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Camminare nel buio verso l’Annuncio, contro i venti della globalizzazione, sui passi di Antonio Moresco: un caso di iperdeterminazione letteraria

Laurent Lombard
p. 289-306

Testo integrale

  • 1 A giusto titolo, il premio Nobel di economia, Maurice Allais, preferiva parlare dei mercati.
  • 2 Basti solo pensare a Platone, Cipriano (Liber ad Demetrianum), Arnobio (Adversus nationes) ecc.
  • 3 L’urbanista e filosofo Paul Virilio ha dato a questa peculiarità il nome di dromodologia. Cfr. tra (...)

1Un ragionamento logico sul tema Letteratura e Globalizzazione lascia emergere qualche contraddizione e alcuni significati quanto mai ingrovigliati poiché si deve riconoscere che si tratta di due concetti assai difficili da afferrare, considerata l’estensione di senso a loro attribuibile. Sembrerebbe opportuno quindi riflettere sulla complessità e pluralità che tale argomento comporta: ci sono delle letterature e delle globalizzazioni1. Del resto, la definizione della globalizzazione non risulta forse diversa a seconda delle categorie preposte a una sua valutazione? Sotto il termine globalizzazione, di cui taluni commentatori dicono sia una manifestazione del notro mondo (post)moderno, non si trovano i diversi cicli, le diverse rotazioni universali, le conquiste religiose, le supremazie linguistiche, Dio stesso? E ancora, come negare che la globalizzazione – nella costruzione delle società umane – sia un ordine naturale? Infatti, se si ammette che esiste un movimento globale ancestrale che regola l’ordine societale e di pensiero, è necessariamente con esso che nasce la Storia. E se questo viene accettato e ammesso, dovremo confessare che i mali di oggi imputabili alla nostra globalizzazione, sono delle calamità antiche e che, quindi, non si profila niente di nuovo sul filo dilatato e eterno dell’orizzonte, se non un continuum tra mali contemporanei e antichi? Per comprovare quanto detto, basterebbe rifarsi alle opere di numerosi scrittori che testimoniano quanto i flagelli dell’uomo si iscrivano nella storia lunga dell’umanità2. D’altronde non è neanche un mistero che la letteratura si sia da sempre cimentata, con i diversi generi che si sono succeduti, a rispondere al problema del male e della sua origine, senza tuttavia mai proporre soluzioni. Eppure, mentre tutto ciò sembra immutabile, iscritto nel patrimonio delle società umane, il nostro mondo ha conosciuto nel corso del XX secolo, una nuova fase di globalizzazione che, più delle precedenti, sembra aver creato, con la sua accelerazione3, un disfunzionamento all’interno del movimento e del corpo ancestrali delle società, rovinando la struttura di quell’enorme palazzo di vetro sferico che ci ospita tutti. Questa nuova globalizzazione quindi non è altro che una rivoluzione del mondo economico che si è ingolfata in una vertiginosa rotazione.

2Come noto, il mondo editoriale – autore, editore, critica, lettore – non è stato risparmiato da questa vertiginosa rotazione. La diagnosi endogena dei mutamenti dell’editoria entrata in una fase acuta di consumismo produttivistico, di cui si è parlato nel corso di questo convegno, e presa in esame da grandi studiosi quali Giulio Ferroni, Alberto Cadioli o Luigi Traino, è stata evidenziata in modo sintetico da Pier Vittorio Tondelli:

  • 4 Tondelli, Pier Vittorio, “Il mestiere di scrittore”, in Opere. Cronache, saggi, conversazioni, Mila (...)

Gli anni ottanta […] sono stati anni in cui anche le case editrici italiane sono cambiate. Tutte hanno subito lunghe o brevi crisi, finanziarie o d’immagine, ideologiche o gestionali. Ne sono poi uscite portandosi dietro questo mito della professionalità, della commercialità, dell’industrializzazione del processo che porta alla realizzazione di un libro. E gli scrittori sono lasciati abbastanza soli. Senza controparte critica4.

3Le conseguenze di tali mutamenti legati alla globalizzazione sono ben conosciute: esistenza di colossi editoriali, catene di distribuzione di grandi librerie collegate a noti marchi editoriali, massificazione editoriale, tendenza a una omologazione dei gusti, strategie commerciali finalizzate a dinamizzare un’appetibilità per il mercato estero, costituzione di società miste con partner stranieri, creazioni di reti editoriali, ecc.

4Ma uno degli effetti più deleteri della globalizzazione editoriale, quindi letteraria, è senza dubbio l’ipercategorizzazione. Con questo termine intendo indicare l’atteggiamento perverso di voler classificare scrittori e/o opere, con la fretta tipica del nostro periodo, secondo generi, movimenti o etichette varie, minando de facto il mistero e la libertà della letteratura, la quale non può essere ristretta a una semplicistica classificazione o codificazione. L’ipercategorizzazione si inserisce quindi nell’ampio movimento culturale globale della nostra epoca che sembra inabissarsi sempre più nelle descrizioni semplificate del mondo contro le quali si scontra Moresco.

  • 5 Morin, Edgar, “De la complexité: conplexus”, in Les théories de la complexité. Autour de l’oeuvre d (...)

5Inoltre, l’ipercategorizzazione esercita una pericolosa globalizzazione concettuale importando concetti, senza tenere conto del loro percorso storico, non perfettamente adeguabile alla storia di ogni singolo paese, di ogni singola letteratura. Appare quindi palese che l’ipercategorizzazione letteraria si oppone alla complessità che, secondo il sociologo Edgar Morin: “deve farci rinunciare per sempre al mito dell’elucidazione globale e incoraggiarci a proseguire l’avventura della conoscenza che è il dialogo con il singolare e con l’universale” 5.

  • 6 Moresco, Antonio, Tutto d’un fiato, Milano, Mondadori, 2013, p. 11.
  • 7 Sul posto di Moresco nel dibattito sul realismo, rimandiamo tra l’altro a Donnarumma, Raffaele, “Nu (...)
  • 8 “Per lunghi anni ho incontrato solo incomprensione e guerra da parte di ciò che resta della critica (...)

6Forse Antonio Moresco fa parte di quegli scrittori che hanno tentato questo dialogo tra il singolare e l’universale, ma che il mondo editoriale – mosso da una specie di diniego inconscio (o forse conscio?) – ha costretto a vivere dietro a “una cortina dell’invisibilizzazione”6. Per diciassette anni, lo scrittore rimugina sui suoi insuccessi editoriali, sui suoi libri, giudicati sconvenienti, perché non adeguati alle mode editoriali, tendenziosamente orientate verso narrazioni iperrealistiche o, perlomeno, uniformizzate7. Accerchiato dal nulla, Moresco sviluppa una vera e propria ossessione rispetto al mostro editoriale che lo porta a confinarsi nello spazio di una sempre più grande solitudine8. È così che nascono in lui la ribellione e la resistenza dell’uomo-scrittore. Grande pretesa che brandisce contro tutto e tutti. Si tratta di una vera e propria iperdeterminazione che lo incoraggia a inerpicarsi sulla montagna delle aberrazioni editoriali (e umane), argomento ricorrente nella sua opera, di cui viene messo in luce l’aspetto grottesco, immorale, anzi osceno e repellente.

  • 9 Citiamo a sostegno di quanto detto questo brano: “Schiere di scrittori e giornalisti allevati in ba (...)

7Si potrebbero immaginare le mille e una ragione evocate per non pubblicare lo scrittore, per non considerarlo9, ma è innegabile, per chi conosce l’opera, che una delle motivazioni probabili sia stata il suo allontamento dal principio di realtà, da un realismo conformista e di intrattenimento – principio tanto caro all’industria editoriale globalizzata, dato il suo positivo riscontro con il mercato, come confermato dallo stesso scrittore:

  • 10 (LI). Rimandiamo inoltre a Moresco, Antonio, L’invasione, Milano, Rizzoli, 2002, e in particolare a (...)

Ora imperversa solo la nuda e cruda funzione dell’intrattenimento, di una letteratura che ha il solo scopo di far passare a uomini e donne il tempo che li divide dalla loro morte. Oppure della duplicazione giornalistica del mondo. Non ci deve essere più sfondamento, passaggio, nessun dramma, se non quelli manieristici della peggiore letteratura “di genere” (perché ce n’è anche una migliore). Solo un esercito di scrivani che compitano sotto dettatura ciò che esige il cosiddetto “mercato” arrivato alla sua fase implosiva finale in cui può solo comperare se stesso e autofagocitarsi10.

  • 11 Ibid., p. 99.

8Difficilmente catalogabile – parlare di fantastico sarebbe un errore –, è in nome di uno sfondamento della realtà ordinata e ordinaria che l’autore intende (tra)sfigurare il reale. Moresco si scontra quindi contro l’ipercategorizzazione, in quanto essa entra a far parte della “razionalità ordinaria”, espressione con la quale l’autore lamenta il vizio di circoscrivere il letterario attraverso il canale cieco, claustrofico e mortuario, spogliato di qualsiasi relazione con l’universale e il complesso, del realismo. Espressione con la quale critica anche il fatto che buona parte dell’editoria e della critica ha creduto che la ragione dovesse eliminare quanto fosse “irrazionale, irrazionalizzabile, incognito, in disordine”11, allo scopo di ingabbiare il reale all’interno di una struttura narrativa normalizzata:

  • 12 (LI).

Durante tutta la mia vita di uomo nato a metà del Novecento mi sono scontrato con un’immagine totalitaria e semplificata del mondo, dove non riuscivo e non riesco a trovare posto. Mi è successa la stessa cosa anche come scrittore. Negli ultimi decenni gran parte della cosiddetta inteligencija culturale ha fatto il controllo del territorio per conto dei dominatori di turno e delle loro descrizioni semplificate del mondo, sentendosi per di più superiore a ciò che in realtà stava servendo. Quasi tutte le elaborazioni teoriche e le ideologie camuffate da antideologie che si sono susseguite dalla fine del secolo scorso all’inizio di questo ci continuano a ripetere in forme più o meno concettualmente raffinate che niente è più possibile, che non può più esserci scarto, lacerazione, prefigurazione, che ormai ci possono essere solo operazioni combinatorie, piccoli giochi di specchi. Non solo si sono consegnati a questa dimensione cimiteriale ma entrano in sospetto e si mobilitano se arriva qualcosa o qualcuno che con la sua stessa irriducibile e inerme presenza nega tutto questo e torna a rendere visibile e dicibile che – proprio quando tutto è o sembra immobilizzato – quella cosa che è stata chiamata stupidamente e insiemisticamente “letteratura” può spostare drammaticamente i confini del mondo e della sua percezione, può fare cruna, passaggio12.

  • 13 Moresco, Antonio, L’invasione, cit., p. 103. Sembra Moresco riallaciarsi a questa idea shakespearia (...)
  • 14 Sull’importanza della visione per Moresco rimandiamo tra l’altro al testo teorico La visione. Conve (...)
  • 15 La percezione verticale dello scrittore intende scatenare “movimenti moltiplicatori” penetrando “ne (...)
  • 16 Ibid., p. 99.
  • 17 Ibid., p. 56.

9Ora per Moresco il materiale della sua scrittura si situa nella realtà visibile e invisibile che deborda da ogni parte delle nostre strutture mentali, corporali, così come dalla materia, dal “tessuto biologico e mentale dell’universo”13 che lo scrittore intende lacerare, “sfondare”, per riprendere un termine che egli stesso usa spesso, con la sua percezione, o visione14, “verticale”15, nel suo inedito quanto mai appassionante progetto letterario, per allontanarsi “dal flusso unico, immobile, soffocante dell’omologazione, della normalizzazione”16, allontanarsi cioè dall’“orizzontalità” dello sguardo, semplificato e semplificatorio e schematico, con cui si suole considerare la vita e la morte e il mondo e la letteratura, e quindi intraprendere un “allontanamento di proporzioni gigantesche, un esodo di proporzioni incontrollabili, crescenti, da queste piccole strettoie culturali, temporali e mentali e dai loro lacerti alfabetici tenuti continuamente e artificialmente in vita”17, espandendosi verticalmente nella massa visibile (reale) o invisibile (inventata, sognata, fantasticata) della materia potenziata:

  • 18 (LI).

La fisica e astrofisica di questi anni ci dice che la materia che noi percepiamo costituisce solo il tre per cento della materia presente nell’universo. Noi siamo lì dentro, in questa piccola porzione del tre per cento di mondo, in questo ripensamento. Però abbiamo costruito delle ideologie autoconsolatorie che vorrebbero spiegare tutto dentro questo tre per cento. Così stanno facendo anche la quasi totalità degli scrittori di questa epoca (a differenza dei grandi scrittori del Seicento, del Settecento, dell’Ottocento e del primo Novecento). Sono scrittori del tre per cento. In questo senso, anche la cosiddetta “globalizzazione”, che si presenta come configurazione ultima e insuperabile della vita umana e del mondo, è solo una globalizzazione del tre per cento. È un’illusione, ma un’illusione feroce in cui si vorrebbe imprigionare tutto e tutti, con le buone o con le cattive. E allora bisogna essere disposti a camminare da soli, in piena notte, nel buio, anche se non si sa se arriverà da qualche altra parte oppure no18.

  • 19 Moresco, Antonio, Canti del caos, Milano, Mondadori, 2011, p. 939.

10È l’orizzontalità dello sguardo a restringere il campo della visione fin quasi al suo annullamento, cioè alla sua immobilizzazione, in quanto essa rappresenta “tutta la vita compressa in un unico punto. Molle, buio, schiacciato nello stesso frantoio con l’intera massa atomica dell’universo rimpicciolito al punto massimo della sua immobilizzazione, concentrazione, dolore. Una vita spaventosa, immobilizzata, incendiata e creata”19.

  • 20 Ibid., p. 912.
  • 21 È anche a questa lettura che ci invita il passo seguente: “Che paese è questo? Che mondo è questo? (...)
  • 22 Ibid., p. 8.

11Cos’è la vita “incendiata, creata”? È appunto il mondo ristretto, uniforme, immobilizzato e “venduto, oltrepassato”20, che tocca i propri limiti, un mondo (auto)fagocitato e autofago21, dove “l’economia è stata eretta a unica dimensione della vita”, un mondo “che è arrivato ormai al capolinea. L’Italia e il mondo che cercano di guarire usando le stesse medicine che li stanno portando a morte. Cadute tutte le maschere: la religione, la politica, la cultura... Più niente, solo questa nuova tirannia economica planetaria, l’economia che si mangia tutto, l’economia cosiddetta virtuale che si mangia quella reale. Un darwinismo imploso. Una malattia autoimmune arrivata al suo ultimo stadio, in cui le cellule non trovano più niente da divorare”22.

  • 23 Significativo di questa lotta è l’inizio de Gli incendiati: “Il paese dove vivevo era fottuto, tutt (...)

12Come già si avverte, l’elemento determinante che organizza il progetto letterario dell’autore è la verticalità, e cioè questo penetrare, lacerare la materia per allargare la visione che diventa lotta contro la morta orizzontalità23. La rivolta potrebbe esserre il filo conduttore che regge e lega unitariamente i libri di Moresco. In particolare quella contro l’ipercategorizzazione e il mondo editoriale: mi accusate di essere un empio della letteratura, che offende gli dèi della critica e suscita la loro ira, ma gli empi siete voi che rifiutate l’idea che c’è ancora libertà nella scrittura, sembra gridare Moresco in certi suoi libri quali Lo sbrego, L’invasione, Lettere a nessuno.

  • 24 La parola “torsione” è ricorrente nell’opera moreschiana. Sembra indicare lo spostamento doloroso e (...)
  • 25 A questo proposito, sottolinea lo scrittore: “Non si può pensare più nulla dentro queste ferree log (...)
  • 26 Consideriamo a mo’ d’esempio questi brani: “Il tempo cambiava, la luce cambiava. Ma io non vedevo n (...)
  • 27 “da dove sento certe volte venire dei rumori e degli odori, quando ritorno di colpo dentro me stess (...)
  • 28 A rendere questa impressione è anche la ricorrenza di talune espressioni quali “da un’altra parte” (...)

13Tutta l’opera è quindi un’enorme “(ri)torsione”24 contro l’uniformizzazione editoriale che porta lo scrittore a prese di posizione eterodosse. Mentre il realismo in letteratura – conseguenza di una certa orizzontalità generalizzata che si inserisce nel movimento culturale delle descrizioni semplificate – è considerato sempre più come uno dei dogmi essenziali per fare letteratura, Moresco si sforza, lungo il suo progetto, di dimostrare che queste credenze sono assurde, restrittive e finanche ingiuriose per lo spirito libero e creatore dell’uomo. L’orizzontalità è uno sguardo infinitamente piccolo che implica delle distinzioni nettamente binarie25: bene/male, bello/brutto, vita/morte ecc. Ora, tramite la tecnica dello sguardo verticale, si potrebbe approdare a un altro stato, a un altro spazio, che si potrebbe definire intermediario, una specie di zona di passaggio – l’autore parla appunto di “cruna” – che traccia una linea che va dall’orizzontalità assoluta all’astrazione totale. Considerare uno stato/spazio intermediario nell’opera di Moresco significa quindi capire l’abolizione, o comunque la confusione o l’offuscamento di ogni dicotomia per invadere, tramite e nel letterario, la massa dell’infinitamente grande. È tra l’altro così che si potrebbe anche capire il posizionamento dei personaggi, narratore compreso, collocati tra vita e morte, tra sogno e realtà, tra veglia e sonno26, tra mondo dell’infanzia e mondo adulto27, tra creato e increato28.

  • 29 Ci possiamo chiedere se non ci sia nell’io onnipotente e onnipresente del narratore di certi romanz (...)
  • 30 “Ci vado vicino, infinitamente vicino, ci vado dentro, anche a costo di bruciarmi, per poter passar (...)
  • 31 Altra parola ricorrente nell’opera che contiene in sé, ma nello stesso tempo la fa scomparire, l’id (...)
  • 32 Ricorrente nei libri la presenza di corpi umani che si attraggono in un vortice nucleare che esplod (...)

14Questo stato o passaggio intermediario può essere considerato come una sorta di mediareale – appunto a metà strada tra reale e irreale29 – e cioè un campo disponibile della materia del reale e dell’irreale i cui elementi sono costantemente in movimento, instabili. Elementi che spezzano la linearità narrativa e spazio-temporale, per meglio sottolineare e descrivere le forze in conflitto nei diversi movimenti visibili e invisibli della massa delle materie del mondo creato e increato, terrestre e cosmico, andandoci vicino vicino30. Ed è proprio questa instabilità, questo avvicinamento alle materie caotiche, che lo scrittore vuole “sfondare” per giungere, in totale libertà, da un’altra parte, in un “punto”31 infinito e mobile dell’invenzione, dell’increazione, tramite un sistema definibile come “nucleare” (nel senso etimologico del termine: che costituisce un nucleo). In effetti, il nucleare è un fenomeno naturale prodotto dall’instabilità di elementi. Questa instabilità degli elementi (che si può traslare in campo narrativo), sottende un difetto di legame, di connessione, quasi di comunicazione da parte delle particelle che compongono gli elementi. Esse finiscono con lo scollegarsi o trasformarsi liberando una forte energia che, grazie alla loro traiettoria e alla loro massa, interagisce con la materia. Risultato: l’esplosione32. Ciò accade per esempio nei Canti del caos in cui si assiste a una crescita abnorme della materia, oppure nella fusione amorosa totale tra i due personaggi de Gli incendiati, romanzo sulla libertà e sul desiderio che potrebbe anche rimandare al mito platonico dell’androgino, o ancora ne La lucina nell’incontro tra i due personaggi-anime che vivono ambedue in uno specifico isolamento. In questi ultimi due casi è l’incontro a far nascere un nucleo, liberando un’energia esplosiva che invade i romanzi e incanta il lettore trasportato in questo viaggio-vortice-passaggio verso l’incognito dell’increato.

  • 33 Numerosi sono gli esempi nel viaggio nella notte “profonda e senza fine” (p. 153) de Gli incendiati(...)

15Del resto non è anodino che la meccanica del passaggio sia trasposta in metafore visive, evidenti soprattutto nei giochi di luce e di buio, rappresentativo della complessità, come a segnare questa via di mezzo tra il conscio e l’inconscio, la veglia e il sonno, il reale e l’irreale33.

  • 34 Così in Canti del caos, la cui trama portante è Dio che vende la Terra come a sottolineare che l’ec (...)
  • 35 Moresco, Antonio, Canti del caos, cit., p. 872.

16La rivolta, principio generatore dei libri, tende in modo del tutto naturale a sconnettere gli elementi del reale impellente, rigido, per dare i pieni poteri alla fantasia. Lo scrittore oltrepassa ogni censura, ogni profanazione, per mettere in scena figure senza nomi rappresentative del potente combattimento che si svolge nel mondo34. Da qui questa trasgressione spaziale e temporale che spezza la linearità narrativa (il tempo non è più lineare ma è un tempo del “nonpiù” del “nonancora” o del “primadopo”) ed evita allo scrittore di cadere nella trappola di centrare il suo progetto sull’uomo, la sua ontologia, il suo ruolo nei campi del pensiero, focalizzandosi invece sulle condizioni della sua possibilità materiale aldilà dell’illusione delle situazioni della vita e della morte, aldilà del “muro di spazio e tempo immobilizzato”35. La letteratura rispecchia la banalità orizzontale delle azioni quotidiane, del male nel mondo e tutte le funzioni illusorie si piegano a questa invasione totale della scena, della letteratura, al fine di farne risaltare la funzione principale – la più illusoria e inafferabile – ovvero l’io.

  • 36 Gilda Policastro scrive per esempio: “con Moresco si ritorna a un tipo di autorialità ‘impostata’ e (...)
  • 37 “Una parte di me è stata costretta a vivere in questa epoca spaventosa, creata. Un’altra parte vole (...)
  • 38 “Ma perché uno scrittore non dovrebbe prendersi sul serio, credere in quello che fa”, chiede giusta (...)

17Troppo spesso presa per arroganza36, la presenza di questo io, che ha sicuramente a che vedere con un’angoscia o sofferenza biografica37, non è catalogabile come semplice iperpresenza privata da responsabilità nel progetto letterario dello scrittore. È inoppugnabile che l’io moreschiano sia un io megalomane e affetto da megalopatia. Ma nel frattempo è un io responsabile e convinto38 e in quanto tale soffre e costruisce, alla stregua dei grandi artisti, da Omero a Dante, che sono dei grandi sofferenti ma anche degli eccezionali resistenti. Degli strabilianti iperdeterminati. E la sofferenza e la costruzione scritturale di Moresco ci trascinano nel cuore della letteratura, mentre i suoi libri sembrano elaborarsi sotto i nostri occhi dove mille letture vengono a riflettersi, posseduto com’è dalla splendida e inguaribile malattia del discorso.

  • 39 Sarebbe sbagliato confonderlo con un io “orizzontale”, “superficiale”, “immobile”, che non smette d (...)
  • 40 Peculiarità sottolineata dallo scrittore stesso per esempio nella sua “nota dell’autore”, della rac (...)
  • 41 Per esempio questi due incipit: “Allora ero completamente infelice. Nella vita avevo sbagliato tutt (...)
  • 42 Essenzialmente nella prima parte de Gli esordi: “Io invece mi trovavo a mio agio in quel silenzio [ (...)
  • 43 Come abbiamo già specificato, spesso i protagonisti si trovano tra due superfici del mondo, tra il (...)
  • 44 “Io sono lo scrittore increato, l’inconcepito. Sto morendo all’incontrario, all’indietro, senza ess (...)

18Una delle possibilità date per andare aldilà della percezione orizzontale, che è per giunta anche uno degli aspetti della sua rivolta, è appunto la permanenza nei libri di questo io ipertofrico o letterario, che si rifà all’antica tradizione39, diventando addirittura l’iperdeterminazione tematica (o l’ipogramma secondo il linguista Riffatterre) delle sue opere. La peculiarità di Moresco è che il suo io si sposta, scivola all’interno dei suoi scritti in una situazione di voluta o ricercata clandestinità solitaria combattiva40, “in piena notte, nel buio” come abbiamo già avuto modo di leggere. Il lettore non si deve stupire quindi della presenza di un io narrativo avvolto nella solitudine e che vuole scomparire41, né tanto meno del fatto che spesso non entri in comunicazione con nessuno42, escluso o autoescluso da un mondo che gli fa orrore e di cui si sente straniero – straniero nella società ma anche a se stesso –, e preferisce, come il protagonista dei Quaderni del sottosuolo di Dostoevskij, la sofferenza della solitudine alla presenza degli altri, e sprofondare in se stesso per scomparire. Né il lettore si deve stupire di questo io bifronte tra io-vate e io-veggente, che è un brillio, un luccichio, uno sfolgorio, che infonde luce ovunque per superare il solitario e buio paesaggio notturno della menzogna e delle illusioni del nostro mondo notturno, orizzontale, e come diceva Hegel di “pensare il Tutto” cogliendo, appunto, l’infinitamente grande, l’illimitato, invertendo43 così il senso dell’immagine semplificata del mondo creato, valicandone i limitati limiti44.

  • 45 Si raggruppano sotto questo titolo Gli esordi, Canti del caos, e Gli increati, volume ancora inedit (...)
  • 46 La magia dei testi viene anche da questa peculiarità. Lo scrittore riesce ad avere una visualizzazi (...)
  • 47 “Io sarò il messaggero dalle labbra dipinte che affonda il grugno in questa materia emorragica con (...)
  • 48 Come ci invita a pensare questi passi: “Io invece sono soltanto Dio”; “Dove sto andando starò quand (...)

19Tutti questi elementi si ritrovano nel principio de Gli increati45, sorta di trilogia platonica all’incontrario. Se il progetto del Maestro greco era di descrivere le origini dell’universo, dell’uomo e della società, descrivendo l’apparizione e l’evoluzione della realtà a partire dal caos primordiale fino all’epoca di allora, nella sua trilogia, anche Moresco vuole giungere alle origini, osservando il microcosmo e il macrocosmo46, ma partendo dalla nostra epoca per andare aldilà delle origini, in un’altra parte delle origini, cioè nell’increato, nell’inconcepito. Un tale progetto non poteva avere come guida che un narratore onnipotente e solo, tramite il quale, come se fosse egli stesso un messaggero47, nascono tutta una serie di interrogativi. Possiamo vedere nell’ermetismo del narratore, a cui abbiamo già accennato, il tema classico dell’apologetica cristiana della miseria dell’uomo senza Dio, della solitudine dell’uomo di fronte al suo destino, in un mondo dove ci si sente soli quando si è soli, ma dove si è soli anche in mezzo al mondo. Ma questa assenza probabile di Dio non viene sostituita appunto dall’io increato e increatore48?. Aggettivi che ci consentono di accomunare questo io all’idea di aseità molto diffusa nella teologia cristiana e gnostica del II secolo, secondo la quale Dio (come l’io moreschiano) sfugge a qualsiasi origine.

  • 49 Il libro Canti del caos si apre con una prefazione le cui prime righe interpellano il lettore: “Let (...)
  • 50 Numerosi e lunghi sono gli esempi come appaiono in diversi libri, tra cui La lucina.

20Una delle maggiori qualità de Gli increati è di essere un’opera vivente. L’io ha una presenza imponente. Si può dire che non abbandona mai la scena. Interroga l’interlocutore fittizio, lo sfida, gli capita addirittura di fargli un cenno di connivenza49, tra l’altro tramite le numerose domande angosciate, seguendo una forma letteraria, rinnovata dagli antichi, le Quaestiones. Interrogativi che sembrano giungere ad una unica domanda più ampia: la vita è una strana cosa, una strana avventura che ci è capitata di cui non capiamo il senso50.

  • 51 Potrebbe questa idea giustificare l’uso frequente del verbo di impressione parere (“mi è parso di a (...)

21Nessuna risposta da parte di Moresco – non è lo scopo delle opere – perché egli non vuole dire il vero né il reale. Come lo scrittore sembra lasciar intendere, c’è una impotenza della ragione umana nello scoprire il vero; e anche in questo lo scrittore prende le distanze dai personaggi dogmatici che pullulano nel mondo editoriale e che bisogna combattere con lo scetticismo e anche con l’ironia, attaccando il loro orgoglio. In questo suo fare, utilizza gli argomenti classici dei pirroniani antichi: siamo incapaci di spiegare i fatti più banali; i nostri sensi ci ingannano51; non sappiamo se vegliamo o dormiamo; i filosofi – nella fattispecie i critici – non si accordano su niente.

  • 52 Riprendo l’espressione a Piersandro Pallavini che alla sua domanda se “le cose estreme, terribilmen (...)
  • 53 L’idea di infinito è forse l’unica dimensione spaziale e temporale dei testi , la quale sembra vole (...)

22Si deve pertanto intravedere in questo atteggiamento di rimanere muto di fronte al mistero delle verità una confessione di ignoranza che sfocerebbe nel pessimismo? Sì, ma un pessimismo forse diverso da altri scrittori (di gialli per esempio) in quanto non “scivola sulla superficie della realtà”52, e al quale Moresco dà più forza mischiandoci la sua percezione verticale che finisce con lo sperdersi nella linea impercettibile dell’infinito53.

  • 54 L’apocalisse rimanda all’idea della consumazione e combustione del mondo. Potrebbe rinviare a quest (...)
  • 55 Cfr. lo studio probante di Marano, Giampiero, Virgilio e la nuova epica di Moresco (http://puntocri (...)
  • 56 Ci sembra infatti interessante avvicinare il libro Traumnovelle (stranamente tradotto in italiano c (...)
  • 57 Moresco, Antonio, Lo sbrego, cit., p. 45. La biblioteca degli scrittori che contano per Moresco è t (...)

23Altrettanti elementi che, accumulati, evocano un viaggio, forse iniziatico, complesso, dove conta anche la parte di rivolta, di erotismo, di crudeltà, di violenza, di bellezza, di amore, e di libertà, senza che sia possibile identificarne l’esatta importanza. Viaggio senza dubbio complicato da una rete fitta di influenze eventuali – si pensa tra l’altro all’Ecclesiasta, all’Apocalisse54, a Platone, allo gnosticimo cristiano, ma anche a Virgilio55, Dante, al romanticismo nero tedesco, a Arthur Schnitzler56, a diversi esoterismi, nonché alla schiera di scrittori che “si sono concentrati sullo spellamento della massa corporale e mentale che soffre e cerca”57 – senza che si possa per questo notare una citazione precisa.

  • 58 Si pensa anche alla Signora cieca del racconto “La camera blu”, inserito in Il combattimento.
  • 59 L’increazione, nozione greca che rende l’idea dell’eternità del mondo, del suo carattere ciclico è (...)

24Complessivamente, tutte queste referenze, come forse l’opera moreschiana, hanno in comune di rimandare alla questione di Dio e della creazione, così come al problema del male che lo scrittore ha deciso di “cantare” in un insieme di libri alla stregua di un Lautréamont dei Canti di Maldoror. L’io dei libri de Gli increati sarebbe dunque come Maldoror, un nemico del Creatore? Difficile da dire, anche se l’assenza di un Dio del bene si cela dietro una specie di commiserazione per qualche essere debole come la schiava circassa de Gli incendiati o il bambino de La lucina, che altro non sembra essere se non la proiezione “morta” dell’io protagonista58. Difficile da dire, perché i testi sembrano tendere verso un annullamento della distinzione tra creatura e creatore appunto perché i personaggi sono increati, e in quanto tali sembrano più anime che personaggi. Le anime dei personaggi non evolvono in uno spazio o tempo, come se non avessero la cognizione di Dio, ma rimangono sospese in uno stato/spazio intermediario d’immortalità, nel limbo. Da intendere, quest’ultimo termine, come l’argomento nietzschiano della vita che si afferma, immemore, instintiva e incontrollabile, nell’eterno ritorno59 - a patto di considerare seriamente la confusione delle diverse opposizioni, tra cui innanzitutto quella tra sogno e realtà, reale e irreale. Così facendo, lo scrittore, come abbiamo già accennato, rimette in causa, cancella quasi, i limiti tra bene e male, vita e morte, sogno e realtà. Di conseguenza, i testi rimangono aperti sull’infinito, su una trascendenza, sulla verticalità della vita e della morte, una vita morta e/o una morte viva, come illustra per esempio il finale dei romanzi Gli incendiati e La lucina.

  • 60 È propabile che questo accumulo faccia parte di una più ampia sinchisi, la quale partecipa all’intr (...)
  • 61 Ritroviamo la tematica della torsione che viene sottolineata da una forzatura linguistica. Molti so (...)
  • 62 Moresco, Antonio, Canti del caos, cit., p. 926.

25Da notare che le storie di questi due romanzi si svolgono in luoghi chiusi e labirintici – come se Moresco volesse cimentarsi nella rappresentazione degli Inferi. Peculiarità che si ritrova in quasi tutti i suoi romanzi. Anche se il campo delle azioni delle storie copre il mondo intero, prendendo una valenza universale, Moresco si accontenta spesso della cornice di una città, di un borgo solitario, di uno spazio deserto, di una casa diroccata, che possono assumere, in una certa misura, delle proporzioni oniriche o cosmiche – tramite la funzione narrativa del sogno? –, allo stesso modo di un Tasso o di un Ariosto. La potenza del progetto letterario di Moresco si situa in questa ampiezza che offre, a chi lo vuole intendere, un tenore metafisico, allegorico, gnostico che lo accomuna all’epopea che lo scrittore sembra rinnovare con i suoi effetti narrativi. Mediante questi effetti – che l’autore spinge fino agli estremi –, il lettore si trova imbrigliato in una serie di ripetizioni e rinvii contestuali, un motivo fatto di immagini che non si completano necessariamente ma si concatenano come figure in una tappezzeria. Il principio stilistico dell’amplificazione – legato alla repetizione di parole o frasi, all’ipotassi, all’accumularsi di iperbati e anastrofi e anafore60, che certi riconosceranno come una qualità e altri una debolezza – intrica, attorciglia gli elementi del racconto e i racconti stessi61, in un vortice (nucleare si potrebbe ribadire) per raggiungere questo “punto” estremo senza spazio né tempo, indistinto, poiché “solo nel punto massimo dell’indistinzione avviene la separazione e l’increazione”62.

26Ciò non toglie che la sua fraseologia sia piena di movimenti e di brio. Gli sviluppi e gli svolgimenti si succedono, si concatenano, in un’onda potente e inarrestabile, nel corpo della letterarura, del romanzo, con il suo labirinto di arterie e di vene intricate, dentro il quale Moresco permette al lettore di entrare. Quest’ultimo non può che lasciarsi andare al flusso, senza inizio né fine, di questo geniale delirio funzionale e formale seguendo nel suo viaggio aldilà dei limiti il furore attento di quell’io che osserva, esplora, soffre e esplode.

  • 63 Ibid., p. 1061.

27Leggere Moresco richiede metodo. I testi lo indicano tramite la cura eccessiva con cui lo scrittore manifesta e ribadisce il suo obiettivo: sfondare, lacerare il corpo del letterario. Non per distruggerlo, desacralizzarlo, ma per disorganizzarlo, strapparlo cioè alla percezione e all’organizzazione semplificata e illusoria, uniformizzata e orizzontale, globalizzata e superficiale. Questo progetto non annuncia certo il nulla. Rappresenta sì il diventare, il consumarsi del mondo, ma segue altresì una strada che vuole andare in un “punto” che non è più il consumare né il diventare, che sfugge ad ogni origine, facendo contemporaneamente suo il grido del consummatum est. E come tutte le Apocalissi, il progetto aseitico di Moresco promette una rivelazione, annuncia un’apocatastasi letteraria. I libri di Moresco sono questo viaggio di (r)esistenza, sospeso tra sogno e realtà, tra reale e irreale, e cioè una costruzione che fa da ponte tra il nostro (fini)mondo globale e creato e immobilizzato e incendiato, e un mondo infinito, increato, in movimento, di e verso una libertà assoluta, il cui architetto è questo io pontefice e pontificante, ovvero “lo scrittore increatore che si è sottratto al falso movimento della creazione creata. […] Lo scrittore increatore che ha saputo andare verso l’‘annuncio’ che è ‘l’annuncio’”63.

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Note

1 A giusto titolo, il premio Nobel di economia, Maurice Allais, preferiva parlare dei mercati.

2 Basti solo pensare a Platone, Cipriano (Liber ad Demetrianum), Arnobio (Adversus nationes) ecc.

3 L’urbanista e filosofo Paul Virilio ha dato a questa peculiarità il nome di dromodologia. Cfr. tra l’altro, Virilio, Paul, Vitesse et Politique: essai de dromologie, Paris, éd. Galilée, 1977.

4 Tondelli, Pier Vittorio, “Il mestiere di scrittore”, in Opere. Cronache, saggi, conversazioni, Milano, Bompiani, 2001, p. 988.

5 Morin, Edgar, “De la complexité: conplexus”, in Les théories de la complexité. Autour de l’oeuvre d’Henri Atlan, colloque de Cerisy, Paris, Seuil, 1991, p. 294.

6 Moresco, Antonio, Tutto d’un fiato, Milano, Mondadori, 2013, p. 11.

7 Sul posto di Moresco nel dibattito sul realismo, rimandiamo tra l’altro a Donnarumma, Raffaele, “Nuovi realismi e persistenze postmoderne: narratori italiani di oggi”, in Allegoria, n. 57, 2008, così come al contributo di Marchesina, Manuela, “Visione e ritorno al reale nell’opera di Moresco”, in Id. Negli archivi e per le strade: il ‘ritorno al reale’ nella narrativa italiana di inizio millennio, Roma, Aracne edizioni, 2013, pp. 131-153.

8 “Per lunghi anni ho incontrato solo incomprensione e guerra da parte di ciò che resta della critica del mio Paese, e così ho dovuto formarmi e crescere sotto terra, al buio, senza riscontri, senza consolazioni” (estratto della lettera-intervista rilasciatami da Antonio Moresco il 2 maggio 2013. D’ora in poi i passi scelti da questa intervista verranno indicati con la sigla LI).

9 Citiamo a sostegno di quanto detto questo brano: “Schiere di scrittori e giornalisti allevati in batterie dalle case editrici, dai media, che non tollerano termini di confronto che possano mostrare la loro reale statura” (Moresco, Antonio, Tutto d’un fiato, cit., p. 14).

10 (LI). Rimandiamo inoltre a Moresco, Antonio, L’invasione, Milano, Rizzoli, 2002, e in particolare al capitolo “Il romanzo”.

11 Ibid., p. 99.

12 (LI).

13 Moresco, Antonio, L’invasione, cit., p. 103. Sembra Moresco riallaciarsi a questa idea shakespeariana: “Ci sono più cose in ciel e in terra, Orazio, che sogni la vostra filosofia” (Amleto, 5, 1).

14 Sull’importanza della visione per Moresco rimandiamo tra l’altro al testo teorico La visione. Conversazione con Carla Benedetti, Milano, Libri Scheiwiller, 2009, nonché al dialogo con Carla Benedetti intitolato “La visione”, in Moresco, Antonio, L’invasione, cit., pp. 47-51.

15 La percezione verticale dello scrittore intende scatenare “movimenti moltiplicatori” penetrando “nella cruna, nella fessura, nel plasma, e far passare da là dentro lo sfracello dello sfondamento di piani e di masse corporali e mentali e tutta la libertà e la solitudine della vita percepita fin nei suoi movimenti sognati” (Moresco, Antonio, Lo sbrego, Milano, BUR, 2005, p. 54).

16 Ibid., p. 99.

17 Ibid., p. 56.

18 (LI).

19 Moresco, Antonio, Canti del caos, Milano, Mondadori, 2011, p. 939.

20 Ibid., p. 912.

21 È anche a questa lettura che ci invita il passo seguente: “Che paese è questo? Che mondo è questo? Il nudo potere economico e finanziario che si mangia tutto e che si mangia la vita e che si mangia la morte e che si mangia il mondo. Il gioco è sempre stato chiuso, infernale, ma adesso è arrivato davvero il suo limite. È come un cadavere in cui le cellule non controllano più gli enzimi, e si autodigeriscono, che si sta autoinghiottendo” (Moresco, Antonio, Tutto d’un fiato, cit., p. 13).

22 Ibid., p. 8.

23 Significativo di questa lotta è l’inizio de Gli incendiati: “Il paese dove vivevo era fottuto, tutto il mondo era fottuto. C’erano solo delle strutture che lottavano le une contre le altre per succhiare ciò che restava del midollo del mondo. Tutta la vita era sotto la cappa della morte. Uomini e donne perpetuavano la menzogna dell’amore. Andavano in giro inalberando i vessilli dei loro volti morti” (Moresco, Antonio, Gli incendiati, cit., p. 7.).

24 La parola “torsione” è ricorrente nell’opera moreschiana. Sembra indicare lo spostamento doloroso e potente del mondo sul proprio asse: “Tutte le cartilagini economico-finanziarie si stanno liquefacendo, la sua attività nervosa riflessa, i suoi organi interni si stanno trasformando nel liquido seminale di questa torsione epocale in corsa verso la catastrofe dell’increato. Accelerazione del respiro, del polso, sudorazione, congestione. Stiamo sbaragliando i confini tra new, net e old economy, tutte le tecnologie internet e wireless in fibrillazione, fondi di venture capital, nuovo dotcom, comunicazioni digitali audio-video, telecamere, fotocamere, telefoni gprs e poi umts, funzionalità mms, personal digital assistant, lettori e masterizzatori dvd, governi umani, centri di ricerca, multinazionali, banche, società fnanziarie, aziende high-tech, start-up, riserve monetarie e auree degli stati, e-business, e-commerce, e-finance, e-learning, m-economy, m-business, cicli elettronici, messaggi crittografati. Si sta scatenando una lotta all’ultimo sangue per decodificarli, per carpirne le chiavi d’accesso. Sviluppo vertiginoso delle invenzioni di nuovi software di software per decodificare le informazioni crittate. Ethernet, extranet, fibre ottiche, geek, chiavi d’accesso a sistemi d’accesso” (Moresco, Antonio, Canti del caos, cit., pp. 826-827). La stessa idea è resa dal darwinismo vegetale della lotta alla sopravvivenza del sottobosco – trasposizione del nostro darwinismo sociale e societale – nel romanzo La lucina: “‘Perché c’è questo sottobosco cattivo?’ mi domando. ‘Che cerca di avviluppare e di cancellare e di soffocare gli alberi più grandi? Perché tutta questa misera e disperata ferocia che sfigura ogni cosa? Perché questo brulicare di corpi che cercano di prosciugare gli altri corpi suggendoli con le loro mille e mille scatenate radici e le loro piccole, forsennate ventose, per dirottarne su di sé la potenza chimica, per creare nuovi fronti vegetali, in grado di annientare il tutto, di massacrare tutto? Dove posso andare per non vedere più questo scempio, questa irreparabile e cieca torsione che hanno chiamato vita?’” (Moresco, Antonio, La lucina, Milano, Mondadori, 2013, p. 20).

25 A questo proposito, sottolinea lo scrittore: “Non si può pensare più nulla dentro queste ferree logiche binarie selezionate. Tutto l’articolarsi del pensiero umano mi sembra a volte essere stato soltanto un’enorme preparazione al formarsi di strutture, traiettorie, sinapsi, adatte unicamnte all’approdo della dimensione speculare, orizzontale e binaria della tecnocrazia e al suo automatismo” (Moresco, Antonio, Lo sbrego, cit, p. 102).

26 Consideriamo a mo’ d’esempio questi brani: “Il tempo cambiava, la luce cambiava. Ma io non vedevo niente. Mi muovevo come un sonnambulo in una foresta di corpi morti” (Moresco, Antonio, Gli incendiati, cit., p. 7); “Una notte, mentre andavo con una macchina, al buio, a fare il mio lavoro, il mio sporco mavoro, dopo tanto tempo passato così, come tra la veglia e il sonno, assente, mi sono ricordato improvvisamente chi ero” (Ibid., p. 46).

27 “da dove sento certe volte venire dei rumori e degli odori, quando ritorno di colpo dentro me stesso, tra la veglia e il sonno...” (ibid., cit., p. 63); “non mi pareva vero di potermi spostare così, con quella meravigliosa donna ragazza” (ibid., p. 72); “E ci spostavamo così [...] in mezzo a tutti quei corpi [...] e ragazze bambine che si guardavano” (ibid, p. 73) “e io scendevo dentro lo scrigno aperto per me nel suo giovane corpo andadole dentro dall’alto con il mio corpo sproporzionato di vecchio uomo ragazzo” (ibid., p. 135); “‘Venga! Venga!’ continuava a dirmi l’uomo, il ragazzo, difficile dargli un’età precisa” (Moresco, Antonio, La lucina, cit., p. 51).

28 A rendere questa impressione è anche la ricorrenza di talune espressioni quali “da un’altra parte” o “fuori dal mondo”: “Ci staccavamo e ci attaccavamo di nuovo, da un’altra parte dei nostri corpi e del mondo” (Moresco, Antonio, Gli incendiati, cit., p. 33). “Non saprei dire quanto tempo ho passato così, in quella piccola stanza sconosciuta e fuori dal mondo” (ibid., p. 62); “quella esorbitante cena iniziava in piena notte, in quel bagliore di luci, in quel punto del mondo che era fuori dal mondo” (ibid., p. 82); “Esiste davvero questo posto fuori dal mondo che i miei occhi stanno vedendo?” (Moresco, Antonio, La lucina, cit., p. 12).

29 Ci possiamo chiedere se non ci sia nell’io onnipotente e onnipresente del narratore di certi romanzi, la caratteristica fondamentale dell’Io secondo Ernst Mach, suscettibile di passare dal reale all’irreale, dal sogno alla realtà, dal conscio all’inconscio.

30 “Ci vado vicino, infinitamente vicino, ci vado dentro, anche a costo di bruciarmi, per poter passare dall’altra parte. L’atteggiamento dello scrittore non deve essere né quello della presa di distanza moralistica dall’aggressore né quello dell’identificazione con l’aggressore. Come gli scrittori dell’Ottocento salivano sulle baleniere o finivano in Siberia o scendevano nelle miniere così io sono sceso nelle miniere dei corpi di questa epoca. Se devo rendere dicibile un mondo profanato non devo avere paura della profanazione, non devo limitarmi a giudicarla e a condannarla moralisticamente credendomi separato da essa e superiore per riceverne status da una società in cui non mi riconosco. Ma non devo neppure identificarmi con la profanazione facendomene annichilire e diventando un cantore del ‘male’, come altri lo sono diventati del ‘bene’. Tutti e due –sia quello di diventare un cantore del bene che quello di diventare un cantore del male – mi sembrano atteggiamenti edificanti, che vanno per la maggiore tra gli scrittori di questa epoca” (LI).

31 Altra parola ricorrente nell’opera che contiene in sé, ma nello stesso tempo la fa scomparire, l’idea di tempo e di spazio, elementi da cui si vuole allontanare lo scrittore perché fanno parte dell’orizzontalità. Per esempio: “come se qualcosa stesse gridando o piangendo da qualche punto inifinitamente profondo, lontano” (Moresco, Antonio, “Il re”, in Id., Il combattimento, Milano, Mondadori, 2012, p. 275); “tutti quei corpi riuniti e di quelle vite che bruciavano lì, in un unico punto del mondo, in piena notte” (Moresco, Antonio, Gli incendiati, cit., p. 85).

32 Ricorrente nei libri la presenza di corpi umani che si attraggono in un vortice nucleare che esplode, corpi che vengono descritti come una massa agglutinata, fredda e immobilizzata, imprigionata in uno spazio immobilizzato e esploso, corpi profanati che sono “spugne incendiate […] in devastazione, in rigenerazione, protuberanze esplosive, brillamenti, strati di gas liberato che assorbono radiazioni” (Moresco, Antonio, Canti del caos, cit., p. 663).

33 Numerosi sono gli esempi nel viaggio nella notte “profonda e senza fine” (p. 153) de Gli incendiati: “Il treno da cui era scesa stava ripartendo [...], correva già nelle gallerie nere con il suo carico di corpi e di vite illuminati per un istante nel buio” (p. 39); “E tutto era buio e nero sopra di noi, contro di noi, anche se il cielo era pieno di stelle [...]. Guidavo lentamente [...] seguendo la direzione che mi indicava la sua mano bianca nel buio” (p. 153); “Si apriva sempre più ai lati un anfiteatro di alte montagne dalle cui cime veniva il bagliore bianco della neve nel buio” (p.157); “c’era una colonia di luci che scintillavano al buio” (p. 157); “Tutta la valle sotto di noi scintillava di luci che si stagliavano contro il nero del cielo” (p. 169); “Abbiamo ripreso a correre verso un altro paese più grande che scintillava nella notte” (p. 172).

34 Così in Canti del caos, la cui trama portante è Dio che vende la Terra come a sottolineare che l’economia sia diventata teologia, irrompono alcune dimensioni che caratterizzano la nostra epoca e il suo immaginario: la pornografia, l’economia, la pubblicità, l’inseminazione artificiale. Altra perversione ricorrente è la schiavitù delle menti e dei corpi che dominano il mondo, argomento del romanzo d’amore e di guerra Gli incendiati nel quale i protagonisti non riescono a stare in un mondo simile e lo sfondano e lo fanno esplodere. Rimandiamo in particolare al lungo dialogo tra il narratore e il cacciatore di schiavi di cui riportiamo un brevissimo passo: “Ma tutto il mondo, tutta la vita, sta in piedi perché c’è la schiavitù […]. Gli uomini hanno paura del caos e l’unica cosa che li salva dal caos sono la schiavitù e le catene di schiavitù, perché non sono liberi, perché non possono esserlo, perché hanno paura di vivere, più ancora che di essere schiavi del caos” (Moresco, Antonio, Gli incendiati, cit., p. 89).

35 Moresco, Antonio, Canti del caos, cit., p. 872.

36 Gilda Policastro scrive per esempio: “con Moresco si ritorna a un tipo di autorialità ‘impostata’ e nient’affatto ironica [...]. Impressiona soprattutto l’affermazione di un ego ed eccesso di consapevolezza di sé. […] La linea seguita da Moresco continua a essere quella del risentimento personale […]. La rivendicazione legittima di uno spazio ‘puro’ […] si confonde però con il risentimento per la propria mancata preminenza nel campo culturale, così che pare sin troppo esplicito il movente narcisistico della richiesta di un riconoscimento adeguato” (Policastro, Gilda, Polemiche letterarie, Roma, Carocci, 2012, pp. 112-113).

37 “Una parte di me è stata costretta a vivere in questa epoca spaventosa, creata. Un’altra parte voleva crepare. È così che sono stato dentro la vita e anche dentro quella cosa che è stata chiamata letteratura: per farla vivere e per farla crepare. Per farla crepare e farla vivere. È questa lacerazione che ho portato, ho riportato e incarnato anche dentro la letteratura” (Moresco, Antonio, Canti del caos, cit., p. 937).

38 “Ma perché uno scrittore non dovrebbe prendersi sul serio, credere in quello che fa”, chiede giustamente il protagonista (autore?) nel libro Tutto d’un fiato, cit., p. 16.

39 Sarebbe sbagliato confonderlo con un io “orizzontale”, “superficiale”, “immobile”, che non smette di dirsi nelle sue sconfitte, tipico forse dei romanzi della narrativa (iper)realistica: romanzo poliziesco, scritture femminili o giornalistiche, autoficion… Cito a sostegno questo passo: “Esiste un Novecento che non è stato ancora veramente incontrato, fuori dalla tenaglia della letteratura psicologico-psicanalitica, descrittivo-sociale e quella della dimensione puramente autoreferenziale che si sono mangiate tutto. Sono passati soprattutto gli stilizzatori, i divulgatori, della vita sociale, psicologica, culturale, quelli che definiscono artificialmente gli spazi piuttosto di quelli che, ricreandoli, li allargano, li riallargano” (Moresco, Antonio, “L’intimità”, in Id., L’invasione, cit., p. 81).

40 Peculiarità sottolineata dallo scrittore stesso per esempio nella sua “nota dell’autore”, della raccolta di racconti Il combattimento: “Tutte queste narrazioni si svolgono nella dimensione assoluta della clandestinità e in esse il protagonista deve sostenere un combattimento e una prova” (Moresco, Antonio, Il combattimento, cit., p. 8).

41 Per esempio questi due incipit: “Allora ero completamente infelice. Nella vita avevo sbagliato tutto, fallito tutto. Ero solo […]. Mi ero separato da tutto e da tutti. Avevo troncato ogni legame. Mi ero gettato il mondo alle spalle. Se ero solo, meglio essere solo da solo” (Moresco, Antonio, Gli incendiati, cit., p. 8). “Sono venuto qui per sparire, in questo borgo abbandonato e deserto di cui sono l’unico abitante” (Moresco, Antonio, La lucina, cit., p. 9). O ancora: “Io non sono mai stato così solo come adesso, come uomo e come scrittore, io non riesco a vivere in mezzo a questo mondo che mi fa orrore, io non riesco più a sostenere questa solitudine senza essere di nuovo solo e completamente solo” (Moresco, Antonio, Tutto d’un fiato, cit., p. 11).

42 Essenzialmente nella prima parte de Gli esordi: “Io invece mi trovavo a mio agio in quel silenzio […]. Nessuno si era accorto che non parlavo più” (Moresco, Antonio, Gli esordi, Milano, Mondadori 2011, pp. 9 e 17).

43 Come abbiamo già specificato, spesso i protagonisti si trovano tra due superfici del mondo, tra il mondo creato e il mondo increato. È nella separazione o lo scontro tra questi due mondi che opera l’inversione come potrebbe illustrare questa immagine: “la lucina sembra allargarsi e restringersi, come se la vedessi dall’altra parte di una superficie d’acqua” (Moresco, Antonio, La lucina, cit., p. 37), così come questo esempio: “dietro il velo dei suoi peli di ragazza circassa che ha fatto irruzione all’incontrario nel mondo” (Moresco, Antonio, Gli incendiati, cit., p. 135).

44 “Io sono lo scrittore increato, l’inconcepito. Sto morendo all’incontrario, all’indietro, senza essere nato e neppure concepito. Sto uscendo dal progetto, dal primo sguardo, dalla materia oceanica molle scatenata e creata. Ma allora chi sono? Dove sono? Sono dentro la solitudine infinita dell’inizio che c’è primadopo ogni possibile inizio. Sono l’inconcepito che deve passare all’incontrario attraverso la propria vita e la propria morte e prova tutta la solitudine infinita di un corpo che muore separato, inconcepito e increato. Sono solo, completamente solo. Come si è infinitamente soli, all’inizio! Sono solo come mai è stato nessun altro scrittore di questa specie. Sono lo scrittore di un pianeta e di un mondo che non c’è più, di una specie che non c’è più, che non c’è ancora. Sto vivendo da inconcepito la solitudine infinita di un corpo che si percepisce separato mentre è ancora increato” (Moresco, Antonio, Canti del caos, cit., p. 1062).

45 Si raggruppano sotto questo titolo Gli esordi, Canti del caos, e Gli increati, volume ancora inedito. Da aggiungere anche i due romanzi Gli incendiati e La lucina che sono, come spiega lo scrittore nella sua “Lettera all’editore” di quest’ultimo: “un’irruzione incalcolata e improvvisa. Come il primo è un piccolo meteorite che si è staccato da Canti del caos, così anche questa [La lucina] è una piccola luna che si è staccata dalla massa ancora in fusione del mio nuovo romanzo, che si intitolerà Gli increati” (Moresco, Antonio, La lucina, cit., p. 6).

46 La magia dei testi viene anche da questa peculiarità. Lo scrittore riesce ad avere una visualizzazione sulle cose più piccole – riccamente dettagliate nella narrazione – e nello stesso tempo a esplorare un mondo sterminato, senza limiti, che è “fuori mondo” per riprendere la formula dell’autore.

47 “Io sarò il messaggero dalle labbra dipinte che affonda il grugno in questa materia emorragica con gli occhi spalancati e sbarrati nella putredine di questo incendio che incendierà, annuncerà” (Moresco, Antonio, Canti del caos, cit., p. 966).

48 Come ci invita a pensare questi passi: “Io invece sono soltanto Dio”; “Dove sto andando starò quando Dio sarò, se sarò? Sono il vostro Dio che sogna”; “Che io sia Dio che si sta pensando mentre è ancora inconcepito e increato?” (Moresco, Antonio, Canti del caos, cit., pp. 968, 992, 1065).

49 Il libro Canti del caos si apre con una prefazione le cui prime righe interpellano il lettore: “Lettore irridento, se tu sei uno di quelli che aspettano ancora il capolavoro, ho qui per te uno scrittore altrettanto idiota che si è messo in testa di scrivere un capolavoro” (p. 9). Ricorrente anche nelle opere l’uso della preterizione: “da quel momento in poi posso dare solo una piccola idea di quanto è successo” (Moresco, Antonio, Gli incendiati, cit., p. 151).

50 Numerosi e lunghi sono gli esempi come appaiono in diversi libri, tra cui La lucina.

51 Potrebbe questa idea giustificare l’uso frequente del verbo di impressione parere (“mi è parso di averle detto” (Moresco, Antonio, Gli incendiati, cit., p. 151) o dell’avverbio “forse”: “Forse ho detto io, forse lei” (ibid, p. 111).

52 Riprendo l’espressione a Piersandro Pallavini che alla sua domanda se “le cose estreme, terribilmente violente violente, sessualmente angoscianti è stato fatto scientificamente, oppure se anche questo orrore estremo è una generazione spontanea”, l’autore dà questa risposta: “Diciamo che, mentre andavo avanti a raccontare queste cose, a far uscire queste voci, cresceva in me il bisogno di dare non solo o non tanto una rappresentazione delle cose, della realtà” (Moresco, Antonio, “Canti del caos”, in Id., L’invasione, cit., p. 61).

53 L’idea di infinito è forse l’unica dimensione spaziale e temporale dei testi , la quale sembra voler dare – legata all’immagine del buio, della “notte infinita” (Moresco, Antonio, Gli incendiati, cit., p. 148) – una visione infernale, fecale, intestinale (“quella luce instestinale” [Moresco, Antonio, La cipolla, in Id., Il combattimento, cit., p. 218]) del nostro mondo morto. L’infinito spaziale è reso con certe descrizioni (cfr. la struttura labirintica della casa del racconto La camera blu, la villa delle orgie de Gli incendiati) e con la ripetizione di sintagmi quali “a perdita d’occhio”, “pullulare” “sterminato” ecc.

54 L’apocalisse rimanda all’idea della consumazione e combustione del mondo. Potrebbe rinviare a questa tematica la presenza del fuoco nell’opera di Moresco, come risulta nei libri Gli incendiati, Tutto d’un fiato o Canti del caos, in quanto è “un incendio che incendierà, annuncerà” (p. 966).

55 Cfr. lo studio probante di Marano, Giampiero, Virgilio e la nuova epica di Moresco (http://puntocritico.eu/?p=1507).

56 Ci sembra infatti interessante avvicinare il libro Traumnovelle (stranamente tradotto in italiano con il titolo Doppio sogno) dal romanzo Gli incendiati per l’importanza nelle due opere dell’obliterazione tra sogno e realtà. Sarebbe inoltre di particolar interesse studiare la valenza del sogno nell’opera di Moresco, che constribuisce senza dubbio alla torsione tra reale e irreale.

57 Moresco, Antonio, Lo sbrego, cit., p. 45. La biblioteca degli scrittori che contano per Moresco è tra l’altro indicata in questo libro dal quale riportiamo questo passo: “Sono questi i romanzieri che amo di più, quelli che, ciascuno a suo modo, sentono psicofisicamente e somnambulicamente le strutture narrative e mentali e i loro vortici come corpi originari e viventi. Dostoevskij, Melville, Balzac, Proust, Kafka, Céline, Murasaki… Ma amo anche i più immobili, quelli che ci fanno vedere in tutta la sua trasparenza il diaframma della disperazione controllata e cosciente, come Cervantes, Goethe, certi scrittori orientali antichi… E anche i disperati sorridenti e tranquilli, gli infinitamente disparati e infinitamente buoni come Cechov” (ibid.).

58 Si pensa anche alla Signora cieca del racconto “La camera blu”, inserito in Il combattimento.

59 L’increazione, nozione greca che rende l’idea dell’eternità del mondo, del suo carattere ciclico è stata ripresa da Nietzsche con la tematica del ritorno eterno.

60 È propabile che questo accumulo faccia parte di una più ampia sinchisi, la quale partecipa all’intricamento, alla confusione di cui si è parlato come condizione e risultante dell’opera. Confusione giustificata se si considera che non si può raccontare secondo le regole della logica e dell’ordine mentale la meccanica di un corpo, sia esso della letteratura o del mondo, della vita o della morte.

61 Ritroviamo la tematica della torsione che viene sottolineata da una forzatura linguistica. Molti sono gli esempi, oltre alla decostruzione grammaticale dei Canti del caos. Ci limiteremo a qualche esempio: “Muschi e licheni che fasciano con il loro sudari di vellutto e di vetro colonne inclinate di legno e grandi pietre affiorate” (Moresco, Antonio, La lucina, cit., p. 19); l’aggiunta dell’espressione “di vetro” è una forzatura espressiva che serve a dare l’idea di una sostanza morbida e avvolgente ma anche dura e implacabile, quasi minerale e vitrea, che incombe sul paesaggio. “non si vedeva niente, solo alberi, vegetazione e rovi che premevano da ogni parte attraversando il sentiero con i loro tentacoli vegetali, i loro uncini, le loro radichette e le loro pinze” (ibid, pp. 61-62); qui “pinze”, che si riferisce all’attrezzo, vuole far capire tutto l’aggrovigliarsi e l’implacabile stringersi e avvinghiarsi e imprigionarsi che avviene nel mondo vegetale, e non solo in quello. “piovevano all’interno scintille grandi come stracci” (Moresco, Antonio, Gli incendiati, cit., p. 16); “Straccio”, da l’idea della grandezza e della forma indefinita e sfrangiata delle scintille. Ringrazio l’autore di queste indicazioni date in occasione della traduzione delle sue opere.

62 Moresco, Antonio, Canti del caos, cit., p. 926.

63 Ibid., p. 1061.

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Notizia bibliografica

Laurent Lombard, «Camminare nel buio verso l’Annuncio, contro i venti della globalizzazione, sui passi di Antonio Moresco: un caso di iperdeterminazione letteraria»Narrativa, 35-36 | 2014, 289-306.

Notizia bibliografica digitale

Laurent Lombard, «Camminare nel buio verso l’Annuncio, contro i venti della globalizzazione, sui passi di Antonio Moresco: un caso di iperdeterminazione letteraria»Narrativa [Online], 35-36 | 2014, online dal 01 avril 2022, consultato il 05 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/narrativa/1225; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/narrativa.1225

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Autore

Laurent Lombard

Université d’Avignon, ICTT - EA 4277 (membre associé du CRIX - EA 369)

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