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La finitudine come orizzonte: mutazione, mobilizzazione, globalizzazione nell’opera di Massimo Carlotto

Laurent Lombard
p. 159-173

Testo integrale

  • 1 Bataille, Georges, La part maudite, Paris, Les éditions de Minuit, 2007, p. 58 (mia traduzione, com (...)
  • 2 Il credito, rimesso in discussione con la crisi attuale, è stato tra l’altro una delle sfide del ve (...)
  • 3 Già un secolo fa, Marx affermava che l’economia è il nostro destino...
  • 4 “Sono queste idee forse all’origine delle nozioni di alienazione e superamento che caratterizzarono (...)
  • 5 “La società greca aveva il senso di ciò che Hegel, sulla scia di Schiller, chiamava l’unità immedia (...)
  • 6 Da un’intervista inedita concessami dall’autore a Grenoble il 27 marzo 2009.

1Riguardo al rapporto tra letteratura e sviluppo economico, il primo scrittore che viene in mente è Balzac e, seppur in misura diversa e più legata all’industria, i nomi di Zola e di Dickens, i quali, a differenza dei loro predecessori (tra cui i Romantici), hanno introdotto nella loro opera il movimento dell’economia, nel senso di “produzione e utilizzo della ricchezza”1. Ma il caposaldo di questo approccio è il pensiero filosofico e religioso che ne sta a monte e che ha reso possibile lo sviluppo economico e, in particolare, due visioni del mondo: la prima, che va da Aristotele a San Tommaso, rifiuta il prestito a interesse e, l’altra, da Lutero agli economisti che, a partire da Adam Smith, l’accettano2. Tra queste due concezioni, si posiziona l’uomo e il suo rapporto con il denaro, con il potere, con il commercio. L’uomo, o meglio, la problematica dell’uomo di fronte a queste radici del male – il commercio, il denaro, il potere – che non cesseranno di amplificarsi, radicalizzandosi fino al rifiuto, molto cattolico, del male assoluto: il capitalismo. È in nome di tale rifiuto che, negli anni 70, scrittori quali Massimo Carlotto sono insorti contro il capitalismo, ma dopo circa trent’anni, tuttavia, si sono resi conto che esso è il normale divenire del mondo – lo spirito del mondo – , e proprio per questo descrivono gli orrori di tale sistema economico senza condannarlo realmente. Ciò che invece condannano è in primo luogo l’utilizzo deviato di tale sistema. In questo senso, molti autori come Carlotto che pensavano di essere marxisti sono diventati marxiani, in altre parole hanno assimilato lo spirito del mondo e il fatto che la scienza economica è una gnosi, ossia la vera conoscenza del mondo3. Anche la letteratura, de facto, ha assimilato lo spirito del mondo, essendo divenuta strumento dell’ermeneutica e dell’epistemologia, forme conseguenti (postmoderne?) dell’evoluzione verso una ricerca mistica che è altresì rappresentativa della problematica dell’uomo e del mondo frammentato, nel senso hegeliano del termine, inteso cioè come frattura tra l’uomo e Dio, tra l’uomo e la società, tra l’uomo e la natura4. Tuttavia se in Hegel la paura della frammentazione della vita moderna ha un fondamento religioso, per autori come Carlotto, a prima vista, essa ha piuttosto un fondamento economico. Ma, sostanzialmente, le due diagnosi non si ricongiungono? Hegel e Carlotto parlano entrambi delle frammentazioni di cui è preda la loro società, la perdita di talune qualità umane e soprattutto la crescita dell’individualismo. È del resto in un individualismo moderno (metodologico?), accettato e rettificato, nel senso dell’interesse comune e della comunità – non lontano forse dal modello della polis greca –, che ambedue collocano la possibilità “sognata” di uscire da una società frammentata5: “L’alternativa a questo nostro sistema è puntare su rapporti molto diversi basati sulla comunità, puntare anche sulla dimensione di lavoro di comunità per cercare di avere un rapporto di parità di diritti6”.

  • 7 È la trasposizione in forma romanzesca dei vari episodi storici che conduce a una riflessione sulla (...)

2Proprio come quando Hegel parla di Zeitgeist e Jacques Attali di Karl Marx o dello spirito del mondo, Massimo Carlotto ha perfettamente colto quanto la dinamica degli affari trascini il cambiamento del mondo e come questo aspetto faccia parte della fenomenologia dello spirito, ossia della manifestazione dello spirito che opera sul mondo. Peraltro, è proprio sulla fenomenologia che poggia una certa letteratura contemporanea, che descrive i cambiamenti del mondo e diventa poliziesca. Una letteratura che indaga, fruga, esplora, critica numerosi ambiti del pensiero moderno, pur situandosi nella lunga storia della letteratura. Il fatto che la maggior parte degli studiosi faccia risalire l’invenzione della letteratura poliziesca alla fine del Settecento o all’inizio dell’Ottocento, dipende dal fatto che proprio in questo periodo la letteratura considera l’economia come parte inscindibile di quel divenire del mondo chiamato “spirito del mondo”. In un momento in cui la logica degli affari trasforma il mondo a una velocità mai vista prima nella storia dell’umanità, gli scrittori scoprono l’importanza dell’economia politica. Carlotto si iscrive quindi in quella tradizione che vede l’incontro fra letteratura e filosofia della storia7.

  • 8 A più riprese l’autore parla nelle sue interviste di “cambiamenti epocali”.
  • 9 La terza rivoluzione industriale definita anche “rivoluzione informatica” o “periodo post industria (...)

3Il substrato economico nei testi Carlotto si iscrive pertanto in una tradizione critica – nel senso primo di valutazione – dell’economia politica. Beninteso, l’autore presenta come nuovo ciò che è soltanto un remake costante; nell’analisi economica che sottende le sue opere c’è una certa ingenuità tecnica che, peraltro, non possiamo rimproverargli, non solo perché non è il suo mestiere, ma anche perché i suoi scritti non vogliono essere un corso di economia. Ciò che qui ci interessa è in primo luogo la rappresentazione letteraria di un modello economico che ha mostrato i suoi limiti – il capitalismo selvaggio o immorale – e le mutazioni che ne sono conseguite8 in un’epoca, quella della terza rivoluzione industriale9, che propone in modo radicale la questione dell’uomo e del suo rapporto con il funzionamento e la “finalità infinita” della produzione industriale (logica del produrre per produrre).

4Per definire meglio la posizione di Carlotto rispetto alla sua scrittura (che potremmo etichettare della catastrofe e della “rivelazione”), appare esaustivo l’estratto di questa sua intervista:

  • 10 Dall’intervista inedita di Massimo Carlotto citata supra.

Il Nordest, dopo la globalizzazione, è stato il laboratorio del capitalismo immorale. Capitalismo criminale. Cioè la commistione tra capitalismo e criminalità. Tale capitalismo è un sistema che si basa sull’illegalità, un sistema privo di ogni dimensione etica. È un capitalismo spietato. Ora bisognerebbe puntare su una dimensione etica della produzione, del lavoro e della finanza. Sarà un processo molto lungo10.

  • 11 Sta qui, appunto, il passaggio da una generazione tutta politica (marxista) a una generazione moral (...)
  • 12 Gli storici dell’economia hanno mostrato che la Monarchia cattolica è stata la culla di una prima e (...)
  • 13 Carlotto, Massimo, Nessuna cortesia all’uscita, Roma, Edizioni E/O, 1999.

5Mettendo in evidenza i punti in comune con gli analisti – economisti e politici – che, in seguito alla crisi del 2008, auspicano una moralizzazione del capitalismo finanziario, Carlotto si situa esplicitamente dalla parte di coloro che credono che la morale sia socialmente ed economicamente possibile11. Ma questo altro non sarebbe che un germoglio primaverile di buon senso – previsto, ma non sicuro – dopo un lungo inverno cominciato, ci dice l’autore, dopo la globalizzazione. La globalizzazione così come la si intende, altro non è che una fase di un lungo processo iniziato alla fine dell’era industriale. Il fatto che non sia un’idea nuova nella storia politica, culturale ed economica dell’umanità, può essere comprovato citando l’esempio della mondializzazione iberica del Cinquecento12. La globalizzazione moderna, tuttavia, riguarda soprattutto le interdipendenze tra le nazioni e i movimenti, nonché le mutazioni indotte dagli scambi internazionali. Con l’ingresso nell’era tecnologica e con il progresso, l’orizzonte dei mercati si è esteso, grazie anche alla riduzione marginale dei costi di trasporto. In Carlotto la globalizzazione dei mercati è da mettere in relazione con ciò che egli definisce “la globalizzazione della criminalità”, ovvero il momento in cui il crimine si trasforma in industria. Le mafie, in quanto organismi rizomici vivi, non hanno fatto altro che adattarsi in modo del tutto naturale alla mutazione economica del mondo sottoforma di rete, abbandonando il modello di tecniche fisse. Si è così prodotta una certa “disitalianizzazione” della criminalità che Carlotto descrive scomponendola in due fasi. La prima, dagli anni Cinquanta fino alla caduta del muro di Berlino, in cui la criminalità si contraddistingue per la sua “italianità” ed è simboleggiata dal personaggio di Beniamino Rossini. La seconda, dal 1989 a oggi, caratterizzata dall’apertura delle frontiere dell’Est che ha cagionato, soprattutto nel Nordest, l’impiantarsi a ondate successive di culture criminali proprie a questa parte del mondo. L’istallarsi di nuove mafie straniere, a discapito delle mafie italiane, è presente nel romanzo Nessuna cortesia all’uscita13 calcato sui misfatti della banda Maniero, la mafia del Brenta...

  • 14 Il trattamento dei rifiuti e l’economia legata allo smaltimento è al centro di Nordest e de L’alber (...)
  • 15 Bataille, Georges, La part maudite, cit., p. 24.
  • 16 Anders, Günter, L’obsolescence de l’homme. Sur l’âme à l’époque de la deuxième révolution industrie (...)
  • 17 Nei romanzi di Carlotto, gli immigrati, ma anche madri o padri di famiglia come ben visibile in Nie (...)
  • 18 Carlotto, Massimo, Arrivederci amore, ciao, Roma, E/O, 2002.
  • 19 È evidente che tutte le tematiche che toccano più o meno da vicino la problematica dell’uomo visto (...)

6L’autore tratteggia, nell’insieme della sua opera, l’impiantarsi di queste mafie associandole a tre precise scansioni temporali: la prima, in cui le mafie si occupano della prostituzione e delle armi; la seconda, legata all’inizio degli investimenti, che vede gli industriali del Nordest, fino a allora al servizio delle bande del Nord, favorire e mettersi al servizio delle bande dell’Est; la terza – che fa da sfondo agli ultimi romanzi di Carlotto – è quella del riciclaggio generalizzato e del traffico di merci di ogni tipo. L’autore approfondisce osservazioni, analisi e riflessioni sull’industria criminale, mostrando come le sue organizzazioni, sulla scia della società industriale, non siano sistemi destinati a produrre beni di consumo né di benessere, ma unicamente di profitto e di potere, entrando così nella dinamica del produrre per produrre; la produttività reale non ha quindi altro scopo che produrre più profitto, tutto il resto è accessorio. Le mafie globalizzate forniscono così lo spaventoso modello di una minaccia globale su scala locale, trasformando l’uomo in clientela e/o in merce e il mondo in rifiuti. La produzione per la produzione, oltre a essere un nonsense, ha provocato un’impennata nella crescita dell’attività industriale. Le forze produttive si sono sviluppate, le risorse che rendono possibile la moltiplicazione demografica sono aumentate. Ma tale crescita è generatrice anche di un incredibile incremento dei rifiuti che divengono, a loro volta, un mercato a sé in cui l’illegalità fa da padrona14. Se “l’uomo della crescita industriale non ha altro fine che questa crescita”15 si capisce quanto tutto sia dettato dalla strategia del profitto, della potenza, della distruzione, dell’odio in cui le mafie trovano terreno fertile. E si investe unicamente dove si dispone di un potere garantito, spesso i luoghi pubblici (bar, lap dance, locali) che in Carlotto sono prima di tutto spazi di socializzazione in cui si afferma il proprio potere, si fanno affari, si ricicla. Questi luoghi rappresentano anche il modo di penetrare, di nascondersi nel processo produttivo. È una delle idee-chiave dell’universo carlottiano e della critica del capitalismo selvaggio in cui la vita di un individuo dipende dal suo inserimento o meno in un sistema produttivo. Altrimenti essa diventa incerta, e quindi ignobile. Secondo l’assioma del filosofo Günter Anders “Ciò che non è sfruttabile, non è”16. In un simile contesto, i marginali che non lavorano sono percepiti come pericolosi e odiati17. L’esigenza di introdursi a tutti i costi nel sistema produttivo spiega la dinamica del personaggio di Arrivederci amore, ciao18 Giorgio Pellegrini il cui tentativo di riabilitazione sociale dipende da un duplice movimento: comprare un bar-ristorante (in quanto luogo pubblico) e trovare una donna che lo porti alla normalità (matrimonio...). Le donne sono considerate parte del meccanismo di (ri)produzione, parte del profitto e del potere. Con questo esempio, possiamo quindi affermare che tutto è pensato in modo industriale, compresi il sesso e la donna, e che in questo mondo-fabbrica a servizio della folle industria del profitto, la cattiveria e l’odio ormai si degradano in stereotipi, mentre l’amore vede scomparire i suoi classici riferimenti e si fa merce. Nello tempo stesso, il male (economico) e l’odio (umano) appaiono tratti costitutivi dell’io per negazione e distruzione dell’altro. Sebbene questa idea non sia nuova in letteratura19, essa si iscrive pienamente nel progetto letterario carlottiano che vuole raccontare le evoluzioni della società postindustriale.

  • 20 Sloterdijk, Peter, La mobilisation infinie. Vers une critique de la cinétique politique, Paris, Chr (...)

7Inoltre, nei testi di Carlotto è presente un’ossessione per il movimento e le azioni rapide che altro non sono che un processo (narrativo) di adattamento alle mutazioni della civiltà globalizzata e alle evoluzioni dall’era industriale a quella postindustriale. Siamo di fronte a un evento che non ha eguali nella storia e che mette in discussione la sedentarietà, la stazionarietà, la fedeltà. È l’era della mobilizzazione infinita, ben descritta dal filosofo tedesco Peter Sloterdijk che assimila i tempi moderni a una mobilizzazione senza precedenti: “Oggi l’essere più debole della natura, l’uomo, la valanga che pensa, non è più messo a repentaglio unicamente dalla tempesta della vita, ma lui stesso mette in moto le masse che possono seppellirlo”. Se, secondo Sloterdijk, la mobilizzazione infinita è “un processo fondamentale dei tempi moderni”, la quale “si presta particolarmente a descrivere il processo di civilizzazione” pur con il suo inevitabile carico di “connotazioni inquietanti, se non addirittura disastrose”20, è innegabile che la dinamica letteraria di Carlotto rifletta questo indizio, tra i più rilevanti della modernità.

  • 21 Strappare la gente al loro modo di vivere centenario segna evidentemente la fine di certe tradizion (...)
  • 22 Pasolini ha riassunto efficacemente questo ragionamento: “Per l’uomo antico, per l’uomo pre-industr (...)

8La mobilizzazione economica provoca continui cambiamenti di gerarchia che si ripercuotono tanto sul destino degli esseri umani quanto su quello delle regioni in cui essi vivono. Così, numerosi personaggi carlottiani si trovano di fronte a una sorta di fatum che li sovrasta, e il fatum è il mondo moderno, rapido, industrial-tecnologico che li fagocita strappandoli a un modo di vivere21 in cui c’era una sorta di incanto, una tradizione religiosa o comunque simbolica22. Essi si ritrovano impotenti e la loro esistenza è interamente dipendente dal costo marginale del lavoro o dall’assenza di lavoro: che lo vogliano o no, è così. Pertanto, l’opera di Carlotto oltre a descrivere la situazione del mondo odierno, si interroga in modo sotterraneo sul ruolo dell’industria o delle postindustrie in e/o contro il processo di civilizzazione.

  • 23 Carlotto, Massimo e Abate, Francesco, Mi fido di te, Torino, Einaudi, 2007.
  • 24 Carlotto, Massimo e Videtta, Marco, Nordest, Roma, E/O, 2007.
  • 25 Il personaggio della contessa incarna ancor meglio la capacità di trasformazione del capitalismo da (...)

9Presi nella velocità delle mutazioni e del sistema produttivo che porta, soprattutto nel Nordest, grandi quantità di denaro, alcuni personaggi sono avvinti dal desiderio di ricchezza e di diventare padroni. Secondo Carlotto è un’evoluzione questa in due tempi: il passaggio dal contadino al contadino-operaio (1950-1970) e poi al piccolo imprenditore (1980). Tre buoni esempi di questo modello di riuscita sociale si incontrano nelle tre grandi figure: Giorgio Pellegrini (Arrivederci amore, ciao), Gigi Vianello (Mi fido di te23) e la contessa Selvaggia (Nordest24)25. I tre personaggi sono decisamente complementari e espressione di uno stesso meccanismo economico-sociale: nati dal nulla, incarnano il successo del sistema, il perpetrarsi del modello a cui si è precedentemente accennato. Con uno straordinario cinismo scritturale, Carlotto li salva in maniera nietzschiana, e li rende personaggi positivi, pur essendo anaffettivi e privi di pietà. Sono positivi anche perché restano impuniti, come per indicare che non esistono alternative a quel sistema. In certo senso quindi anch’essi incarnano lo spirito del mondo.

  • 26 “Quella che stavamo vivendo era una guerra in piena regola e come tutte le battaglie metteva una gr (...)
  • 27 Su questo è incentrato in particolar modo il romanzo L’albero dei Microchip, Milano, Edizioni Ambie (...)
  • 28 È soprattutto ciò che Günter Anders chiama “la discrepanza” o la faglia, in ogni caso l’asincronici (...)
  • 29 Su tale nozione, si veda Lecoq, Jean-François, L'individu empêché: recherches sur les limites de la (...)
  • 30 Il senso della vita nell’opera di Carlotto si lega indissolubilmente al sentimento dell’ingiustizia (...)

10La mobilizzazione legata alla postindustria appare ad altri livelli e tocca tutti gli ambiti sociali. Carlotto si propone di descriverne alcuni tramite temi che attraversano tutta la sua opera, come la “delocalizzazione industriale” che provoca, soprattutto negli ultimi anni, una serie di sconvolgimenti che colpiscono i legami tra le persone e il loro territorio, portando popolazioni estremamente diverse in nuovi luoghi. Difatti, nei romanzi di Carlotto, convivono personaggi di diverse nazionalità che finiscono per trovarsi ai margini della società urbana e umana e che non sfuggono all’influenza delle forze economiche e mafiose. Poiché, come detto precedentemente, la mobilizzazione e la mondializzazione non funzionano senza una strategia di dominio e senza odio. Tale dominio, inteso come logica di guerra – perché di questo si tratta26 – si iscrive in quella che il filosofo urbanista Paul Virilio chiama dromologia, ovvero la scienza della rapidità, concetto fondamentale quando si considera la struttura della società in relazione alla guerra. Per cui “chi controlla il territorio, lo possiede”. Il possesso del territorio non riguarda tanto le leggi e i contratti quanto la gestione del movimento e della circolazione. Ed è anche questa gestione ad aver provocato la trasformazione delle mafie e del loro modo di agire. Questo tema è particolarmente chiaro nelle prime pagine di Nordest con la descrizione della tangenziale di Mestre, metonimia del Nordest, zona di transito dove circolano tonnellate di merci legali e illegali. L’apertura di questo libro è interessante per molteplici motivi, in primis perché permette di capire come mobilizzazione e globalizzazione abbiano provocato una nuova prospettiva dello spazio. In effetti, i rapporti tra locale e globale si modificano a mano a mano che i due termini mutano contenuto e gerarchia, sposando appunto i ritmi della mobilizzazione e della mondializzazione. La mondializzazione è globale, ma, nello stesso tempo, è una localizzazione, al punto che tale localizzazione corrisponde a un inserimento più ampio nei mercati. La mondializzazione ha comportato un cambiamento nel modo di pensare il globale e il locale, che potrebbe riassumersi così: da “Perché il globale? Poiché il locale…” a “Perché il locale? Poiché il globale…”. Questo cambiamento, in cui si colloca la crisi dello Stato-nazione in alcuni paesi come la Francia, è del resto uno degli aspetti della complessità così come la intende il sociologo Edgar Morin. Essa è presa in considerazione dalla letteratura – la quale si regionalizza sempre di più – e in primo luogo dal romanzo poliziesco, che diventa pensiero manageriale ed economico. Carlotto, con i suoi romanzi e i suoi personaggi, non fa che mettere in scena il pensiero del complesso descritto da questo pensiero manageriale ed economico. Il nuovo rapporto globale/locale è alla base del principio del neofeudalesimo – o dell’interdipendenza – delle regioni nella struttura e nel funzionamento degli imperi27. Per alcuni il male della/nella nostra società deriva da questo divario, dall’insufficienza di percezione e di rappresentazione di tale processo28. Questo processo, infatti, – che si ricongiunge a quello della frammentazione – mentre ci ingloba, ci sfugge e ci schiaccia. In quel limite noi siamo e restiamo “individus empêchés29”, abbandonati all’obsolescenza accelerata. Da qui forse l’interrogativo sotterraneo in Carlotto sul senso della vita30, sul senso della lotta politica e sociale.

11Con la sua sensibilità cinica, Carlotto registra questo scarto e cerca di renderlo visibile attraverso i suoi romanzi: è in questo frangente che la scrittura rivelazione, di cui si è parlato, acquista il suo significato più profondo. Attraverso i suoi romanzi, poiché la finzione deve permettere di mobilizzare l’immaginazione di cui abbiamo bisogno per estendere la nostra capacità di rappresentazione. Per fare questo, Carlotto prende principalmente come modello il Nordest e a mano a mano nei suoi testi, come un’enciclopedia e un’apocalisse del mostruoso, registra e svela tutti i sintomi di una regione in preda alle modifiche postindustriali. Il Nordest funziona quindi come un’omotetia, un isomorfismo, che, in quanto microcosmo permette di capire il divenire economico globale del macrocosmo.

  • 31 Carlotto si ricongiunge qui all’idea dell’economista Fourastié che aveva capito che l’industria sar (...)

12Per “nordest”, s’intende quindi non solo l’area geografica, ma anche quel fenomeno economico-sociale che ha trasformato in pochi anni il Veneto (e parte del Friuli-Venezia Giulia) da regione povera di emigranti, contadini e domestiche in una realtà industriale unica in Italia, tanto da avere un numero di imprese di varia grandezza, pari se non maggiore, al numero di abitanti. La rapida evoluzione che ha conosciuto il Nordest si legge essenzialmente in due romanzi: Arrivederci amore, ciao, dove la nuova criminalità globalizzata capisce che il Nordest è in piena fase di arricchimento, e Nordest nel quale il territorio ci viene presentato nella fase postindustriale. È attraverso questi romanzi che possiamo cogliere le mutazioni subite dal territorio al di là delle trasformazioni sociali e criminali che abbiamo precedentemente evocato. Se uno dei cambiamenti più visibili è rappresentato dal deturpamento delle città e delle campagne (costruzione frenetica di strade e proliferazione ossea di capannoni industriali), è anche, e soprattutto, il volto dell’industria e dell’azienda a essere cambiato a tal punto che esse sono, in Carlotto, quasi assenti e relegate per lo più a supporto di un racconto teso a sottolineare le mutazioni del territorio e della società. Questo perché nei romanzi di Carlotto l’industria è passata e superata31.

  • 32 Da qui il ricorso ricorrente all’alcol, alla droga, al gioco e alla televisione come forma illusori (...)

13L’età industriale sembra quindi finita, in quanto se un tempo la produttività equivaleva alla richiesta di manodopera, oggi è l’inverso: più l’impresa è produttiva e meno lavoro umano impiega. Ciò spiega perché Carlotto non parli dell’impresa dal suo interno, né degli operai: perché l’operaio, colui che aveva la coscienza della produzione nel suo insieme, l’operaio di massa, non esiste più. Così come non parla dei proletari perché il proletario, colui che aveva coscienza di esserlo, non esiste più. Tali mancanze sono quindi sintomatiche del fatto che ormai tutto si gioca altrove, a un altro livello, a un livello mondiale, appunto. L’assenza della fabbrica come topologia narrativa nell’opera carlottiana si capisce se si considera che per lo scrittore è il nostro mondo a essere diventato una fabbrica. Quello che è importante pertanto non è il dettaglio descrittivo (ritmo di lavoro ecc.) ma il racconto tragico che mette in scena le rapide trasformazioni dell’intera società. Ritroviamo in questa concezione dell’autore una sorta di apocalisse triste dove il rivelare del reale si fa attraverso personaggi tragici. Allora siamo messi di fronte al fatto che lo spirito del mondo, il quale forse corrisponde a un divenire positivo, passa attraverso l’annientamento dell’individuo. I romanzi di Carlotto ci mettono dinanzi a questo fatto interessante, ossia che l’individualismo metodologico del liberalismo passa attraverso l’annientamento dell’individuo e dei suoi sogni. Poiché sembra palese, come lo dimostrano i romanzi carlottiani, che di fronte all’evoluzione del mondo reale, assistiamo alla scomparsa dei sogni. E il romanzo poliziesco è quel genere letterario che mostra anche questo: il reale ha annientato il sogno e l’orizzonte si è oscurato. È per questo che esso, tramite i personaggi, dà adito a una letteratura in cui l’abbrutimento diventa una via quasi salvifica per dimenticare32.

  • 33 Non è la necessità ma il suo contrario, il lusso, a presentare all’uomo i suoi problemi fondamental (...)

14In Carlotto il sogno precede l’opera. La sua in un certo senso è una scrittura del dopo la fine del sogno che, in genere, segue un omicidio, come mostra l’esempio di Niente più niente al mondo. In questo capolavoro appare chiaramente l’idea che, in Carlotto, resta quell’amara impressione che non esiste via d’uscita, neanche quella (berlusconiana) offerta dalle facilonerie evasive della televisione. Cosa che aveva perfettamente capito, in questo romanzo, la figlia che viene uccisa dalla madre, figlia che aveva colto la propria mediocrità e la propria abiezione (nel senso di abjicere: gettare lontano da tutto). Diverso è per la madre che uccide la figlia perché non ha nemmeno più la speranza che la figlia invece aveva, cioè la speranza di poter cavarsela anche con un espediente che era già completamente fantasmagorico. E questa situazione non deriva dalla sola miseria materiale33, ma dal fatto di trovarsi in una specie di trappola senza possibilità di fuga. Questa trappola è anche la chiusura nella rassegnazione. Nel fatum, per l’appunto.

  • 34 È interessante sottolineare del resto che è scrivendo la pièce Polvere che Carlotto parla per l’uni (...)

15Ci troviamo in una situazione alla Céline, o alla Bourdieu. Ossia l’idea che esista per l’attore un margine d’azione che sta per essere schiacciato da una sorta di necessità mondiale accelerata che fa sì che perfino quel sottile margine d’azione sia cancellato e che, tranne rarissimi casi, non si possa sfuggire al proprio fatum. D’altronde, l’uomo non può opporsi alla crescita del progresso. Non ha alcuna forma di libertà di fronte alla tecnica. Per l’uomo vige una sorta di determinismo assoluto, un’impressione costante di ineluttabilità in un contesto di grande efficacia tecnologica. Da ciò scaturisce l’idea di finitudine e di disperazione fondamentale dell’uomo moderno presente in modo particolare nei romanzi di Carlotto. Finito e disperato perché non può fare niente e – strano ossimoro – lo sente vagamente pur prendendone sempre più coscienza. Nelle opere di Carlotto tale coscienza, da un punto di vista narratologico, si traduce nel ricorso pressoché sistematico a un narratore omodiegetico, che conferisce alle opere l’intimità necessaria propria dei racconti confidenziali. Racconti confidenziali come tanti sussurri che ascoltiamo senza tuttavia poter reagire, senza poter fare niente. Questa paralisi –legata a un perverso senso di ineluttabilità – del lettore di fronte alle atrocità narrate ci invita a chiederci se la letteratura degli ultimi decenni, quella successiva alla postindustrializzazione, non abbia rinunciato alla rabbia o comunque se le sue forme di rappresentazioni non siano cambiate. Certo, la descrive, la rappresenta, tra l’altro rimasticando il passato, ma non pare urlare l’ira del mondo. Probabilmente appunto perché non sembra più esserci una protesta possibile, un Paradiso da raggiungere. Il postindustriale sembra così aver segnato il passaggio da una letteratura rivoluzionaria a una letteratura rivelazionaria. Questo probabilmente spiega perché Carlotto si sia rivolto anche al teatro, un teatro d’azione (poetico e politico)34. Quindi i suoi testi si collocano certamente tra i lavori che illuminano la fine del Novecento, ma mostrano anche i limiti della letteratura di fronte al divenire collerico del mondo.

  • 35 Chi sono i vincitori di un tale sistema ? Nessuno, ci dice Carlotto. Poiché perfino quelli che sost (...)

16Tutta questa immagine del mondo, del nostro mondo industriale e postindustriale legato alla fine di una civiltà potrebbe far pensare al concludersi della Repubblica romana. Certo ci ritroviamo in una situazione che dipende dall’Imperium ma, per giunta, ci troviamo in una situazione in cui la possibilità di uscirne o meno grazie alla prosperità economica va a scontrarsi con la finitudine del mondo. Il liberalismo economico concepito per sviluppare l’umanità e accelerare la conquista di essa, è insito nella logica biologica di quei “topi che siamo”, ma di topi che stanno diventando troppo numerosi per lo spazio che hanno a disposizione per moltiplicarsi e agire. L’umanità finirà quindi per scontrarsi con i suoi limiti di finitudine. E in questo spazio sempre più stretto, l’uomo un po’ è condannato al delitto anche se, con o senza delitto, l’uomo è comunque come un topo stretto nella sua trappola. Condannato al delitto per sopravvivere nello spazio che occupa e che è sempre più angusto. L’omicidio è sopravvivenza: ti uccido per prendere il tuo posto, per farcela. In un orizzonte oscurato dalla finitudine, l’umanità fugge da se stessa. E fuggendo, diviene. Così l’opera di Carlotto è interamente orientata sull’uomo (in fuga) – sempre lo stesso uomo, l’uomo economizzato, mercantile, preso nel mondo nel suo divenire – per aprire alla comprensione – la rivelazione appunto– di quella che è la “nostra situazione”. A buon diritto, pertanto, possiamo ritenere che il progetto di Carlotto appartenga a un’antropologia filosofica nell’era della postindustrializzazione, definendo quest’ultima non come il dominio di una casta35, ma come uno stato del mondo in cui l’industria, attraverso il suo stesso superamento, è diventata il soggetto onnipresente della storia.

  • 36 Cfr. per esempio l’esperienza del teatro di massa.

17Questo sentimento di finitudine del mondo come abbiamo detto è abbastanza nuovo e completamente estraneo alla percezione che in sostanza se ne poteva avere quarant’anni fa. Probabilmente è cominciato negli anni ’60 con i lavori del Club di Roma e ha corrisposto a un rinnovamento artistico particolare (arte moderna del nonsense, Nouveau Roman, Gruppo 63, pop art...). È anche il periodo in cui il romanzo poliziesco diventa un vero e proprio oggetto letterario e una scommessa per la letteratura. Probabilmente la simultaneità dei due momenti non è un puro caso. Possiamo capirlo dal fatto che all’epoca mancava completamente questa coscienza a livello politico, non c’era una soluzione politica concepibile. È la fine del sogno della società ideale attraverso una sorta di collettivismo salvifico a cui si credeva36. Sappiamo oggi che l’idea secondo la quale la crescita è la soluzione è problematica. All’improvviso ci rendiamo conto che la Gerusalemme celeste – ovvero il sogno – scompare ed emerge il poliziesco, prospera come genere letterario intellettualmente rispettabile in quanto tale per diventare la forma moderna della poesia, della letteratura, del romanzo.

  • 37 “È logico che il realismo letterario sia stato, da qualche decennio a questa parte, contemporaneo d (...)
  • 38 Naville Morin, Violette, L’écriture de presse, Presses de l’ Université du Québec, 2003, p. 36.
  • 39 Sarebbe interessante uno studio sulla commistione tra giornalismo e romanzo poliziesco, sia per qua (...)

18Il genere poliziesco propone quindi una lettura ragionata del tempo presente, un’individuazione dei valori, dei miti, dei sogni (o meglio della fine dei sogni) delle società industriali e postindustriali, ovvero un’investigazione minuziosa delle forme, dei contenuti, dei meccanismi e degli effetti della società e della cultura di massa di cui fa parte. In questo senso, cerca incessantemente una figura dell’umanità il cui aspetto esprima la natura violenta della società postindustriale. Possiamo notare che nel perseguire tale scopo, il romanzo poliziesco tende sempre più, dagli anni 1980-1990 in poi, a farsi obiettivo, dando tuttavia largo spazio all’emozione pur orientandosi verso un realismo asciutto (conseguenza della televisione, del cinema, del digitale). La scrittura poliziesca – come nel caso di Carlotto – tende così a includere dati di fatto oggettivi insieme a fatti di cronaca. La scrittura del fatto di cronaca partecipa del “bisogno di autenticare il “reale” di cui parla Roland Barthes in Le bruissement de la langue a proposito del realismo sia in letteratura sia per quanto riguarda la fotografia e il reportage37. La scrittura romanzata si avvicina alla scrittura giornalistica e quindi romanzo e reportage tendono a confondersi. L’oggettivarsi della finzione richiede di ricorrere a una scrittura semplice, chiara, non povera ma sobria e descrittiva. Le frequenti descrizioni oggettive che restano intenzionalmente sulla superficie delle cose fanno sì che il testo sia colto da una sorta di processo ottico, più vicino alla sensazione che alla riflessione. Il tenore visivo di questa scrittura molto spesso implica la ricerca di un’associazione paradossale tra concisione e “spettacolarizzazione”. Così Violette Naville-Morin commenta questo “coefficiente di spettacolarizzazione”38 inerente alla scrittura giornalistica, che possiamo considerare anche come inconfondibile marca di stile del nostro autore. Si tratta di riuscire a ottenere il massimo effetto con uno stile minimalista, com’è molto evidente nel meccanismo di “compressione/deflagrazione” costantemente ricercato nei titoli dei quotidiani e, per quanto riguarda Carlotto, nei titoli dei suoi romanzi e nel suo stile. Carlotto rientra così in quella letteratura che – al di là di tutti i tentativi di definizioni recenti (romanzo inchiesta, new epic, nero mediterraneo) motivate sia da una dinamica egotica della critica e di certi autori che dalla logica economica degli editori – fa ritorno a un certo tipo di scrittura-inchiesta, alla Dos Passos o alla Truman Capote, d’impronta giornalistica39, nella quale la narrazione concisa, chiara e verosimile, che per certi aspetti richiama anche l’opera di G. Simenon (egli pure giornalista), diventa un luogo stilistico per la messa in scena di un mondo vero, oscuro, caotico e implacabile. Un mondo dei naufraghi del dopo sviluppo economico che offre a Carlotto la possibilità di raccontare in maniera precisa la mutazione ontologica scatenata dalla tecnica e dall’economia moderne.

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Note

1 Bataille, Georges, La part maudite, Paris, Les éditions de Minuit, 2007, p. 58 (mia traduzione, come per tutte le citazioni dal francese, se non figura altra indicazione).

2 Il credito, rimesso in discussione con la crisi attuale, è stato tra l’altro una delle sfide del vertice G20 dell’aprile 2009, come precisato dal presidente Lula durante la conferenza stampa de l° aprile all’Eliseo.

3 Già un secolo fa, Marx affermava che l’economia è il nostro destino...

4 “Sono queste idee forse all’origine delle nozioni di alienazione e superamento che caratterizzarono non solo la sua opera futura ma influenzarono anche Marx e alcuni marxisti umanisti successivi come Fromm e Marcuse” (Plant, Raymond, Hegel, Paris, Seuil, 2000, p. 14).

5 “La società greca aveva il senso di ciò che Hegel, sulla scia di Schiller, chiamava l’unità immediata; occorreva che il nuovo senso della comunità fosse una forma di unità immediata, cioè che esso riconoscesse e assimilasse il moderno senso dell’individualismo” (ibid., p. 24).

6 Da un’intervista inedita concessami dall’autore a Grenoble il 27 marzo 2009.

7 È la trasposizione in forma romanzesca dei vari episodi storici che conduce a una riflessione sulla storia, che potremmo chiamare filosofia della storia, in senso hegeliano-marxista.

8 A più riprese l’autore parla nelle sue interviste di “cambiamenti epocali”.

9 La terza rivoluzione industriale definita anche “rivoluzione informatica” o “periodo post industriale”, comincia negli anni ’70 e segna la fine dell’era industriale. I grandi agglomerati industriali vengono smantellati. Nei paesi industrializzati, le grandi fabbriche scompaiono in seguito alla robotizzazione delle catene di montaggio, alla rivoluzione dei mezzi di comunicazione che permettono una disintegrazione verticale del processo produttivo e il ricorso all’appalto e al subappalto.

10 Dall’intervista inedita di Massimo Carlotto citata supra.

11 Sta qui, appunto, il passaggio da una generazione tutta politica (marxista) a una generazione morale (marxiana).

12 Gli storici dell’economia hanno mostrato che la Monarchia cattolica è stata la culla di una prima economia-mondo. Al riguardo, cfr. Grunzinski, Serge, “La mondialisation ibérique”, in Id., Les quatre parties du monde, histoire d’une mondialisation, Paris, éditions de La Martinière, 2004.

13 Carlotto, Massimo, Nessuna cortesia all’uscita, Roma, Edizioni E/O, 1999.

14 Il trattamento dei rifiuti e l’economia legata allo smaltimento è al centro di Nordest e de L’albero dei Microchip.

15 Bataille, Georges, La part maudite, cit., p. 24.

16 Anders, Günter, L’obsolescence de l’homme. Sur l’âme à l’époque de la deuxième révolution industrielle, Paris, Ivrea, 2002 [1956], p. 210.

17 Nei romanzi di Carlotto, gli immigrati, ma anche madri o padri di famiglia come ben visibile in Niente più niente al mondo, Roma, E/O, 2004.

18 Carlotto, Massimo, Arrivederci amore, ciao, Roma, E/O, 2002.

19 È evidente che tutte le tematiche che toccano più o meno da vicino la problematica dell’uomo visto nella prospettiva del bene e del male o del buono e del cattivo in letteratura si ripetono costantemente. Ma è proprio perché la letteratura poggia su un principio di ripetizione della storia umana che si fa strumento necessario per la trasmissione della memoria, soggetto questo a cui Carlotto è particolarmente legato.

20 Sloterdijk, Peter, La mobilisation infinie. Vers une critique de la cinétique politique, Paris, Christian Bourgois, 2000, pp. 45 e 57.

21 Strappare la gente al loro modo di vivere centenario segna evidentemente la fine di certe tradizioni, dal momento che le persone – come mostra una serie di personaggi di Carlotto – non riescono ad adattarsi ai nuovi tempi.

22 Pasolini ha riassunto efficacemente questo ragionamento: “Per l’uomo antico, per l’uomo pre-industriale, per l’uomo che vive nella civiltà contadina, in qualunque oggetto, in qualunque avvenimento, e a qualunque livello della sua vita, si poteva sentire la presenza del sacro” (Pasolini, Pier Paolo, Pasolini rilegge Pasolini, Milano, Archiato, 2005, p. 48).

23 Carlotto, Massimo e Abate, Francesco, Mi fido di te, Torino, Einaudi, 2007.

24 Carlotto, Massimo e Videtta, Marco, Nordest, Roma, E/O, 2007.

25 Il personaggio della contessa incarna ancor meglio la capacità di trasformazione del capitalismo dal momento che ha sposato un uomo legato alla prima fase.

26 “Quella che stavamo vivendo era una guerra in piena regola e come tutte le battaglie metteva una gran paura, minava i pilastri dell’economia domestica” (Carlotto, Massimo e Abate, Francesco, Mi fido di te, cit., p. 13).

27 Su questo è incentrato in particolar modo il romanzo L’albero dei Microchip, Milano, Edizioni Ambiente, 2009.

28 È soprattutto ciò che Günter Anders chiama “la discrepanza” o la faglia, in ogni caso l’asincronicità, tra l’uomo e il mondo, un mondo che peraltro ha prodotto lui. Patologia collettiva: mentre la nostra capacità di produrre non conosce alcun limite formale, il mondo che ne consegue “oltrepasserebbe decisamente la nostra forza di comprensione, la capacità della nostra immaginazione e delle nostre emozioni, così come la nostra responsabilità” (L’obsolescence de l’homme, cit., p. 32).

29 Su tale nozione, si veda Lecoq, Jean-François, L'individu empêché: recherches sur les limites de la représentation de l'individuel dans le 18ème siècle, Paris, Champion, 2005.

30 Il senso della vita nell’opera di Carlotto si lega indissolubilmente al sentimento dell’ingiustizia.

31 Carlotto si ricongiunge qui all’idea dell’economista Fourastié che aveva capito che l’industria sarebbe stata solo una breve parentesi: “Niente sarà meno industriale della civiltà uscita dalla rivoluzione industriale” (Fourastié, Jean, Le grand espoir du XXème siècle, Paris, Gallimard, 1963 [1949], p. 327). È qui forse che si situa la differenza fra la presenza dell’industria in letteratura, da Zola fino agli anni 1980-1990 e negli ultimi decenni, in cui è presente soprattutto la fine dell’industria.

32 Da qui il ricorso ricorrente all’alcol, alla droga, al gioco e alla televisione come forma illusoria di fuga dal reale.

33 Non è la necessità ma il suo contrario, il lusso, a presentare all’uomo i suoi problemi fondamentali.

34 È interessante sottolineare del resto che è scrivendo la pièce Polvere che Carlotto parla per l’unica volta della fabbrica dall’interno.

35 Chi sono i vincitori di un tale sistema ? Nessuno, ci dice Carlotto. Poiché perfino quelli che sostengono di essere i più forti, principalmente i mafiosi, sono perdenti. Perdenti che si riuniscono in gruppo per essere un po’ meno perdenti degli altri. La solitudine, essere soli allora, quando si è più deboli. Ma nel sistema di Carlotto, finiscono tutti per essere perdenti. Allora niente conta, e la violenza si libera. Gli individui si scatenano. In questa festa infernale, tutti i commensali sono votati al consumo. Forse si tratta della vera impresa di una società del consumo e della produzione, che assorbe le sue forze nel consumo. Un sentimento di maledizione e angoscia (dell’ingiustizia) è legato a questo doppio movimento economico delle società industriali.

36 Cfr. per esempio l’esperienza del teatro di massa.

37 “È logico che il realismo letterario sia stato, da qualche decennio a questa parte, contemporaneo del regno della storia ‘oggettiva’, al che occorre aggiungere lo sviluppo attuale delle tecniche, delle opere e delle istituzioni fondate sul bisogno incessante di autenticare ‘il reale’: la fotografia (testimone grezzo di ‘ciò che c’è stato’, il reportage, le mostre di oggetti antichi [...], il turismo ai monumenti e ai luoghi storici. Tutto questo dice che si reputa che il ‘reale’ basti a se stesso” (Barthes, Roland, Le bruissement de la langue, Paris, Seuil, 1984, p. 185).

38 Naville Morin, Violette, L’écriture de presse, Presses de l’ Université du Québec, 2003, p. 36.

39 Sarebbe interessante uno studio sulla commistione tra giornalismo e romanzo poliziesco, sia per quanto riguarda la scrittura che la bivalenza degli autori, per evidenziare le peculiarità delle scritture della modernità e del realismo.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Laurent Lombard, «La finitudine come orizzonte: mutazione, mobilizzazione, globalizzazione nell’opera di Massimo Carlotto»Narrativa, 31/32 | 2010, 159-173.

Notizia bibliografica digitale

Laurent Lombard, «La finitudine come orizzonte: mutazione, mobilizzazione, globalizzazione nell’opera di Massimo Carlotto»Narrativa [Online], 31/32 | 2010, online dal 01 juin 2022, consultato il 08 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/narrativa/1582; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/narrativa.1582

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