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Dossier thématique : L’Hortus sanitatis

Il testo e le fonti del Liber pandectarum medicinae di Matteo Silvatico

Osservazioni e rilevamenti da una ricerca in corso
Corinna Bottiglieri
p. 109-134

Résumés

Il Liber medicinae pandectarum di Matteo Silvatico, medico e professore di medicina, attivo a Salerno e Napoli tra il 1297 e il 1342, fu dedicato al re di Napoli Roberto d’Angiò nel 1332 e conobbe un grande successo in tutta Europa. Dopo l’editio princeps napoletana del 1474, numerose edizioni a stampa si susseguirono ancora nel secolo successivo. La struttura dell’opera è quella di un grande lessico alfabetico i cui lemmi, catalogati secondo denominazione latina, greca e araba, sono i nomi di semplici d’uso medicinale e alimentare, di organi del corpo umano, di malattie, di preparazioni farmaceutiche. Obiettivo di questo contributo è illustrare, sulla base di alcuni esempi, i problemi emersi durante il lavoro di preparazione ad una futura edizione critica di quest’opera, che ancor oggi si può leggere soltanto nelle antiche edizioni a stampa : tra questi, in particolare l’identificazione delle fonti utilizzate da Silvatico e di conseguenza il riconoscimento dell’apporto dell’autore, l’individuazione dei riferimenti alla diretta esperienza dell’autore, la trasformazione dell’assetto dell’opera (indici, numerazione dei lemmi, ecc.) e la stratificazione delle aggiunte al testo dai manoscritti alle stampe.

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Texte intégral

Presento qui alcune osservazioni sull’opera di Matteo Silvatico, con particolare riguardo, in questa occasione, alla fattibilità di un progetto di edizione. Ringrazio gli organizzatori dell’incontro di studio per avermi dato la possibilità di un interessante confronto con l’équipe dell’ateneo di Caen che ha lavorato all’edizione dell’Hortus sanitatis ; a integrazione di queste notizie rinvio a due miei saggi precedenti : Bottiglieri 2007 e Bottiglieri 2009.

1L’Opus o Liber pandectarum medicinae, o Medicinalis pandecta o semplicemente Pandectae di Matteo Silvatico si trova al culmine di un’evoluzione che ha portato alla traduzione, al commento e alla raccolta di fonti antiche, tardoantiche e medievali, del mondo latino, greco, ebraico e arabo.

  • 1 Attribuito alla prima metà del sec. XIII dal suo più recente editore : cf. García González (...)
  • 2 I Synonyma furono completati tra il 1292 e il 1296 : cf. Dahhaoui 2001.
  • 3 Il Liber aggregatus, detto anche Liber aggregationis o Aggregator, scritto dopo il (...)

2Pubblicata nel 1332 e dedicata a Roberto d’Angiò, l’opera recepisce e riutilizza molte fonti relativamente recenti o da poco tradotte, tra cui il glossario detto Alphita1, i Synonyma di Stefano di Antiochia, i Synonyma o Clavis sanationis di Simone di Genova2, che fu anche traduttore in latino del diffusissimo Liber aggregatus de medicinis simplicibus dello Ps.-Serapione3.

  • 4 Sulla cultura libraria a Napoli al tempo di Ferdinando d’Aragona, cf. specialmente De Marin (...)

3Poco meno di un secolo e mezzo più tardi, nei primi decenni seguiti all’invenzione della stampa, a Napoli, in stretto rapporto con la corte aragonese, operano alcuni stampatori stranieri4. Qui Angelo Catone Sepino, medico di re Ferdinando d’Aragona e docente presso lo studium napoletano, trova nella biblioteca reale il manoscritto delle Pandectae di Silvatico e decide che un testo così importante debba assolutamente essere conosciuto dagli aspiranti medici :

  • 5 Dalla prefazione di Angelo Catone Sepino all’edizione napoletana del 1474.

Edidit olim Matheus Silvaticus Salernitanus philosophus et medicus omnium sui temporis eruditissimus opus quoddam quod et Pandectas inscripsit et Roberto tue Sicilie olim regi dedicavit. […] Fuit quidem non iniuria opus ipsum tali nomine dignissimum. Eius namque doctissimus auctor nihil pretermisit eorum que ex terra, aqua, aere, igne, que sunt elementa mundi, gignuntur queque nature humane usui accomodantur. Explicuit quoque nomina atque sinonoma naturalium omnium rerum pro varietate linguarum quibus homines pro diversitate nationum utuntur. Nec minus miro quodam ordine ostendit quenam sint singularium rerum qualitates, que vires quibus aliis rebus vel prosint, vel noceant. Quod cum fuerit per ea tempora magno studio in regia bibliotheca asservatum, nequaquam est ita vulgatum ut transcribi a multis commode potuerit. […] Sed quoniam indignum est ut auctoris eius nomen excellensque ingenium atque industria penitus ab hominum memoria deleta videatur, ut etiam pateat fructus quem eo duce possunt adipisci mortales, inventum fere nuper et ad nostrum seculum revocatum opus magna tamen ex parte depravatum emendare et dare in lucem atque in communem usum nuper institui. Quod ut citius atque commodius fieret, curavi id agere, ut a Germano cuius mentionem habui sicut aliorum permulta, ita et hoc Mathei Pandectarum opus imprimeretur5.

  • 6 Questa e tutte le altre traduzioni italiane delle fonti latine utilizzate sono di chi scriv (...)

Un tempo Matteo Silvatico, filosofo e medico salernitano, il più dotto di quelli della sua epoca, pubblicò un’opera che intitolò Pandectae e dedicò a Roberto, un tempo re della tua Sicilia. […] Giustamente l’opera merita il titolo di Pandectae, poiché contiene davvero tutto : ha spiegato nomi e sinonimi di tutte le cose della natura secondo la varietà delle lingue che gli uomini utilizzano secondo le differenti nazionalità. Inoltre con mirabile ordine ha illustrato quali siano le qualità e le proprietà delle singole sostanze e con quali altre cose possano giovare o nuocere. L’opera è stata a lungo conservata nella biblioteca reale e non è mai stata divulgata così da poter essere trascritta facilmente. […] Ma poiché è indegno che il nome, l’eccellente ingegno e fatica di quell’autore siano completamente cancellati dalla memoria degli uomini, affinché sia visibile il frutto che i mortali possono conquistare grazie a lui, ho deciso, avendola da poco ritrovata e riportata al nostro tempo, di rivedere quest’opera in gran parte rovinata e di pubblicarla e renderla disponibile per l’uso di tutti. Affinché ciò avvenisse più rapidamente e agevolmente, ho disposto di affidare al tedesco che ho menzionato di stampare anche quest’opera delle Pandette di Silvatico6.

  • 7 Al Riessinger Silvatico commissionò nel 1472 la stampa di un suo scritto sull’apparizione d (...)
  • 8 Su Arnaldo di Bruxelles, cf. Fava & Bresciano 1911-1912, 47-56 : “non dovrebbe reca (...)

4L’editio princeps delle Pandectae vide la luce il primo aprile del 1474 : lo stampatore non fu il tedesco Sisto Riessinger, il primo ad aprire un’officina tipografica a Napoli (1471)7, ma molto probabilmente il belga Arnaldo (o Arnoldo) di Bruxelles, che sin dal 1455 era attivo come amanuense e calligrafo della corte aragonese8.

  • 9 Sull’attività in Italia dello stampatore bavarese, cf. Schizzerotto 1972, 39 : “Giovanni Vu (...)
  • 10 Dalla prefazione di Matteo Moreto (Bologna, 1474) : […] In qua quidem re intelligas me eund (...)

5Fin dal 1332, copie manoscritte dell’opera avevano già circolato in Italia e all’estero, e anche le facoltà mediche settentrionali ne avevano riconosciuto l’importanza, così che, nello stesso 1474, nel mese di luglio, Mattheus Moretus, italianizzato in Matteo (o Mattia) Moreto (o Moretti), docente di astronomia e medicina dell’ateneo bolognese, ne curava la pubblicazione di un’altra edizione, che fu stampata a Bologna dal bavarese Giovanni Vurster da Kempten, attivissimo, in quegli anni, a Mantova, Bologna e Padova9. L’edizione fu dedicata dal Moreto al cardinale mantovano Francesco Gonzaga (1444-1483), grande mecenate e protettore, fra gli altri, di Angelo Poliziano. Nella sua prefazione alle Pandectae, che si sostituisce a quella di Silvatico, Moreto definisce la propria fatica di revisore pari, per impegno e mole di lavoro, a quella di chi ha redatto l’opera. Del nome dell’autore non è sicurissimo, tuttavia “persone degne di fede sostengono che si chiamasse Matteo Silvatico. Chiunque egli sia stato – aggiunge – è noto che fu espertissimo ed esplorò con enorme scrupolosità i libri antichi”10.

  • 11 “Une sorte de dictionnaire de matière médicale” nella definizione di Jacquart & Micheau 199 (...)
  • 12 La ricostruzione storico-biografica sull’autore fa riferimento ancora a De Renzi 2000, (...)

6Questa è la situazione verso la fine del ‘400 : nel Nord e nel Sud dell’Italia vedevano la luce due edizioni a stampa, indipendenti l’una dall’altra, dell’opera, alla cui successiva fortuna diede impulso l’utilizzazione, attestata fino al XVI secolo, negli studia di medicina e farmacia di tutta Europa. Il suo ruolo nella farmacopea moderna e nella storia dell’insegnamento medico è stato continuamente ribadito negli studi sulla storia della medicina, della farmacopea e delle professioni medico-farmaceutiche11, eppure gli studi specifici sono estremamente scarsi12.

  • 13 García González 2007, 20-21. Un’indagine dei termini non solo latini, ma anche greci e arab (...)

7Le Pandectae sono un’immensa raccolta di lemmi, disposti in ordine alfabetico e senza illustrazioni : in gran parte si tratta di semplici d’uso medicinale e alimentare, di provenienza vegetale, minerale e animale, ma anche di nomi di organi del corpo umano, di malattie, di preparazioni farmaceutiche. L’opera appartiene al genere dei glossaria, synonyma, hermeneumata organizzati in ordine alfabetico, che costituiscono uno strumento fondamentale per la trasmissione del sapere medico, in particolare nella fase successiva al XII secolo in cui “el corpus médico clásico fue de nuevo revisado y enriquecido en Salerno y Toledo con información procedente de obras clásicas redescubiertas, de obras de origen árabe y de los trabajos realizados en las escuelas médicas de Occidente. La masiva incorporación de nueva terminologia técnica hizo necesaria la compilación de mejores y mas amplios glosarios que ayudaran a la comprensión de unos textos técnicos, cuyos conceptos se expresaban con palabras de al menos tres lenguas : griego, arabe y latín13.

  • 14 Da qui in poi, per facilità di lettura, la segnatura del codice si abbrevia in Mantova, BM  (...)

8I lemmi hanno estensioni differenti : alcuni si limitano all’indicazione del relativo sinonimo o equivalente latino, greco o arabo, mediante la formula id est, che deriva dalle raccolte di sinonimi, molto diffuse tra XII e XIII secolo. Talvolta alla forma sinonimica semplice (id est) si aggiungono altre informazioni, come si vede in uno dei testimoni più antichi, il ms. Mantova, Biblioteca Municipale, A V 8 (138), la cui stesura fu terminata nel 139314 :

  • 15 Ms. Mantova, BM 138, f. 4va.

Abuch i. ysopus.
Abugilise i. lactuca asini uel dicitur sumaren et succaren ; a dyascoride dicitur anchusa et est secunda species eius : lege litteram lactuca asini
15.

Abuch è l’issopo.
Abugilise è la lactuca asini oppure è detta sumaren e succaren. È detta da Dioscoride anchusa ed è la seconda specie di questa : vedi alla lettera lactuca asini.

  • 16 Ad esempio nel ms. Firenze, BML, Ashburnam 224, codice datato del 1442, che misura all’inci (...)
  • 17 V. lemma Ciragra (ms. Mantova, BM 138, f. 67rb) : In libro ad Glauconem Guaripontum (...)
  • 18 V. lemma Amorelum (ms. Mantova BM 138, f. 22rb) : Amorelum fructex est sarmentosa h (...)
  • 19 I vv. 730-737 al lemma Scabiosa (Mantova, BM 138, f. 180ra) : Dicitur quod sanctus Urbanus (...)
  • 20 Citato come : Negocium simplicium medicinarum, v. lemma Pistachia (Mantova, BM 138, (...)
  • 21 V. lemma Camelea (Mantova, BM 138, f. 52ra) : Simon de Ianua in Sinonimis suis : co (...)

9Accanto alla forma strettamente sinonimica, breve o ampliata, c’è la forma estesa, ‘enciclopedica’, dove i lemmi occupano anche tre o quattro colonne in codici di grandi dimensioni16. Ognuno dei lemmi si apre con il nome del semplice – in arabo, in greco o in latino – seguito dai sinonimi in latino e nelle altre lingue e quindi dalla descrizione morfologica, costituita da un collage di auctoritates antiche. Silvatico le indica di volta in volta, spesso in forma abbreviata : in primis, tra questi, il già citato Ps.-Serapione del Liber aggregatus, Dioscoride, Galeno, Avicenna, ma anche testi della tradizione salernitana come Guarimpoto o Garioponto17, Ursone18, il Flos medicinae Salerni19, il Circa instans20, Simone di Genova21.

10Quindi si passa alle possessiones, con l’indicazione della gradazione rispetto alle quattro qualità, desunte soprattutto da Ps.-Serapione, con eventuale aggiunta dei dosaggi e preparazioni composite. Tale struttura non è rispettata sistematicamente, ma spesso, dopo l’esposizione delle Possessiones, si ritorna ad altre auctoritates.

11Nella denominazione dell’opera risalente all’autore (pandecta sinonimorum, ciborum et medicinarum simplicium aggregatarum oppure medicinalis pandecta ex multis collecta) parola chiave è la raccolta, collectio o aggregatio, come per una delle maggiori fonti di Silvatico, il Liber aggregatus o aggregationum di Ps.-Serapione : ma mentre in quest’ultimo il criterio di organizzazione è quello delle gradazioni e delle proprietà, nelle Pandecte, come già in Simone di Genova, la materia è disposta secondo l’ordine alfabetico.

  • 22 Ad esempio nei mss Mantova, BM 138 e Glasgow, Hunterian Library, 35 (d’ora in poi HL 35), i (...)

12Nei codici più antichi non emerge una netta distinzione gerarchica nella grafia tra le voci più ampie e quelle che si limitano ad un sinonimo o traduzione del lemma : tutt’al più la sola iniziale è scritta in carattere più grande22. Da un certo momento in poi, viene introdotto uno strumento di facilitazione alla consultazione che dalla tradizione manoscritta va a confluire nelle edizioni a stampa : le tavole degli indici, premesse o posposte all’opera.

  • 23 Cf. Bottiglieri 2007, 35-40.

13I sedici testimoni finora noti si suddividono come segue23 :

I manoscritti del Liber pandectarum medicinae (censimento provvisorio)
senza indici
XIV secolo
GLASGOW, Hunterian Library, 35
MANTOVA, Biblioteca Municipale, A V 8 (138)
XV secolo
FIRENZE, Biblioteca Medicea Laurenziana, San Marco 136
con indici
XV secolo
FIRENZE, Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashburn. 224 (1442)
BRUXELLES, Bibliothèque Royale ‘Albert Ier’, II 2528 (1453)
KRAKOW, Biblioteka Jagiellonska, cod. 832 (1455)
BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA, Vat. lat. 13010 (1461)
BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA, Pal. lat. 1292 (parziale) (1472)
BRUGES, Stadsbibl., 473 (1473)
BONN, Universitätsbibliotek, S 478
VENEZIA, Biblioteca Marciana, Lat. Z. 313
VERCELLI, Biblioteca Agnesiana del Seminario, s.n.
non precisato
MODENA, Biblioteca Estense, Fondo Campori, 213 (Gamma B 1,6)
MÜNCHEN, Staatsbibliothek, Clm 30
OXFORD, Magdalen College, 133
VENDÔME, Bibliothèque municipale, 227
  • 24 Lemma numerato nel codice laurenziano Ashburnam 224, f. 249 ra.

14Un esempio di tavola di indici è quella del ms. Firenze, BML, Ashburnam 224, f. 1r. Agli indici viene aggiunta la numerazione dei lemmi, cioè di quelli che erano già stati messi in rilievo con un’iniziale più grande, come si vede nello stesso manoscritto24. Si delineano a questo punto due tipologie di configurazione : si è indotti a pensare che la soluzione semplice, che dai codici più antichi finora reperiti, quelli di Mantova e Glasgow, si trasmette nell’editio princeps di Angelo Catone Sepino, venga abbandonata, mentre si afferma quella più articolata, con indici e numerazione dei capitoli dei lemmi più rilevanti, che si tramanda alle edizioni successive.

Tavolo 1

Mantova, BM 138 Glasgow, Hunter. 35 Vaticano Latino 13010 Firenze, BML, S. Marco 136 Venezia, Bibl. Marc. Z 313 Firenze, BML, Ashburn. 224
Achiani i. castoreum Achiani i. castoreum Achochioni i. castoreum Achiani i. castoreum Aagi i. ebur Aagi i. ebur
Aagi i. ebur Aagi i. ebur Aagi i. ebur Aagi i. ebur Aachiani i. castoreum Aachiani i. castoreum
Aakade i. bakade Aakade i. bakade Aakade i. akade Aakade i. bakade Aakade i. bakade Aakade i. bakade
Anisangilem i. cinamum Anisangilem i. cinamum Anisangilem i. cinnamum Anisangilem i. cinnamum Aanisangilem i. cumanum Aanisangilem i. cumanum
Aanzarolm i. sarcocola Aanzarolm i. sarcocola Aanzarolm i. sarcacolla Aanharolz i. sarcocola Aanlzarolm i. sarcocolla Aanlzarolm i. sarcocolla
Aatim i. nux muscata (manca Aatim nux muscata) Atim i. nux muscata (manca Aatim nux muscata) Aatum i. nux muscata Aatum i. nux muscata
Aaron Aaron Aron Aaron Aaron Aaron
Aec Aec Aec Aec Aec Aec
Aech i. centonica Aec i. centonica Aaich i. centonica Aec i. centonica Aec i. centonica Aec i. centonica
Aegilops i. avena Aegilops i. avena Aegilops i. avena Aegilops i. avena Aegilops i. avena Aegilops i. avena
Aegistios i. propoleos Aegistios i. propoleos Aegistios i. propoleos Aegistios i. propoleos Aegistios i. propoleos Aegistios i. propoleos
Aegiros i. populus arbor Aegiros i. populus arbor Aegiros i. populus arbor Aegiros i. populus arbor Aegiros i. populus arbor Aegiros i. populus arbor
Aer i. arbor thuris Aer i. arbor thuris Ael i. arbor thuris Aer i. arbor thuris Aer i. arbor thuris Aer i. arbor thuris
Aelip i. yndia Aelip i. india Aelip i. india Aelip i. india Aelip i. india Aelip i. india
Aemazan eleantos i. sanguis ericii Aemasam eleantos i. sanguis ericii Aemazani eleantos i. sanguis ericii Aemagam eleantos i. sanguis ericii Aemasam eleantos i. sanguis ericii Aemazam eleantos i. sanguis ericii
Aerai : i. egrituda frigida… Aerai : i. egritudo frigida… Aerai i. egritudinis… Aerai : i. egritudo frigida Aerai : i. egritudo frigida Aerai : i. egritudo frigida
Aerina Aerina Aerma (de assaro vel baccara) Aerma Aerma Aerma

15L’ordine alfabetico coincide nei manoscritti e nelle stampe fino al 1492, anno in cui fu pubblicata una nuova edizione curata da Giorgio de Ferrari, che diede vita ad una nuova disposizione e numerazione dei lemmi, introducendo anche all’interno dei sinonimi (quelli costituiti solo da id est) il rinvio ai capitoli numerati, con la trattazione più estesa.

Tavolo 2

Ed. Napoli 1474 Ed. Bologna 1474 Ed. Vicenza 1480 Ed. Venezia 1492 Ed. Venezia 1523
AARON

AEC

Aec i. centonica

Aegilops i. avena

Aegistios i. propoleos

Aegiros i. populus arbor

Aer i. arbor thuris

Aelip i. india

Aemazani eleantos i. sanguis ericii

AERAI i. egritudo frigida

AERINA
Achiani i. castoreum

Aagi i. ebur

Aakade i. bakade

Anisangilem i. cinamum

Aamkarok i. sarcocolla

Aatim i. nux muscata

Cap. I : AARON

Cap. II : AEC

Aech i. centonica

Aegilops i. avena

Aegiro i. populus arbor

Aegistros i. propoleos

Ael i. arbor thuris

Aelip i. india

Aemazameleantos i. sanguis ericii

Aerai i. egritudo frigida

Cap. III : AERMA
Achiani i. castoreum

Aagi i. ebur

Aakade i. bakade

Anisangilem i. cinamum

Aamkarok i. sarcocolla

Aatim i. nux muscata

Cap. I : AARON

Cap. II : AEC

Aech i. centonica

Aegilops i. avena

Aegiro i. populus arbor

Aegistros i. propoleos

Ael i. arbor thuris

Aelip i. india

Aemazameleantos i. sanguis ericii

Aerai i. egritudo frigida

Cap. III : AERMA
Aachiani i. castoreum

Aagi i. ebur

Aakade i. bakade

Anisangilem i. cinamum

Aamkarok i. sarcocolla

Cap. I : AARON

Aatim i. nux muscata

Cap. II : ABAISIR

Abalzar i. catapucia

Abani i. marubium

Abanifa i. sene

Abanesira est quedam medicina inda

Abantib alcutub vel cutubub Akantib cutub Avic. li 3° sunt species melancolie

Abarum abar albar id est plumbum

Abalarosa i. semen mandragore

Abcaufe i. arbor sebesten

Abcer i. cera

Abcella i. est agrimonia

Abchios i. barba iovis

Abdamisemen i. carpobalsamum

Abdios sive tigris id est barba iovis

Abebei i. boni odoris

Abebene i. nux muscata

Abedengegemus i. tornasolis

Abesanida quid e. l. heali

Abel i. acris pro savina l. abhel…

Cap. III : ABEL
Aachiani i. castoreum

Aagi i. ebur

Aakade i. bakade

Anisangilem i. cinamum

Aamkarok i. sarcocolla

Aatim i. nux muscata

Cap. I : AARON

Cap. II : ABAISIR

Abageri e. arbor de quo Gal. in 6 de simp. facit cap. et est 38

Abalzar i. catapucia

Abani i. marubium

Abanifa i. sene

Abanesira est quedam medicina inda

Abantib alcutub vel cutubub Akantib cutub Avic. li 3° sunt species melancolie

Abarum abar albar id est plumbum

Abaton i. kolocasia et est planta quedam spinosa esibilis. Gal. 2° de alimen. Ca 38

Abalarosa i. semen mandragore

Abcaufe i. arbor sebesten

Abcer i. cera

Abcella i. est agrimonia

Abchios i. barba iovis

Abdamissemen i. carpobalsamum

Abdios sive tigris id est barba iovis

Abebei i. boni odorisAbebene i. nux muscata

Abedengegemus i. tornasolis

Abesanida quid e. l. heali

Abel i. acris pro savina l. abhel…

Cap. III : ABHEL

16Nella valutazione della fattibilità di un progetto di edizione critica delle Pandectae, alle difficoltà connesse alla natura stessa dell’opera, aperta ad infinite aggiunte e integrazioni nel corso degli anni, si sommano :

    • 25 Cf. García González 2007.

    la straordinaria ampiezza : per dare un’idea, il glossario Alphita occupa 10 fogli di un manoscritto contro i circa 200 di Silvatico25 ;

    • 26 Cf. Ventura 2009.
    • 27 Un lavoro di preparazione all’edizione è quello di Dahhaoui 2001.

    la vasta tradizione (16 i codici finora censiti oltre alle edizioni a stampa) : ad esempio il Tractatus de herbis è tràdito dal solo ms. Egerton 74726, mentre simile a quella di Silvatico è la situazione del Circa instans o della Clavis di Simone di Genova27.

17Compito dell’editore dovrebbe essere la ricostruzione del testo nella redazione più vicina a quella che rispecchia le intenzioni dell’autore, anche in molteplici stratificazioni, al termine di un’indagine sulla tradizione dell’opera attraverso i passaggi e gli accidenti della trasmissione. Qui vorrei illustrare alcuni problemi editoriali alla luce di saggi effettuati su circa un terzo dei codici finora censiti.

18Il lemma di un semplice vegetale molto noto, l’artemisia o mater herbarum, pone un problema filologico. Silvatico raccoglie qui le auctoritates di Dioscoride e Galeno e mutua dal Circa instans la trattazione delle possessiones. In alcuni testimoni l’artemisia è descritta come fructuosa “che produce frutti” : lo vediamo ad esempio nei manoscritti di Mantova, del Vaticano e di Vendôme.

Tavolo 3

Mantova, BM 138 (anno 1393), f. 27v Città del Vaticano, BAV, Vat. lat. 13010 (anno 1461), f. 42v Vendôme, BM 227 (s. XV), f. 32v
Arthemisia vel mater herbarum vel matricaria latine, grece tagates arabice vero leptafilos ; Arthemisia herba est fructuosa similis absinthio vel abrothano sed vastior est et foliis latior sed aspectu fere talis, non est albi coloris ut absinthium, et est habens gravem odorem, gustu amara, hastas habet longas, florescit estatis tempore floribus similibus floribus camomille grave olentibus et amaris, nascitur maxime in locis maritimis, est calida et sicca in secundo gradu. Et dicitur arthemisia quoniam sic vocabatur uxor regis Massoris que voluit eam sic nominari. Arthemisia vel mater herbarum vel matricaria latine grece tagates arabice leptafilos ; artemisia herba est fructuosa similis absinthio vel abrotano sed vastior est et foliis latior sed aspectu fere talis est albi coloris ut absinthium, est habens gravem odorem, gustu amara, hastas habet longas, florescit estatis tempore floribus similibus floribus camomille grave olentibus et amaris, nascitur maxime in locis maritimis, est calida et sicca in secundo gradu et dicitur artamisia quoniam sic vocatur uxor regis Masoris qui voluit eam sic vocari. Artemisia id est mater herbarum vel matricaria latine grece tagates, arabice vero leptafilos ; Arthemisia herba est fructuosa similis absinthio vel abrotano sed vastior est et foliis latior sed aspectu fere talis non est albi coloris ut absinthium, est habens gravem odorem, gustu amara, hastas habet longas, florescit estatis tempore floribus similibus floribus camomille grave olentibus et amaris, nascitur maxime locis maritimis, est calida et sicca in secundo gradu et dicitur arthemisia quia sic vocabatur uxor regis Masoris qui voluit eam sic vocari.

19Altri codici al posto di fructuosa leggono fructicosa, diffusa variante di fruticosa “abbondante di germogli o di ramoscelli”, che deriva dal sostantivo frutex.

Tavolo 4

Firenze, BML, S. Marco 136 Firenze, BML, Ashb. 224
Arthemisia vel mater herbarum vel matricaria latine, grece tagetes, arabice vero leptafillos ; Arthemisia herba est fructicosa similis absinthio vel abrothano sed vastior est et foliis latior sed aspectu fere talis, non est albi coloris ut absinthium, est habens gravem odorem, gustu amara, hastas habet longas, florescit estatis tempore floribus similibus floribus camomille grave olentibus et amaris, nascitur maxime in locis maritimis, est calida et sicca in secundo gradu. Et dicitur arthemisia quoniam sic vocabatur uxor regis Massoris que voluit eam sic vocari. Arthemisia vel mater herbarum vel matricaria latine, grece tagetes, arabice vero leptafillos ; Arthemisia herba est fructicosa similis absinthio vel abrothano sed vastior est et foliis lacior sed aspectu fere talis, non est albi coloris ut absinthium, est habens gravem odorem, gustu amara, hastas habet longas, florescit estatis tempore floribus similibus floribus camomille grave olentibus et amaris, nascitur maxime in locis maritimis, est calida et sicca in secundo gradu. Et dicitur arthemisia quoniam sic vocabatur uxor regis Massoris que voluit eam sic vocari.
  • 28 Mi conforta il parere espressomi oralmente dal botanico Luciano Mauro, che ha tracciato una (...)

20Nella realtà botanica l’artemisia non è una pianta fruttifera, sicuramente invece si può identificare con un arbusto28. La lezione fructicosa appare una lectio difficilior rispetto a fructuosa. L’aggettivo fructicosus non è ignoto alle Pandectae : è attribuito, ad esempio, al Botris (botrichio) : herba fructicosa tota spansa super terram, nel codice mantovano, f. 44v.

21È emblematico che l’editio princeps napoletana del 1474 e la sua ‘concorrente’ bolognese di pochi mesi dopo presentino le due lezioni diverse.

Tavolo 5

Ed. Napoli 1474 Ed. Bologna 1474
Arthemisia vel mater herbarum vel matricaria latine, grece tagates arabice vero leptafilos ; Arthemisia herba est fructicosa similis absinthio vel abrothano sed vastior est et foliis latior sed aspectu fere talis non est albi coloris ut absinthium, est habens gravem odorem, gustu amara, hastas habet longas, florescit estatis tempore floribus similibus floribus camomille grave olentibus et amaris. Nascitur maxime locis maritimis, et est calida et sicca in secundo gradu. Et dicitur arthemisia quoniam sic vocabatur uxor regis Massoris qui voluit eam sic vocari. Arthemisia vel mater herbarum vel matricaria latine, grece tagetes arabice vero leptafillos ; Arthemisia herba est fructuosa similis absinthio vel abrotano sed vastior est et foliis latior sed aspectu fere talis non est albi coloris ut absinthium, est habens gravem odorem, gustu amara, hastas habet longas, florescit estatis tempore floribus similibus floribus camomille grave olentibus et amaris. Nascitur maxime locis maritimis, est calida et sicca in secundo gradu. Et dicitur arthemisia quoniam sic vocabatur uxor regis Mausoli qui voluit eam sic vocari, que antea ut inquit Plinius Parthenis vocabatur et sunt qui ab Arthemide arthemisiam cognominatam putant, quoniam privatim medicatur feminarum malis.
  • 29 Nel testo di Simone di Genova, che si serve di Dioscoride, si legge fructuosa. L’edizione u (...)

22Possiamo concludere che la stampa napoletana, che dovrebbe derivare dal manoscritto regio, conservi la lezione autentica, ammesso che questa sia stata la scelta dell’autore e che l’edizione bolognese riproduca una corruttela presente nel manoscritto a cui attinge ? La fonte di Silvatico è Simone di Genova, nella cui tradizione testuale, tuttavia, ci sono entrambe le lezioni fructuosa e fructicosa29.

  • 30 Spesso questi sono studenti di medicina a Bologna o a Padova, che si guadagnano da vivere (...)

23Uno dei problemi più complessi è quello delle auctoritates utilizzate da Silvatico. A differenza di Simone di Genova, che nella prefazione ai Synonyma enuncia le proprie fonti, Matteo non lo fa programmaticamente : all’interno delle voci premette il nome dell’autore da cui trae le informazioni, ma il tutto non è sempre chiaro e sistematico. Ma è la natura stessa dell’opera, che vuole raccogliere tutto lo scibile tramandato (“pandectae”) su una sostanza, un alimento o una medicina a legittimare negli anni l’integrazione di informazioni da parte sia dei copisti dei manoscritti30 che dei curatori delle edizioni, come si vede nel confronto tra l’edizione di Matteo Moreto (1474) :

Opus pandectarum medicine emendatum per eximium artium et medicine doctorem dominum et magistrum Matheum Moretum Brixanum Bononie in medicina et astronomia legentem.

Libro delle Pandecte della medicina emendato dall’esimio dottore delle arti e della medicina, signore e maestro Matteo Moreto di Brescia docente di medicina e astronomia a Bologna.

e quella di Giorgio de Ferrari (1492), che dichiara di aver aggiunto le integrazioni di Simone di Genova e le citazioni di Plinio, Galeno e di altri dottori :

Opus Pandectarum ordinatum secundum litteras alphabeti ita ut facillime et quam primum reperiatur quicquid inest per eximium artium et medicine doctorem Georgium de Ferrariis de Monteferrato qui nuperrime addidit Sinonyma succincte que deerant Symonis Ianuensis locis propriis cum quotationibus auctoritatum Plinii, Galenii et aliorum doctorum.

Libro delle Pandecte ordinato secondo le lettere dell’alfabeto affinché ogni cosa sia reperita il più facilmente e velocemente possibile, ad opera dell’esimio dottore delle arti e della medicina Giorgio de Ferrari di Monferrato, che vi ha da pochissimo aggiunto succintamente i Sinonimi di Simone di Genova che mancavano, nei rispettivi passi, insieme alle citazioni dalle autorità di Plinio, Galeno e altri dottori.

In alcuni casi è facile distinguere le aggiunte di auctoritates successive.

24Nella stampa del 1498 il lemma Adamis, cioè panis porcinus, è desunto da Cristoforo degli Onesti, morto nel 1392, docente a Perugia e a Bologna e autore di un commento sul diffusissimo Antidotarium Mesue.

Tavolo 6

Ms. Mantova, BM 138, f. 6vb Ed. Napoli 1474 (Catone Sepino) Ed. Venezia 1492 (De Ferrari)
Adamans est quidam lapis qui dicitur lapis adamans pro quo lege lapis adamans

Adana elfara i. auricula muris

Adarinus i. lupinus

Adarsesiham i. silfium
Adamans est quidam lapis qui vocatur lapis adamans Adamans est quidam lapis

Adamis i. panis porcinus. Christophorus de Honestis

Adanaelfara Haliabas i. auricula muris

Adanar est radix arthanite

Haliabas in secundo pratice
Adarsesalsan idem quod supra

Adarasea i. elleborus albus

Adarcha i. calamus aromaticus

Adar est quedam herba sicut ysopus satis stiptica

Adarce vel adarcis id est flos aque marine ut fungus maris…
Adana elfara i. auricula muris

Adarinus i. lupinus

Adarsesiham i. silfium

Adarsesihan i. silfium

Adarsesalzan idem quod supra

Adarasca i. elleborus albus

Adarcha i. calamus aromaticus

Adar est quedam herba sicut ysopus satis stiptica

ADARCE vel adarcis i. flos aque marine ut fungus maris…
Adar est quedam herba sicut ysopus satis stiptica

CAPITULUM XI

Adarce vel adarcis i. flos aque marine ut fungus maris…

25Un altro caso simile è la voce Alfase :

  • 31 Testo tratto dal ms. Mantova, BM 138, f. 11va.

Alfase i. cum caro interior est corrupta et fit nigra et est ibi solutio continuitatis et fit quandoque ex percussione et quandoque ex vulnere31.

Alfase è quando la carne interna è corrotta e diventa nera e c’è una soluzione di continuità e accade sia a causa di una contusione che di una ferita.

26Questa si trasmette dalla tradizione manoscritta alle stampe (1474, 1492), finché l’edizione veneziana del 1523 non aggiunge una nuova auctoritas, il medico Niccolò Falcucci, morto nel 1412 e autore dei Sermones medicinales, per vari decenni un punto di riferimento obbligato per gli studenti di medicina :

  • 32 Ed. Venezia 1523.

Alfase i. cum caro interior est corrupta et fit nigra et est ibi solutio continuitatis et fit quandoque ex percussione et quandoque ex vulnere. Nicolus sermone 7° tra. 4 exponit i. contusio vel punctura vel scarificatio32.

Alfase è quando la carne interna è corrotta e diventa nera e c’è una soluzione di continuità e accade sia a causa di una contusione che di una ferita. Niccolò, sermone VII, trattato 4 espone : è una contusione o puntura o scarificazione.

27Una delle maggiori difficoltà è cercare di capire se autori più antichi siano utilizzati direttamente da Silvatico o se i loro nomi siano stati trascritti perché citati dalle sue fonti, come illustra l’esempio seguente. Il lemma Sturagen, in latino Hermodactylus, presenta nella versione del codice mantovano alcuni ampliamenti, diversamente dagli altri manoscritti e dalle stampe successive : nella trascrizione che segue sono evidenziati in grassetto rispetto allo stesso lemma nell’edizione veneziana del 1523.

Tavolo 7

Ms. Mantova, BM 138, f. 187va Ed. Venezia1523, cap. 658
SURAGEN vel surumon arabice grece archimeron vel coliticon latine vero hermodatilus.
Sara li° aggregationis ca° sturigen auctoritate Dya. Sturagen i. hermodatilus est herba que florescit in fine autumpni et flos eius est albus similis in figura sua flori croci deinde emittit folia similia foliis bulbi in quibus est humiditas adherens manui et habet stipitem in longitudine unius palmi porrectum cuius color est albus declinans ad rubedinem, et habet radicem cuius color est [rubi] niger declinans ad rubedinem, sed quando aufertur cortex apparet eo radix interius alba mollis dulcis saporis et plena humiditate que grece vocatur colticon ut apparet in ipsa littera. Est autem radix ipsa rotunda similis cepe bulbi et habet radix ipsa in medio sui scissuram ex qua egreditur stipes super quem est flos. Multum nascitur [in] hec herba in loco qui dicitur karum et in terris que dicuntur gragna et hec radix si comeditur occidit strandulando sic occidunt fungi. Nos autem memoramus circa in libro nostro illius ne errans aliquis edat eam loco bulbi nam ipsa est boni saporis dulcis et delectabilis quod ipsam fortasse comederet aliquis ignorans. Conferunt autem illi qui ipsum comederit omnia que conferunt illi qui comederit fungos malos. Est autem summum eis remedium lac bovinum, non eget nam alio medicamine qui ipsum sumpsit. Et dixit iterum dya. in [li°] ca° de archimeron : et est lilium silvestre quod hermodatilus que dicitur achimeron et est interficiens et ita transtulit albatharis in translatione sua in medicinis simplicibus.
STURAGEN vel surumen arabice grece achimeron coliricon latine vero hermodactilus.
SERAPIO auct. Dya. Sturagen sive suragen i. hermodactylus est herba que florescit in fine autumpni et est eius flos albus similis in figura sua flori croci deinde emittit folia similia foliis bulbi in quibus est humiditas adherens manui et habet stipitem in longitudine unius palmi porrectum cuius color est albus declinans ad nigredinem, et habet radicem cuius color est niger ad rubedinem declinans, sed quando aufertur cortex apparet radix interius alba saporis dulcis, mollis et plena humiditate que grece vocatur collicticon. Est autem radix ipsa rotunda similis cepe bulbi et radix ipsa habet in medio sui scissuram, ex qua egreditur stipes super quem est flos. Multum nascitur in loco dicto charin et in terris dictis guagua et hec radix et alia si comeditur occidit strangulando sicut fungi. Est autem comedentibus remedium lac bovinum.
DIAS cap. de achimeron dicit quod est lilium silvestre et est interficiens.
  • 33 “Noi ne facciamo menzione nel nostro libro affinché nessuno lo mangi confondendolo con la c (...)

28La parte presente solo nel codice di Mantova, uno dei più antichi delle Pandectae, introduce un nos che potrebbe trarre in inganno, facendo pensare a Silvatico33 : in realtà, dall’esame delle fonti, il passaggio risulta essere tratto da Ps.-Serapione, auctoritas citata all’inizio del lemma, di cui tuttavia non tutta la tradizione di Silvatico riporta l’intera voce, che a sua volta, per tutta la parte iniziale, è tratta da Dioscoride. Dall’Aggregatus derivano anche le altre auctoritates citate : Galeno, Mesarugie, Aben Mesue, Habix, Paolo di Egina, Giovanni Mesue. Ecco a confronto la parte iniziale del lemma, come si legge nel codice mantovano e nel Liber aggregationis.

Tavolo 8

  • 34 Questa e tutte le altre citazioni del testo di Ps.-Serapione sono tratte da (...)
Ms. Mantova, BM 138, f. 187v Liber aggregationis, cap. 194 : De Hermodactylis34
SURAGEN vel surumon arabice grece archimeron vel coliticon latine vero hermodatilus.
Sara li° aggregationis ca° sturigen auctoritate Dya. Sturagen i. hermodatilus est herba que florescit in fine autumpni et flos eius est albus similis in figura sua flori croci deinde emittit folia similia foliis bulbi in quibus est humiditas adherens manui et habet stipitem in longitudine unius palmi porrectum cuius color est albus declinans ad rubedinem et habet radicem cuius color est [rubi] niger declinans ad rubedinem sed quando aufertur cortex apparet eo radix interius alba mollis dulcis saporis et plena humiditate que grece vocatur colticon ut apparet in ipsa littera. Est autem radix ipsa rotunda similis cepe bulbi et habet radix ipsa in medio sui scissuram ex qua egreditur stipes super quem est flos. Multum nascitur [in] hec herba in loco qui dicitur karum et in terris que dicuntur gragna et hec radix si comeditur occidit strandulando sic occidunt fungi. Nos autem memoramus circa in libro nostro illius ne errans aliquis edat eam loco bulbi nam ipsa est boni saporis dulcis et delectabilis quod ipsam fortasse comederet aliquis ignorans. Conferunt autem illi qui ipsum comederit omnia que conferunt illi qui comederit fungos malos. Est autem summum eis remedium lac bovinum, non eget nam alio medicamine qui ipsum sumpsit. Et dixit iterum dya. in [li°] ca° de archimeron : et est lilium silvestre quod hermodatilus que dicitur achimeron et est interficiens et ita transtulit albatharis in translatione sua in medicinis simplicibus.
Surugen id est hermodactylus. Dioscorides : Est herba quae florescit in fine autumni et est eius flos albus, similis in figura sua flori croci, deinde emittit folia similia foliis bulbi, in quibus est humiditas adhaerens manui, et habet stipitem in longitudine unius palmi porrectum, cuius color est albus declinans ad nigredinem et habet radicem cuius cortex est niger ad rubedinem declinans. Sed quando aufertur cortex, apparet radix interius alba mollis dulcis saporis et plena humiditate. Est autem radix ipsa rotunda similis cepe bulbi et habet radix ipsa in medio sui scissuram e qua egreditur stipes super quem est flos. Nascitur multum haec herba in loco qui dicitur karin et in terris quae dicuntur gnagna. Haec radix si comedatur occidit strangulando sic occidunt fungi.
Nos autem memoravimus esse illius in libro nostro ne errans aliquis comedat eum loco bulbi nam ipsa est boni saporis dulcis et delectabilis quare fortassis comederet eam aliquis ignorans ; conferunt autem illi qui ipsum comederit omnia que conferunt illi qui comedit fungos malos,est autem summum remedium ei lac bovinum, non egent nam ullo adiutorio qui eum sumpserunt. Et dixit iterum Dioscorides in capitulo de Achimeron et est lilium silvestre quod hermodactylus que dicitur achimeron est interficienset ita transtulit albatarich in translatione sua in medicinis simplicibus.

29Due le ipotesi : può essere stato Silvatico ad aver omesso parte del lemma dell’Aggregatus, che il copista del codice di Mantova – isolato dal resto della tradizione – ha integrato, oppure è successo il contrario : la parte in questione è stata accidentalmente omessa e la lacuna si è ripetuta nel resto della tradizione e poi nelle edizioni a stampa.

  • 35 Cf. ad esempio il lemma Abrog : Isto tum semine caremus nos in partibus istis (ms. Mantova, (...)

30Il caso ora illustrato rinvia ad un altro problema che si pone di frequente, allorché ci si imbatte in precisazioni apparentemente riferite all’esperienza personale dell’autore, del tipo “questa pianta non si trova nelle nostre regioni”35, oppure nei numerosi avvertimenti, testimonianze di viaggi, verifiche condotte in prima persona. In alcuni casi è facile evincere che è l’auctoritas a parlare : ad esempio, nei lemmi dei semplici minerali le esperienze riferite al Nord Europa ed alla Germania in particolare sono mutuate quasi per intero da Alberto Magno.

31Altre auctoritates, come Simone di Genova e il Liber aggregatus, dal momento che di queste opere, in mancanza di edizioni critiche, sono consultabili soltanto in singoli codici o stampe più tarde, sono più difficili da individuare, come si può vedere negli esempi che seguono.

32Il codice mantovano alla voce mala apia (sinonimo breve) riporta :

  • 36 Ms. Mantova, BM 138, f. 149ra. “Appia” è una delle denominazioni usate per la mela (...)

Mala apia que Paulus commendat sunt mala praedulcia cuius testis sum nam Parisii et Rome vidi et comedi36.

Le mele appie che Paolo (di Egina) elogia sono mele dolcissime che ho provato di persona : infatti le ho viste e mangiate a Parigi e a Roma.

  • 37 Nella tradizione della Clavis sanationis sono presenti entrambe le città, cf. l’edizione mi (...)

33L’edizione napoletana, al contrario delle successive, riporta, anziché Parisii, Perusii (Perugia). L’esame delle fonti dimostra che nessuno dei due luoghi è legato all’esperienza di Silvatico, poiché il lemma Mala apia è tratto da Simone di Genova37.

34Un altro caso simile è quello del lemma Maaleb (ciliegio canino) :

  • 38 Ms. Mantova, BM 138, f. 148v.

Mahaleb arabice exponitur in libro Rasis de lapide quod est nominatum in lingua yspanica arzevo. Et ego quesivi ab yspanis quid esset arzevo et ostenderunt mihi agrifolium. Verum arabs dixit michi quod est arbor quam non habemus in partibus nostris38.

Maleb : arabo, se ne parla nel libro di Rasis sulla pietra, e viene chiamata arzevo in spagnolo : io chiesi agli spagnoli che cosa fosse l’arzevo e mi mostrarono l’agrifoglio. Però un arabo mi disse che è un albero che non abbiamo nelle nostre regioni.

35Chi chiede informazioni agli spagnoli non è Silvatico, ma Simone di Genova, citato testualmente senza indicazione del nome. Alla Spagna si riferisce anche il lemma Mala matiana (Melo selvatico), dove Silvatico scrive : “nella lingua spagnola invece chiamano matiana anche quelle le mele domestiche”, e anche qui la fonte è Simone di Genova, che a lungo visse a Cordoba :

  • 39 La mela “maziana” prende il nome da Caio Mazio (I sec. a.C.) ed era apprezzatissima in epoc (...)

Maciana mala exponit Ysido. quod a loco dicuntur, quidam vero exponunt silvestria, vulgari tamen yspanico etiam domestica omnia maciana dicunt D. vero de ipsis proprium facit ca. mala inquit maciana cum adhuc immatura stiptica sunt, in alio tamen ca. exponit quod sunt estiva, apud Sera. vero ex verbo Dya. habetur quod colliguntur in vere, et Avicen. in hoc concordare videtur, nam dicit quod nocent nervis proprie vernalia sicut dicit Dya39.

Maciana mala : Isidoro dice che prendono il nome dal luogo, alcuni invece dicono che sono quelle selvatiche ; tuttavia nel volgare spagnolo anche le mele domestiche sono chiamate tutte ‘maziane’. D(ioscoride) tratta di esse in un capitolo a parte e dice : le mele ‘maziane’ quando ancora non sono mature sono stiptiche, in un altro capitolo dice che sono estive, in Serapione, che ripete Dioscoride, si trova che si raccolgono in primavera e Avicenna sembra concordare in questo, infatti dice che fanno male ai nervi propriamente quelle primaverili come dice Dioscoride.

36Occorre sottolineare che Silvatico usa le sue fonti non senza senso critico, al punto da mettere in discussione anche l’auctoritas di Simone di Genova : ne è un esempio la voce Camelea, dove sono riportati i relativi passaggi della Clavis sanationis :

Camelea grece vel chamelea arabice mezerion […]. Simon de Ianua in sinonimis suis : cocognidium non est laureola ut quidam putant, quoniam cocognidium ut iam dicit Dyas. in presenti littera idem est quod mezereon secundum serrapionem et est plantula que vocatur olivela ut iam dictum est, unde quod hoc sit verum secundum ipsum patet quod Dias. facit aliud capitulum de mezereon et cocognidio vel et camelea quia idem dicuntur et aliud de laureola, nam capitulum de camelea que est mezereon vel cocognidium incipit Camelea, sed capitulum de laureola incipit Dasnoydes i. laureola et ideo sunt diversa laureola et mezereon secundum ipsum.

Camelea o chamelea in greco, mezerion in arabo […]. Simone di Genova nei Sinomini dice che il cocognidio non è la laureola come alcuni credono, poiché il cocognidio, come già dice Dioscoride nella presente lettera, è la stessa cosa del mezereon, secondo Serapione, ed è una piantina che si chiama olivela come è già stato detto ; che questa sia la verità si evince dal fatto che Dioscoride fa un capitolo sul mezereon e cocognidio e anche camelea perché equivalgono alla stessa cosa, e un diverso capitolo sulla laureola, infatti il capitolo sulla camelea che è sinonimo di mezereon e cocognidio comincia con Camelea, invece il capitolo sulla laureola comincia con Dasnoydes, cioè laureola : quindi secondo lui sono cose distinte la laureola e il mezereon”.

37Queste identificazioni non sono condivise da Silvatico, che obietta :

  • 40 Testo di Silvatico tratto dal ms. Mantova, BM 138, f. 52r.

Sed falsa est ista opinio Simonis quoniam laureola est mezereon, cuius causa est quod Iohannes filius Mesue capitulo de mezereon dicit quod mezereon est planta cuius stipites ellevantur super terram circiter cubitos duos folia eius sunt similia foliis olive […]. Et propter hoc quando Simon dicit quod laureola non est mezereon falsum dicit, quoniam, ut ostensum est, est species eius40.

Ma questa opinione di Simone è falsa perché la laureola è il mezereon, e la causa di questo è che Giovanni figlio di Mesue nel capitolo sul mezereon dice che il mezereon è una pianta i cui steli sono alti, da terra, circa due cubiti e le cui foglie sono simili alle foglie di oliva […]. E per questo quando Simone dice che la laureola non è il mezereon sbaglia, poiché, come è stato illustrato, è una specie di esso.

38Riguardo alla presenza dell’autore nei luoghi a cui si riferiscono testimonianze ed esperienze relative ai semplici, Silvatico non informa preliminarmente il lettore sui propri viaggi alla ricerca sia delle specie vegetali che della loro corretta denominazione, come aveva fatto Simone di Genova nella sua prefazione :

Nec his solum contentus sed ad diversas mundi partes per sedulos viros indagare ab advenis sciscitari non piguit usque adeo quod per montes arduos nemorosas convalles campos ripasque sepe lustrando aliquando comitem me feci cuiusdam anicule cretensis admodum sciole non modo in dignoscendis herbis <sed> et nominibus grecis exponendis.

Non soddisfatto soltanto dalla conoscenza delle fonti, mi sono impegnato, attraverso persone diligenti, ad informarmi spesso, presso stranieri, in diverse parti del mondo, fino ad esplorare monti impervi e valli boscose, campi e rive, accompagnandomi ad un’anziana donna di Creta, brava non solo a riconoscere le erbe, ma anche a spiegare i nomi greci.

39Sarà dunque assolutamente necessario sottoporre tutti i riferimenti a viaggi ed esperienze in luoghi lontani contenuti nei lemmi delle Pandectae ad una scrupolosa verifica. L’esperienza raccontata riguardo alla voce Cadimia è sicuramente tratta dal Liber aggregatus (tavolo 9).

40Benché non abbia molto senso fare delle annotazioni critiche sulla base di un confronto tra un singolo manoscritto e un’edizione a stampa, alla luce del testo dell’Aggregatus si chiariscono meglio alcuni dettagli del testo. In ogni caso già la menzione di un medicus Italie è indizio di una provenienza non italica della fonte del racconto.

  • 41 Si tratta dei lemmi Abis e del suo sinonimo Guzenma, di Esula e di Sistose. Il testo è (...)

41Più difficile interpretare le esperienze che si collocano a Tunisi, luogo che ricorre per ben tre volte, in tre lemmi diversi41 ; uno di questi è la voce Sistose, in cui confluiscono diverse auctoritates :

Sistose vel bibese vel hesbese arabice, grece galifar vel machil et in oriente vocatur adaes vel athes, latine macis. Sara. libro aggregationum capitulo sistose vel sisbese i. macis et est cortex nucis muscate que est super corticem grossum.

Sistose o bibese o hesbese in arabo ; in greco galifar o machil e in Oriente si chiama adaes o athes, in latino macis. Serapione […] sistose o sisbese è il macis. È la scorza della noce moscata che è al di sopra del guscio duro.

Tavolo 9

  • 42 In questo lemma il testo del ms. mantovano corrisponde perfettamente a quello (...)
Silvatico, Pandectae, ms. Mantova, BM 138, f. 47vb Ps.-Serapione, Liber aggregatus, ed. Milano 1473
Ego vero tempore quando ascendi in insulam scilicet Cipri non erat in domibus fornacis ex illa climia nisi res modica in fornacibus et ego reperi ab homine fideli ex illis mineris lapidem qui reperitur in montibus vel in cursibus aquarum et quando postea dedi hunc lapidem cuidam medico Italie qui erat amicus meus extimavit quod dederim sibi magnum donum quia ista species climie est nobilior et melior omnibus aliis speciebus42. Eo vero tempore quando ego ascendi in insulam illam non erat in domibus fornacis ex illa klimia que generatur in fornacibus nisi res modica. Sed ego recepi a fideli homine lapidem qui reperitur ex illis mineris in illis montibus et in cursibus aquarum et quando ego dedi postea istum lapidem cuidam medico Ytalie quidam amicus meus qui erat mecum existimavit quod dederim ei donum maximum quia ista species klimie est nobilior et melior omnibus aliis klimie speciebus et hec est illa que debet nominari klimia petrosa.
Nel tempo in cui salii nell’isola, cioè a Cipro, non v’era nei locali della fornace di quella climia se non una piccola quantità, ed io trovai da un uomo fidato, da quelle miniere, una pietra che si trova sui monti o nei corsi d’acqua, e quando poi diedi questa pietra ad un medico dell’Italia, che era amico mio, ritenne che gli avevo fatto un gran dono perché quella specie di climia è la più nobile e la migliore di tutte le altre specie. Nel tempo in cui salii in quell’isola non v’era nei locali della fornace di quella climia che è generata nelle fornaci se non una piccola quantità. Ma io ricevetti da un uomo fidato una pietra che si trova nelle miniere di quei monti e nei corsi d’acqua, e quando poi diedi questa pietra ad un medico dell’Italia, un amico mio che era con me ritenne che gli avevo fatto un dono grandissimo perché questa specie di climia è più nobile e migliore di tutte le altre specie ed è quella che dev’essere chiamata petrosa.

42Riprendendo Simone di Genova, Silvatico rileva le discordanze tra le affermazioni di Ps.-Serapione, Dioscoride, Avicenna. Già Simone, alla voce macis, aveva messo insieme le fonti principali e concludeva :

Macis vero apud Avic. auctoritate eben mesue est cortex nucis muschate quod nec negat nec affirmat et Serap. auctoritate ysaach eben amram dicit quod bisbesse est cortex nucis muschate et addit quod dicunt aliqui quod est macis, itaque non est certum apud auctores an macis sit cortex nucis muscate an sit idem cum machir et cum talisfar.

  • 43 Il testo dei Synonima è tratto dall’edizione milanese del 1473.

Il macis per Avicenna su autorità di Aben Mesue è la corteccia della noce moscata, cosa che non nega e non afferma, e Serapione su autorità di Isaac Eben Amran dice che bisbesse è la corteccia della noce moscata e aggiunge che alcuni dicono che è il macis, perciò non è sicuro negli auctoresse il macis sia la corteccia della noce moscata oppure sia la stessa cosa di machir e talisafar43.

43Silvatico aggiunge a questi un’altra fonte :

Collector huius temporis : Macis est cortex nucis muscate que adheret ipsi circumquaque ut potest videri in barbilis avelanarum et multotiens vidi et comperi sic esse. Et licet dicat Dya. quod machil i. macis est corium ligni error est translatoris quia debet dicere corium fructus ut superius patet.

  • 44 Ms. Mantova, BM 138, f. 184ra.

Un compilatore di questo tempo dice : il macis è la corteccia della noce moscata che aderisce ad essa tutta intorno, come si può vedere nella lanugine delle nocciole e molte volte ho visto e riscontrato che è così. E sebbene Dioscoride affermi che il machil, o macis, sia la scorza di legno [oppure del nocciolo N.D.T.] è un errore del traduttore perché dovrebbe dire scorza del frutto come è evidente sopra44.

44Qual è la fonte e dove finisce il suo dettato ? Il compilatore coevo di cui parla Silvatico si identifica con l’autore del glossario detto Alphita, che alla voce Macis scrive :

Macis non est flos nucis muscate, sed adheret ipsi nuci muscate circumquaque iuxta ramum ut potest videri in avellanis.

  • 45 Cf. García González 2007, 245.

Il Macis non è il fiore della noce moscata, ma aderisce alla stessa noce moscata tutto intorno vicino al ramo, come si può vedere nelle nocciole45.

45Similmente si esprime un altro importante testo anteriore a Silvatico, il Tractatus de herbis :

Dicuntur autem macis quidam cortices qui reperiuntur circa avellanas.

  • 46 Cf. Ventura 2009, 580.

Si chiamano maces le cortecce che si trovano sopra le nocciole46.

  • 47 “Molte volte ho visto a Tunisi che è così”. Il testo si legge ad esempio (con leggerissime (...)
  • 48 Tunisi è nominata alla voce Abss (hanc herbam tunneti multotiens vidi), ad esempio, nei mss (...)

46Tuttavia in nessuna delle fonti identificate è presente la constatazione, riferita ad un’esperienza diretta, multotiens vidi et comperi sic esse : potrebbe risalire allo stesso Silvatico ? Il problema si complica ulteriormente se si considera che in alcuni manoscritti al posto di et comperi appare il nome di Tunisi : multociens vidi tunnisii sicut esse47 che si tramanda anche nelle edizioni a stampa. La questione si estende inoltre agli altri lemmi che menzionano Tunisi, nei quali la fonte del riferimento non è immediatamente individuabile tra quelle più note e comunemente utilizzate da Silvatico48.

  • 49 Mentre l’inizio di un passo citato di seconda mano è quasi sempre segnalato, non si può dir (...)

47In definitiva, il rapporto tra Silvatico e le sue fonti è davvero da indagare. Si è constatato che, nelle voci di maggiore estensione, Silvatico comunemente cita le sue fonti per nome, nel caso di Dioscoride, Galeno, Ps.-Serapione, Mesue, Paolo di Egina49. Però per i lemmi più brevi Matteo trascrive spesso l’intera fonte, senza indicarne l’autore. Benché di rado sia menzionato esplicitamente, è Simone di Genova a fornire a Matteo la struttura, l’articolazione – con l’allargamento sistematico della nomenclatura alle tre lingue – delle entrate sinonimiche e anche, per ogni voce, la spiegazione del nome. La novità è che Matteo innesta sulla struttura di Simone, in cui anche le voci più ampie non raggiungono un’estensione pari a quelle delle Pandectae, l’approfondimento relativo a singoli lemmi realizzando in ognuno di essi la somma di tutte le informazioni provenienti dalle sue fonti.

48Lo studio dell’opera di Silvatico, fatto salvo il completamento dell’edizione critica, dovrebbe mirare innanzitutto a delineare più precisamente il suo apporto nella tradizione medico-botanica tardomedievale, sia approfondendo il suo modus operandi, sia passando al vaglio le informazioni per identificarne le fonti o ricollegarle all’esperienza diretta e al giudizio critico dell’autore : è evidente, dai passi riportati, che Silvatico interviene con decisione nella discussione laddove rileva discordanze o ambiguità sull’identificazione delle specie.

  • 50 A questo proposito rinvio all’intervento di Iolanda Ventura, Alberto Magno, un’auct (...)

49Un dato particolarmente significativo è inoltre la conoscenza, da parte di Silvatico, di testi relativamente recenti : l’Alphita è datato dal García González tra la fine del XII e la metà del XIII secolo ; la trattazione dei minerali di Alberto Magno (+ 1280) s’inquadra nella fase mediana, tra 1248 e 126350, ancora più recenti sono i Synonyma o Clavis sanationis di Simone di Genova, completati tra 1292 e 1296 e così pure la traduzione del Liber aggregationis fatta dal genovese.

50È essenziale collegare la conoscenza di questi testi alla loro circolazione tra il XIII e il XIV secolo, in particolare tra Salerno e Napoli, dove – sicuramente per una parte della vita – l’attività di Silvatico si svolse. Ciò non esclude, tuttavia, che Matteo abbia potuto conoscere queste fonti nel corso di suoi spostamenti, né che l’origine stessa dell’autore si collochi in un’area diversa da quella salernitana.

  • 51 Bottiglieri 2009.
  • 52 Cf. la prefazione di Matteo Silvatico nei mss Mantova, BM 138 e Glasgow, HL 35, fig (...)
  • 53 L’intestazione manca nei mss laurenziani Ashburnam 224 e San Marco 136, nel ms. Vaticano la (...)

51Avevo già illustrato in altra occasione51 come la prefazione indirizzata da Silvatico a Roberto d’Angiò, sia trasmessa dai manoscritti52, venga conservata nell’edizione napoletana di Catone Sepino, ma vada perduta nelle edizioni a stampa settentrionali, nelle quali i rispettivi curatori aggiungono una propria prefazione. Tra quelli finora esaminati, è il solo codice mantovano a conservare l’intestazione dell’opera con l’indicazione della provenienza dell’autore : Salvaticus de Salerno53. È ovvio che dietro questa indicazione potrebbe esserci non necessariamente l’origine dell’autore, ma la sua collocazione all’interno di una tradizione prestigiosa, volta ad accrescere la qualifica della sua professionalità medica con un sigillo di garanzia.

52Tuttavia, in due lemmi la menzione di Salerno da parte dell’autore si lega ad un’esperienza autobiografica che va a confermare la presenza nella città meridionale dell’autore. Nel primo di questi, la breve voce bruculi, troviamo :

  • 54 Ms. Firenze, BML, San Marco 136, f. 51r.

Bruculus est species locustarum qui aliquando in tantum habundant in terris arabum, qui terram tegunt et fruges comedunt insalsos et salsos. Et ego vidi eos salerni anno dominice incarnationis millesimo ducentesimo nonagesimo septimo54.

Il bruculus è una specie di locuste che talvolta sono così abbondanti nelle regioni degli Arabi che ricoprono la terra e divorano le messi salate e non salate. E io le ho viste a Salerno nell’anno 1297.

53Lo stesso testo si trova, con leggerissime varianti, anche nei manoscritti : Mantova, BM 138 ; Città del Vaticano, BAV, Vat. lat. 13010 ; Venezia, Biblioteca Marciana, Z 313 ; Firenze, BML, Ashburnam 224, e nell’edizione napoletana del 1474. Esso deriva sostanzialmente da Simone di Genova, ma con un’incomprensione, che non sappiamo se dovuta a Matteo o ad un accidente della tradizione manoscritta.

Bruculi in tertio libro almansoris capitulo de sale conditis : est species locustarum qui aliquando in tantum habundant in terris arabum quod terram tegunt et fruges comedunt et herbam, quare contra eos congregantur sicut in exercitum ipsosque colligunt et comedunt salsos et insalsos.

  • 55 Simone di Genova, Synonyma, Milano 1473.

Bruculi nel terzo libro di Almansore, capitolo sui cibi salati : è una specie di locuste che ogni tanto è così abbondante nelle regioni degli Arabi che ricoprono la terra e divorano le messi e l’erba, per cui contro di essi la gente si raduna come in un esercito e li raccoglie e li mangia sia col sale che senza55.

54Dal testo di Simone si comprende che cosa è successo, probabilmente un salto da uguale a uguale (comedunt) : non sono soltanto le locuste a mangiare le messi, ma anche gli uomini a mangiare le locuste, col sale o senza, dopo averle raccolte. In ogni caso, l’aggiunta “le ho viste a Salerno nel 1297” sembra provenire proprio dall’esperienza di Silvatico. Come è visibile nei manoscritti consultati, colpisce la fragilità vorrei quasi dire paleografica della precisazione “a Salerno” : Salerni si legge per esteso nel codice di Mantova e nel Vaticano latino 13010, in forma abbreviata (Sałni) nel ms. Laurenziano San Marco 136 ; si trasforma in saltem, “almeno” (che nel contesto non ha molto senso) nel ms. Laurenziano Ashburnam 224 e in semel, “una volta”, nel ms. Venezia, Biblioteca Marciana, Z 313, f. 67v : la precisazione di luogo “a Salerno” è diventata “almeno” oppure “una volta”.

55Qualcosa di simile avviene nel testo del lemma Colocasia, una pianta che Matteo dichiara di possedere nel suo orto, a Salerno :

Est enim culcasia satis nota apud mercatores in Egipto utentes et in Syria, sed ego ipsam habeo salerni in viridario meo secus spectabilem fontem.

  • 56 Dal ms. Firenze, BML, San Marco 136, f. 83r.

Infatti la colocasia è abbastanza nota presso i mercanti che operano in Egitto e in Siria, ma io ce l’ho a Salerno nel mio giardino vicino una bella fontana56.

  • 57 Ms. Mantova, BM 138, f. 75va.
  • 58 Ms. Laurenziano Ashburnam 224, f. 98v-99r.

56La fonte di questo passaggio è nella parte iniziale della voce Culcas in Simone di Genova : culcas enim satis nota est apud mercatores nostros utentes in siria, et ego vidi. Matteo vi aggiunge un’attestazione derivata dalla sua esperienza : ego ipsam habeo Salerni in viridario meo secus spectabilem fontem57 : anche qui, Salerni diventa saltem in alcuni manoscritti, ad esempio nel Laurenziano Ashburnam 22458. Appare evidente che l’errore deriva da un errato scioglimento dell’abbreviazione, il tratto trasversale sulla l, fraintendimento che forse si spiegherebbe più agevolmente dove la memoria di Salerno è più lontana. Difficile stabilire se è l’allontanarsi da Salerno della tradizione manoscritta a rendere più labile questa memoria, dal momento che le edizioni a stampa hanno recepito la lezione giusta. In ogni caso anche questo, insieme agli altri esempi qui raccolti, illustra la complessità della tradizione e della stratificazione dei saperi da cui l’opera di Silvatico è costituita. Una ricognizione e ricostruzione esaustiva dell’opera di Silvatico è ancora di là da venire, il lavoro è immenso e non può che procedere con lentezza.

57Le Pandectae, passando per numerose rielaborazioni, continuano ad essere utilizzate, anche quando la traccia biografica dell’autore originario sembra farsi più labile. È proprio l’innesto con la tradizione universitaria che, mentre l’allontana dall’origine, ne assicura la sopravvivenza : la sua utilizzazione nell’Hortus sanitatis ne è una conferma.

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Bibliographie

Fonti

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Notes

1 Attribuito alla prima metà del sec. XIII dal suo più recente editore : cf. García González 2007, 49.

2 I Synonyma furono completati tra il 1292 e il 1296 : cf. Dahhaoui 2001.

3 Il Liber aggregatus, detto anche Liber aggregationis o Aggregator, scritto dopo il 1250, fu tradotto da Simone di Genova, col supporto dell’ebreo Abramo da Tortosa, intorno al 1290.

4 Sulla cultura libraria a Napoli al tempo di Ferdinando d’Aragona, cf. specialmente De Marinis 1969 ; Albanese 1997.

5 Dalla prefazione di Angelo Catone Sepino all’edizione napoletana del 1474.

6 Questa e tutte le altre traduzioni italiane delle fonti latine utilizzate sono di chi scrive.

7 Al Riessinger Silvatico commissionò nel 1472 la stampa di un suo scritto sull’apparizione di una cometa. Sugli inizi della stampa a Napoli rinvio al classico M. Fava & G. Bresciano, La stampa a Napoli nel XV secolo (Fava & Bresciano 1911-1912), e agli studi di Marco Santoro, in particolare La stampa a Napoli nel Quattrocento (Santoro 1984).

8 Su Arnaldo di Bruxelles, cf. Fava & Bresciano 1911-1912, 47-56 : “non dovrebbe recare alcuna meraviglia che Arnaldo avesse esercitato oltre alla professione di tipografo, anche quella di scrittore o calligrafo, perché è noto che molti altri tipografi e librai la esercitarono” (ibid., 49). Il fatto che Arnaldo fosse a Napoli da molto tempo, poteva essere stato ignorato da Angelo Catone, cf. Delisle 1897, 741-743, il quale sostiene che egli continuò a praticare sia l’attività di copista che quella di stampatore, assecondando soprattutto i suoi interessi naturalistici. Su Arnaldo cf. anche più recentemente, Santoro 1984, 32-34 : le scelte operate dallo stampatore rappresenterebbero “un eloquente riscontro della preparazione culturale non certo dozzinale del fiammingo che per altro, se si vuole, contribuisce ad avallare ulteriormente l’ipotesi, autorevolmente avanzata dal Delisle, e condivisa da Fava e Bresciano, dell’identità del tipografo Arnaldo con l’amanuense Arnoldo, uomo quest’ultimo di vasti interessi e di approfondite conoscenze, soprattutto nel campo scientifico”.

9 Sull’attività in Italia dello stampatore bavarese, cf. Schizzerotto 1972, 39 : “Giovanni Vurster da Kempten in Baviera, figlio di Enrico, dopo il 1473 a Bologna pubblica con l’editore Mattia Moreto il Libellus Isagogicus di Alcabizio, nel luglio 1474 ivi con lo stesso il Liber pandectarum medecinae di Matteo Silvatico ; il 23 gennaio dell’anno dopo a Modena Virgilio, il 25 giugno ivi il Libro della consolazione delle medicine, semplici, solutive di Mesue in volgare, il 9 ottobre ivi la Lectura super nono codicis di Bartolomeo da Saliceto, il 10 gennaio 1476 ivi la Lectura super octavo dello stesso, e il 28 novembre ivi dello stesso la Lectura super quarto”. Nel 1475 Vurster ebbe un contenzioso giudiziario con il Moreto, a causa del quale si rifugiò a Padova.

10 Dalla prefazione di Matteo Moreto (Bologna, 1474) : […] In qua quidem re intelligas me eundem fere assumpsisse laborem quem is qui opus istud edidit. Constat namque opus istud ex diversis antiquorum libris fuisse aggregatum. In quo quidem omnium simplicium naturam ac proprietatem reperies que ad usum medicine concurrunt ac omnium nominum declarationem quibus medicine autores utuntur ex quibus aliqua ex greca et multa ex arabica lingua originem traxere, que ob ideomatum varietatem obscura apud latinos videbantur. […] Huius autem autoris nomen licet sit ambiguum, ipsum tamen a fidedignis Matheum Silvaticum nuncupatum fuisse accepi. Sed quisquis fuerit, hunc peritissimum extitisse constat et ipsum summa diligentia antiquorum libros percurrisse.

11 “Une sorte de dictionnaire de matière médicale” nella definizione di Jacquart & Micheau 1996, 217 ; cf. l’articolo “Mattheus Silvaticus” (Keil 2003), in Lexikon des Mittelalters, 6 : “Die ‘Pandekten der Heilkunde’ behaupteten sich als universitäres Standardwerk der Pharmakobotanik und phytotherapeut. Nomenklatur” e anche Agrimi & Crisciani 1988. Silvatico è sempre citato negli studi più antichi, ad esempio T. Puschmann (Puschmann 1889, 211 e 237), dov’è annoverato tra gli autori di scritti medici enciclopedici del XIII sec. : “Kurze für den Unterricht der Studierenden und den Gebrauch der Ärzte berechnete Auszüge der umfangreichen therapeutischen Werke der Araber und gedrängte Zusammenstellungen er gebräuchlichsten Heilmittel entsprachen den Bedürfnissen des Tages. Hierher gehören der Clavis sanationis des Simon von Genua, die medicinischen Pandekten des Matthäus Sylvaticus usw”. Cf. ancora il recente Prioreschi 2003, 295-296 : “We know little of the School of Salerno in the fourteenth century […]. More prominent was Matthaeus Sylvaticus, who wrote the Pandectae medicinae and taught at Salerno”.

12 La ricostruzione storico-biografica sull’autore fa riferimento ancora a De Renzi 2000, 527-530.

13 García González 2007, 20-21. Un’indagine dei termini non solo latini, ma anche greci e arabi, utilizzati da Silvatico, offrirebbero la possibilità di aggiungere un tassello fondamentale all’evoluzione della lessicografia e della nomenclatura medico-farmaceutica, come si è di recente visto in studi linguistici su testi affini, es. Mandrin 2008.

14 Da qui in poi, per facilità di lettura, la segnatura del codice si abbrevia in Mantova, BM 138. Per la sua descrizione rinvio all’articolo Bottiglieri 2007, 34-35.

15 Ms. Mantova, BM 138, f. 4va.

16 Ad esempio nel ms. Firenze, BML, Ashburnam 224, codice datato del 1442, che misura all’incirca 430 x 285 mm.

17 V. lemma Ciragra (ms. Mantova, BM 138, f. 67rb) : In libro ad Glauconem Guaripontum quem librum allegat Damassenus… e lemma Monopagio (ms. Mantova, BM 138, f. 155vb) : in passionario Gariponti.

18 V. lemma Amorelum (ms. Mantova BM 138, f. 22rb) : Amorelum fructex est sarmentosa habens folia ponitur in sirupo magistri Ursonis posito in antidotario Ursonis maioris ; sul Syrupus Ursonis citato da Francesco di Piedimonte, cf. De Renzi 2000, 339 : si tratta del maestro Ursone vissuto nella seconda metà del XII secolo ?

19 I vv. 730-737 al lemma Scabiosa (Mantova, BM 138, f. 180ra) : Dicitur quod sanctus Urbanus ad petitionem cuiusdam sororis sue <anhelantis> super virtutes scabiose, quoniam ipse ea continue utebatur, scripsit sibi infrascriptos versus : Urbanus per se nescit pretium scabiose. / Nam purgat pectus quod comprimit <egra> senectus, / Lenit pulmonem, purgat laterum regionem, / Apostema frangit, si locum bibita tangit. / Tribus uncta foris antracem liberat horis.

20 Citato come : Negocium simplicium medicinarum, v. lemma Pistachia (Mantova, BM 138, f. 167va).

21 V. lemma Camelea (Mantova, BM 138, f. 52ra) : Simon de Ianua in Sinonimis suis : cocognidium non est laureola ut quidam putant.

22 Ad esempio nei mss Mantova, BM 138 e Glasgow, Hunterian Library, 35 (d’ora in poi HL 35), in assoluto i più antichi testimoni delle Pandectae.

23 Cf. Bottiglieri 2007, 35-40.

24 Lemma numerato nel codice laurenziano Ashburnam 224, f. 249 ra.

25 Cf. García González 2007.

26 Cf. Ventura 2009.

27 Un lavoro di preparazione all’edizione è quello di Dahhaoui 2001.

28 Mi conforta il parere espressomi oralmente dal botanico Luciano Mauro, che ha tracciato una identificazione tra le specie riportate da Silvatico e quelle della botanica attuale, cf. Mauro 1995.

29 Nel testo di Simone di Genova, che si serve di Dioscoride, si legge fructuosa. L’edizione utilizzata, per tutte le citazioni del testo di Simone, è quella stampata a Milano nel 1473 da Antonio Zaroto.

30 Spesso questi sono studenti di medicina a Bologna o a Padova, che si guadagnano da vivere trascrivendo codici, come Johan Gherinx, un belga che produce ben tre copie delle Pandecte tra il 1442 e il 1460.

31 Testo tratto dal ms. Mantova, BM 138, f. 11va.

32 Ed. Venezia 1523.

33 “Noi ne facciamo menzione nel nostro libro affinché nessuno lo mangi confondendolo con la cipolla : infatti esso ha buon sapore, dolce e piacevole così che qualcuno, ignorandolo, potrebbe mangiarlo per sbaglio. A chi ne mangia giovano tutte le cose che giovano a chi mangia i funghi velenosi. Il rimedio più efficace per questi è il latte vaccino, e chi lo assume non ha bisogno d’altre medicine. E disse ancora Dioscoride, cap. archimeron : ed è il giglio selvatico che è l’ermodattilo ed è chiamato archimeron ed è letale, e così lo ha tradotto Albatharis nella sua traduzione nelle medicine semplici”. Albatharis / Albatarich è la forma con cui l’Aggregatus cita al-Bitrîq, traduttore di alcune opere di Galeno nell’VIII sec.

34 Questa e tutte le altre citazioni del testo di Ps.-Serapione sono tratte dall’edizione stampata a Milano presso Antonio Zaroto nel 1473.

35 Cf. ad esempio il lemma Abrog : Isto tum semine caremus nos in partibus istis (ms. Mantova, BM 138, f. 4v).

36 Ms. Mantova, BM 138, f. 149ra. “Appia” è una delle denominazioni usate per la mela “appiola” (“pomme d’api” in francese), antichissima e rinomata varietà di mele, nota sin dall’età romana.

37 Nella tradizione della Clavis sanationis sono presenti entrambe le città, cf. l’edizione milanese del 1473 : Mala apia que Paulus (= Paolo di Egina) commendat sunt mala predulcia cuius testis sum, nam Perusii et Rome vidi et comedi.

38 Ms. Mantova, BM 138, f. 148v.

39 La mela “maziana” prende il nome da Caio Mazio (I sec. a.C.) ed era apprezzatissima in epoca romana, come attesta, tra gli altri, Svetonio nella biografia dell’imperatore Domiziano, che ne mangiava una ogni sera.

40 Testo di Silvatico tratto dal ms. Mantova, BM 138, f. 52r.

41 Si tratta dei lemmi Abis e del suo sinonimo Guzenma, di Esula e di Sistose. Il testo è ricavato dal ms. mantovano.

42 In questo lemma il testo del ms. mantovano corrisponde perfettamente a quello dell’edizione bolognese del 1474.

43 Il testo dei Synonima è tratto dall’edizione milanese del 1473.

44 Ms. Mantova, BM 138, f. 184ra.

45 Cf. García González 2007, 245.

46 Cf. Ventura 2009, 580.

47 “Molte volte ho visto a Tunisi che è così”. Il testo si legge ad esempio (con leggerissime varianti ortografiche) nei mss Firenze, BML, San Marco 136, f. 206v ; Firenze, BML, Ashburnam 224, f. 232v ; Città del Vaticano, BAV, Vat. Lat. 13010, f. 274r.

48 Tunisi è nominata alla voce Abss (hanc herbam tunneti multotiens vidi), ad esempio, nei mss Mantova, BM 138, f. 4v ; Firenze, BML, Ashburnam 224, f. 14r ; Città del Vaticano, BAV, Vat. Lat. 13010, f. 12r ; Firenze, BML, San Marco 136, f. 6r ; alla voce Guzem (hanc herbam tunneti vidi habundanter), es. nel ms. Mantova, BM 138, f. 109ra ; alla voce Esula (cuius magnam copiam vidi sardinie et tunnisii) es. nel ms. Mantova, BM 138, f. 94v.

49 Mentre l’inizio di un passo citato di seconda mano è quasi sempre segnalato, non si può dire lo stesso per la fine.

50 A questo proposito rinvio all’intervento di Iolanda Ventura, Alberto Magno, un’auctoritas dell’enciclopedismo domenicano, di prossima pubblicazione negli Atti del Convegno Internazionale Auctor et auctoritas in Latinis Medii Aevi litteris.

51 Bottiglieri 2009.

52 Cf. la prefazione di Matteo Silvatico nei mss Mantova, BM 138 e Glasgow, HL 35, figg. 1 e 2.

53 L’intestazione manca nei mss laurenziani Ashburnam 224 e San Marco 136, nel ms. Vaticano latino 13010, nel ms. Glasgow HL 35.

54 Ms. Firenze, BML, San Marco 136, f. 51r.

55 Simone di Genova, Synonyma, Milano 1473.

56 Dal ms. Firenze, BML, San Marco 136, f. 83r.

57 Ms. Mantova, BM 138, f. 75va.

58 Ms. Laurenziano Ashburnam 224, f. 98v-99r.

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Pour citer cet article

Référence papier

Corinna Bottiglieri, « Il testo e le fonti del Liber pandectarum medicinae di Matteo Silvatico »Kentron, 29 | 2013, 109-134.

Référence électronique

Corinna Bottiglieri, « Il testo e le fonti del Liber pandectarum medicinae di Matteo Silvatico »Kentron [En ligne], 29 | 2013, mis en ligne le 22 mars 2017, consulté le 14 janvier 2025. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/kentron/680 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/kentron.680

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Corinna Bottiglieri

Università La Sapienza, Roma

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