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La lingua greca e il ruolo dell’Antico nell’opera di Carlo Michelstaedter

Alessandro Miorelli et Federico Premi
p. 127-150

Résumés

Per una rinascita e un rinnovamento della retorica in Italia, il saggio propone di ripartire proprio da uno degli autori che a inizio Novecento sembra averne decretato la morte: Carlo Michelstaedter. A ben guardare, però, si scopre che il percorso filosofico del Goriziano su retorica e persuasione non è una mera pars destruens contro gli stanchi saperi stereotipati della tradizione, ma propone una rivitalizzazione del pensiero tramite un linguaggio rinnovato, capace di dire la vita attraverso una persuasione che nasce dalla grecità. L’originalità de La persuasione e la rettorica, tesi di laurea mai presentata dall’autore morto suicida nel 1910, sta nella costruzione di una lingua osmotica fatta di italiano con innesti in lingua greca (talvolta anche tedesca) che plasmano nessi sintattici e semantici inediti. In Michelstaedter il greco diventa lingua della ricomposizione del frammento di una modernità deflagrata; diventa lingua nuova e possibile, o meglio nuovo modo per dire l’antico, quell’antico che parla ancora nel presente, e che al presente serve per riconoscersi. Quindi l’utilizzo del greco non ha solo funzione di «citazione», di appoggio o cosmesi, ma si presenta come l’unica forma possibile per dire qualcosa che altrimenti risulterebbe indicibile.

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Texte intégral

Al mio Emilio
in memoria delle nostre sere
e a quanti giovani
ancora
non abbiano messo
il loro Dio
nella loro carriera.

Carlo Michelstaedter, Il dialogo della salute

Obiettivi e sfondo di un’ipotesi di ricerca

  • 1 Eco 1993, 8.

1Tra gli innumerevoli progetti di lingua perfetta nella cultura europea, come spiega Umberto Eco1, ci sono, soprattutto nella modernità, molte proposte che sono vere e proprie riscoperte di lingue storiche, ritenute originarie o misticamente autentiche come l’ebraico, l’egizio, il cinese. Poi c’è anche chi, come il filosofo goriziano Carlo Michelstaedter, ha proposto il sogno arcaico del recupero del greco come seme vivificante per una lingua più autentica. Questo è ciò che cercheremo di seguire in questa ipotesi di ricerca partendo da alcune implicazioni contestuali necessarie per comprenderne la portata.

  • 2 De Carolis 1989.

2A intersecare le ricerche sulla lingua perfetta si scopre, proprio al loro interno, che questo sogno nasce molto spesso da un anatema contro il linguaggio, considerato limitato e difettoso, e in particolar modo contro quella che veniva un tempo chiamata l’ars bene dicendi o retorica. Lo si è visto fin dalle origini del pensiero moderno con le lingue magiche e il loro rifiuto per la parola retorica a favore delle immagini e del segreto ; oppure dal contraltare della tradizione scientifica con Bacone, Descartes, Hobbes, Locke, Leibniz che, mettendo in guardia dai limiti e dai fraintendimenti del linguaggio figurato, propongono di affidarsi chi alla monosemia, chi alla matematica, chi al senso comune ; e per finire con le decine di proposte di riforma linguistica dall’Illuminismo all’Esperanto. Come se la diffidenza nei confronti del linguaggio2 producesse dall’interno il tentativo di rinnovarlo, ricrearlo o rivitalizzarlo in qualche modo.

3Alla fine del XIX secolo, in piena congerie positivista, dove prevale la lingua della scienza fondata sulla logica e sul principio di non contraddizione, dove si cerca la verità nella lingua quantitativa dei dati e della misurabilità, abbiamo una reazione diffusa in tutta Europa di stampo intuizionistico, relativistico, irrazionale o umanistico (Nietzsche, Freud, Bergson, Simmel, Croce). Una vera e propria repulsione per questa lingua rigida, solida e cristallizzata della scienza, o anche nei confronti della retorica più stereotipata, diventata ormai una serie di stanche figure e tropi. Ci si spinge, per contrasto, verso un rinnovamento linguistico che abbraccia piuttosto il fluire della vita, il misticismo irrazionale, l’idealismo espressivo, o il relativismo scettico in cui le lingue naturali sarebbero perfette proprio perché plurali, perché non ingabbiate e definite una volta per tutte, dato che la verità è multipla, metaforica e autentica.

  • 3 Cfr. Fumaroli 1994, 151 ; cfr. anche gli studi di A. Compagnon (Compagnon 1998).

4Da questo rigetto della retorica scientifica e di quella tradizionale divenuta mera classificazione di figure utili solo per una scuola ripetitiva e imitativa, si fanno largo progetti di rinnovamento del linguaggio e di tensioni ideali verso lingue perfette. Questo movimento a cavallo del secolo sarà decisivo per orientare le scelte educative e politiche verso un’espulsione decisa della retorica dalla formazione della scuola secondaria in Europa3. Poi, nel XX secolo, la svolta linguistica diventerà la questione filosofica per eccellenza riorientando pian piano questa tendenza e favorendo una riscoperta nel tardo XX secolo dell’arte della persuasione.

5Ma rimanendo sulla questione, bisogna dire che, proprio per gli anatemi antiretorici primo novecenteschi, l’educare e il persuadere diventano due termini che secondo la vulgata contemporanea, soprattutto quella italiana, non possono stare assieme. Da un lato c’è chi sostiene che l’Olimpo dell’educare, con i propri percorsi (miti e riti) verso la verità e il bene, guidati dalla mano dell’auctoritas scolastica, debba trovarsi ben lontano dall’antro infernale della retorica, in cui si mescolano conoscenza e inganno, oscurità e frode, dove si dibattono pifferai e manipolatori della parola. Dall’altro c’è chi, rovesciando la prospettiva, vede invece la sfavillante capacità persuasiva della comunicazione come un paradiso di meraviglia ed emozioni, di coinvolgimento ed arguzia, che rischia di ingrigirsi pericolosamente a contatto con la monotonia barbosa della costruzione istruttiva così pesante e opprimente. E allora bisognerà tenere ben nascosti i segreti della persuasione riservandoli a cenacoli esclusivi o secretandola in percorsi individuali.

6Per entrambe le posizioni, Eden e Ade non possono coesistere nello stesso luogo, devono stare agli antipodi. Sia per il mondo della scuola, dunque, sia per quello della comunicazione mediale, educare e persuadere dovrebbero rimanere antitetici, in contrapposizione, acquasanta e diavolo. Per constatarlo è sufficiente incrociare i campi. Il persuadere è espulso o reietto dall’istruzione, considerato falso sapere manipolatorio, adulteratore delle menti, subdolo e verboso nemico da ignorare o al massimo da tenere a distanza e da additare. Dal versante dei comunicatori (della politica, dell’informazione, della pubblicità, dei nuovi media) l’educare è percepito come un’istanza polverosa, accusata spesso di noioso moralismo e paternalismo, e sicuramente inefficace nelle dinamiche relazionali attuali.

7Ma, come insegna proprio la retorica, il destino di ogni topos è di nascondere al proprio interno anche il germe del proprio opposto, in ogni eden si cela l’apocalisse. Così l’obiettivo di fondo di questa ipotesi di ricerca è quello di trovare un appiglio per contribuire a far rinascere la retorica nell’educare e, dall’altra, a far riconoscere l’educazione nella persuasione.

8Per fare questo, a nostro avviso è necessario, rimettere in discussione quello che ha generato, o per lo meno rinvigorito, questa scissione di persuasione ed educazione. Almeno in Italia. Perché in Europa la consapevolezza che le arti, le tecniche, i saperi della retorica, come possibilità di pensare dialogicamente e di argomentare ragionevolmente, fondino la cittadinanza democratica, è un dato riconquistato da molti decenni. Si riconosce che l’educazione alla cittadinanza non può prescindere da un’educazione alla retorica. Questa convinzione ci arriva da un lungo cammino novecentesco che ha rivalutato la retorica su basi nuove partendo da impulsi logico-analitici ma anche da ripensamenti fenomenologico-esistenziali ed ermeneutici.

  • 4 A partire dai saggi riuniti in Una pietra sopra di Italo Calvino (Calvino 2002) (...)

9In Italia, invece, la rinascita della retorica tarda ad attecchire, diversamente da quanto avvenuto in Francia, nel mondo anglosassone, in Germania e nei paesi del nord Europa. Non perché non ci siano stati studi illuminanti soprattutto nel secondo Novecento4 ma principalmente per quelle pesanti maledizioni di inizio secolo che gravano ancora oggi su questi saperi e che la cultura italiana non è mai riuscita del tutto a superare.

  • 5 Marazzini 2001, 266.

10L’istruzione italiana è uno dei pochi modelli formativi in Europa ad aver esplicitamente scelto di fare a meno di una riflessione sulla retorica e del suo insegnamento con conseguenze drammatiche sulla consapevolezza e responsabilità del cittadino (lasciato solo di fronte alla propaganda ideologica e ai richiami del mercato). Nonostante iniziative meritorie, non è mai partita un’iniziativa organica che portasse questo sapere ad essere riscoperto in funzione della sua decisiva importanza per la compiutezza della democrazia a partire dall’educazione più elementare. Eppure, come sostiene Marazzini5, l’Italia vanta una grande tradizione che le consentirebbe di portare in Europa, e anche altrove, un bagaglio culturale di riflessioni e di manuali (dal medioevo alla tarda modernità) che arricchirebbero in senso umanistico una retorica troppo spesso schiacciata tra il passato remoto greco-latino e il presente tecnologico dei nuovi media.

  • 6 Bobbio 1989.
  • 7 Genette 1972.

11Retorica quindi che va ripensata e intesa, quindi, seguendo Bobbio, come « studio metodico delle buone ragioni con cui gli uomini parlano e discutono di scelte che implicano il riferimento a valori quando hanno rinunciato ad imporle con la violenza o a strapparle con la coazione psicologica, cioè alla sopraffazione e all’indottrinamento »6. Nell’ultimo secolo lo studio della retorica ha subito un doppio movimento al negativo : da un lato un restringimento di campo, soprattutto nella scuola italiana, diventando mero studio delle figure e dei tropi applicati al testo letterario (un po’ quello che ha intravisto Genette come movimento generale della retorica dalla latinità in poi7) ; dall’altro un’estensione ipertrofica nell’uso di strategie comunicative persuasive e spesso manipolatorie sia a fini politici sia economici, spesso attraverso i linguaggi dei nuovi canali informatici.

  • 8 Croce 1902 ; Croce [1913] 1990 ; Croce 1920.
  • 9 Oltre agli scritti di G. Gentile come La riforma della scuola in Italia (Gentile 1989), s (...)
  • 10 Genette 1972.
  • 11 Piazza 2004, 37.
  • 12 Reboul 1996.

12Un punto di ri-partenza, per favorire una rilettura di questi rapporti, può essere quello di andare a vedere dove si è inceppato il meccanismo di relazione tra educazione e persuasione. Anatemi si diceva. E primo fra tutti va annoverata “la distruzione dei falsi concetti”, tra cui la retorica, operata da parte di Benedetto Croce nella sua riflessione estetica8 con il conseguente bando della retorica come disciplina dai programmi scolastici con la riforma Gentile del 1923 in epoca fascista9. L’idea crociana in cui trionfava il principio dell’arte come espressione senza regole, generi e classificazioni alcune, si poneva in opposizione violenta a una retorica ristretta, per dirla ancora con Genette10, che a fine Ottocento era diventata una vuota e stanca precettistica. Colpita da un lato dal positivismo scientifico, che la rifiutava in nome di una verità universale e autosufficiente11, e la sostituiva con « la filologia e la storia scientifica delle letterature »12, e dall’altro da un romanticismo che vedeva l’arte come frutto spontaneo del genio più che dalle imitazioni pedisseque di figure e loci.

  • 13 Cfr. Cingari 2003 ; Furnari Luvarà 2004 ; Giammattei 2009 ; Giammattei 1987.

13Insomma la posizione crociana risulta essere un vero colpo di grazia per la retorica e la sua influenza sulla cultura italiana che è stata ben documentata in molti studi a cui si rimanda13. Ma nello stesso periodo in cui Croce proponeva la sua Estetica, c’è un altro giudizio, decisamente più isolato, ma altrettanto inappellabile nei confronti della retorica e che contemporaneamente propone un « nuovissimo ritorno » ad una lingua perfetta : il greco antico. L’autore di questo giudizio è Carlo Michelstaedter.

  • 14 Michelstaedter conserva la grafia con la doppia t, come nell’italiano medievale e (...)
  • 15 Cfr. Campailla 1982, « Introduzione ».

14Morto suicida a ventitré anni, nel 1910, Michelstaedter concentra il suo genio precoce su un’opera, La persuasione e la rettorica14, che, nata come tesi di laurea su questi concetti in Platone e Aristotele, si trasforma in un testo formalmente inclassificabile, dove i due termini del titolo assumono significati del tutto peculiari. Persuasione è il tentativo, sempre vanificato dalla manchevolezza irriducibile della vita, di giungere al possesso di se stessi ; rettorica l’apparato di parole, di gesti, di istituzioni, con cui viene occultata l’impossibilità di giungere alla persuasione15.

  • 16 Michelstaedter 1995, 10.
  • 17 Ibid., 299.

15Qui prende corpo un’opposizione violenta in cui la retorica si fa quasi sopraffazione della persuasione attraverso le proprie forme istituzionalizzate, cristallizzate e ripetitive che cancellano la vita. E allora l’autore cerca una disperata lotta per far sopravvivere il persuaso che è « chi ha in sé la sua vita »16 contrastando la rettorica con i suoi sotterfugi e le sue strategie che invece non sono altro che « i rottami del naufragio della filosofia »17. Questa ricerca faticosa ma ferrea, pervasa talvolta dal dolore, è un esito primonovecentesco di quella millenaria diffidenza nei confronti del linguaggio di cui si parlava e che ha creato una nuova proposta di lingua : un’originale riutilizzo del greco antico nell’italiano contemporaneo.

  • 18 Cfr. Prezzolini 1904a.
  • 19 « Nella sua essenza, anzi, la critica di Michelstaedter alla “rettorica” è una negazione (...)

16Non si critica tutto il linguaggio, ma la pretesa del linguaggio scientifico, costruito, stereotipato, dell’utile, del convenzionale che può comunicare solo ciò che è spaziale, quantitativo e, invece, pretende di parlare in modo preciso e certo anche dell’interiorità umana. Quando la filosofia arriva alla conclusione che il suo strumento verbale e comunicativo non riesce ad esprimere il pensiero e a rappresentare la realtà, potrebbe fermarsi alla negazione e interrompere la scrittura. Riconosciuti i limiti del linguaggio18 però Michelstaedter non si autocondanna al silenzio, ma opera uno slancio ai limiti dell’umano verso una lingua che Carchia19 definisce “divina”. La sua proposta ci pare interessante per cercare un recupero del linguaggio al di fuori della logica fine a se stessa che stabilizza e immobilizza.

17Il movimento dello spirito che pensa il fluire della vita autentica trasforma l’idea in un enunciato che non si limita a rispettare le norme di un sistema segnico, ma, travalicandole e trasgredendole, si mette in contatto con il senso assoluto, che è sempre “in più” rispetto al sistema in cui ci si muove. E sono proprio gli innesti del greco antico a favorire questo movimento. Il tentativo della lingua di colmare questo “in più”, deve essere rivolto all’esterno del sistema : attingere ad una fonte più vera. In pratica, utilizzare un linguaggio che non sia rigidamente vincolato al proprio “sistema lingua”, ma che si rivolga ad altri contesti, per permettere, per lo meno, di avvicinarsi all’espressione della realtà in divenire, così sfuggente e mai definitivamente raggiungibile. Ciò che abbiamo chiamato “in più” rispetto al sistema logico-linguistico viene considerato vitale perché infrange le leggi grammaticali convenzionali, perché non rientra nella struttura data della lingua italiana.

18Il linguaggio nella filosofia michelstaedteriana procede in circolo, cioè ogni discorso sul linguaggio resta un discorso nel linguaggio. L’unico spiraglio che non induca l’uomo a rassegnarsi alla sfera del già detto, è proprio quello di guardare al di fuori di quella lingua per cercare in un’altra lingua (il greco antico) le condizioni di ogni discorso e per smascherarne i limiti.

  • 20 Cfr. Locatelli 1996.

19Per fare questo, è inutile utilizzare un metalinguaggio descrittivo perché cadrebbe, a propria volta, negli stessi errori di spazializzazione e di sostantivazione del fenomeno che descrive20. Ciò che la lingua non può dire, può tuttavia venir suggerito, o espresso mediante usi particolari, non convenzionali, del linguaggio stesso. Come quello di utilizzare il greco antico nel bel mezzo della sintassi italiana.

20La provocazione che sottostà a questa proposta di studio è di provare a rintracciare il rapporto tra l’educazione (intesa qui come arte dell’accompagnare) e la retorica (intesa qui come arte della persuasione) a partire da chi lo ha messo in discussione. La sfida è di vedere se « l’estremo » incrocio linguistico di Michelstaedter può suggerire un nuovo campo da gioco comune dove questi modi del conoscere si ritrovino faccia a faccia. Si tratta di vedere in che modo si può riscoprire il valore educativo della persuasione, senza trasformarla in rettorica. Incrociare i campi di educazione e persuasione, trasgredendo un pensiero diffuso, tutto novecentesco e molto italiano, che li tiene ben distanti, non ha solamente implicazioni interne ai saperi educativi e della comunicazione, ma coinvolge inevitabilmente, e crediamo che su questo Michelstaedter concorderebbe, la condizione dell’individuo come cittadino.

Michelstaedter e l’Antico

  • 21 Tra i principali ricordiamo Parmenide, Eraclito, Empedocle, Platone, Aristotele, Eschilo (...)
  • 22 Pieri 1989, 508.
  • 23 Pacelli 2010, 26.
  • 24 In alcuni passi della Persuasione campeggia quell’« Intraducibile » inerente la (...)
  • 25 Riportiamo un esempio di questa osmosi dal testo di C. Michelstaedter, La persu (...)
  • 26 Cfr. la sezione Scritti vari, in Michelstaedter 1958.
  • 27 Piromalli 1974, 83.
  • 28 Sorrentino 2013, 25.
  • 29 Quaranta 1985.

21Focalizzarsi sul ruolo dell’utilizzo della lingua greca negli scritti di Michelstaedter, e in particolare nella sua opera maggiore, La persuasione e la rettorica, significa leggere la sua produzione come passaggio finale e momento conclusivo di una più lunga riflessione sulla retorica e sul linguaggio. Rimanendo nell’ibrida ma feconda zona liminale dove si intersecano filosofia, linguistica e letteratura, è interessante studiare ancora, secondo noi, il motivo che ha spinto un giovane filosofo mitteleuropeo a ri-vitalizzare la Grecità, i suoi autori21 e soprattutto la sua lingua, immergendo il proprio pensiero teorico in una « variegata semantica stilistica »22 che probabilmente rappresenta ancora oggi un unicum nel panorama filosofico europeo, dal momento che « nel suo itinerarium mentis in persuasionem, Michelstaedter non si avvale di un unico registro linguistico o stilistico »23, ma con-fonde di continuo greco antico, italiano e, talvolta, tedesco24. Greco e italiano, ne La persuasione e la rettorica dialogano e si integrano, si completano e si supportano a vicenda, con un intensificarsi di questa osmosi linguistica nelle Appendici critiche25 ; la stessa contaminazione la troviamo però anche negli scritti “minori”, cui appartengono racconti, brevi saggi e osservazioni talvolta redatti interamente in greco (è il caso del dialogo ΕΙΣ ΑΡΓΙΑΝ [verso la pace], sottotitolato Περὶ τῆς ῥητορικῆς [sulla retorica]) o che riportano titoli in greco (Περὶ κυνοφιλίας [dell’amicizia di un cane]) ; Διὰ τῶν διαφόρων εἰς ἀδιαφορίαν [attraverso le differenze verso l’indifferenza] ; Περὶ παιδείας [sull’educazione] e molti altri) o, ancora, ampi passi in lingua greca26. Antonio Piromalli ha rilevato che « soprattutto la mescolanza di greco e italiano (il Michelstaedter scriveva direttamente in lingua greca, componeva apologhi, esprimeva concetti, chiariva in termini greci ecc.) diventa costitutiva dell’atteggiamento mentale di Michelstaedter », il quale si esercita « sui testi fondamentali dei presocratici » cercando di portare a verifica continua i « termini non ancora, in questi testi antichi, mistificati »27. Pratica, questa, che se da un lato può mettere in difficoltà il lettore contemporaneo inficiando la fluidità di lettura, dall’altro permette un arricchimento semantico esclusivo del testo, dando all’intero scritto uno spessore ermeneutico ancora del tutto da comprendere. Come ha già notato Sergio Sorrentino inserendo il Goriziano nella tradizione che va da Vico a Nietzsche28, è importante cercare di comprendere proprio sotto il profilo ermeneutico il significato del dialogo instaurato da Michelstaedter con l’Antico – « fra l’antica Grecia e la Mitteleuropa sta il tessitore de La persuasione e la rettorica »29 – così come cercare di capire quali problemi di traduzione e di comprensione abbiano connotato il suo lavoro di analisi dei concetti di « persuasione » e « rettorica » in Platone e in Aristotele. Ovviamente nello spazio limitato di un articolo non si può che accennare a delle plausibili traiettorie d’indagine che possono rivelarsi preziose per la ricerca futura. In ogni caso la riflessione michelstaedteriana sulla retorica è un’occasione d’incontro tra filosofi troppo attenti all’esistenziale e filologi troppo attenti alla lingua, per riavvicinarsi – a partire proprio dall’inquadramento della funzione che svolge la lingua greca all’interno della sua opera – al concetto di filo-logia studiato da Giorgio Colli che si rivela qui quale fondamentale strumento d’indagine.

  • 30 Cfr. i lavori di S. Campailla, P. Pieri, G. Brianese, M. Cacciari, F. Meroi.
  • 31 Campailla 1982, 14.
  • 32 Colli 2010, 31.
  • 33 Campailla nell’introduzione sopra citata parla di “ritorno a Parmenide” : concetto che to (...)
  • 34 Michelstaedter 1995, 134.
  • 35 Nel dibattito sulla grecità – tema fortemente sentito all’inizio del Novecento – intervie (...)
  • 36 Cfr. Colli 2010, 49-50.
  • 37 Pacelli 2010, 20.
  • 38 Riportiamo alcuni esempi dal testo di C. Michelstaedter, La persuasione e la re (...)
  • 39 È doveroso, in ogni caso, contestualizzare questa scelta nel panorama socio-culturale e f (...)
  • 40 Cacciari 1986, 25.

22Tra le diverse letture della figura di Michelstaedter che nel corso degli anni sono state proposte, vi sono senz’altro ricerche fondamentali da cui prendere le mosse per un discorso sul valore dell’impiego della lingua greca nelle sue speculazioni filosofiche30. Per prima cosa, per leggere correttamente la prassi compositiva di Michelstaedter, che redige gran parte dei suoi lavori in greco, è necessario puntualizzare, come giustamente fa Sergio Campailla, che « agli inizi del Novecento è stato proprio il ripiegamento su una cultura filo-logica classica a produrre posizioni speculative tra le più radicalmente dirompenti »31. Infatti l’Antico, già dalla metà dell’Ottocento, è al centro degli interessi filosofici di grandi pensatori e Michelstaedter risente fortemente di questa sensibilità filo-logica. In questi autori – e lo studio condotto da Giorgio Colli su Nietzsche rimane a tal proposito esemplare – l’attività filologica è attenzione al logos, inteso sia come pensiero sia come espressione, sia come parola del pensiero che come pensiero della parola : « essi amano il logos, vogliono decifrare il “discorso” della vita, scoprire la realtà attraverso le parole, della natura e soprattutto degli altri uomini. […] Essi sono dei filologi, cioè degli artisti e dei filosofi umani, in un senso ancora più profondo di quello rinascimentale »32. In questa sua ambivalenza semantica il logos è l’elemento sintetico che permette alla filosofia di Michelstaedter di riappropriarsi dell’ottica retorico-persuasiva attingendo direttamente, senza mediazioni, al mondo della Grecità. Pensiero e parola, nell’unico concetto di logos, divengono la sintesi dell’inattualità praticata da Michelstaedter : inattualità che si rifà deliberatamente alla visione presocratica e in particolare parmenidea del mondo33. Tanto è vero che la presenza di Parmenide, così come di Eraclito o Empedocle, non è significativa solamente sotto il profilo ontologico, già esaurientemente analizzato da Giorgio Brianese, ma soprattutto sotto il profilo filo-logico, per quanto riguarda l’attenzione per il linguaggio e, nello specifico, per la lingua greca. Come autentica alternativa al linguaggio della “filosofia rettorica post-socratica”, filosofia che secondo Michelstaedter è germinata dalla lezione di Platone poi sistematizzata e definitivamente “retoricizzata” da Aristotele, si può solo tornare alla lingua e al pensiero ad essi precedente, se vogliamo ancora dire qualcosa e fare « con le parole guerra alle parole »34. Questo ritorno da lontano, questa stessa lontananza, questo essere isolati dal contesto contemporaneo, permette al giovane filosofo di fare un’operazione nuova : andare al di là del classicismo formale per rivitalizzare lo spirito greco nella sua originarietà. La sua distanza dal presente è la condizione per vivere un altro presente, diverso e nuovo : l’atmosfera del pensiero di Michelstaedter legge nell’antico la vera novità35. Forse per le tracce che il presente conserva, nelle sue radicali matrici, nelle sue strutture e forme grammaticali, nel peso degli etimi inconsci che riposano nella lingua, nell’immaginario collettivo che da sempre trova nell’antichità greca le sue esemplari vie comunicative ed espressive, è possibile per Michelstaedter riaprire la prospettiva filo-logica percorsa negli stessi anni da Friedrich Nietzsche36. La lingua greca si presenta, dunque, come linguaggio autentico di una più vera, più persuasiva visione del mondo : il greco ci permette di dire di più. E proprio perché « l’intera opera di Michelstaedter trasuda della visione del mondo greco nel sentire e nel pensare », tanto che la « Grecità è sentita dal Nostro come una vera e propria tonalità teoretico-affettiva, cioè come una particolare disposizione dell’animo svuotata di ogni significato psicologico, restituita alla sua connessione etimologica con la Stimme »37, possiamo affermare che il greco antico sembra così essere l’unica lingua adeguata per comunicare le verità dell’Essere38. Michelstaedter è consapevole di questo a tal punto che in greco antico redige appunti privati, interi racconti e numerosissimi passi della tesi di laurea. Questo significa, per il lettore moderno, trovarsi di fronte ad un filosofo del Novecento che consegna il suo pensiero non ad una lingua artificiale, inventata sulle rigorose leggi della logica o estrapolata dal settoriale mondo della scienza, ma ad una lingua sepolta da due millenni39 : un vero e proprio « “ritorno al classico” in-audito per la cultura europea a cavallo del secolo »40.

L’inattualità del mondo greco

  • 41 Peluso 2013, 96.
  • 42 Ibid., 99.
  • 43 Brianese 1990, 23.
  • 44 Pieri 1984, 75.
  • 45 Brianese 1990, 27.
  • 46 Campailla 1982, 17.
  • 47 Ibid.
  • 48 Pigozzo a. a. 2015 / 2016, 94.
  • 49 Per Pigozzo non è eccessivo « considerare il greco come linguaggio e parola metafisica pe (...)
  • 50 Nietzsche [1874] 2007, 4.
  • 51 Ibid., 5.

23È già stato considerato come Michelstaedter « abbia anticipato l’attualismo, l’esistenzialismo, la Sprachkritik e la svolta linguistica, la teoria critica e via discorrendo »41, ma è ancora da definire in cosa consista veramente il « postumanesimo michelstaedteriano »42, per quanto domande e risposte sulla relazione di radicale « inattualità »43 di Michelstaedter con la Grecità siano state già ampiamente formulate da Pieri (« Come si pone Michelstaedter nei confronti della Grecia ? »44) e da Brianese (« È possibile dare forma determinata al dialogo che il Goriziano ha costantemente intessuto con il pensiero delle origini ? »45). Crediamo che una strada da percorrere per trovare risposte adeguate sia proprio lo studio della ri-vitalizzazione del greco, il paradossale re-innesto di una lingua morta su una tradizione morente (quella retorica e classicista), proprio nel tentativo di dare vita a ciò che è morto causa sui : la lingua della persuasione divenuta lingua della retorica. Ad oggi sappiamo che per Michelstaedter « la scelta del greco non è superficialmente espediente intellettualistico né sfoggio erudito », ma, come spiegato da Sergio Campailla, il « tentativo di ritrovare la strada maestra, di ricongiungersi alla sapienza antica »46. Tanto è vero che il Goriziano « non cita in greco, ma parla in greco, cioè nella lingua di Parmenide e Socrate, la madrelingua della cultura occidentale »47. L’essere uomo antico agli albori del XX secolo significa riaprire le porte di un mondo perduto, in cui la verità ha un suo linguaggio, un linguaggio più efficace di quello comune, moderno : « il greco diviene la lingua per eccellenza che descrive e si muove nel piano dell’inevitabilità etica della persuasione »48, vale a dire che solo una lingua inattuale può riattualizzare certe verità, certe visioni filosofiche49. Il contemporaneo d’oltralpe Nietzsche vive, in modo forse solo più organico e maturo, la stessa esperienza, quando dice che « solo in quanto […] allievo delle epoche passate, specie della greca » giunge « a esperienze così inattuali » su di sé « come figlio dell’epoca odierna »50, chiedendosi quindi « che senso avrebbe mai la filologia classica nel nostro tempo, se non quello di agire in esso in modo inattuale – ossia contro il tempo, e in tal modo sul tempo e, speriamolo, a favore di un tempo venturo »51.

  • 52 Michelstaedter 1995, 84.
  • 53 Ibid., 88.
  • 54 In una nota de La persuasione e la rettorica che lo stesso Michelstaedter scrive in calce (...)
  • 55 Angelucci 2011, 18.
  • 56 Brusa 2011, 38-39.
  • 57 Cfr. Von Hofmannsthal 1902.
  • 58 Sul concetto di onestà in Michelstaedter si veda Premi 2010.
  • 59 Michelstaedter 1995, 119.
  • 60 Ibid., 3.
  • 61 Cacciari 1986, 33.
  • 62 Cfr. Storace 2007 ; Brianese 1990.
  • 63 Furlan 1999, 125 sq.
  • 64 Brianese 1990, 25.

24Così anche in Michelstaedter la ricerca di una nuova lingua, in una prospettiva filo-logica che ritorni ancora a dire qualcosa e ad aprire prospettive « venture », può essere letta come uno dei fondamenti teorici della sua analisi dei concetti di persuasione e retorica. Sotto questo aspetto la sua indagine non naufraga necessariamente, come hanno sostenuto molti critici, in un paradossale e aporetico silenzio, dal momento che non è la rinuncia che connota la sua opera, ma una ferrea volontà di provare la via dell’antico per pensare il futuro : la cultura contemporanea, in questa prospettiva inattuale, viene smentita, confutata dai modelli dell’antichità classica. Gli autori della grecità pre-retorica, in particolar modo, con la loro naturale domanda di assoluto e con il loro onesto bisogno di verità sono un possibile antidoto alla frammentaria complessità della modernità. Per quanto Michelstaedter non giunga a teorizzare sul greco come alternativa al « καλλώπισμα ὄρφνης »52 [ornamento dell’oscurità] che ormai sono divenuti i linguaggi convenzionali, a noi interessa l’uso, l’impiego di questo idioma nel tentativo di scavalcare il muro dell’incomunicabilità che condannerebbe, altrimenti, ad un necessario silenzio. È importante sottolineare che a connotare la sua visione non è certamente un’ottimistica speranza nella creazione di una lingua perfetta ; anzi : l’impiego del greco è per lui ancora una forte imperfezione rispetto all’ideale di una lingua che possa tornare a persuadere senza gli stratagemmi retorici della « κοινωνία κακῶν »53. Tuttavia « cerca con dati negativi » una strada che possa almeno portare a comunicare questa incomunicabilità54. Ma di ricerca appunto si tratta, non di rinuncia e di inevitabile scelta del silenzio. Sono diversi i critici che, negli anni, hanno individuato il silenzio come esito ultimo della riflessione del Goriziano. Per Paolo Brusa, ad esempio – così come per Malcom Angelucci che parla di « impossible battle »55 – Michelstaedter, il suo pensiero e la sua vita, approdano allo « strano silenzio di chi non ha compreso le parole, o nel tentativo di comprenderle non ha saputo vederne alcuni aspetti, celati ma essenziali : quelli che permettono la comunicazione con l’altro »56. Diversamente crediamo che l’apertura alla lingua e al mondo greco siano tentativi di rivitalizzazione di un modo altro, nuovo ma antico, di dire l’Essere. Michelstaedter, in questa sua ricerca della lingua persuasiva, non sceglie – come il Lord Chandos di Hofmannsthal57 – il silenzio, percorrendo la strada dei suoi coetanei fondatori de « La Voce » (Prezzolini, Serra, Papini) i quali, nella stessa Firenze dove vive e studia, denunciano lo stato di inadeguatezza e l’insopprimibile limite della parola. Michelstaedter piuttosto ri-trova le parole per dire il presente in modo onesto58, in modo persuaso, attingendo all’Antico e alla sua lingua aurorale, prima che venisse codificata in τόποι κοινοί [luoghi comuni]. Perfino di fronte alla celebre affermazione che in un futuro non troppo lontano « gli uomini parleranno ma οὐδὲν λέξουσιν »59 [non diranno nulla], abbiamo uno spiraglio di speranza nel momento in cui, percorrendo la via della persuasione (i primi tre capitoli della tesi) incontriamo il dire « greco », il dire della grecità impersonata ora da Sofocle, ora da Simonide, ora da Parmenide ; Michelstaedter dunque non sembra intendere il linguaggio in termini esclusivamente negativi, perché la lingua della persuasione è esistita, c’è stata : era la lingua dei tragici e dei presocratici. E lui la reimpiega per tornare a dire qualcosa, consapevole dell’insufficienza del proprio tentativo (« so che io parlo ma che non persuaderò nessuno »60). Come ha sottolineato anche Massimo Cacciari parlando dell’« ou-topia indicibile della parola di Michelstaedter »61, a connotare la ricerca del Goriziano è la sfida al linguaggio tramite il linguaggio stesso : il martello demolitore, in questo senso, è proprio la lingua aurorale del pensiero occidentale. Anche se – tra i persuasi – « lo dissero ai Greci Parmenide, Eraclito, Empedocle […], lo disse Socrate […] lo disse l’Ecclesiaste […] lo disse Cristo […] lo dissero Eschilo e Sofocle e Simonide, e agli Italiani lo proclamò Petrarca trionfalmente, lo ripeté con dolore Leopardi », Michelstaedter non rinuncia all’azione62 e non si consegna al silenzio. Il suo contributo alla riflessione sulla Sprachkritick63 sta invece proprio nella novità antica della risposta : non rinunciare a parlare, ma cercare di ritrovare la lingua perduta. In questo senso il greco dei tragici, il greco misterico e oracolare cui si avvicina l’espressione eraclitea e parmenidea, si presenta come la forma migliore per superare la rettorica linguistica (della scienza, della filosofia, dell’accademia e della convenzione sociale) che è divenuta pura forma priva di vero significato64. Se invece è necessario pensare e parlare in modo onesto, nuovo e inattuale, è necessario allora scrivere nella lingua originale del pensiero originario. Secondo la lezione di Parmenide per il quale «τὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι» [infatti essere e pensare sono la stessa cosa], l’attenzione filo-logica di Michelstaedter per l’espressione è massima, e un certo utilizzo della « parola » diventa chiave di volta dell’intera opera : questo è il suo metodo per tornare a persuadere. Lui non parla dei greci, non commenta i presocratici e non cita semplicemente i tragici : lui, più vitalmente, parla la loro lingua.

  • 65 Michelstaedter 1995, 221.
  • 66 S. Campailla, « Alla ricerca del tesoro che non c’è », introduzione a Michelstaedter 2010 (...)
  • 67 Sull’argomento cfr. Putignano 2015.
  • 68 Michelstaedter 1995, 150.

25L’« inattualità » dell’Antico diventa così l’occasione per ripensare il presente senza cadere nella tentazione sperimentalistica e avanguardistica ; si tratta di educare nuovamente l’uomo ad una sensibilità semantica ed ermeneutica che la rettorica, nei secoli e con la sua « proiezione della mente d’Aristotele sui modi della significazione »65, ha ucciso : « La filosofia della Persuasione è infatti in primo luogo una peda­gogia, un’educazione del fanciullo »66, scrive Campailla, richiamando la dimensione paideutica del Goriziano67. Essere inattuali significa quindi porsi socraticamente alla ricerca di nuovi modi pedagogici che sfuggano alla stanca formularità retorica per ritrovare una lingua più vicina alla vita, al bios : non per niente l’ultimo dei suoi dialoghi “pedagogici”, quello tra Carlo e Socrate, è scritto interamente in greco e richiama, nella sua chiusa, quella visione lapidaria e chiara della Persuasione e la rettorica : « impossessarsi del bene della propria anima, essere uguali a se stessi (esser persuasi) è necessario, vivere non è necessario ! »68.

La scelta del greco

  • 69 Meroi 2010, 10.
  • 70 Cfr. Colli 1998.
  • 71 S. Campailla, in Michelstaedter 2010, 23.
  • 72 Pigozzo, a. a. 2015 / 2016, 93.
  • 73 Michelstaedter 1996, 154.
  • 74 Michelstaedter 1995, 115, nota 3.
  • 75 Peluso 2013, 93.
  • 76 Angelucci, in un paragrafo specifico del suo volume dedicato alla questione (Multilingual (...)
  • 77 Michelstaedter 1958, 739.
  • 78 Ibid.

26La vicenda biografica e le scelte filosofiche di Michelstaedter consentono di parlare di un anelito verso l’ideale, vale a dire di una « fortissima e costante tensione verso obiettivi probabilmente irraggiungibili ma non per questo meno cogenti »69 : tra questi il tentativo di rispondere alla crisi (del linguaggio e della civiltà) utilizzando la lingua della filosofia prima della nascita della filosofia70. L’antichità presocratica, quella che si è soliti chiamare storicamente grecità arcaica, rappresenta per Michelstaedter un’alternativa al presente di decadenza già provata e sperimentata dallo spirito dei tempi : il senso greco del tragico, che sa tenere unite in un’unica visione la disperazione del dolore e l’efferata bellezza del vivere senza rinunciare al grande stile di matrice nietzscheana, è l’ultima chiamata degli spiriti onesti verso una possibile ricucitura delle lacerazioni del tempo. Il mondo greco, l’uomo greco, il sentire antico prima della sua cristallizzazione retorica in semplice « classicismo », sono le vive possibilità pedagogico-educative di cambiamento per una riappropriazione della dicibilità del vero : non si tratta di evocazioni neoclassiche né di malinconiche visioni pittoresche, e tantomeno di seduzioni primitivistiche ; sono piuttosto attive opportunità di conoscere autori e idee che ora, nella contemporaneità moderna, possono finalmente risultare efficaci. È certamente, questa, un’« utopia del tempo remoto »71, ma è anche l’invito ad una nuova praxis che si fonda strictu sensu sulla « necessità di risemantizzare la parola cristallizzatasi con il suo abuso »72. Questo ritorno all’Antico, e ai presocratici in particolare, rende il Goriziano in grado di porre la capacità persuasiva della parola greca non solo quale ponte tra modernità e antichità, ma quale possibilità reale di abitare « un altro mare »73 : l’obiettivo è quello di andare oltre « le parole d’una lingua razionalmente vissuta »74 e di tornare alla lingua in cui il mistero, inteso come estrema possibilità poetica del dicibile, non soccombe al logos (rettorico) ma si esprime attraverso il mythos (persuasivo). È nella costruzione del linguaggio filosofico, e di ogni linguaggio specialistico, che « si smarrisce l’unico originario primitivo autentico e grecissimo sentiero della persuasione »75. Il ricorso continuo alle citazioni dei presocratici non è dunque sfoggio erudito, ma apertura alla voce della sapienza antica che offre una renovatio linguistica76 per chiunque voglia “tornare” a parlare in modo onesto della verità e della vita. Il logos presocratico si differenzia da quello rettorico in quanto sa conservare il mythos, l’immaginalità, l’apertura ; per questo è la lingua scelta da Michelstaedter e per questo tale scelta può definirsi mistica nel senso etimologico del termine : vicina al mistero. Consideriamo il già citato Dialogo tra Carlo e Socrate, dialogo interamente scritto in greco il cui titoletto introduttivo recita «ΕΙΣ ΑΡΓΙΑΝ» e il sottotitolo «Περὶ τῆς ῥητορικῆς» : il dialogo si conclude con l’identificazione di Carlo nel filosofo cirenaico Egesia, il «πεισιθάνατος», il persuasore di morte, che mette alle strette Socrate e l’intero impianto della filosofia occidentale. A noi di questo breve dialogo interessa notare, più che le implicazioni filosofiche del contenuto, quelle dello stile : l’achmé filosofico del Goriziano deve appoggiarsi al greco per potersi esprimere ; lo scritto conserva una velocità, una rapidità di pensiero che porta davvero ai ferri corti l’intero sistema della persuasione e della rettorica : i termini per dire questo “indicibile” possono essere solo quelli greci, quelli cioè che hanno fondato il sistema stesso (« Καὶ γάρ ἐστι ἡ ῥητορικὴ μηχάνημά τι τοῦ βίου· καὶ ὅρος ἐστὶ τῇ ῥητορικῇ ὁ βίος »77 [infatti la rettorica è uno strumento della vita : e la vita è il fine della rettorica]). In questo scritto sembra che le parole non debbano più essere “cercate”, ma che esauriscano perfettamente il senso e la volontà dell’autore così come sono, per finire tutte in una lapidaria gnomè che suggella la fine del testo e si pone quale termine ultimo della riflessione : « οὐδὲν ἄλλο τῷ βίῳ τέρμα εἶναι ἢ αὐτὸν τὸν βίον »78 [la vita non ha altro scopo se non la vita stessa].

  • 79 Manca un’indagine filologica che studi formalmente e stilisticamente il greco utilizzato (...)
  • 80 Sessa 2013, 175.
  • 81 Pieri 1984, 81.
  • 82 Citazione dell’evangelista Luca in Michelstaedter 1958, 8.
  • 83 Pieri 1984, 81.
  • 84 Ibid.
  • 85 Michelstaedter 2010, 54.
  • 86 « Il senso autentico del pensiero di Michelstaedter va rintracciato – scrive Brianese – (...)
  • 87 Michelstaedter 2010, 65.
  • 88 Ibid., 121.
  • 89 Ibid., 65.

27Questa è l’alternativa mistica al silenzio : parlare una lingua che nella sua auroralità è, dopo millenni, carica di potenziali significati da ri-utilizzare, re-impiegare, ri-semantizzare. Non si può tralasciare quindi di interpretare il ricorso al greco79 come atteggiamento mistico nei confronti del linguaggio e della verità di vita che questo veicola : la lingua greca è una riconnessione ad un mondo precedente, ad un Urwelt che non ha la sua essenza in visioni neoclassiche o arcadiche, piuttosto anzi nel magma dionisiaco del presocratismo, che potremmo chiamare, con un azzardo, « pre-retoricismo ». D’altronde il tratto saliente del pensiero di Michelstaedter è da individuarsi nella costruzione di una filo-sofia postmetafisica, cioè di una concezione del mondo propedeutica al recupero « di un sapere in cui il logos sia riconciliato con il mythos e con eros »80. La scelta dell’impiego vitale e « inattuale » del greco da parte di Michelstaedter, come mezzo pre-logico e fattuale per poter tornare a dire ciò che il linguaggio impersonale non riesce più a dire (si pensi ad Heidegger), è da contestualizzarsi proprio nella funzione mistica che assume nel goriziano la nozione di persuasione. Bisogna far parlare la lingua del mythos, del dionisiaco che parla filosoficamente (Eraclito, Parmenide, Empedocle) e non dell’apollineo che fa filosofia (Platone e Aristotele), dal momento che il concetto di parola in Platone e Aristotele « non comunica più il senso di una verità che per essere tale deve invece possedere infinite capacità di dialogo con le verità altrui »81. La concezione di pistis (fede, adesione ad un’idea, fiducia, credenza) e di peithò (persuasione, capacità di convincere, ma anche obbedienza e sotterfugio) si con-fondono nel kairos in cui chi parla lo fa con parresia, con massima onestà, credendo in ciò che dice perché è ciò che dice : ecco giustificata la presenza degli evangelisti che ancora credono in quello che dicono (hanno fede e sono persuasi, perché ci credono : « Μήτι δύναται τυφλὸς τυφλὸν ὁδηγεῖν »82 [può forse un cieco guidare un altro cieco]). Michelstaedter sembra essere consapevole che « solo riaffermando e interiorizzando i fondamenti del pensiero religioso e mistico, solo riconoscendosi nella parola dei presocratici e della socratica ricerca della verità, la coscienza novecentesca riprenderà contatto con un concetto incommensurabile di verità »83. In quali parole dire l’abisso ? È necessario, attraverso la de-mistificazione delle parole standardizzate dai saperi (scientifici o filosofici che siano), riattualizzare la parola mistica, ri-educarsi ad essa : ovvero eliminare la rettorica aristotelica per « ristabilire i primati del passato sulle effettuali ragioni del presente »84, proponendo un recupero filo-logico dell’idea e delle parole della grecità. La lingua dei greci (« da quella gente sana che erano »85) chiede infatti di evitare le vie della rettorica, di quel sistema di mezzi, regole e precetti che divengono καλλώπισμα ὄρφνης, e di attingere alla lingua aurorale86 : sono i presocratici, in effetti, le basi d’appoggio, gli esempi di persuasori, i filo-sofi e filo-logi in grado di dire la verità senza mediazioni artificiose o tecniche metodologiche tipiche dell’impostazione aristotelica. Solo in questo modo il filosofo mantiene il suo grande stile, la sua personalità. È Michelstaedter ad affermarlo, quando in un breve testo intitolato Περὶ ὀνομάτων87 [sui nomi] (ma la riflessione sul linguaggio si infiltra in moltissimi altri scritti, come ad esempio nello scritto Delle particelle avversative88), scrive che « le parole e così il modo di connetterle, la sintassi, danno la personalità dello scrittore che è l’insieme delle cose significate e il criterio della loro significazione. Da ogni frase pensata e sentita da uno scrittore si può fare l’induzione sul criterio della sua forma : la personalità »89.

Il greco lingua della totalità

  • 90 Michelstaedter 1995, 159.

28Via alla persuasione è il titolo dell’ultimo paragrafo del primo capitolo della sua opera maggiore : è, potremmo dire, la sezione metodologica della sua più vasta teoria retorica. Tra le indicazioni “di metodo” che l’autore indica, ve n’è una che, benché non esplicitata a livello teoretico, risulta evidente a livello pratico : l’utilizzo della lingua greca. Questo multilinguismo che si impone ostinatamente in moltissimi passi del suo scritto dà conto della necessità di dire con altre parole la stessa cosa. L’uso della lingua ellenica aumenta all’aumentare del bisogno espressivo : più un concetto, un passo, un’immagine o un’idea sono fondamentali, decisive per scalfire la cortina della standardizzazione (la μεσότης) linguistica, più il ricorso ad una “ri-spiegazione” in greco di quanto già detto in italiano, si fa necessaria. Questo proprio per evitare il pericolo – in cui è incorsa ad esempio la scienza – di pretendere un’assolutezza dei significati, una relazione univoca tra parola e cosa : è così che, altrimenti, nasce la rettorica. La polisemia del greco, invece, e soprattutto della lingua dei tragici e dei presocratici, sembra essere l’unico antidoto alla pretesa assolutezza del linguaggio nata dal pensiero del “secondo” Platone e soprattutto di Aristotele. L’univocità, la precisione deittica, la ferrea logica sillogistica e catalogatoria sono per Michelstaedter – e questa analisi la si trova soprattutto nelle Appendici critiche – le forme linguistiche che, assolutizzatesi, hanno spento la forza mistica del pensiero (e del linguaggio) libero e persuasivo che garantisce l’ἀυτάρκεια, vale a dire « l’unica salute »90 dello spirito.

  • 91 Ibid., 176.
  • 92 Ibid., 195.
  • 93 Ibid., 58.
  • 94 Ibid., 180.
  • 95 Cacciari 1986, 30.
  • 96 Campailla riporta questa traduzione del passo di Parmenide : « Così invero le c (...)

29Dall’uso che Michelstaedter fa della lingua greca emerge dunque forte la differenza tra il concetto di assoluto e quello di totalità : l’assoluto è linguisticamente il prodotto di una scelta retorica, limitata e limitante, che richiama il dominio della scienza e del sapere settoriale : è una δυσπαιδαγωγία; invece la totalità è, nell’espressione, la pluralità del senso, la possibilità infinita della co-scienza. Il limite è sottile, ma esiste : « Dove si può segnar la frontiera – si chiede Michelstaedter a tal proposito – nella correlatività delle cose fra ciò che μετέχειν all’assoluto e ciò che non può μετέχειν [partecipare], quando ormai nelle parole a proposito della correlatività si è affermato consistere l’assoluto, e nel parlare di chi πραγματευόμενος διατρίβει [impegna la propria attività] s’è finta vita sufficiente ? »91. Il greco pre-retorico è per il Goriziano la lingua mistica e onesta della co-scienza che permette ancora una polisemia, una totalità di sensi che eccedono la contingenza e aprono la dimensione dell’interpretazione ; in fondo l’utilizzo del greco diviene un problema ermeneutico : il buon impiego di questa lingua “morta” significa scegliere la totalità sintetica della semantica di contro all’analitica della retorica logico-scientifica ; proprio perché la διάνοια platonica – scrive – « non θεωρεῖ [indaga] più le cose, ma θεωρεῖ περὶ παντοίων προβλημάτων διὰ λογισμῶν [indaga su tutti i problemi con il discorso logico] : teorizza »92, non è più viva, non dice più niente e così « gli uomini, che nella solitudine del loro animo vuoto si sentono mancare, s’affermano inadeguatamente fingendosi il segno della persona che non hanno, “il sapere” come già in loro mano »93 ; è Platone l’iniziatore di questa caduta, di questa retoricizzazione della vita : « per lui ἐστιν enclitica ed ἔστιν sono confuse per sempre »94 : l’Essere che esiste, per Platone, è solo quello che può essere detto. L’Essere, invece, non deve essere “teorizzato”, ma vissuto e detto misticamente. È a questa funzione comunicativa primaria, aurorale, che assolve l’utilizzo del greco ; quando Massimo Cacciari sottolinea gli esiti diversi della riflessione di Wittgenstein e di quella di Michelstaedter, nota giustamente che l’uomo della rettorica deve « sommuovere dall’interno il linguaggio forzandolo, βίᾳ, a uscire da sé, come se potesse oltrepassarsi »95 : questo oltrepassamento Michestaedter non lo compie scegliendo il silenzio, ma tentando la via del greco presocratico prima della sua rettorica, tentando quindi la voce stessa dei presocratici : « Οὕτω τοι κατὰ δόξαν ἔφυ τάδε νῦν τε ἔασι, καὶ μετέπειτ’ἀπὸ τοῦδε τελευτήσουσι τραφέντα· τοῖς δ’ὄνομ’ἄνθρωποι κατέθεντ’ἐπισημον ἑκάστῳ »96. Loro hanno già detto con parole persuase quanto poteva essere detto, a noi moderni spetta ora il compito di riscoprire i concetti (φιλοψυχία, ἀργία, ecc.) e la lingua greca con cui si sono espressi.

  • 97 Casi ancora più interessanti si trovano in testi quali « Das Leben ist nichts wert », in (...)
  • 98 Michelstaedter 1958, Scritti vari, 833.
  • 99 Michelstaedter 1995, 230. Nella traduzione di Campailla i passi vengono resi rispettivame (...)
  • 100 Michelstaedter 1995, 229.
  • 101 Senza tenere conto, poi, delle alternative filologiche operate da Michelstaedter : nel mo (...)
  • 102 Cfr. Angelucci 2011, 88.
  • 103 Cfr. Michelstaedter 1995 : passi a 7 ; 9 ; 13 ; 19.

30Questa scelta linguistico-espressiva la si trova non solo nell’opera maggiore, ma anche negli Scritti vari, in cui spesso le frasi italiane finiscono in greco e viceversa97 : quando il pensiero si fa via via più complesso, nel flusso veloce di considerazioni che si riversano sulla pagina (giova ricordare che noi leggiamo quasi esclusivamente testi mai riletti dal goriziano), subentra quasi inconsciamente la necessità di attingere altrove la terminologia : « Ma questo vuol dire hinwiederum che dalla storia l’uomo debba trarre la conoscenza di questa vita più alta, anzi τοὐναντίον dimostra che questa è a priori di quella »98 ; oppure, per rimandare solo ad alcuni tra i davvero innumerevoli esempi possibili in cui troviamo l’utilizzo del greco ora al servizio di una certa levitas (« è perciò che i fornai hanno tutti la tendenza a diventar pasticceri, e se non tutti οἵ γε πλεῖστοι, e se non in tutto κατά γε τὴν θεωρίαν [intendo “la vetrina”] »)99, ora al servizio di una ben più pressante gravitas (« poiché ogni scienza dalle ἴδιαι ἀρχαί [principi propri] tratte dalla καθόλου ὑπόληψις [concetto universale] può scender a classificare risultanze fenomeniche »100). In ogni caso l’attenzione filo-logica101 per rivitalizzare questa lingua mistica della totalità è sempre molto alta in ogni suo scritto : valga per tutti, come ultimo esempio, la costellazione di passi in cui ricorre al verbo μένειν102 per spiegare ciò che in italiano risulta impossibile dire a livello di sfumatura semantica, rimanendo vincolati ad un semplicistico significato di “rimanere”, invece che « restare, trattenersi, stabilirsi, mantenere la posizione, essere immobile, fermo, essere fissati (destinati), resistere, durare, essere validi, vivere, sopravvivere, persistere, essere costanti », e ancora « essere soddisfatti, accontentarsi, attendere, rimanere ad aspettare »103.

  • 104 Risorta dopo millenni di sotterranei percorsi – che solo a tratti e in rari aut (...)
  • 105 Michelstaedter 1995, 114.

31Ecco perché in Michelstaedter il greco diventa lingua della totalità, della ricomposizione del frammento ; diventa lingua nuova e possibile, o meglio nuovo modo per dire l’antico, quell’antico che parla ancora nel presente, e che al presente serve per riconoscersi104 : altrimenti « le parole, come nel parlare rimangono oscure e vaghe, perdono la possibilità della pienezza delle riferenze per cui altrimenti sono perspicue… »105. Nel momento in cui Michelstaedter parla di « pienezza » dei significati, comprendiamo come l’utilizzo del greco non abbia solo funzione di « citazione », di appoggio e corroborazione, ma come sia piuttosto l’unica forma possibile per dire qualcosa che altrimenti risulterebbe indicibile. È viva prassi persuasiva.

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Notes

1 Eco 1993, 8.

2 De Carolis 1989.

3 Cfr. Fumaroli 1994, 151 ; cfr. anche gli studi di A. Compagnon (Compagnon 1998).

4 A partire dai saggi riuniti in Una pietra sopra di Italo Calvino (Calvino 2002) alla prefazione di Norberto Bobbio all’edizione italiana del Trattato dell’argomentazione di Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca (Bobbio 1989), dagli studi di Ezio Raimondi e Andrea Battistini (Battistini & Raimondi 1990) al Manuale di Retorica di Bice Mortara Garavelli (Mortara Garavelli 1998), dalla forza delle immagini persuasive di Ernesto Grassi (Grassi 1989) alla semiotica di Umberto Eco (Eco 1996), dalla retorica del silenzio di Paolo Valesio (Valesio 1986) alla critica del logocentrismo di Carla Locatelli (Locatelli 1996), solo per fare qualche esempio.

5 Marazzini 2001, 266.

6 Bobbio 1989.

7 Genette 1972.

8 Croce 1902 ; Croce [1913] 1990 ; Croce 1920.

9 Oltre agli scritti di G. Gentile come La riforma della scuola in Italia (Gentile 1989), si vedano gli studi di J. Charnitzky, Fascismo e scuola. La politica scolastica del regime 1922-1943 (Charnitzky 1996) ; M. Galfrè, Una riforma alla prova (Galfrè 2000) ; G. Genovesi, Storia della scuola in Italia dal Settecento a oggi (Genovesi 1998).

10 Genette 1972.

11 Piazza 2004, 37.

12 Reboul 1996.

13 Cfr. Cingari 2003 ; Furnari Luvarà 2004 ; Giammattei 2009 ; Giammattei 1987.

14 Michelstaedter conserva la grafia con la doppia t, come nell’italiano medievale e Ottocentesco (De Sanctis) e forse per l’influenza dell’Estetica di Croce. Di recente è stata proposta (Valesio 1986) la doppia grafia per distinguere la retorica, quella interna, la prassi discorsiva della retorica con una t, dalla retorica esterna, codificata come disciplina, teoria, la rettorica (distinzione già presente nel mondo latino tra retorica utens e retorica docens e in quello anglosassone tra Rhetoric e Rhetorics che già forse Michelstaedter aveva anticipato).

15 Cfr. Campailla 1982, « Introduzione ».

16 Michelstaedter 1995, 10.

17 Ibid., 299.

18 Cfr. Prezzolini 1904a.

19 « Nella sua essenza, anzi, la critica di Michelstaedter alla “rettorica” è una negazione della parola umana, condotta in nome di una comunicazione persuasiva che reca i tratti di una paradisiaca lingua divina » ; Carchia 1981, 128.

20 Cfr. Locatelli 1996.

21 Tra i principali ricordiamo Parmenide, Eraclito, Empedocle, Platone, Aristotele, Eschilo e Sofocle. Per un approfondimento delle fonti greche michelstaedteriane si rimanda agli studi critici di G. Brianese, S. Campailla, M. Cacciari, G. Pacelli, P. Pieri e alla bibliografia in calce.

22 Pieri 1989, 508.

23 Pacelli 2010, 26.

24 In alcuni passi della Persuasione campeggia quell’« Intraducibile » inerente la parola redlich (« onesto » e allo stesso tempo « dicibile »). L’attenzione al linguaggio, e perfino a quello matematico, è evidente non solo nell’uso del greco, ma anche del tedesco e ai riferimenti ad altre lingue, come l’ebraico e l’inglese ; Michelstaedter 1995, 37, nota 1 ; 39 ; 48, nota 3.

25 Riportiamo un esempio di questa osmosi dal testo di C. Michelstaedter, La persuasione e la rettorica (Michelstaedter 1995, 188) : « Sono tante verità, che saggiamente διὰ λογισμῶν ἀφορισθεῖσαι [determinate dal ragionamento] e subordinate ai modi delle ἐπιστῆμαι ἀφωρισμέναι (αἱ ἐπὶ τό τε σῶμα καὶ τοὺς λίθους γιγνόμεναι) [scienze esattamente determinate (quelle che si costituiscono riguardo al corpo e alle pietre)] e coi nomi che a queste appartengono significate, partecipano del sistema e fanno capo al sommo bene, all’assoluto, a Dio ». Tutti i passi citati che esemplificano la lingua mista di Carlo Michelstaedter sono riproposti nella versione curata e tradotta da Sergio Campailla (vedi bibliografia).

26 Cfr. la sezione Scritti vari, in Michelstaedter 1958.

27 Piromalli 1974, 83.

28 Sorrentino 2013, 25.

29 Quaranta 1985.

30 Cfr. i lavori di S. Campailla, P. Pieri, G. Brianese, M. Cacciari, F. Meroi.

31 Campailla 1982, 14.

32 Colli 2010, 31.

33 Campailla nell’introduzione sopra citata parla di “ritorno a Parmenide” : concetto che torna in G. Brianese, L’arco e il destino. Interpretazione di Michelstaedter (Brianese 2010).

34 Michelstaedter 1995, 134.

35 Nel dibattito sulla grecità – tema fortemente sentito all’inizio del Novecento – interviene Giuseppe Prezzolini, contemporaneo di Michelstaedter, con due articoli : Prezzolini 1904b e Prezzolini 1905. Un altro contemporaneo, Renato Serra, scrive il saggio « Intorno al modo di leggere i Greci » (Serra 1958).

36 Cfr. Colli 2010, 49-50.

37 Pacelli 2010, 20.

38 Riportiamo alcuni esempi dal testo di C. Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, curato e tradotto da Sergio Campailla : « Per possedere sé stessa – per giungere all’essere attuale essa corre nel tempo : e il tempo è infinito poiché nel momento ch’essa riuscisse a possedersi, a consistere, cesserebbe d’essere volontà di vita (ἄπειρον οὗ ἀεί τι ἔξω [infinito al di là del quale c’è sempre qualcosa]) ; e infinito è lo spazio poiché non v’è cosa che non sia volontà di vita (ἄπειρον οὗ οὐδὲν ἔξω [infinito al di fuori del quale non c’è niente]) » (Michelstaedter 1995, 11) ; e ancora : « La scienza è dunque impotente a produrre la πίστις [argomentazione], se è necessario presupporla : δεῖ γὰρ πιστεύειν τὸν μανθάνοντα [chi impara deve infatti nutrire fiducia]. La dialettica avrà bensì il κοινόν [carattere comune, generale] di tutte le scienze » (Michelstaedter 1995, 277).

39 È doveroso, in ogni caso, contestualizzare questa scelta nel panorama socio-culturale e filosofico di fine Ottocento, che vede nella lingua greca un importante elemento della formazione scolastica dei cittadini. I Ginnasi tedeschi (e, nel nostro caso, austriaci) sono infatti la culla che ha permesso a pensatori quali Michelstaedter o Nietzsche di accedere a passo sicuro e spedito nel mondo dell’Antichità, e di trovare, nel mondo universitario, maestri di enorme levatura filologica.

40 Cacciari 1986, 25.

41 Peluso 2013, 96.

42 Ibid., 99.

43 Brianese 1990, 23.

44 Pieri 1984, 75.

45 Brianese 1990, 27.

46 Campailla 1982, 17.

47 Ibid.

48 Pigozzo a. a. 2015 / 2016, 94.

49 Per Pigozzo non è eccessivo « considerare il greco come linguaggio e parola metafisica per eccellenza nel filosofo goriziano » ; Pigozzo a. a. 2015 / 2016, 94.

50 Nietzsche [1874] 2007, 4.

51 Ibid., 5.

52 Michelstaedter 1995, 84.

53 Ibid., 88.

54 In una nota de La persuasione e la rettorica che lo stesso Michelstaedter scrive in calce alla sentenza « dell’oracolo di Delfo », spiega, attraverso una citazione di Eraclito (« Ἐδιζησάμην ἐμεωυτόν »), che il verbo δίζημαι va utilizzato nel senso « cerco una cosa che non conosco, cerco una cosa, e nello stesso tempo cerco di sapere che cos’è questa cosa (radice ζη- < ζητέω> reduplicata). Come uno che non sa che cosa sia una superficie chiusa da una linea curva – ma sa che non ha angoli e sa cosa sono angoli, che cerca d’averla ricercandola fra le altre figure, scartando tutte quelle che hanno angoli : cercare con dati negativi » ; Michelstaedter 1995, 46.

55 Angelucci 2011, 18.

56 Brusa 2011, 38-39.

57 Cfr. Von Hofmannsthal 1902.

58 Sul concetto di onestà in Michelstaedter si veda Premi 2010.

59 Michelstaedter 1995, 119.

60 Ibid., 3.

61 Cacciari 1986, 33.

62 Cfr. Storace 2007 ; Brianese 1990.

63 Furlan 1999, 125 sq.

64 Brianese 1990, 25.

65 Michelstaedter 1995, 221.

66 S. Campailla, « Alla ricerca del tesoro che non c’è », introduzione a Michelstaedter 2010, 17.

67 Sull’argomento cfr. Putignano 2015.

68 Michelstaedter 1995, 150.

69 Meroi 2010, 10.

70 Cfr. Colli 1998.

71 S. Campailla, in Michelstaedter 2010, 23.

72 Pigozzo, a. a. 2015 / 2016, 93.

73 Michelstaedter 1996, 154.

74 Michelstaedter 1995, 115, nota 3.

75 Peluso 2013, 93.

76 Angelucci, in un paragrafo specifico del suo volume dedicato alla questione (Multilingualism, Greek and Aphorisms), si propone di indagare « the possible rhetorical reasons why, a language other than Italian is deployed » (Angelucci 2011, 86-87).

77 Michelstaedter 1958, 739.

78 Ibid.

79 Manca un’indagine filologica che studi formalmente e stilisticamente il greco utilizzato da Michelstaedter.

80 Sessa 2013, 175.

81 Pieri 1984, 81.

82 Citazione dell’evangelista Luca in Michelstaedter 1958, 8.

83 Pieri 1984, 81.

84 Ibid.

85 Michelstaedter 2010, 54.

86 « Il senso autentico del pensiero di Michelstaedter va rintracciato – scrive Brianese – nell’uso che Michelstaedter fa della parola dei Greci e, in particolare, dei Presocratici » (Brianese 1990, 28).

87 Michelstaedter 2010, 65.

88 Ibid., 121.

89 Ibid., 65.

90 Michelstaedter 1995, 159.

91 Ibid., 176.

92 Ibid., 195.

93 Ibid., 58.

94 Ibid., 180.

95 Cacciari 1986, 30.

96 Campailla riporta questa traduzione del passo di Parmenide : « Così invero le cose sorsero secondo l’opinione e ancora sussistono, / e di qui in poi crescendo perverranno alla fine ; / a ciascuna d’esse gli uomini assegnarono un nome convenzionale » (Michelstaedter 1995, 324).

97 Casi ancora più interessanti si trovano in testi quali « Das Leben ist nichts wert », in cui si integrano in una prosa fluida greco e tedesco quasi si trattasse di un’unica forma espressiva ; cfr. Michelstaedter 1958, 737.

98 Michelstaedter 1958, Scritti vari, 833.

99 Michelstaedter 1995, 230. Nella traduzione di Campailla i passi vengono resi rispettivamente con : « almeno la maggior parte » e « almeno riguardo alla vista ». In questo caso la traduzione in parentesi quadra è parte del testo di C. Michelstaedter.

100 Michelstaedter 1995, 229.

101 Senza tenere conto, poi, delle alternative filologiche operate da Michelstaedter : nel momento in cui completa la sua frase in italiano con una citazione in greco di Eraclito appone in apice una nota in cui specifica che « il θυώματα è aggiunto da Mullachius », aggiungendo che « forse non è opportuno, perché Eraclito dice come le cose variano instabili all’occhio, se si guardino attraverso il fumo ; mentre una colonna di fumo o due commiste offrono all’occhio sempre la stessa figura. Ma ad ogni modo il Mullachius ne sa molto più di me » (Michelstaedter 1995, 13).

102 Cfr. Angelucci 2011, 88.

103 Cfr. Michelstaedter 1995 : passi a 7 ; 9 ; 13 ; 19.

104 Risorta dopo millenni di sotterranei percorsi – che solo a tratti e in rari autori (si pensi a Boccaccio nel ‘300) o in precise epoche (il Rinascimento e la Controriforma) sono emersi alla luce e all’attenzione del pubblico letterario e filosofico – da un travagliato percorso che vede questa lingua “bloccata” dall’educazione gesuitica e sbloccata finalmente con le riforme liberali ottocentesche, sulla spinta teorica e pedagogica soprattutto del neoumanesimo humboltiano e della filosofia hegeliana, alla fine dell’Ottocento incontra autori come Nietzsche e Michelstaedter che ad essa si avvicinano non tanto per gusto estetico o per semplice « classicismo », quanto piuttosto per arrivare – attraverso di essa – ad un nuovo linguaggio che comunichi una nuova visione filosofica del mondo.

105 Michelstaedter 1995, 114.

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Pour citer cet article

Référence papier

Alessandro Miorelli et Federico Premi, « La lingua greca e il ruolo dell’Antico nell’opera di Carlo Michelstaedter »Kentron, 33 | 2017, 127-150.

Référence électronique

Alessandro Miorelli et Federico Premi, « La lingua greca e il ruolo dell’Antico nell’opera di Carlo Michelstaedter »Kentron [En ligne], 33 | 2017, mis en ligne le 09 janvier 2018, consulté le 21 janvier 2025. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/kentron/1056 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/kentron.1056

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Auteurs

Alessandro Miorelli

Dipartimento di Lettere e Filosofia, Università di Trento

Federico Premi

Museo storico del Trentino

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