Notes
Questa nota è dedicata alla memoria del professor Pietro Orlandini, recentemente scomparso, cui va il mio commosso ricordo e la mia gratitudine, per avermi “iniziato” ai misteri demetriaci e avere legato la mia storia a quella dell’archeologia geloa.
Sullo scavo dell’area sacra si vedano Orsi (1906), col. 575-730, Orlandini (1966) e P. Orlandini, “Gela: nuove scoperte nel thesmophorion di Bitalemi”, Kokalos 13 (1967), p. 177-179. Per un aggiornamento dello status delle ricerche Orlandini (2003).
Il graffito più completo è stato rinvenuto negli scavi condotti da Orlandini: Orlandini (1966), p. 20, tav. X, fig. 4; un saggio condotto nel 1991 lungo il pendio meridionale della collina ha portato al rinvenimento di altri due graffiti su skyphoi attici menzionanti esmofor e Damat, ulteriore conferma dell’attribuzione del santuario al culto di Demetra Thesmophoros: G. Fiorentini, “Attività di indagini archeologiche della Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Agrigento”, Kokalos 39-40 (1993-94), p. 721 e Orlandini (2003), p. 507-508.
Kron (1992).
Sfameni Gasparro (1986), specie p. 240-241; Hinz (1998), p. 56-64.
A.M. Ardovino, “Sistemi demetriaci nell’Occidente greco. I casi di Gela e Paestum”, in M. Castoldi (ed.), Koinà. Miscellanea di studi archeologici in onore di P.Orlandini, Milano, 1999, p. 169-187.
Runza (2006-2007), p. 93-116.
E. De Miro, “Thesmophoria di Sicilia”, in C.A. Di Stefano (ed.), Demetra. La divinità, i santuari, il culto, la leggenda (Atti del Primo Congresso Internazionale, Enna 2004), Pisa/Roma, 2008, p. 47-92: a Bitalemi, secondo lo studioso, avveniva la registrazione delle partecipanti al rito e si svolgevano i primi riti propedeutici, in analogia ad altre situazioni ipotizzabili per Agrigento e l’area siracusana.
Verger (2003), p. 525-571.
Il lungo lavoro, che ha preso le mosse un decennio fa, è stato condotto da un team di studiosi sotto la supervisione diretta del suo scavatore, Piero Orlandini. La pubblicazione definitiva dello scavo e dei depositi del livello arcaico, oltre ai volumi relativi alle singole classi di materiali, sarà accolta nella serie dei Monumenti dei Lincei. Sulla ricerca si veda anche M. Albertocchi, “The terracottas from the archaic level of the Bitalemi sanctuary at Gela, Sicily”, CSIG News 2 (2009), p. 11.
La bibliografia in tal senso è piuttosto ampia e variegata; basti qui ricordare le osservazioni metodologiche espresse da E. Lippolis, “Culto e iconografia della coroplastica votiva. Problemi interpretativi a Taranto e nel mondo greco”, MEFRA 113 (2001), p. 225-255, sul “sistema” entro il quale si inserisce l’offerta coroplastica. Cfr. anche M. Albertocchi, Athana Lindia. Le statuette siceliote con pettorali di età arcaica e classica, RdA suppl. 28, Roma, 2004, p. 149. Recentemente sul rapporto tra tipo di offerta e identità divina all’interno di un sistema votivo è di grande utilità la consultazione degli atti del convegno: C. Prêtre (ed.), Le donateur, l’offrande et la déesse. Systèmes votifs dans les sanctuaires de déesses du monde grec (Atti Convegno Lille 2007), Liège, 2009 (Kernos, suppl. 23), con diversi contributi relativi alle offerte coroplastiche; dal punto di vista metodologico in particolare si veda l’articolo di C. Prêtre, “La donatrice, l’offrande et la déesse : actions, interactions et réactions”, p. 7-27.
Sulle offerte metalliche del santuario si vedano principalmente Kron (1992), p. 633-643 (con bibliografia precedente) e Verger (2003); esse rappresentano il 10% del totale delle offerte nei depositi misti del livello arcaico. L’inquadramento tipologico, cronologico e contestuale di questi votivi è affidato, come detto, alla ormai prossima pubblicazione definitiva dello scavo.
Un buon esempio è costituito dalle ricerche di Stissi, in particolare V. Stissi, “Does Function Follow Form? Archaic Greek Pottery in its Find Contexts: Uses and Meanings”, in V. Nørskov, L. Hannestad, C. Isler-Kerényi, S. Lewis (eds.), The World of Greek Vases, Roma, 2009, p. 23-43. Si veda anche S. Batino, Itinerari del sacro nelle forme del bere. Articolazioni morfologiche e funzionali della ceramica greca ad uso potorio in ambito rituale, Oxford, 2009 (BAR Int. Series, 1961) (non vidi).
Un recente articolo sulle offerte del santuario arcaico presso Francavilla di Sibari ci ha fornito degli spunti di riflessione adeguabili anche al nostro contesto: M.T. Granese, “Culto e pratiche rituali nel santuario arcaico di Francavilla Marittima (Sibari – CS)”, ASAA 84, I (2006), p. 417-464, dove si propone un esame analitico delle “manifestazioni materiali del rituale”.
N. Bookidis, “Ritual dining in the sanctuary of Demeter and Kore at Corinth: some questions”, in O. Murray (ed.), Sympotica. A Symposium on the Symposion, Oxford, 1994, p. 93. Va peraltro segnalato come un cratere dal santuario sia decorato con una scena di danza femminile che potrebbe essere connessa al consumo di vino: E.G. Pemberton, K.W. Slane, Corinth XVIII, 1. The sanctuary of Demeter and Kore, The Greek pottery, Princeton, 1989, n. 192, p. 108.
Tutti i frammenti presentano una decorazione composta da un fregio animalistico, ad eccezione di due pezzi raffiguranti sul corpo delle figure maschili: si tratta dell’esemplare n. inv. 29266 con una figura di comasta sotto l’orlo e del frammento di parete n. inv. 20705 con un uomo barbato.
Due pareti di crateri laconici sono state incluse nella raccolta condotta da P. Pelagatti: P. Pelagatti, Ceramica laconica in Sicilia e a Lipari. Supplemento alla carta di distribuzione, 1991, BdA 75 (1990), suppl. al n. 64, p. 205-206, n. 368, 387 (fine VI sec. a.C.). Forse di fabbrica laconica è anche il frammento del collo di un cratere “tutto nero” rinvenuto da Orsi: Orsi (1906), col. 641.
Orsi (1906), col. 619-622, fig. 430-437.
Orsi (1906), col. 621-622, fig. 437.
Orsi (1906), col. 596-597.
Orsi (1906), col. 599-600, fig. 409.
La bibliografia su questo culto è molto ampia: ricorderemo qui in principal modo i lavori di Sfameni Gasparro (1986), specie p. 223-283; Kron (1992); recentemente A.B. Stallsmith, “The name of Demeter Thesmophoros”, GRBS 48 (2008), p. 115-131; A.B. Stallsmith, “Interpreting the Athenian Thesmophoria”, ClBulletin 84 (2009), p. 28-45.
Le Thesmophoriazousai aristofanee si definiscono infatti eugeneis gynaikes (v. 330).
Contrario a questa idea è Versnel (1994), p. 246.
Su questo aspetto si veda in particolare il contributo di G. Berthiaume, Les rôles du mágeiros. Étude sur la boucherie, la cuisine et le sacrifice dans la Grèce ancienne, Leiden, 1982 (Mnemosyne, suppl. 70), ma anche Detienne (1982); Runza (2006-2007); M. Albertocchi “Mangiare e bere in onore di Demetra: il caso del Thesmophorion di Bitalemi a Gela”, in Cibo per gli uomini, cibo per gli dei (Atti Convegno Piazza Armerina, maggio 2005), c.d.s.
Sherratt (2004), p. 205-206.
Inno a Demetra, 207-208.
Ad esempio E.G. Pemberton, “Wine, Women and Song: Gender Roles in Corinthian Cult”, Kernos 13 (2000), p. 85-106 e specie p. 104-106, con bibliografia precedente. La studiosa nota come nel santuario di Demetra a Corinto i noti vasi di fabbrica corinzia raffiguranti paddeddancers, riferibili a specifiche attività maschili associate al vino e a Dioniso, siano sostituiti da vasi con cortei di donne danzanti, vere protagoniste dei banchetti e delle libagioni rituali che si svolgevano nell’area sacra.
Ad esempio Aristofane, Thesm., 630-632. Sulla deformazione in chiave comica del comportamento femminile E. Levy, “Les femmes chez Aristophane”, Ktema (1976), p. 99-112. Scettico sulla veridicità del testo aristofaneo, da sempre utilizzato come fonte principale per la ricostruzione delle Thesmophorie in Attica (ma non solo) è K. Clinton, “The Thesmophorion in Central Athens and the Celebration of the Thesmophoria in Attica”, in R. Hägg (ed.), The Role of Religion in the Early Greek Polis (Proceedings of the 3rd Seminar on Ancient Greek Cult, Athens 1992), Stockholm, 1996, p. 111-125, il quale mette brillantemente in luce come la grande riunione collettiva delle donne ateniesi in tale circostanza sia in realtà un’invenzione letteraria.
Eliano, fr. 44 e Pausania, IV, 17, 1.
Il riferimento va ovviamente al saggio di Detienne (1982), p. 131-148.
Pierre (2008), p. 91-92.
Particolamermente convincente nell’elaborazione del tema del rituale di inversione e dell’ambiguo paradosso delle celebrazioni tesmoforiche è Versnel (1994), specie p. 249, il quale sottolinea come il tratto più saliente del sovvertimento dei normali codici comportamentali e sociali è il fatto che, pur trattandosi di una festa per la fertilità umana, le donne sono in questa circostanza costrette alla castità assoluta.
M.-C. Villanueva-Puig, “La ménade, la vigne et le vin. Sur quelques types de représentations dans la céramique attique des vie et ve siècles”, REA 90 (1988), p. 35-64: nel coro delle Baccanti si specifica infatti che i misteri di Dioniso non corrompono la donna veramente casta e saggia. Su questi temi diffusamente ora M.-C. Villanueva Puig, Ménades. Recherches sur la genèse iconographique du thiase féminin de Dionysos, des origines à la fin de la période archaïque, Paris, 2009.
Si vedano le fonti citate in Bettini (1995), p. 224 e nota 1 (Dionigi di Alicarnasso, Valerio Massimo, Plinio, Plutarco).
Bettini (1995), specie p. 234-235. E’ opportuno tuttavia ricordare che, secondo l’attenta analisi di Versnel (1994), in occasione delle celebrazioni per Bona Dea la consumazione rituale del vino era ammessa alle donne; tale consumazione, in quanto eccezionale, si inserirebbe nell’ambito di una festa di inversione e della licenziosa “escursione” dalla normalità.
Sfameni Gasparro (1986), p. 231. Versnel (1994), p. 237 e 247 sottolinea il fatto che l’agnocasto, in quanto antiafrodiasiaco, simboleggia lo stato di purezza virginale. Una più recente spiegazione del riferimento a questa pianta nelle celebrazioni tesmoforiche si trova in Pierre (2008): secondo questa studiosa gli effetti dell’agnocasto andavano oltre quello di ridurre le pulsioni sessuali, dato che gli antichi lo utilizzavano come pianta purificatrice e regolatrice del sistema ormonale femminile. La pianta rispecchia dunque perfettamente la duplicità della festa: il suo effetto “catartico e fecondante” corrisponderebbe da un lato alle giornate dedicate al digiuno (Nesteia) e dall’altro a quelle della bella nascita (Kalligeneia).
M. Giuman, “Il dolce miele delle orsette. I krateriskoi di Artemis Brauronia, una rilettura”, in Ceramica attica da santuari della Grecia, della Ionia e dell’Italia (Atti Convegno Internazionale di Perugia 2007), Venosa, 2009, p. 103-118.
La stessa opposizione tra Liber, dio dei “semi liquidi” e maschili e Ceres, dea di quelli femminili/Bona Dea (cerimonia esclusivamente femminile improntata alla castità), è formulata in modo brillante da Bettini (1995). Non va tuttavia dimenticato che le due divinità sono comunque correlate in quanto presiedono a feste in cui il normale ordine sociale viene sovvertito: su questo aspetto si veda A. Brumfield, “Aporreta: Verbal and Ritual Obscenity in the Cults of Ancient Women”, in R. Hägg (ed.), The Role of Religion in the Early Greek Polis, Proceedings of the Third International Seminar on Ancient Greek Cult (Athens 16-18 October 1992), Stockholm, 1996, p. 68.
Iliade XI, 632-641. Sulla bevanda A. Delatte, Le Cycéon, breuvage rituel des mystères d’Éleusis, Paris, 1955.
Odissea X, 234-236: Circe avrebbe qui aggiunto al vino di Pramno, alla farina, al miele e al formaggio dei pharmaka funesti, capaci di donare l’oblio ai compagni di Ulisse.
Vedi supra, n. 36; anche Lippolis (2006), p. 11, nota come l’assunzione di bevande di orzo fermentato e aromatizzato rispondesse a tradizioni molto antiche (micenee?).
G. Samorini, “L’uso di sostanze psicoattive nei Misteri Eleusini”, in Uomini, piante e animali nella dimensione del sacro (Atti del Seminario di Studi in Bioarcheologia, Cavallino 2002), Bari, 2008, p. 217-233.
Lo stesso tipo di mistura è ricordato anche da Antonino Liberale e da uno scolio a Nicandro; secondo Ovidio il digiuno della dea sarebbe stato interrotto dalla consumazione di papaveri, dato che rimanda nuovamente ad un effetto psicoattivo. Cfr Lippolis (2006), p. 107, n. 106-107.
P.E. McGovern, L’archeologo e l’uva. Vite e vino dal Neolitico alla Grecia arcaica, Roma, 2004, p. 260-261, 266; lo stesso tipo di mistura è stato riconosciuto anche nel cd. Tumulo di Mida a Gordion, databile attorno al 700 a.C. circa: ibidem, p. 275-286.
Vedi supra, n. 29.
D. Ridgway, “L’Eubea e l’Occidente: nuovi spunti sulle rotte dei metalli”, in M. Bats, B. d’Agostino (eds.), Euboica. L’Eubea e la presenza euboica in Calcidica e in Occidente (Atti Napoli 1996), Napoli, 1998 (AION(archeol.) quad. 12), p. 312-314, ricorda come l’associazione tra grattugie e crateri sia attestata in ambito tirrenico in epoca orientalizzante, probabilmente grazie alla diffusione di un modello euboico a sua volta di stampo omerico. Va tuttavia tenuto presente che per aggiungere del formaggio di capra alla bevanda poteva essere sufficiente utilizzare la lama di un coltello; è possibile che le grattugie bronzee fossero destinate ad aggiungere piuttosto sostanze aromatiche più dure da scalfire.
Kerényi (1992), p. 51; Aristotele, Hist. Anim., 586b 32.
Giuman (2008), p. 79-86. Il miele, grazie alle sue speciali caratteristiche, era utilizzato per la conservazione dei cadaveri; si ricordi anche il noto episodio di Glauco, il figlio di Minosse, che a causa del miele trova la morte, ma una morte transitoria che prelude ad una rinascita.
Giuman (2008), p. 75-78.
I. Papaoikonomou, S. Huysecom-Haxhi, “Du placenta aux figues sèches : mobilier funéraire et votif à Thasos”, Kernos 22 (2009), p. 133-158.
Porfirio, Antr., 18, 2.
Oltre a Giuman (2008), p. 75, 79-86, si veda Caruso (1994), p. 34-36, il quale prospetta la possibilità che attraverso il miele si realizzi un passaggio di status analogo a quello iniziatico.
POxy. XV, 1802 (Apollodoro di Atene) e Lattanzio, D.I., 22, 20-21. Su questi temi diffusamente Giuman (2008). Ci sembra inoltre significativo ricordare che in occasione delle Skirophoria (cerimonia affine alle Thesmophorie), il premio ricevuto dagli efebi nell’agone di corsa era una kotyle contenente vino, miele, orzo, formaggio e olio, gli elementi riferibili alle misture psicoattive di cui abbiamo parlato sopra: cf. Lippolis (2006), p. 12-13.
Lo schema che proietta sulla donna le virtù di morigeratezza e bellezza etica, considerate tipiche dell’ape, facendo solo della donna/ape l’unica adatta a garantire una buona unione matrimoniale, si ritrova in molte fonti antiche (Semonide, Focilide, Plutarco, Aristotele) ricordate da Giuman (2008), p. 8-29. Si veda anche ibidem, p. 157-169.
Anche nelle raffigurazioni vascolari attiche “la sposa terrena è associata visivamente ad Afrodite” in base ad alcuni elementi distintivi quali la parziale nudità: il momento delle nozze caratterizza la donna sotto la sfera sessuale, afrodisiaca, piuttosto che sotto quello della moglie, le cui virtù sono costituite dalla eusebeia e dalla sophrosyne. La nymphe-sposa, connotata da attrattività erotica, rappresenta il gradino intermedio tra lo stato di parthenos e quello di gyné-donna (al momento del primo parto), quando diventa il nume del focolare domestico (operosa e saggia come l’ape-melissa). Su questi aspetti si veda l’ampia discussione in E.C. Portale, “Coroplastica votiva nella Sicilia di V-III secolo a.C.: la stipe di Fontana Calda a Butera”, Sicilia Antiqua 5 (2008), p. 9-58, specie p. 42-45, e V. Andò, “Nymphe: la sposa e le Ninfe”, QUCC 52 (1996), p. 47-78.
A proposito dello stretto collegamento esistente tra api e castità, Versnel (1994) sottolinea come durante le celebrazione tesmoforiche le donne-gynaikes ritornino allo stato verginale caratteristico delle nymphai attraverso il paragone con le api.
Sull’argomento diffusamente Caruso (1994), specie p. 24-25, con bibliografia precedente, e Giuman (2008), p. 49-52. L’impiego del miele nelle pratiche kurotrophiche e di svezzamento, sia nella sfera eroica che in quella divina, è del resto attestato con una certa frequenza: si veda ancora ibidem, p. 75-76, dove vengono ricordati diversi casi. Sullo speciale nutrimento dei fanciulli con il miele e sulle sue implicazioni simboliche, legate all’immortalità, interessanti considerazioni anche in Ph. Borgeaud, Exercices de mythologie, Genève, 2004, p. 65-85.
La ricetta dettagliata per la preparazione dell’idromele ci viene fornita da Plinio, N.H. XIV, 113.
Nell’Odissea (X, 519) nelle istruzioni per compiere i sacrifici funebri si specifica che prima deve essere versato “il melìkratos (termine che designa il miele mescolato al latte, ma anche l’idromele), poi il vino soave”, rispecchiando verosimilmente la successione storica delle due bevande; si veda tuttavia a riguardo anche l’esplicita menzione di Plutarco, Quaest.Conv. IV, 6.672 e Bettini (1995), p. 232. Anche A. Sherratt, “Alcohol and Its Alternatives: Symbol and Substance in Pre-Industrial Cultures”, in J. Goodman, P.E. Lovejoy, A. Sherratt (eds.), Consuming Habits: Drugs in History and Anthropology, London, 1995, p. 11-46 per l’uso di bevande inebrianti alternative al vino in epoca preistorica.
Tale distinzione filologica è proposta da Sherratt (2004), p. 202-203, cui si fa riferimento.
Si vedano in proposito le osservazioni di Sherratt (2004), p. 207-208. Nel momento in cui viene introdotto l’uso del vino è verosimile che il bere altre sostanze psicoattive fosse relegato ad un uso medicinale o al dominio oscuro delle streghe e dei forestieri: Sherratt (2004), p. 210.
Sugli stibades, ricordo per Gernet di arcaiche feste “campagnole”, si vedano le osservazioni di Sfameni Gasparro (1986), p. 231-232; la studiosa ricorda come la nozione di arcaicità ad essi legata possa riferirsi anche alla primordialità della sfera della nascita, strettamente connessa alle pratiche tesmoforiche.
Diodoro Siculo, V, 4, 7. Secondo Versnel (1994), p. 242, gli aspetti di primitività nei rituali tesmoforici alludono esplicitamente al rituale di inversione e al temporaneo ritorno allo stato di vita selvaggia precedente la civilizzazione.
Sfameni Gasparro (1986), p. 232.
Giuman (2008), p. 68.
Caruso (1994), p. 29.
Plinio, N.H. XIV, 113.
Su tale argomento si veda la discussione in Kerényi (1992), p. 47-55.
Kron (1992), p. 616. L’apicoltura era peraltro ampiamente praticata in Sicilia, come dimostra la notorietà del miele ibleo, che secondo alcuni studiosi non era solo cardine dell’economia della zona ma possedeva delle valenze cultuali legate alle facoltà vaticinatorie delle api: R. Sammartano, “Tradizioni ecistiche e rapporti greco-siculi: le fondazioni di Leontini e di Megara Hyblaea”, Seia 11 (1994), p. 79-80.
Secondo alcuni studiosi, sulla scorta di quanto lascia intendere Callimaco, anche la pratica dell’aischrologia poteva svolgersi nello stesso giorno, e dare sfogo all’irritazione dovuta alla fame: F. Zeitlin, “Cultic Models of the Female: Rites of Dionysus and Demeter”, Arethusa 15 (1982), p. 138-139.
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