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Testo integrale

  • 1 Il tasso di occupazione femminile si ottiene dal rapporto tra le donne occupate nella fascia di età (...)

1In tema di occupazione femminile si fa una distinzione, in seno all’Unione europea, tra paesi del Nord (Danimarca, Svezia, Norvegia…) dove il tasso di occupazione delle donne1 è alto e paesi del Sud (Italia, Spagna, Grecia…) dove questo tasso è più basso, per via di radicati retaggi culturali non attenuati da specifiche politiche. Tra questi due estremi si collocano paesi quali la Germania e la Francia.

2Presenteremo la situazione italiana affrontando diverse questioni quali la percentuale delle donne attive (prospettiva quantitativa), la tipologia dei lavori da esse svolti (prospettiva qualitativa), la persistenza o meno di discriminazioni tra uomini e donne e gli aiuti di cui le donne possono usufruire per conciliare vita lavorativa e progetto di maternità. Esamineremo in seguito i provvedimenti che consentirebbero di accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

  • 2 Si veda in particolare Altieri, Giovanna, Ferrucci, Giuliano e Dota, Francesca, Donne e lavoro atip (...)
  • 3 Cfr. Fusani, Claudia, “Poco pagate e carriere difficili. Donne e lavoro: penultimi in Europa”, 11 f (...)
  • 4 I dati sono riscontrabili nel rapporto annuo del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro: CN (...)

3In tema di occupazione femminile, si assiste in Italia a un doppio movimento di progressione e di regressione, a seconda che si adotti una prospettiva quantitativa o qualitativa. Dal punto di vista qualitativo si nota una regressione poiché le donne svolgono lavori instabili sempre più spesso degli uomini. Dal punto di vista quantitativo si può parlare invece di progressione in quanto negli ultimi anni è aumentata la partecipazione delle donne al mercato del lavoro2: l’aumento è stato costante fino al 2006 ed è stato complessivamente più marcato rispetto a quello dell’occupazione maschile. Nonostante questo aumento, la presenza delle donne sul mercato del lavoro rimane insufficiente. Il tasso italiano di occupazione femminile, nella fascia di età compresa tra i 15 e i 64 anni, è infatti penultimo nell’Europa dei 273 (l’Italia è seguita solo da Malta...). Nel 2007 questo tasso era pari al 46,7%, media nazionale da confrontarsi alla media europea, pari al 58,3%4. Il che significa che in Italia meno di una donna su due, tra quelle in età lavorativa, ha un’occupazione, mentre il tasso di occupazione maschile sfiora il 70%.

  • 5 Reyneri, Emilio (a cura di), “Offerta di lavoro e occupazione femminile”, cit., p. 8.
  • 6 Altieri, Giovanna, Ferrucci, Giuliano e Dota, Francesca, Donne e lavoro atipico, cit., p. 97.

4Due fattori spiegano il mediocre tasso di occupazione femminile italiano. Il primo è il dualismo territoriale del mercato del lavoro; in effetti, la partecipazione femminile al mercato del lavoro è molto più forte nel Centro-Nord che nel Sud, caratterizzato da infimi livelli del tasso di occupazione femminile. Nel 2007, nelle regioni del Sud avevano un’occupazione 31 donne su 100 contro 57 su 100 nelle regioni del Nord5. Il divario tra Nord e Sud, lungi dal riassorbirsi, spacca l’Italia in due: “è evidente la dicotomia tra centro-nord e mezzogiorno, talmente marcata da chiedersi ormai se la questione femminile non sia, di fatto, un pezzo della questione meridionale”6.

5Il secondo fattore è generazionale: il tasso di occupazione femminile nella fascia di età compresa tra i 55 e i 64 anni è poco elevato rispetto a quello osservato presso le donne più giovani e rispetto a quello registrato in altri paesi dell’Unione europea. Nel 2007 nell’Unione dei 27 questo tasso è stato pari al 36% con punte superiori al 50% nei paesi del Nord Europa mentre in Italia è stato pari al 23%:

  • 7 CNEL, Rapporto sul mercato del lavoro 2007, cit., p. 280.

Su tale risultato influiscono sia i diversi regimi che nei vari paesi hanno regolato il pensionamento anticipato, favorito in Italia pur con alcuni cambiamenti recenti, sia il ritardo con cui nel nostro paese si sono diffusi alcuni comportamenti e mutamenti culturali. La maggior diffusione della scolarizzazione femminile si è osservata in Italia soprattutto a partire dagli anni sessanta e quindi le coorti più mature sono caratterizzate da livelli ancora molto contenuti di partecipazione al mercato del lavoro7.

  • 8 Sul punto, cfr. il sito dell’Unione europea, alla pagina “Europa Glossario”, voce “Strategia di Lis (...)

6In occasione del Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, gli Stati membri dell’Unione europea hanno avviato la “Strategia di Lisbona” con lo scopo di fare dell’Unione europea l’economia più competitiva del mondo e di concretizzare la piena occupazione entro il 20108. I paesi dell’Unione europea si sono posti obiettivi comuni in tema di occupazione, tra cui raggiungere entro il 2010 un tasso di occupazione globale del 70%, e del 60% per le donne.

  • 9 Reyneri, Emilio (a cura di), “Offerta di lavoro e occupazione femminile”, cit., p. 2.

Un tale livello implica l’adesione a un particolare stile di vita familiare. È il primato della società del lavoro, che attribuisce al lavoro fuori della famiglia un ruolo essenziale nella costruzione dell’identità sociale, dell’autonomia personale e dell’autostima anche per le donne. […] la dimensione dell’obiettivo è tale da superare l’aspetto meramente economico e da investire quello culturale della collocazione della donna nella società contemporanea9.

  • 10 Ibid., p. 8.

7L’Italia ha aderito alla strategia di Lisbona ma è in ritardo rispetto agli obiettivi stabiliti ed è poco probabile che possa conseguirli entro il 2010. Il Centro-Nord potrebbe raggiungerli ma non il Sud che presenta livelli inferiori a quelli di Malta “confermandosi la grande regione europea ove l’occupazione femminile è minore, e di gran lunga”10.

  • 11 “Le donne che lavorano a tempo determinato, oltre ad avere tendenzialmente contratti di più breve d (...)

8Per quanto riguarda la “qualità” dell’occupazione femminile si rileva che le donne svolgono più spesso degli uomini lavori flessibili o atipici: in particolare lavori a tempo determinato e lavori part-time. I contratti a tempo determinato riservati alle donne hanno una durata inferiore a quella dei contratti riservati agli uomini e prevedono un numero di ore settimanali inferiore a quello previsto per gli uomini11. Inoltre ci sono meno donne che uomini che passano da un contratto a tempo determinato a un contratto a tempo indeterminato.

  • 12 “Le occupate part-time, che erano 793 mila nel 1993, sono diventate 1 milione 906 mila nel 2005. Gl (...)
  • 13 “Va sottolineato che nell’area dell’instabilità il tempo parziale rappresenta una scelta consapevol (...)
  • 14 La legge 30/2003 (cosiddetta legge Biagi) ha modificato la disciplina del lavoro a tempo parziale p (...)

9Il numero di donne che svolgono un lavoro part-time è aumentato negli ultimi anni superando oggi quello degli uomini12. Il part-time è più diffuso tra le madri con figli conviventi (che siano sposate o meno); benché sia nella maggior parte dei casi il risultato di una scelta13, può anche essere “involontario”14, quando le donne accettano un part-time perché non riescono a trovare un lavoro a tempo pieno. Il part-time è generalmente associato a un maggior grado di precarietà in quanto riduce le prospettive di carriera. Inoltre è molto difficile passare da un lavoro part-time a un lavoro a tempo pieno. Il lavoro a tempo determinato è più diffuso al Sud mentre il part-time femminile è diffuso soprattutto nelle regioni del Centro-Nord:

  • 15 ISTAT, Le statistiche di genere, Lavoro – Tempo determinato e part-time, cit.

Queste differenze territoriali sono da attribuire – oltre che alle differenti condizioni del mercato del lavoro nelle diverse aree del Paese – anche alle diverse caratteristiche delle due tipologie di lavoro considerate: il lavoro part-time è più frequentemente scelto dalle lavoratrici come forma di conciliazione con gli impegni familiari, mentre il tempo determinato segnala spesso le difficoltà d’accesso al mercato del lavoro dei segmenti più deboli (donne e giovani)15.

  • 16 Altieri, Giovanna, Ferrucci, Giuliano e Dota, Francesca, Donne e lavoro atipico, cit. p. 102.
  • 17 Si veda per esempio Longo, Alessandra, “Manuela, quando precario è donna. ‘Dal posto fisso all’ango (...)
  • 18 “In sostanza, non è il lavoro della donna che deprime in Italia la propensione alla maternità ma pi (...)

10La diffusione dei contratti “atipici”, nei settori pubblico e privato, è stata inizialmente, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, giustificata come il risultato di una politica di conciliazione che avrebbe dovuto favorire l’aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro16. Ma oggi questa diffusione di contratti atipici sembra rappresentare un fattore di svantaggio per le donne che rischiano di restare intrappolate in una specie di “precarietà stabile”. Il rischio di svolgere un lavoro precario è dunque maggiore per le donne rispetto agli uomini della stessa età e con lo stesso diploma e anche se diminuisce con l’età resta maggiore per le donne soprattutto se lavorano nel Sud17. La precarietà del lavoro (instabilità del posto, retribuzione bassa e mancanza di protezione efficace in caso di infortunio o malattia) provoca incertezze sul rinnovo del contratto e sul reddito futuro che non consentono di fare progetti a lungo termine dal punto di vista economico o affettivo. Diventa quasi impossibile, per esempio, ottenere un mutuo per comprare una casa o una macchina, oppure versare contributi per la pensione. È anche sempre più difficile essere indipendenti dalla famiglia di origine. Questa grande vulnerabilità sociale ed economica incide sulle scelte di vita e certe donne decidono di differire il loro progetto di maternità (in un paese dove il tasso di natalità è già basso)18.

  • 19 ISTAT, Le statistiche di genere, Redditi – Differenziali retributivi, 7 marzo 2007, in http://www.i (...)

11Inoltre, risulta da numerose indagini che, anche a parità di impiego e qualificazione, lo stipendio non è lo stesso per donne e uomini19: in media, una donna riceve nel settore pubblico, a parità di posizione professionale, tre quarti dello stipendio di un uomo e le differenze retributive sono più marcate nel settore privato.

  • 20 Ai sensi dell’articolo 37, primo comma, “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di (...)
  • 21 D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198 recante “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell (...)

12Le donne sono quindi, ancora oggi, oggetto di discriminazioni e appartengono alle categorie “fragili” di lavoratori (insieme ai lavoratori del Sud, ai lavoratori immigrati e ai giovani lavoratori), e ciò malgrado il fatto che il principio di parità di trattamento sia iscritto nella Costituzione italiana sin dal 194820, e che tale principio sia stato ripreso nel “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna” adottato nel 2006. Questo codice ha per scopo di prevenire e di sopprimere ogni forma di discriminazione fondata sul sesso in tutti gli ambiti della vita civile, sociale, economica21. Si può così osservare che il principio di parità di trattamento è consacrato in diversi testi ma che non viene attuato nella pratica.

13Perché, nonostante il livello di studi a volte superiore a quello degli uomini, le donne partecipano meno al mercato del lavoro e sono più colpite dalla precarietà? Un primo motivo, che si ritrova in altri paesi, risiede nella scelta degli studi e nei diplomi conseguiti:

  • 22 Manacorda, Maria Paola, Indiretto, Giovanna (a cura di), “Offerta di lavoro e occupazione femminile (...)

Uno sguardo all’istruzione universitaria italiana evidenzia, infatti, che le donne sono presenti in tutti gli indirizzi di studio, con tassi di partecipazione anche maggiori al 50%; ma, pur aumentando la partecipazione femminile ai vari corsi di laurea, comprese alcune lauree a carattere scientifico, la presenza delle donne è ancora largamente maggioritaria nelle discipline relative all’area umanistica e dell’insegnamento (il 91% dei laureati dell’area dell’insegnamento è donna, più del 70% dei laureati nell’area linguistica, psicologica e letteraria sono donne). Mentre nelle discipline a carattere scientifico la partecipazione delle donne, sebbene migliorata, resta pur sempre minoritaria (nell’area relativa all’ingegneria, nell’a.a. 2004-2005, solo il 17,5% dei laureati è donna)22.

14Occorrerebbe sostenere una maggiore diversificazione delle scelte formative fatte dalle donne soprattutto verso i settori scientifico-tecnologici e legati all’innovazione:

  • 23 “Donne, Innovazione, Crescita”, cit., p. 9.

Un primo livello d’incentivi (a esempio con borse di studio) dovrà essere destinato all’acquisizione di titoli di studio in materie tecnologiche, affiancato da iniziative di orientamento e comunicazione nelle scuole. Sarà anche necessario trovare forme d’incentivi pubblici per le Università che promuovono la crescita della partecipazione femminile nei settori tecnico-scientifici: nei corsi di laurea, nei master, nei corsi di perfezionamento, nei corsi per l’insegnamento. Adeguate forme di premialità e incentivo, infine, dovranno essere previste per affermare una maggiore presenza delle donne nelle istituzioni di ricerca pubbliche e private, in particolare nei ruoli dirigenziali23.

15Un secondo motivo è rappresentato dalla persistenza in Italia di una visione tradizionalista della condivisione delle responsabilità in seno alla famiglia, secondo la quale l’uomo è responsabile di procurare le risorse economiche necessarie per mantenere la famiglia (uomo “breadwinner”) mentre la donna si fa carico del lavoro domestico e delle responsabilità di cura dei bambini e dei familiari non autosufficienti (donna “caregiver”). Questa concezione tradizionalista (soprattutto nel Sud Italia), che provoca spesso un’assenza di collaborazione del coniuge o del convivente nel lavoro domestico, si ripercuote sulla vita lavorativa di numerose donne. Su questo aspetto del problema non bisogna sottovalutare il peso dei modelli proposti dai mezzi di comunicazione di massa (televisione, cinema, pubblicità):

  • 24 Ibid., p. 6.

È frequente la proposta di figure di donne affermate, che occupano posizioni di potere con connotazioni sostanzialmente negative: poco femminili, spesso cattive, quasi sempre sole ed infelici. Al contrario è ricorrente e martellante soprattutto nella pubblicità il modello di una donna attraente, felice, amata e buona, racchiusa nelle pareti domestiche e di ciò soddisfatta o, nel migliore dei casi, con ruoli professionali di scarso potere24.

  • 25 Manacorda, Maria Paola, Indiretto, Giovanna (a cura di), “Offerta di lavoro e occupazione femminile (...)
  • 26 CNEL, Rapporto sul mercato del lavoro 2007, cit., p. 289.

16Un altro elemento significativo sono le scelte politiche: in Italia la spesa pubblica per politiche familiari è inferiore alla media europea: l’incidenza sul PIL è dello 0,9% mentre la media dell’Unione europea è del 2,3% (dati per il 2003)25. Inoltre l’offerta dei servizi di cura è insufficiente. Per esempio, le possibilità di accoglienza per bambini al di sotto dei tre anni, pari all’11,4% (nel 2004), non solo è modesta rispetto ai paesi dell’Europa del Nord, ma va misurata in confronto agli obiettivi fissati dal Consiglio di Barcellona nel 2002, nell’ambito della strategia di Lisbona, ossia una disponibilità di posti negli asili nido del 33% entro il 201026. Di fronte alla carenza di servizi per l’infanzia, in particolare nel Sud, le famiglie ricorrono alle reti di aiuti informali: parenti (solidarietà intergenerazionale), amici e vicini che offrono gratuitamente il proprio sostegno. Per certe famiglie il ricorso alle strutture pubbliche di sostegno ha luogo solo se non possono ricorrere alla solidarietà intergenerazionale, il che non consente di stimolare l’offerta di servizi in questo settore dove l’offerta e la domanda stentano ad incontrarsi.

17Infine, per quanto riguarda gli anziani e le persone non autosufficienti, si osserva che molte famiglie, generalmente di ceti sociali medio-alti, ricorrono alle cosiddette badanti, che sono spesso donne immigrate, spesso assunte senza contratto, per limitare i costi. L’assunzione di badanti consente alle donne italiane di partecipare al mercato del lavoro ma crea nello stesso tempo una specie di gerarchia della precarietà.

  • 27 Legge 17 ottobre 2007, n. 188 “Disposizioni in materia di modalità per la risoluzione del contratto (...)
  • 28 Legge 6 agosto 2008, n. 133, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno (...)

18L’evento maternità e le esigenze di cura e assistenza ai familiari non autosufficienti incidono dunque in modo negativo sull’attività delle donne. In certi casi, le donne lasciano il mercato del lavoro alla nascita del primo figlio; se talvolta si tratta di una scelta volontaria motivata da orari impossibili da conciliare con i nuovi impegni familiari o dalla volontà di dedicarsi interamente alla famiglia, talora si tratta di una decisione temporanea che non esclude un ritorno sul mercato del lavoro. Il problema è che il ritorno sarà difficile. Ma in altri casi, può anche trattarsi di un licenziamento o di dimissioni “forzate”, ossia di “dimissioni in bianco”. Le “dimissioni in bianco” sono dimissioni senza data che i datori di lavoro fanno firmare ai dipendenti all’atto dell’assunzione; la data viene poi aggiunta in caso di gravidanza, infortunio sul lavoro o lunga malattia. Sono soprattutto le donne incinte che sono vittime di questa pratica, vietata dal Governo di Romano Prodi27 ma reintrodotta dal Governo di Silvio Berlusconi28.

  • 29 Cfr. il rapporto annuale dell’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavorator (...)
  • 30 Sul punto, si vedano gli Atti del Seminario Cnel – Istat, Maternità e partecipazione delle donne al (...)

19Si desume da quanto esposto che la relazione delle donne con il mercato del lavoro in Italia risente di tre caratteristiche talmente radicate da poterle considerare ‘strutturali’”29: l’atipicità, la discontinuità30 e l’inattività, soprattutto nelle regioni del Sud.

20Quali sono i provvedimenti che consentirebbero di incrementare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e di favorire la qualità dell’occupazione femminile? Si possono distinguere due tipi di provvedimenti: i provvedimenti di incentivazione e quelli di conciliazione, un sottogruppo dei primi. Come altri paesi del Sud Europa, l’Italia ha tardato ad affrontare il problema della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, anche per ragioni culturali. Di conseguenza, le discussioni in materia di politiche di incitazione e di conciliazione sono recenti in Italia mentre i Paesi scandinavi e la Francia hanno intrapreso questo tipo di politiche da molti anni.

  • 31 Cfr. ISTAT, Conciliare lavoro e famiglia. Una sfida quotidiana, cit.
  • 32 Secondo gli analisti dell’ISTAT, il telelavoro è un altro strumento che potrebbe aiutare la concili (...)
  • 33 CNEL, Rapporto sul mercato del lavoro 2007, cit., p. 288.

21Si parla di conciliazione quando i provvedimenti rendono possibile l’esplicarsi di un’attività lavorativa, al di fuori della famiglia, da parte di persone che hanno vincoli familiari. Nella maggior parte dei casi si tratta delle donne, per via di un’asimmetria nella divisione delle responsabilità in seno alla famiglia. Anche se ha adottato politiche di conciliazione, in particolare con la normativa sui congedi parentali, l’Italia resta indietro in tema di aiuti alle famiglie e di servizi per l’infanzia31. Occorrerebbe per esempio favorire gli orari flessibili e/o ridotti, come il part-time, agevolando in particolare il ritorno a un tempo pieno e controllando che la flessibilità riguardi gli orari e non la stabilità del lavoro (cosiddetta “flessibilità positiva”)32. Bisognerebbe inoltre aumentare l’offerta di servizi pubblici per i bambini (asili nido, scuole per l’infanzia, scuole elementari a tempo lungo, mense scolastiche, ecc.) e per le persone non autosufficienti (anziane, disabili o malate) rispettando criteri come numero di posti disponibili sufficiente, qualità dell’accoglienza, distribuzione capillare sul territorio (e anche asili nido sul posto di lavoro), orari flessibili (indispensabili per le donne che hanno un lavoro a tempo pieno) e servizi accessibili a tutti dal punto di vista finanziario. Infatti, se il costo è troppo elevato, la donna sceglierà di prendersi cura lei stessa dei bambini o dei familiari non autosufficienti. Un aumento dell’offerta di questi servizi potrebbe anche avere un effetto positivo indiretto sull’occupazione femminile poiché non solo consentirebbe alle donne di partecipare al mercato del lavoro, ma permetterebbe anche di creare posti in questi servizi, che sono ad elevata femminilizzazione: “Si tratterebbe così di rendere formale un servizio di cura che al momento è svolto informalmente all’interno delle famiglie”33.

  • 34 Legge n. 53 dell’8 marzo 2000 “Disposizioni per il sostegno della maternità e paternità, per il dir (...)

22Sempre nell’ambito dei provvedimenti di conciliazione, occorrerebbe rivedere la vigente normativa in materia di congedi parentali34 al fine di incentivarne l’utilizzo, in particolare nel settore privato. Si potrebbe estendere la durata di tali congedi e aumentare la relativa indennità che non è in grado oggi di compensare la riduzione di reddito e induce i padri (i cui redditi sono mediamente superiori rispetto a quelli delle madri) a non usufruirne.

  • 35 Questo credito sarebbe concesso direttamente alle donne in ragione dei familiari a carico, “a condi (...)
  • 36 “Un sistema di aliquote differenziate per genere, più basse per le donne, incentiverebbe una maggio (...)
  • 37 CNEL, Rapporto sul mercato del lavoro 2007, cit., p. 295; Manacorda, Maria Paola, Indiretto, Giovan (...)
  • 38 Cfr. il rapporto della Commissione europea “Strategie nazionali e priorità per 2007. Italia. Anno E (...)
  • 39 Cfr. il progetto per l’anno europeo 2007 contro le discriminazioni in http://www.lavoro.gov.it/NR/r (...)

23I provvedimenti di incentivazione, quanto a loro, si rivolgono sia alle donne sia alle loro famiglie. Tra le proposte in discussione si hanno il credito di imposta35, la tassazione differenziata per genere36 e la tassazione in base al quoziente familiare37. I provvedimenti di incentivazione possono anche rivolgersi alle imprese che assumono donne. Per esempio nella Finanziaria per il 2006, entrata in vigore nell’agosto 2007, erano previste agevolazioni fiscali per le imprese del Sud che assumevano donne. Va anche citata l’iniziativa del Governo di Romano Prodi, nell’ambito del programma per l’anno europeo per le pari opportunità (2007)38, riguardante la certificazione di qualità di genere (il cosiddetto “Bollino rosa”) destinata sia alle imprese pubbliche che private. Il “Bollino rosa” aveva per scopo di premiare le imprese che avessero adottato politiche di non discriminazione e di valorizzazione delle competenze femminili39.

  • 40 Ai sensi dell’articolo 4, primo comma, della Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti i citta (...)
  • 41 La battuta del capo del governo, durante il programma televisivo TG2, suscitò numerose reazioni di (...)

24Se appare indispensabile che provvedimenti concreti siano adottati per favorire l’occupazione femminile e conformarsi non solo ai principi consacrati dagli articoli 4 (diritto al lavoro)40 e 37 (parità di trattamento uomini-donne) della Costituzione ma anche agli obiettivi europei, si constata che nessuno dei provvedimenti di cui sopra è stato adottato a quest’oggi, settembre 2009. Ci si può aspettare qualcosa dall’attuale governo Berlusconi, un governo che sembra relegare la donna al suo ruolo tradizionale in seno alla famiglia (madre, sposa, figlia, sorella)? Un governo per il quale la famiglia è un ammortizzatore sociale in grado di coprire gran parte delle cure della persona? Sono da leggersi in quest’ottica – negativa – decisioni come l’autorizzazione alle “dimissioni in bianco”, il blocco dei fondi sull’imprenditoria femminile e degli incentivi alle imprese per l’assunzione delle donne. Sebbene qualcuno la possa considerare una battuta di cattivo gusto, forse la situazione del lavoro femminile oggi in Italia autorizza a prendere sul serio quanto proposto dal capo del governo a una giovane disoccupata come soluzione al problema: il matrimonio con suo figlio o con un milionario41.

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Note

1 Il tasso di occupazione femminile si ottiene dal rapporto tra le donne occupate nella fascia di età compresa tra i 15 e i 64 anni e la popolazione femminile totale della stessa fascia.

2 Si veda in particolare Altieri, Giovanna, Ferrucci, Giuliano e Dota, Francesca, Donne e lavoro atipico: un incontro molto contraddittorio, IRES (Istituto Ricerche Economiche e Sociali), 3° rapporto Osservatorio Permanente sul Lavoro Atipico in Italia 2008, marzo 2008 (http://www.ires.it/files/Rapporto_completo.pdf, consultato il 2 luglio 2009).

3 Cfr. Fusani, Claudia, “Poco pagate e carriere difficili. Donne e lavoro: penultimi in Europa”, 11 febbraio 2008, in http://www.repubblica.it/2008/02/sezioni/cronaca/donne-lavoro/donne-lavoro/donne-lavoro.html (consultato il 2 luglio 2009).

4 I dati sono riscontrabili nel rapporto annuo del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro: CNEL, Rapporto sul mercato del lavoro 2007, 15 luglio 2008, p. 280, in http://www.portalecnel.it/portale/documenti.nsf/0/C1256BB30040CDD7C125748600551A2B/$FILE/Mercato%20Lavoro%202007.pdf (consultato il 10 aprile 2009). In un altro rapporto del CNEL viene precisato che nel 2006 il tasso di occupazione femminile era pari al 57,7% in Francia, al 53,2% in Spagna e al 47,4% in Grecia (Reyneri, Emilio [a cura di], “Offerta di lavoro e occupazione femminile. Parte I. Il lavoro delle donne”, in CNEL, Il lavoro che cambia. Contributi tematici e Raccomandazioni, febbraio 2009, p. 7, http://www.portalecnel.it/Portale/IndLavrapportiFinali.nsf/vwTuttiPerCodiceUnivoco/4-1/$FILE/4%20-%20OFFERTA%20DI%20LAVORO%20E%20OCCUPAZIONE%20FEMMINILE%20-%20PARTE%20I.pdf, consultato il 10 aprile 2009).

5 Reyneri, Emilio (a cura di), “Offerta di lavoro e occupazione femminile”, cit., p. 8.

6 Altieri, Giovanna, Ferrucci, Giuliano e Dota, Francesca, Donne e lavoro atipico, cit., p. 97.

7 CNEL, Rapporto sul mercato del lavoro 2007, cit., p. 280.

8 Sul punto, cfr. il sito dell’Unione europea, alla pagina “Europa Glossario”, voce “Strategia di Lisbona”: http://europa.eu/scadplus/glossary/lisbon_strategy_it.htm (consultato il 10 aprile 2009).

9 Reyneri, Emilio (a cura di), “Offerta di lavoro e occupazione femminile”, cit., p. 2.

10 Ibid., p. 8.

11 “Le donne che lavorano a tempo determinato, oltre ad avere tendenzialmente contratti di più breve durata, sono impegnate mediamente meno ore degli uomini: il 5.3% non più di 10 ore settimanali e il 21% tra 11 e 20 ore. Complessivamente, il 46% non lavora più di 30 ore settimanali (Fonte: ISTAT – Indagine sulle forze lavoro IV trimestre 2006)” (Altieri, Giovanna, Ferrucci, Giuliano e Dota, Francesca IRES, Donne e lavoro atipico, cit., pp. 30 e 31).

12 “Le occupate part-time, che erano 793 mila nel 1993, sono diventate 1 milione 906 mila nel 2005. Gli uomini, che erano 338 mila all’inizio del periodo, sono 461 mila nel 2005. La percentuale di occupate part-time a livello nazionale è del 25,6% contro il 4,6% degli uomini” (ISTAT, Le statistiche di genere, Lavoro – Tempo determinato e part-time, 7 marzo 2007, in http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20070307_00/11_lavoro.pdf, consultato il 10 aprile 2009). L’analisi è confermata nel rapporto del 2008: “Il divario tra i due generi nell’utilizzo di tale forma di lavoro si amplifica al crescere delle responsabilità familiari, fino a raggiungere la distanza massima tra i partner in coppia con figli” (ISTAT, Conciliare lavoro e famiglia. Una sfida quotidiana, 2008, p. 110, in http://www.istat.it/dati/catalogo/20080904_00/arg_08_33_conciliare_lavoro_e_famiglia.pdf, consultato il 10 aprile 2009).

13 “Va sottolineato che nell’area dell’instabilità il tempo parziale rappresenta una scelta consapevole solo per una piccola minoranza di lavoratrici (36%) mentre il 57% delle donne che hanno un contratto part-time stabile non aspira ad un lavoro a tempo pieno” (Altieri, Giovanna, Ferrucci, Giuliano e Dota, Francesca, Donne e lavoro atipico, cit. p. 35).

14 La legge 30/2003 (cosiddetta legge Biagi) ha modificato la disciplina del lavoro a tempo parziale per rendere più flessibile il rapporto di lavoro part-time rispetto alle esigenze del datore di lavoro e per favorire il ricorso a tale tipologia contrattuale. Si osserva tuttavia che “tra gli esiti di tale riforma, però, pare che ci sia stato un incremento del part time involontario” (CNEL, Rapporto sul mercato del lavoro 2007, cit., p. 285).

15 ISTAT, Le statistiche di genere, Lavoro – Tempo determinato e part-time, cit.

16 Altieri, Giovanna, Ferrucci, Giuliano e Dota, Francesca, Donne e lavoro atipico, cit. p. 102.

17 Si veda per esempio Longo, Alessandra, “Manuela, quando precario è donna. ‘Dal posto fisso all’angoscia’”, 16 febbraio 2009, in http://www.repubblica.it/2009/02/sezioni/economia/inchiesta-precari/manuela-alitalia/manuela-alitalia.html (consultato il 10 aprile 2009).

18 “In sostanza, non è il lavoro della donna che deprime in Italia la propensione alla maternità ma piuttosto la mancanza di lavoro, ovvero di occupazioni stabili e ben remunerate” (Altieri, Giovanna, Ferrucci, Giuliano e Dota, Francesca, Donne e lavoro atipico, cit., p. 100). Sul punto, è interessante anche la testimonianza di due precarie dell’industria editoriale, che animano la rubrica “Best before New”, nella rivista online ReRePre (Rete Redattori Precari): http://www.rerepre.org/index.php?/best-before-news/index.html (consultato il 2 luglio 2009).

19 ISTAT, Le statistiche di genere, Redditi – Differenziali retributivi, 7 marzo 2007, in http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20070307_00/11_lavoro.pdf. Cfr. anche la nota del Dipartimento politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri: “Donne, Innovazione, Crescita”, Nota Aggiuntiva al Rapporto sullo stato d’attuazione del Programma Nazionale di Riforma 2006-2008, pp. 4-5, in http://www.politichecomunitarie.it/comunicazione/15549/presentata-nota-aggiuntiva-su-occupazione-femminile (consultato il 10 aprile 2009).

20 Ai sensi dell’articolo 37, primo comma, “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”.

21 D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198 recante “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246”, Gazzetta Ufficiale, n. 125, 31 maggio 2006, supplemento ordinario n. 133. Il Codice è stato modificato con il D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 196, Gazzetta Ufficiale, n. 261, 9 novembre 2007, suppl. ord. n. 228, e con L. 6 giugno 2008, n. 101, Gazzetta Ufficiale, n. 132, 7 giugno 2008.

22 Manacorda, Maria Paola, Indiretto, Giovanna (a cura di), “Offerta di lavoro e occupazione femminile. Parte II. Le politiche per l’occupazione femminile”, in Il lavoro che cambia. Contributi tematici e Raccomandazioni, CNEL, febbraio 2009, p. 3, http://www.portalecnel.it/Portale/IndLavrapportiFinali.nsf/vwTuttiPerCodiceUnivoco/4-2/$FILE/4%20-%20OFFERTA%20DI%20LAVORO%20E%20OCCUPAZIONE%20FEMMINILE%20-%20PARTE%20II.pdf (consultato il 10 aprile 2009).

23 “Donne, Innovazione, Crescita”, cit., p. 9.

24 Ibid., p. 6.

25 Manacorda, Maria Paola, Indiretto, Giovanna (a cura di), “Offerta di lavoro e occupazione femminile”, cit., p. 14.

26 CNEL, Rapporto sul mercato del lavoro 2007, cit., p. 289.

27 Legge 17 ottobre 2007, n. 188 “Disposizioni in materia di modalità per la risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie della lavoratrice, del lavoratore, nonché del prestatore d’opera e della prestatrice d’opera”, Gazzetta Ufficiale, n. 260, 8 novembre 2007.

28 Legge 6 agosto 2008, n. 133, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, Gazzetta Ufficiale, n. 195, 21 agosto 2008, supplemento ordinario n. 196.

29 Cfr. il rapporto annuale dell’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, ISFOL 2008, p. 36 (http://www.isfol.it/DocEditor/test/File/FlashRapporto/Sintesi2008.pdf, consultato il 10 aprile 2009).

30 Sul punto, si vedano gli Atti del Seminario Cnel – Istat, Maternità e partecipazione delle donne al mercato del lavoro: tra vincoli e strategie di conciliazione, Roma, 2 dicembre 2003 (http://www.portalecnel.it/portale/documenti.nsf/0/C1256BB30040CDD7C125723C004C010C/$FILE/Maternità%20e%20partecipazione%20delle%20donne%20al%20mercato%20del%20lavoro.pdf, consultato il 10 aprile 2009).

31 Cfr. ISTAT, Conciliare lavoro e famiglia. Una sfida quotidiana, cit.

32 Secondo gli analisti dell’ISTAT, il telelavoro è un altro strumento che potrebbe aiutare la conciliazione lavoro-famiglia (ibid., pp. 118 e ss).

33 CNEL, Rapporto sul mercato del lavoro 2007, cit., p. 288.

34 Legge n. 53 dell’8 marzo 2000 “Disposizioni per il sostegno della maternità e paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi della città”, Gazzetta Ufficiale, n. 60, 13 marzo 2000; “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53”, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, Gazzetta Ufficiale, n. 96, 26 aprile 2001, supplemento ordinario n. 93.

35 Questo credito sarebbe concesso direttamente alle donne in ragione dei familiari a carico, “a condizione che entrambi i componenti (nel caso di una coppia) abbiano un’occupazione, anche a tempo parziale: in tal modo si vuole incentivare la partecipazione femminile al mercato del lavoro, contrastando il fatto che l’onere della cura dei bambini o dei famigliari non autosufficienti ricada solo su un solo membro (in genere, la donna)” (CNEL, Rapporto sul mercato del lavoro 2007, cit., p. 293). Cfr. anche Manacorda, Maria Paola e Indiretto, Giovanna (a cura di), “Offerta di lavoro e occupazione femminile”, cit., p. 12.

36 “Un sistema di aliquote differenziate per genere, più basse per le donne, incentiverebbe una maggior partecipazione da parte di queste ultime, con un incremento dell’offerta, del tasso di attività ma anche dell’occupazione. Una riduzione delle aliquote, difatti, si tradurrebbe in una diminuzione dei costi del lavoro, legati alle retribuzioni lorde; si modificherebbe così anche la struttura dei costi del lavoro relativi che, muovendosi a favore delle donne, ne renderebbero più conveniente l’assunzione” (CNEL, Rapporto sul mercato del lavoro 2007, cit., p. 294). Cfr. anche Manacorda, Maria Paola, Indiretto, Giovanna (a cura di), “Offerta di lavoro e occupazione femminile”, cit., p. 10 e ss.

37 CNEL, Rapporto sul mercato del lavoro 2007, cit., p. 295; Manacorda, Maria Paola, Indiretto, Giovanna (a cura di), “Offerta di lavoro e occupazione femminile”, cit., p. 13.

38 Cfr. il rapporto della Commissione europea “Strategie nazionali e priorità per 2007. Italia. Anno Europeo delle Pari Opportunità per tutti”, in http://ec.europa.eu/employment_social/eyeq/uploaded_files/documents/IT_070611_Nati_Strategy.pdf (consultato il 10 aprile 2009).

39 Cfr. il progetto per l’anno europeo 2007 contro le discriminazioni in http://www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/3DE0CAAA-0FB3-4EDE-8A8A-20838FA15DA1/0/ProgrammaBollinoRosa.pdf (consultato il 2 luglio 2009).

40 Ai sensi dell’articolo 4, primo comma, della Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.

41 La battuta del capo del governo, durante il programma televisivo TG2, suscitò numerose reazioni di esponenti politici, come riporta il quotidiano La Repubblica: “Berlusconi: ‘Contro la precarietà? Sposare mio figlio o un milionario’”, 13 marzo 2008, http://www.repubblica.it/2008/03/sezioni/politica/verso-elezioni-10/berlusconi-precari/berlusconi-precari.html (consultato il 2 luglio 2009).

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Caroline Savi, «Mercato del lavoro e occupazione femminile nell’Italia dei primi anni Duemila»Narrativa, 31/32 | 2010, 379-390.

Notizia bibliografica digitale

Caroline Savi, «Mercato del lavoro e occupazione femminile nell’Italia dei primi anni Duemila»Narrativa [Online], 31/32 | 2010, online dal 01 juin 2022, consultato il 07 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/narrativa/1664; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/narrativa.1664

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Autore

Caroline Savi

Université Paris Ouest Nanterre La Défense, CRIX-EA 369

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