuore” (NN, p. 73). La riscrittura ci riporta, in un certo qual modo, alla menzionata letteratura come menzogna, in quanto il suo frutto ultimo si discosta più o meno radicalmente dall’antigrafo.
8Fin qui la parte volontaria del procedimento. Esso avrebbe anche una componente involontaria, strettamente legata alla parabola biografica della Merini. Raramente la scrittura prescinde dalla soggettività dello scrivente e quasi sempre essa si dà come “riscrittura” della vita variamente distante da essa e collocabile in un punto imprecisato tra faction e fiction. L’opus della poetessa milanese in questo senso offre delle possibilità inesplorate in quanto la malattia mentale della Merini sembra impedirle di controllare il livello di trasfigurazione, il “dosaggio” della menzogna e della realtà.
9Riprendendo il filo diremmo che il noir è quello delle oscurità del male e il giallo è quello metafisico e irrisolto della ricerca di un self forse inesistente (“Un libro nero nasce da un sordo rancore”, NN, p. 71) e delle risposte che probabilmente non
Non si può raccontare in un romanzo ciò che teme la nostra memoria. Siamo pieni di temenza oltre che di demenza. I fatti non dicono la verità, è la memoria che ce li svela, qualcosa che sta nel sottobosco, nei nostri istinti, sotto una veranda, magari sotto un grande amore (NN, p. 62).
10L’impossibilità del giallo “fattuale” è confermata anche dal breve prologo dell’autrice in cui dichiara la vaghezza e il carattere indefinito del soggetto del libro (“Mi ricordo, in tempi migliori, di aver guardato fuori e di aver visto un delitto, ma non ricordo come”, NN, p. 9, corsivo nel testo) e dal condizionale dell’incipit in cui si dice del ritrovamento di un “osso integerrimo di un uomo integerrimo”: “Potrebbe cominciare da una reliquia trovata per caso in giardino” (NN, p. 13).
- 11 Alcuni esempi, fra tanti: “Il limite del delitto è sempre un limite trasversale. Il delitto ha le s (...)
- 12 Anche qui solo qualche esempio: “L’omicida credo sia felice momentaneamente perché si libera della (...)
- 13 Si veda a questo proposito anche la lunga citazione nella n. 3 contenente il binomio romanzo-figlio (...)
11Al di là dei significati metaforici e quasi per salvare le apparenze, per serbare viva la memoria del giallo in quanto genere, la poetessa, mente aguzzata dal mistero, si improvvisa, nel libro, una “signora in giallo” attribuendosi “spiccate doti investigative” arrivando ad affermare, tra pedinamenti e appostamenti che “Io dovevo fare il detective di mestiere, ho sbagliato strada” (NN, p. 27). Allo stesso modo e, “manganellianamente”, diremmo, fa delle osservazioni teoriche sul delitto11, sulla figura dell’assassino12 e sul romanzo giallo stesso (anche qui inesorabilmente legato al personalissimo mistero del ricovero manicomiale e, in generale, alla sfera soggettiva dello scrivente13):
Se vado poi a cercare la mia cartella clinica, non la troverò mai. È sepolta insieme alla storia del maxi processo del Mostro di Firenze, con cui non c’entro niente. In Italia c’è gran confusione di carte scartoffie, di romanzi. Il romanzo giallo è giallo perché è cinese? O ha l’itterizia A me venne l’itterizia per colpa di un amore, un grande amore mi fece diventare itterica. Comunque i romanzi gialli appartenevano alla genia degli Arnoldo Mondadori Editore. I gialli si leggevano al gabinetto, in piena saturazione di fumo, di veleni e di vari profumi personali, però il romanzo giallo si leggeva in silenzio, e diventava una meditazione talmente personale per cui molti, dopo aver letto il romanzo giallo, uccidevano la fantesca. Li copiavano (NN, p. 57).
12Basta, a mo’ d’esempio, osservare l’involontario pun con “itterica” e scioglierlo sostituendo “itterica” con “isterica” per rendersi conto ancora una volta che l’indagine più che essere il classico procedural criminologico è un’autoanalisi: “Il romanzo giallo è giallo perché è cinese? O ha l’itterizia A me venne l’itterizia per colpa di un amore, un grande amore mi fece diventare isterica” (corsivo mio).
- 14 Woolf, Virginia, Le donne e la scrittura, La Tartaruga, Milano 1981, pp. 55-56.
- 15 Corti, Maria, Introduzione, in Fiore di poesia, cit., pp. 13-14. È sempre la Corti (stavolta in COR (...)
133. A proposito della nota stanza “tutta per sé”, Virginia Wolf, tra l’altro, si chiedeva: “Con chi intendete dividerla, e a quali condizioni?”14. Dovendo rispondere a questa domanda Alda Merini direbbe probabilmente “con me stessa”. E non si tratterebbe di un accesso di ego autoriale ma di reale e intima condizione. Questo perché, come dice Maria Corti, “Alda Merini scrive momenti di particolare lucidità mentale, benché i fantasmi che sono protagonisti nel teatro della sua mente provengano spesso dai luoghi frequentati durante la follia”15. In molti punti dell’opera della Merini ci è difficile scindere la sfera psicotica da quella dell’arte, e si è, anzi, propensi a vedere la follia come il valore aggiunto del testo letterario. Si ha una coesistenza di mondi, dunque, quello della “lucidità” e quello della “follia”, quello delle figure reali e quello dei fantasmi, che si sovrappongono fino a formare, diremmo per psicogenesi, un “reale letterario” scontornato e ricchissimo di simboli come quello della Nera novella.
14Il Dizionario della lingua italiana di De Mauro, per citare solo uno dei più famosi, definisce la poetica come “l’insieme delle concezioni sulla poesia e sull’arte, dei modi stilistici ed espressivi, dei principi e degli scopi di un poeta, di uno scrittore, di una corrente letteraria”. Trattandosi di un concetto di natura estetica, oltremodo proteiforme, la definizione appena riportata è passibile di modifiche e ampliamenti. In Alda Merini il concetto appare almeno in parte privato della sua componente volontaria e programmatica perché legato, in maniera inscindibile, alla sua malattia, la schizofrenia, nonostante la poetessa abbia affermato, in alcune occasioni, il contrario:
- 16 Merini, Alda, La mia poesia, in Fogli bianchi, Livorno, Biblioteca Cominiana, 1987, pp. 7-8.
Si è fatta troppa confusione tra la mia poesia e la mia vita, anzi direi tra la poesia e la malattia. La poesia, semmai, è la liberazione dal male, come la preghiera è la liberazione dal peccato. Per questo, se può piacere ai critici aggiungere un che di perverso all’atto creativo puro, io ne dissento, perchè mai come quando scrivo mi sento atta a vivere e a proliferare. Come giustamente ha detto Maria Corti, anche un disturbo sia pur lieve può generare figure di pensiero, punti di sollievo o punti di decadimento: fin qui sono d’accordo, ma la carica originaria della poesia è ancestrale, e pura, è canto senza ripensamenti16.
15In chiusura di questa citazione la stessa Merini, come sovente le accade, si contraddice affermando che la poesia è quanto di più genuino e ancestrale vi sia al mondo. In tal caso essa sarebbe implicitamente e fortemente legata alla parabola biografica e alla vicenda personale dell’autore. Lungi da voler insistere su questo punto o, peggio, lungi da voler ridurre la creazione artistica meriniana alla malattia, ci sembra opportuno sottolineare come spesso la poetica corrisponda al decorso della schizofrenia.
- 17 Rosenthal, Tatjana, Sofferenza e creazione in Dostojevskij. Analisi psicogenetica, in Giornale Stor (...)
16 Quando ci si avventura nelle analisi psicologiche dei fatti umani al di fuori dell'ambito terapeutico si rischia di “disincantare il mondo” (l’espressione felice è di Max Weber). Ma poiché la psiche, sappiamo, non può cogliersi come puro oggetto e, nella osservazione psicologica, soggetto e oggetto spesso coincidono, nessun “disincanto” sarà mai totale e scientifico. Della psiche si può dire solo se si accetta l'inesauribilità e l'inconcettualità del suo farsi; ogni spiegazione psicologica è psiche essa stessa, è sua stessa vitalità. Per questo ci sembra possibile parlarne anche in termini di poetica meriniana. Della vitalità della psiche è parte la sua natura onirica, la sua possibilità di definirsi nelle connessioni metaforiche dell'esistenza, attraverso simboli, fantasie, desideri e sogni. Il carattere artistico di un'opera sarebbe dunque dato da quei “tratti peculiari dei processi psichici che determinano particolari prodotti di creazione”17. Là dove vi sia un atteggiamento troppo unilaterale della vita psichica, si esprimerà molto meno di ciò che caratterizza la sua attività “immagnifica” e la sua espressione simbolica. Perché il desiderio e la capacità creativa si accendano, occorre, volenti o nolenti, dare voce al mondo emotivo più profondo, attraverso questo la vita si spinge avanti e si alimenta di significati. Quella funzione armonica, mediatrice della immaginazione creativa che esprime le fantasie inconsce, farà accettare all'individuo quelle esperienze di separazione dall'originario oggetto perduto, rappresentandolo su piani diversi attraverso i simboli, rendendolo parte della sua realtà psichica, alimento e fulcro stesso del suo lavoro, connotandolo di una componente affettiva rilevante. L'arte contiene anche elementi disarmonici, indesiderabili; comprende sentimenti aggressivi, pulsioni distruttive, categorie estetiche opposte e, contenendole, le trasforma attraverso la superiorità dell'atto creativo in una forma nuova. Perciò nessuna creazione artistica è senza tensione.
- 18 Sui sintomi della malattia ci limitiamo a rinviare ai due manuali diagnostici più importanti in uso (...)
17 La poetica della Merini sembra rispecchiare alcuni tra i molteplici sintomi della schizofrenia, disturbo noto per la vasta sintomatologia, nessuno dei cui sintomi può tuttavia essere considerato caratteristico ed esclusivo (patognomonico)18: il rapporto col reale che viene fuori dalle sue opere in prosa sembra portare con sé quella scissione (schizo, in greco, significa, appunto, scindere), la frantumazione della personalità propria della malattia. Il reale viene rivisitato dalla mente creativa e “diversa” della poetessa che, pur prendendolo come punto di partenza, gli oppone un mondo allucinato, fantastico e simbolico. Di conseguenza, la trama della Nera novella viene destrutturata con dei veri e propri punti di rottura o slittamenti di senso, più di uno all’interno di uno stesso capitolo, che sono il vero propellente, illogico, dell’operetta. Quello più clamoroso è probabilmente quello del dodicesimo capitolo in cui, dopo una disquisizione ermetica sui solai del proprio condominio, la Merini scrive:
Pagò una laurea e diventò architetto. Con quella laurea in mano chiamò i boscimani africani qualche cannibale e cominciò a lavorare a quel solaio. I bambini languivano in silenzio. Non capivano perché i genitori litigassero tutto il giorno fra loro per le piastrelle. Finché non arrivò un assatanato di sesso che, tirato fuori il suo fallo cominciò a prenderlo come metro e misurò le piastrelle. Ci fu una totale confusione di perbenismo e sessualità (NN, pp. 77-78).
- 19 Nella migliore tradizione del giallo il tutto è uno spazio conchiuso e “condominiale”: il tutto ha (...)
18Nella Nera novella la Merini mette in scena il mondo “a margine” di un fatiscente e asfittico condominio sui Navigli facendone l’alter ego della sua mente19. Spazio letterario, ma anche reale, è qui più che mai spazio mentale in cui il reale viene sapientemente e poeticamente rarefatto. Lo spazio viene animato da magici e grotteschi accadimenti incentrati su una carrellata di crimina amoris (e non solo) che si susseguono senza un apparente e immanente criterio: hanno luogo senza moventi, senza assassini e, forse, anche senza vittime. Bastino pochi esempi: “Ho fatto tanta strada per pedinare questo qua. Che poi è riuscito a morire. È morto perché gli inquilini hanno una cosa tremenda: hanno fatto una popò di cane con su una buccia di banana. Ha fatto uno scivolone perché era claudicante” (NN, p. 26); poche righe più avanti, appena dopo la grottesca “morte” di Lui, muore anche la Lei della situazione: “Lei poi aveva il cerotto del cuore, è andata dal farmacista, ma non aveva soldi, ha fatto un collasso. Penso che l’abbiano bruciata viva, perché non era morta. È spiaciuto a tutti, perché era talmente cattiva che teneva in vita la casa”.
19Come in molte altre sue opere, poetiche e in prosa, la Merini popola lo stabile di Ripa di Porta Ticinese di figure strane, semi-reali e ossessive, come ad esempio il custode del palazzo che per l’occasione ruba, uccide e violenta le donne. Nella mente della Merini, il portinaio, come anche altri, si è trasfigurato assumendo forme e significati diversi da quelli reali. Spiega Merini in un’altra opera:
- 20 Merini, Alda, Il tormento delle figure, Genova, Il Melangolo, p. 9.
Non saprei dire chi fosse. Una metafora. Era l’io, il mio io più oscuro. Una figura magica, mai identificabile perché era la paura stessa. La paura del sopruso, del manicomio, della miseria. Quando mio marito Ettore Carniti è morto, ho visto il custode trasfigurarsi sotto i miei occhi: gli sono cresciuti i baffi alla mongola come a Ettore, come Ettore zoppicava e come Ettore voleva rinchiudermi in manicomio. Tutto mi faceva pensare che volesse prenderne il posto20.
20Ed è esattamente ciò accade nella Nera novella. Appaiono misteriosi figuri che rammentano il defunto marito della poetessa: “Lui si era acconciato i capelli come Carniti Ettore, per terrorizzarmi. Ma io l’avevo capito, voleva fare il similare, e a lei, che amava mio marito, piaceva perché assomigliava a Ettore, ma io non sono caduta nella trappola” (NN, p. 26). E il portinaio è una figura connotata negativamente:
Qui una volta una persona, un grosso maniaco, fungeva da portiere. Io l’avevo capito che era maniaco, perché avevo il vizio di non mettere le mutande, e quando mi incontrava cominciava a gemere […]. Il maniaco secondo me era uno stupratore. Allora io, che sono arguta, riempii la casa di figure femminili discinte, ma il maniaco non si fece vivo (NN, p. 61).
- 21 Manganelli, Giorgio, Centuria. Cento piccoli romanzi fiume, Milano, Adelphi, 2006. Tutte le citazio (...)
21La fauna fantasmatica che abita il condominio, lo si è affermato poco più su, compare e scompare senza alcuna logica immanente, sembra si tratti di un mondo di veri e propri ectoplasmi, il marito defunto su tutti (“Cosa continua mio marito a rompere le scatole? Mio marito, il famoso fantasma, che va avanti e indietro come se fosse un uomo e non mi lascia pace” (NN, p. 83). A quest’ultimo viene per un attimo conferito persino il ruolo di macabra musa che detta quanto scritto dalla poetessa dei Navigli: “Poiché io amavo mio marito, so che di notte viene a trovarmi e mi racconta ciò che io sto scrivendo” (NN, p. 71). Si è altresì detto che si tratterebbe della proiezione del mondo mentale della Merini. Nonostante l’unicità e il genuino caos cognitivo dell’insieme è impossibile non notare alcuni punti di contatto con Manganelli, ancora lui, e con il suo Centuria21, “cento piccoli romanzi fiume”, come recita il sottotitolo. Quello di Manganelli è un libro brusco, sottilmente ironico, imprevedibile e tremendamente cinico che viaggia sovvertendo la nostra idea di letteratura. Procede a balzi, ci sono argomenti che ricorrono (presentati da prospettive diverse): un fantasma triste e solitario nel suo castello che aspetta chissà cosa (quello di Canterville di Wilde, “riscritto” dalla Merini è dietro l’angolo, come pure il coniuge fantasma), uomini soli in una città deserta, assassini, draghi e cavalieri, fate, sogni e cauchemar. L’insieme riflette l’inquietudine di un’umanità smarrita, che passa nel giro di poche righe dalla gioia estrema all’estrema depressione, similmente a quanto accade nell’opera della Merini. Alcune somiglianze tematiche, forse casuali, sono lampanti. Nella centuria n. 51 leggiamo:
La persona che abita lì, al terzo piano non esiste. Non intendo dire che l’appartamento è sfitto, o inabitato: intendo dire che la persona che lo abita è inesistente. […] una persona che non esiste non ha problemi sociali, non deve affrontare la minuta fatica della conversazione con i coinquilini […]. Essi avvertono nell’impeccabile condotta dell’inesistente una continua reprimenda. “Ma chi si crede i essere, solo perché non c’è”, mormorano; è chiaro, hanno cominciato a invidiare, presto odieranno la disinvolta, evasiva perfezione del nulla (C, pp. 117-118).
22Il mondo del palazzo meriniano è tutto lì. Permeato dall'ambigua natura della follia, labile e metafisico, quasi inesistente, ma fonte di indicibili congetture mentali. Un’altra, forse casuale, coincidenza è che Manganelli dà delle “istruzioni per l’uso” della Centuria piuttosto “condominiali”:
Se mi si consente un suggerimento, il modo ottimo per leggere questo libercolo, ma costoso, sarebbe: acquistare diritto d’uso d’un grattacielo che abbia il medesimo numero di piani delle righe del testo da leggere; a ciascun piano collocare un lettore con il libro in mano; a ciascun lettore si dia una riga; ad un segnale, il Lettore Supremo comincerà a precipitare dal sommo dell’edificio, e man mano che transiterà di fronte alle finestre, il lettore di ciascun piano leggerà la riga destinatagli, a voce forte e chiara. È necessario che il numero dei piani corrisponda a quello delle righe, e non vi siano equivoci tra ammezzato e primo piano, che potrebbero causare un imbarazzante silenzio prima dello schianto. Bene anche leggerlo nelle tenebre esteriori, meglio se allo zero assoluto, in smarrito abitacolo spaziale (C, risvolto di copertina).
- 22 “La signora una volta prese un bastone e mi colpì alla fronte dicendo che attentavo alla castità de (...)
- 23 A proposito dell’“amore delittuoso”, leggiamo in un’intervista ad Alda Merini, datata Milano 2002: (...)
234. Più di ogni cosa Nera novella si presenta come l’attuale summa in prosa dell’eterno, quasi ossessivo, disquisire versificato della Merini sull’amore. L’amore, in tutte le sue declinazioni fenomenologiche, viene qui vissuto come un qualcosa di pericoloso e come fonte di paura. Paura di se stessi in quanto inadatti a viverlo adeguatamente e appieno, e paura dell’altro in quanto potenziale offensore22. L’amore è il territorio di scontro fra sessi23, è un sentimento, nell’opera, quasi sempre patogeno, generante negatività e una dialettica mai costruttiva tra il maschile e il femminile che in esso pur troverebbe il suo luogo deputato. La Merini, donna e dichiaratamente “folle, folle, folle d’amore”, quindi doppiamente diversa, almeno nel mondo che abita, mette in scena un microcosmo che risente molto della sua mente, in cui l’uomo e la donna paiono fronteggiarsi in un gioco mortale. È la dimostrazione della concezione che dell’amore la Merini ha, solo apparentemente distorta e agli antipodi della visione tradizionale. Ora, è vero che basta un quasi superficiale scavo etimologico sulla parola amore per capire che esso è a-mors, scevro, privo di morte; ma è anche vero che, nel Cantico dei cantici, uno dei poemi d’amore per eccellenza, si dice che “forte come la morte è l’amore”, mettendo così a diretto confronto amore e morte come se fossero in eterna lotta tra loro nella vita umana. Questo ci porta a un altro luogo classico della cultura occidentale che è Al di là del principio del piacere di Freud in cui troviamo il binomio amore-morte, eros e thanatos. Qui, sintetizzando alquanto, apprendiamo che senza la morte, senza cioè la cessazione delle tensioni erotiche, l’amore sarebbe destinato a rimanere perennemente insoddisfatto e sarebbe così finché viviamo. La pulsione di morte sarebbe, dunque, al servizio del principio del piacere benché nel suo realizzare la cessazione delle tensioni andrebbe al tempo stesso al di là del principio del piacere. Non si ha più, in quest’ottica, l’amore contro la morte, ma la morte come il fine ultimo dell’amore. Nella Nera novella la Merini, tra l’altro, scrive: “Ma che cosa vogliamo in realtà noi, se non morire? Morire d’amore per il maniaco, morire d’amore per santa Teresa, morire d’amore per una casa squallida, o non morire? Soprattutto non vogliamo morire” (NN, p. 67).
24Di esempi d’amore mortifero, infaustamente dialettico e traumatico se ne potrebbero ricavare tantissimi dalla Nera novella. Per iniziare, l’unione uomo-donna (la coppia) è connotata sempre negativamente (“Lui e lei separata, i due amanti diabolici”, p. 15; “Lui e Lei erano amanti assassini”, p. 25), fino quasi a dissolversi e a scontornarsi dal punto di vista sociale (“C’era una coppia che vivevano in tre, in quattro, in dieci. Andavano e venivano degli avventori, però la donna in questione era irreprensibile”, p. 31; “Prendiamo ad esempio le meretrici: si offrono e pensano ad altro, ma anche una casalinga fa la stessa cosa, è approvata dalla legge e dalla Chiesa, in più prende un lauto stipendio”, p. 54). L’approccio amoroso e sessuale è pressoché sempre deleterio:
L’educatore sentimentale non sempre sa aiutare la donna, spesso la diseduca. Il primo uomo, il primo amore è sempre un grande educatore sentimentale. Se gli va buca, la donna cercherà l’uomo per tutta la vita, e se lo trova, s’ammazza. Perché è scema. Io ho visto molti uomini e molte donne deglutire l’amore insieme ai barbiturici, perché avevano trovato uno scopatore geniale, e si sono ammazzate. Dalla gioia. Perché lo scopatore le ha abbandonate. La scoperta dei buoni educatori sentimentali viaggia in tutti i libri di ermeneutica, persino nella Bibbia (NN, p. 54).
25Il rapporto amoroso è, inoltre, sempre contrassegnato da secondi fini letali:
Un uomo che non aveva i suoi sentimenti ben chiari si era invaghito di una donna apparentemente giovane, apparentemente anziana, apparentemente cretina. Ma l’uomo non aveva capito che aveva un grande pregio, la signora. Non era cretina era furba. La furbizia non è contemplata nella scala dell’intelligenza, ma è più veloce. Aveva capito per esempio che lui era un impiccione, nel senso che avrebbe voluto conoscerla più da vicino, ma la signora tra lui e la porta aveva messo un tavolo da disegno. Cercava di fare l’avvenente, ma di fatto aveva in mente di ucciderlo. Lo voleva uccidere perché era un ingombrante, perché un giorno l’avrebbe buttata via come carta vecchia. Però ancora gli serviva per una cosa molto sottile. Voleva far ingelosire il marito perché non se la filava (NN, p. 82).
26Finanche l’amore per se stessi porta alla morte: “[Il poeta] rimane solo con se stesso e si ama disperatamente, talmente disperatamente che finisce per ammazzarsi. L’unico amore dello scrittore è se stesso” (p. 37). Appare chiaro come la gamma di scenari appena riportati presenta l’amore, concetto tradizionalmente depositario e generatore di vita, in maniera diametralmente opposta da quelle che potrebbero essere le percezioni del comune sentire. La variabile biblico – religiosa, una costante nell’opus meriniano, quando concerne l’amore ne propone sempre degli esempi “poco edificanti”, perlomeno ad un primo livello di lettura. Un esempio citato dalle Scritture è quello di Abramo: “Quando Dio disse ad Abramo: ‘Prendi tuo figlio e uccidilo!’ Abramo rimase sconcertato. Ma era una prova d’amore. Quando dico a un uomo di darmi una prova d’amore, quello mi ammazza” (pp. 55-56).
- 24 Merini, Alda, Un amore. Racconto, Acquaviva delle Fonti (Ba), Acquaviva, 2007. D’ora in poi UA segu (...)
- 25 “Pensano che noi parliamo d’amore, invece io continuo a raccontarti le vicende stupide di questa ca (...)
275. Da quanto affermato finora emerge un quadro sostanzialmente molto confuso, strutturalmente e tematicamente, del libercolo meriniano. Esiste, però, nella vastissima produzione degli ultimi anni un altro “piccolo” libro che potrebbe essere visto come “glossa”, come una nota a piè di pagina della Nera novella. Il racconto Un amore24, pubblicato nell’ottobre 2007 (e quindi posteriore di pochi mesi alla Nera novella, pubblicata nella primavera dello stesso anno), potrebbe essere visto come la versione lucida della più estesa Novella. Il testo, scritto in tono confessionale (2a persona singolare) e rivolto a un ipotetico amore perduto (probabilmente il marito morto), riprende in buona parte gli stessi “dati” letterari della Nera novella. Quello che pare essere una lettera d’amore, non lo è, alla guisa della Nera novella che è un testo passibile di molteplici letture anche contraddittorie25. Si continua con concetti articolati similmente alla Nera novella: vi sono macabre reliquie ossee anche qui (“Cercavo delle ossa. Ci sono state, sono state levate”, UA, p. 9); vi è l’idea negativa dell’amore: “Il crudele amore? Una specie di tripudio di gratitudine. Qualcosa che ti spinge nelle braccia dell’altro quando sai che lì dentro morirai. Amore e morte sono la stessa cosa”; il parallelismo continua con l’equazione giallo = manicomio o con l’idea del giallo come problema personale irrisolto: “Il giallo di cui tanto si parla è un ricovero in manicomio. Un giallo contraffatto di spese con alcune baldracche che presentavano a mio marito conti di compere mai commesse, mai fatte. Ecco una donna che viveva oltre le sue possibilità ed era straordinariamente in miseria. Questo è il giallo della storia. Vero?” (UA, p. 6). Il ruolo del breve racconto nella decodifica dell’opera maggiore è particolarmente evidente quando si arriva al tema del “solaio”, una parte che nella Nera novella risulta particolarmente oscura. In Un amore si legge:
Sono senza tetto. Molti non hanno capito la polemica del solaio. Eh… era l’alta sfera del sentimento. Era il cuore della mia vita. Era il mio pensiero. Nel solaio erano nascosti tutti i miei pensieri. Tutti i miei pensieri d’amore. Nel solaio erano nascosti i miei triboli, le mie bottiglie vuote con cui mio marito si ubriacava. Persino una lavatrice strana in cui sono stati ripuliti alcuni panni, di quale assassinio io non ho più saputo niente (UA, p. 6).
28Lo stesso accade con la figura di Roberto Volponi che nella Nera novella viene invischiata nella grandguignolesca sarabanda di scomparse sospette della corte dei miracoli della Merini. Qui invece ci viene offerta la versione lucida e veritiera dei fatti: “E quel giorno, caro amore che non capisci niente, cadde l’aereo di Cuba. E morirono 150 ragazzi che andavano a passare le vacanze, lontano. Io persi Roberto Volponi, l’ispiratore del Delirio” (UA, p. 9). Troviamo anche qui gli inquilini che scompaiono misteriosi: “Ma parliamo di […] questa casa singolare dove 20 inquilini non si sono più visti, dove nessuno si dice dove sono andati, come mai e perché” (UA, p. 7). Ricompare persino il nume tutelare di Manganelli, come sempre pregno di significati al livello esegetico:
Ecco: il mistero di queste donne cattive che hanno condannato la mia vita al manicomio. Donne che volevano soldi, e mio marito ne aveva tanti. Questo è il giallo senza conclusione. Non a torto Manganelli scrive un bellissimo libro: Sconclusione, non s’è capito né il principio né la fine, né il perché (UA, pp. 8-9).
- 26 La forte continuità tematica delle prose meriniane degli ultimi anni è confermata anche in Un amore(...)
29Ricorrendo, infine, alla formula di un titolo manganelliano potremmo asserire che Un amore è un libro parallelo alla Nera novella in cui vengono portati avanti pressoché gli stessi temi, veri e propri leit motive, fortemente autobiografici, già toccati, in maniera quasi compulsiva nelle poesie e nelle prose (almeno a partire dal Delirio amoroso)26. Alda Merini scrive e riscrive se stessa seguitando a comporre il suo Libro, l’unico, con la maiuscola, come hanno fatto tanti poeti, come ha fatto Manganelli, dal ’64 al ’90, quando morì a 68 anni, avendo forse capito che “ferita era la benda, non il braccio”.
- 27 Anceschi, Luciano (a cura di), La linea lombarda, Varese, Magenta, 1952.
- 28 Sulla “linea lombarda” di Isella si vedano almeno: Barbarisi, Gennaro, La letteratura italiana e la (...)
- 29 L’espressione si trova in Pasolini, Pier Paolo, In vari modi uno scrittore può essere teppista, in (...)
306. Qualche osservazione conclusiva. L’analisi della Nera novella evidenzierebbe nella prosa recente della Merini una filiazione importante, quella dalla “linea lombarda”. E qui non intendiamo quella “linea lombarda” teorizzata dall’antologia di Anceschi nel ’5227, con la quale “La Alda” pur avrebbe qualcosa da spartire e che nelle sue file annovera nomi come Erba, Raboni o Sereni. Ci riferiamo piuttosto alla “linea lombarda” ipotizzata dal “gran lombardo” Isella28 che nella Lombardia vede “uno dei più inquietamente mossi e fantasiosamente espressivi [territori] della geografia letteraria italiana”, quella che, tra gli altri, vede sfilare i nomi dei grandi irregolari e nevrotici come Gadda, e perché no?, anche il “teppista” Manganelli (l’espressione è di Pasolini29) le cui scontrose finzioni viaggiano nella medesima direzione. Il disordine, il “pasticciaccio” del mondo, il “gnommero” interiore è reso da Gadda in una prosa ardua e manipolata con elementi linguistici dialettali e dotti, in un ludibrio linguistico acido e furioso insieme, che tenta, di dominare la disarmonia e la lancinante angoscia dell’esistenza. Le alture cronologiche e la dimensione linguistica sono, beninteso, molto differenti ma il passo tra le indagini incompiute di Ciccio Ingravallo e il “giallo metafisico” della Merini composto per intervalla insaniae non sembra di proporzioni pachidermiche. Lo stesso dicasi per la Villa in Brianza dell'Ingegnere e il condominio meriniano sui Navigli.
- 30 La loro collaborazione ha dato origine, tra le altre cose, a una monografia (Colpe d’immagini, Mila (...)
- 31 Cf. Kozloff, Max, The Theatre of the Face. Portrait Photography Since 1900, Phaidon Press, London, (...)
- 32 Per il riferimento a Benjamin (per il quale cfr. Sontag, Susan, On photography, London, Penguin,197 (...)
31La chiusura ultima di questa disamina spetta a una parte del libro che finora, volutamente, abbiamo tralasciato, ma che, come certi temi, è una presenza costante nei suoi libri degli ultimi anni: l’apparato iconografico. Nello specifico si tratta delle fotografie dell’amico della Merini, il fotografo Giuliano Grittini che ormai da qualche anno immortala momenti pubblici e privati della poetessa30. Al di là del forte citazionismo che nelle recenti fotografie della Merini contiene riferimenti a L’origine del mondo di Courbet, alla Maja desnuda di Goya o alla sfiorita Olympia di Manet, che esibisce la beltà del tempo che fu orgogliosa, con la sigaretta in mano, i dagherrotipi svelano un lato esibizionista e ludico dell’autrice. Lo sguardo è sempre provocatoriamente rivolto all’obiettivo quasi in un gesto di sfida e l’artista si fa mostra vivente di come nel concetto di fama il confine tra la persona pubblica e la patologia privata sia sempre più sfumato31. Parte integrante della novella, oltre ai ritratti della stessa Merini, musa del Naviglio, e del suo appartamento, disordinato e sovraccarico di segni d'ogni sorta della presenza di chi vi abita (ma che mai è direttamente presente nell'inquadratura), sono anche le fotografie del famigerato condominio che è il setting del libro. A questo proposito ci pare calzante il pensiero di Walter Benjamin che, a proposito delle fotografie delle strade vuote di Parigi di Atget, ha detto che il luogo del delitto è anch'esso abbandonato e viene fotografato solo per raccogliervi delle prove32.
Note
1 Cfr. Zampa, Giorgio, Introduzione a Montale, Eugenio, Il secondo mestiere. Prose 1929- 1979, a cura di G. Zampa, Milano, Mondadori, 1996, p. XI.
2 Ibid., p. XI.
3 Cfr. Corti, Maria, Introduzione a Merini, Alda, Fiore di poesia 1951-1997, Torino, Einaudi, 1998, pp. V-XX. Ne parla anche Benedetta Centovalli: “Oggi che fioriscono le sue pubblicazioni e si moltiplicano le edizioni fuori commercio sembra necessario invocare la distanza come lente per guardare attraverso la luce dei suoi versi”. Legato al lato commerciale è anche il rapporto con gli editor che prendono i manoscritti della poetessa modificandoli, rendendoli digeribili e facendone dei “prodotti editoriali” (Centovalli, Benedetta, Il passo breve delle cose, in Merini, Alda, La volpe e il sipario, Milano, Rizzoli, 2004, pp. 3-7). Scrive la Merini a proposito, proprio nella Nera novella: “In breve, io scrivo romanzi, o per lo meno, mi illudo di scrivere romanzi, li do all’editore che li deturpa, gli toglie le pagine, li sacrifica, li scarnifica, e finalmente scarnificati come sono esce uno scheletrino che è il principale delitto del mio scrivere: uno scheletro. Quindi lo scrittore è un povero morto in piedi, di solito morto di fame, scarnificato dall’editore e qui è il grande delitto che nessuno vede ma c’è. Quello lo prenderà, la virgola la sposterà, l’aggettivo lo cambierà, verrà fuori qualcosa di incapibile, un mostro, o quantomeno un aborto di romanzo […]. Di aborti di romanzo è piena la letteratura, anch’io ne sto abortendo uno. E mi da fastidio perché l’aborto vorrei diventasse un figlio, ma nelle mani dello scrivano non diventerà mai un figlio, diventerà un aborto. Finalmente lo scrivano, stanco di un parto malriuscito, si addormenta e lo ricoverano alla neuro” (Merini, Alda, La nera novella, Milano, Rizzoli, 2007, pp. 56-57. D’ora in poi NN, seguito dal numero di pagina).
4 Dice ancora la Centovalli: “È degli ultimi anni un’accentuata propensione verso il prosimetro, segno antico della sua ispirazione, la tentazione mai paga al racconto (‘Potresti anche telefonarmi/ e dirmi in un soffio di vita/ che hai bisogno del mio racconto’). La spinta all’oralità e un’ispirazione che si fa esercizio quotidiano affidato alla disponibilità di amici-scrivani, anche tramite filo telefonico, ha senz’altro mutato la consistenza della sua poesia in favore di un dettato sbilanciato verso la prosa, di un’immediatezza e di una leggibilità più svelte. Allo stesso tempo quello che appare come un alleggerimento, una sorta di facile cantabilità, in un’inattesa torsione si fa variazione, approfondimento dell’intonazione, pulizia della voce, nitore. Di questo portano il segno sia le nuove raccolte poetiche sia i testi in prosa veri e propri a cominciare dal capostipite: L’altra verità. Diario di una diversa (1986), dove i versi della Terra Santa (1984) si sciolgono e l’autobiografia invade e diluisce la trama del narrare” (Centovalli, Benedetta, Il passo breve delle cose, cit., p. 4).
5 La produzione in prosa vi appare concentrata negli anni Novanta e negli anni Duemila. Vedono la luce, per citare solo i titoli di maggior rilievo, Il tormento delle figure (Genova, Il Melangolo, 1990), Le parole di Alda Merini (Viterbo, Stampa Alternativa, 1991), Delirio amoroso, (Genova, Il Melangolo, 1989 e 1993), La pazza della porta accanto (Milano, Bompiani, 1995), La vita facile (Milano, Bompiani, 1996), Lettere a un racconto. Prose lunghe e brevi (Milano, Rzzoli, 1998), Aforismi e magie (Milano, Rizzoli, 1999 e 2003). La stessa riedizione dell’Altra verità. Diario di una diversa (Milano, Rizzoli, 1997) e la pubblicazione di Il ladro Giuseppe. I racconti degli anni Sessanta (Milano, Scheiwiller, 1999) confermano tale tendenza.
6 La formula Nera novella del titolo, oltre a riferirsi allo specifico genere letterario, potrebbe anche essere letta come l’antitesi della evangelica “buona novella”. È un’ipotesi tutto sommato plausibile visto il forte substrato religioso dell’opera e il suo carattere metafisico e legato alla “colposcopia” del male.
7 Cfr. ad es.: S.F., Alda Merini sperimenta il romanzo noir, in Europa, 30 marzo 2007, p. 9.
8 Sul risvolto di copertina leggiamo, tra l’altro: “Tutto ha inizio con il ritrovamento di una tibia in giardino. Un ‘osso integerrimo di un uomo integerrimo’. Ma chi lo è davvero?”
9 La prossimità con Manganelli è, in un certo qual modo, anche la prossimità con le tesi del Gruppo 63, a cui Manganelli partecipò. Libro e non romanzo, trattatello e non storia, come era nello spirito delle tesi del Gruppo 63 dove il romanzo provocava “ripugnanza” e “fastidio”. Dell’importanza dell’influenza di Manganelli, in un’intervista a Loris Mazzetti intitolata “La poesia accusata di libertà”, disponibile sull’Internet come tantissime altre interviste meriniane, leggiamo: “D: Chi è l’uomo che l’ha maggiormente ispirata? R: Lo scrittore Giorgio Manganelli, lo rimpiango ancora adesso. Era di una tale timidezza, l’ho anche maltrattato e picchiato per il desiderio che avevo di lui, ma lui era troppo riservato” (intervista consultabile sul sito http://www.articolo21.info/intervista.php?id=11, pagina consultata il 7 luglio 2008).
10 Ciò viene per giunta fatto in maniera per niente peregrina; se ne potrebbe cioè cavare qualche dato utile nella lettura dell’opera: “Manganelli quando scrisse Hilarotragoedia voleva dire che una cosa era talmente tragica che veniva da ridere”.
11 Alcuni esempi, fra tanti: “Il limite del delitto è sempre un limite trasversale. Il delitto ha le sue porte aperte, che sono quelle dell’incomunicabilità, perché il delitto non si confessa e soprattutto il delinquente non vuole essere assolto, perché si è già assolto da solo: ed è la logica del demonio” (p. 41); “Il delitto è un privilegio dell’assoluto. Pensare un delitto non è commetterlo ma è desiderarlo. Quindi il delitto è un infame desiderio d’amore” (p. 42); “Il delitto perfetto non si vede, ma si sente” (p. 87).
12 Anche qui solo qualche esempio: “L’omicida credo sia felice momentaneamente perché si libera della sua aggressività, ma non della sua idea fissa” (p. 33); “In fondo i delinquenti siamo noi” (p. 42); “Siamo pieni di assassini, noi stessi siamo degli assassini. Essere assassini conferisce un certo genio di ilarità” (p. 49); “Ma perché amiamo l’assassino? Perché ci punisce delle colpe che noi segretamente commettiamo” (p. 55).
13 Si veda a questo proposito anche la lunga citazione nella n. 3 contenente il binomio romanzo-figlio.
14 Woolf, Virginia, Le donne e la scrittura, La Tartaruga, Milano 1981, pp. 55-56.
15 Corti, Maria, Introduzione, in Fiore di poesia, cit., pp. 13-14. È sempre la Corti (stavolta in CORTI, Maria, Merini Alda ‘L’altra verità’. Diario di una diversa, in Autografo, III, 1986, 9, pp. 87 -89) a fornire informazioni importanti in proposito: “Conobbi Alda Merini quando aveva 17 anni. Non ricordo se mi fu presentata in quel lontano 1948 da Giacinto Spagnoletti o da Giorgio Manganelli, allora milanese, ma ricordo che il personaggio mi fece molta impressione. Mi accorsi che lei stava completamente nella propria tragica contraddizione: alternava versi di bellezza vertiginosa, vere epifanie verbali, a letterine da scolaretta di terza media, a un parlare e un vivere da essere alquanto sprovveduto e mite. La sua poesia veniva fuori da lei quasi a sua insaputa, come il gas solforoso dalle solfatare: immergi il bastone qui e sprizza fuori gas; lo immergi più in là e non viene fuori niente. A regolare il gioco erano le strutture sotterranee della sua psiche, già allora variamente turbata e spesso in cura da psichiatri: sicché quando stava male scriveva testi dal folgorante potere metaforico; quando stava bene, inviava dalla Ripa di porta ticinese le sopraddette letterine”.
16 Merini, Alda, La mia poesia, in Fogli bianchi, Livorno, Biblioteca Cominiana, 1987, pp. 7-8.
17 Rosenthal, Tatjana, Sofferenza e creazione in Dostojevskij. Analisi psicogenetica, in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, n. 25, 1989, p. 35.
18 Sui sintomi della malattia ci limitiamo a rinviare ai due manuali diagnostici più importanti in uso: ICD 10 (International Classification of Diseases) e DSM-IV (Diagnostic and Statistic Manual, IV Edition) entrambi dell’American Psychiatric Association e disponibili in numerose edizioni.
19 Nella migliore tradizione del giallo il tutto è uno spazio conchiuso e “condominiale”: il tutto ha luogo tra il locale caldaie in basso e il solaio in alto passando per le rampe di scale, appartamenti e portinerie.
20 Merini, Alda, Il tormento delle figure, Genova, Il Melangolo, p. 9.
21 Manganelli, Giorgio, Centuria. Cento piccoli romanzi fiume, Milano, Adelphi, 2006. Tutte le citazioni sono tratte da questa edizione e indicate con la C seguita dal numero di pagina.
22 “La signora una volta prese un bastone e mi colpì alla fronte dicendo che attentavo alla castità del suo amante. Cosa assolutamente risibile, perché ne avevo una tremenda paura” (NN, p. 15).
23 A proposito dell’“amore delittuoso”, leggiamo in un’intervista ad Alda Merini, datata Milano 2002: “D: Decisamente ci vorrebbe un riconoscimento in più. Lei si definirebbe una figura scomoda nel mondo” letterario? R: Sì, sono molto odiata. Sono i maschi che non possono vedere Alda Merini. Ma questo è cominciato anche ai tempi del manicomio, quando i maschi vedevano un certo tipo di intelligenza e anche di bellezza nelle donne, che quindi insieme hanno fatto questo orrendo gomitolo del manicomio. Ma sa, una cosa che mi incuriosisce e che avrei sempre voluto chiedere alle ragazze è questo: come mai in uno stato d’amore (facciamo conto che io e il signor Faedda ci amiamo), si instaura questa cattiveria nei suoi confronti, come nascono questi rapporti sentimentali delittuosi? Perché devo eliminare lei per poter amare il signor Faedda? Questo è un esempio come un altro, ecco lei diventa ad un certo punto un personaggio scomodo, perché mi è scomodo? Mi spiego meglio: due persone che si amano decidono di eliminare lei. Due coniugi o due persone sentimentalmente legate […] perché eliminano lei? Come possono instaurare uno stato di delinquenza in uno stato d’amore? Proprio due anni fa, c’era un mio amico che aveva una relazione con una ragazza, pur essendo sposato. Non sapeva come eliminare la moglie, ma di fatto l’aveva eliminata lasciandola, per andare con un amore adulterino. Però lui aveva questo forte senso di colpa, anche se lei (l’amante) era contenta di aver rubato il marito ad un’altra. Da parte di questa ragazza, secondo me, è stato un atto criminoso, di estremo egoismo. Come può una persona essere felice di aver eliminato un’altra persona? L’ha eliminata di proposito? Vede io scrivo meglio di tanti altri poeti. Forse perché io non corro dietro ai premi, come loro fanno queste grandi bracciate attraverso il mare per arrivare in Sardegna. Ma verrebbero a piedi pur di fare bella figura, mi creda! Come la vostra Grazia Deledda. Quello che dava fastidio di lei, quello che la rendeva “scomoda”, era la sua semplicità. Lei era una persona semplice. Quello che dà fastidio alla gente è la semplicità e l’amore. Le persone si aspettano da me le grandi gare, il fatto che io sia sempre “in ordine”, allora sarei una persona coerente secondo loro. Siccome non me ne importa niente, allora incominciano a dire che sono mezza matta. Allora cosa succede? Magari quello che ho, ed è capitato, io lo regalo ai poveri e ai bisognosi, e l’ho fatto spesso. Non perché io sia particolarmente buona, ma perché credo che l’uomo debba all’altro uomo ciò che ha in eccedenza. Io sono profondamente cristiana e dico: ‘se Dio m’ha dato questa cosa qui e mi avanza, perché non la devo dare a lei?’ Io per esempio avevo un marito che mi diceva: ‘piuttosto che darlo a lei lo butto via’. C’era una diversità di vedute… La mia non è carità, è uno stato di vita, c’è uno stato giuridico giusto. Io sono anche sua sorella, sono anche parente sua, secondo il concetto biblico, sono il suo prossimo. Perché non le devo dare da mangiare? Se a me questa cosa qui cresce, perché non gliela dovrei dare a lei? Invece l’egoismo umano fa sì che questo lei lo butti via… o magari cerca di uccidere il Sig. Faedda (per modo di dire), perché non si sa, perché le risulta scomodo… È questa l’utopia e la vera pazzia. Che fastidio può darle? O lei dentro ha qualche cosa per cui le sembra che quest’uomo le faccia ombra, o viceversa, anche a lui può essere che io faccio ombra, e nasce l’accusa infondata, il ricovero, l’esonero, l’emarginazione. Perché la gente si mette in mente anche delle cose su di lei, che non sono propriamente vere. È lui o lei che si prefigura che lei sia fatta in uno stesso modo. Ad esempio, guardi, io recentemente ho avuto dei rapporti proprio amorosi, con una persona molto giovane. Ad un certo punto lui venuto qua a dirmi: ‘non possiamo continuare il rapporto perché io sono sposato’. Io ne ho sofferto e gli ho detto una cosa: ‘guarda che io non ti vorrei’.
Il problema era che aveva paura di essere rapito. Di dover lasciare la moglie. Io non avevo in mente di ammazzare la moglie, non mi passava neanche per la testa! Però quello che era la sua carità amorosa mi faceva piacere. Per un poeta, tutto questo è ispiratore. È ispirazione! Non è che lo volevo per portarlo a letto, usarlo e buttarlo via” (Calia, Giusy, “Intervista ad Alda Merini”, in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n. 2 luglio-ottobre 2003, consultabile su http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_2/10.htm, pagina consultata il 7 luglio 2008).
24 Merini, Alda, Un amore. Racconto, Acquaviva delle Fonti (Ba), Acquaviva, 2007. D’ora in poi UA seguito dal numero di pagina.
25 “Pensano che noi parliamo d’amore, invece io continuo a raccontarti le vicende stupide di questa casa piena di misteri” (UA, p. 1).
26 La forte continuità tematica delle prose meriniane degli ultimi anni è confermata anche in Un amore attraverso la figura di Volponi: “E come si può dimenticare la morte di un giovane che un giorno, con coraggiosa verità mi disse: ‘Scriva la storia di casa sua’. E io l’ho scritta in parte, ma tu non la capiresti mai” (UA, p. 10).
27 Anceschi, Luciano (a cura di), La linea lombarda, Varese, Magenta, 1952.
28 Sulla “linea lombarda” di Isella si vedano almeno: Barbarisi, Gennaro, La letteratura italiana e la “linea lombarda” del metodo storico, in Barbarisi, Gennaro, Decleva, Enrico, Morgana, Silvia (a cura di), Milano e l’Accademia scientifico-letteraria, Milano, Cisalpino, 2001, vol. I, pp. 601 e ss.; Isella, Dante, I Lombardi in rivolta, Torino, Einaudi, 1984, e Id., La Lombardia stravagante, Torino, Einaudi, 2005.
29 L’espressione si trova in Pasolini, Pier Paolo, In vari modi uno scrittore può essere teppista, in Il Tempo, 21 ottobre 1973.
30 La loro collaborazione ha dato origine, tra le altre cose, a una monografia (Colpe d’immagini, Milano, Rizzoli, 2005) e a diverse mostre di Grittini (di cui una dal titolo Novella nera).
31 Cf. Kozloff, Max, The Theatre of the Face. Portrait Photography Since 1900, Phaidon Press, London, 2007 (cit. in Braudy, Leo, The Frenzy of Renown: Fame and Its History, Oxford University Press, New York, 1986, pp. 3-4). A proposito dei ritratti fotografici più audaci la Merini, in una delle tantissime e non meglio definite interviste che inzeppano siti Internet, si è espressa così: “D: Grittini le ha anche scattato foto che hanno fatto molto discutere, in cui lei posa nuda. R: Sono stata io a volerlo. Mi fa sorridere il moralismo della gente, non lo tirano fuori per il nudo in sé, ormai ovunque, ma per quello non perfetto. È l'imperfezione a scandalizzare, come fosse una colpa. Il mio è stato un gesto di provocazione, e anche di profondo dolore: in manicomio ci spogliavano come fossimo cose. Mi sento nuda ancora adesso” (http://andy-capp.blogspot.com/2006/09/grazie-alda-merini.html, pagina consultata il 7 luglio 2008).
32 Per il riferimento a Benjamin (per il quale cfr. Sontag, Susan, On photography, London, Penguin,1977, p. 130) come anche per le tante indicazioni utili sui ritratti fotografici, ringrazio la dottoressa Sandi Bulimbasic per l'aiuto fornitomi.
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Notizia bibliografica
Srecko Jurisic, «Gli amorosi delitti. La dialettica maschile-femminile nella Nera novella di Alda Merini», Narrativa, 30 | 2008, 195-213.
Notizia bibliografica digitale
Srecko Jurisic, «Gli amorosi delitti. La dialettica maschile-femminile nella Nera novella di Alda Merini», Narrativa [Online], 30 | 2008, online dal 01 septembre 2022, consultato il 05 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/narrativa/1753; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/narrativa.1753
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