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Comptes rendus

Maria Luisa Doglio, Maestri. Un alfabeto di civiltà

Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2021, XII-170 pages
Ilenia Del Gaudio
p. 419-423
Référence(s) :

Maria Luisa Doglio, Maestri. Un alfabeto di civiltà, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2021, XII-170 pages

Texte intégral

1Il libro Maestri di Maria Luisa Doglio può essere considerato come una passeggiata in compagnia di alcune delle figure che hanno contributo alla sua vasta e varia formazione. L’autrice ci permette di entrare nella sua biblioteca e nei suoi ricordi per scoprire il significato della parola maestro (che implica ovviamente maschile e femminile). « Maestro è colui che insegna a imparare », diceva l’Heidegger tradotto e commentato da Luigi Pareyson. In effetti, attraverso ognuno dei quattordici studiosi da lei scelti e rievocati, c’è la volontà di trasmettere diverse metodologie per accostare i testi, per scandagliarli e farli rivivere.

2Attraverso Getto, Doglio ci mostra come la storia letteraria sia veramente storia di vita spirituale, intellettuale, storia di uomini diversissimi per cultura, fede, ideologie, « storia della poesia essenzialmente, ma anche di quella humus in cui si elabora la coscienza della letteratura e della poesia ». La particolarità dei saggi che la studiosa ha riunito nel suo libro risiede nel genere letterario a cui si è avvicinato ogni maestro, un’operazione che comporta inevitabilmente una loro fugace biografia e bibliografia.

3Franco Bolgiani è indissolubilmente legato alla Rivista di Storia e Letteratura religiosa, da lui diretta per più di trent’anni, fondata nel 1965 con Michele Pellegrino, Giovanni Getto, Italo Lana, Sergio Lupi e Raoul Manselli. Questa rivista, comunemente detta “di Bolgiani”, si afferma in breve come un unicum nel panorama critico dell’epoca, sia per l’intento e il metodo di applicarsi allo studio della storia e della letteratura cristiana, antica, medievale, moderna e contemporanea, sia per l’onda dei dibattiti teorici e il successo dei numeri monografici. Nel 1997 Franco Bolgiani costituirà pure la Fondazione Michele Pellegrino, versando una somma ragguardevole del suo patrimonio privato. Con una immagine tratta da una poesia degli Xenia II di Eugenio Montale, Doglio confessa che con Franco Bolgiani, lei e gli amici che gli sono stati sempre vicini, hanno sceso « milioni di scale »: come guida di un percorso, Bolgiani ha aiutato a guardare « più in là », secondo la chiusa di Maestrale, poesia contenuta nell’amata raccolta montaliana degli Ossi di seppia. Di fatto, ricorda Doglio, « Guardiamo più in là » era formula ricorrente nel lessico di Bolgiani durante le riunioni, al lunedì, della sua Rivista.

4Vittorio Branca non può che essere associato ai suoi studi sulla tradizione veneziana: umanista del Novecento, come notoriamente ebbero a definirlo il conte Vittorio Cini e il patriarca di Venezia Angelo Roncalli, Branca ha composto il liber della Sapienza civile, summa delle sue ricerche e del suo ideale umanistico, costituita da saggi sempre in progress, rielaborati negli anni come tappe e capitoli di una ricerca inesausta, alcuni molto noti apparsi in sedi prestigiose, altri inediti. Chi ha potuto parlargli abitualmente negli ultimi anni sa quanto lo studioso continuasse a lavorare all’Umanesimo veneziano, a compulsare la bibliografia seguita ai suoi studi, ormai sterminata, sulla scrittura epistolare e sulla filologia di Ermolao, sulla polemica Pico-Barbaro, sull’influenza del circolo, sulle reazioni dei primi lettori, sul nodo di morale, religione, politica e buon governo.

5Vera Comoli, architetta, storica dell’architettura, è ricordata per il suo volume su Torino, uscito da Laterza nel 1983, lodevole per la logica pluriprospettica, per l’interesse congiunto e strettamente connesso tra architettura, arte, storia e letteratura, tutti elementi comuni anche nella sua personale esperienza. Non solo Doglio resta ammirata dalla figura di Comoli, ma ne è colpita dall’intelligenza del progettare, del custodire in modo storicamente consapevole, del riparare i guasti del tempo senza mai alterare o falsificare ciò che resta di altre epoche, conservandone l’immagine più autentica.

6Il contributo di Franco Croce si esplica, più che altrove, negli studi seicenteschi e nella sua singolare inclinazione a non rapportare il Barocco – almeno programmaticamente – agli enigmi, alle inquietudini, alle nevrosi del Novecento. Con Franco Croce, la Doglio impara che concettismo ed enfasi sono caratteri distintivi del Barocco, ma che « non devono, naturalmente, essere considerati due realtà autonome che operino il più delle volte disgiunte. Al contrario è proprio sul loro nesso che si deve puntare per cogliere il nucleo dinamico della storia letteraria del Seicento »: la letteratura barocca, ci insegna Franco Croce, è solo in apparenza portata a coltivare tutti gli estremismi e, dunque, è solo in apparenza rivoluzionaria, perché è invece « l’arte ufficiale di una società conformista ».

7Giovanni Getto è sicuramente noto per l’attenzione che rivolge, agli inizi del suo lavoro di critico, alla letteratura religiosa, attenzione che deriva dalla volontà di uscire dagli schemi del crocianesimo imperante per considerare l’opera letteraria in una prospettiva diversa, non più in rapporto alla « poesia » e « non poesia », ma in rapporto al movimento interno dell’opera stessa e di tutte le opere dell’autore, alla vicenda spirituale che ispira e determina l’opera nel suo farsi e nel suo composto organico di umanità e stile. Su questi presupposti nascono e si configurano gli Aspetti della poesia di Dante (aspetti e forme sono parole chiave del lessico gettiano dalla giovinezza alla piena maturità), un libro decisivo negli studi danteschi del Novecento, se non proprio di una nuova critica che Getto inaugura con la lettura del Paradiso, « esempio supremo di poesia metafisica », perché quella poesia in sostanza si nutre dei sentimenti che intorno all’esperienza intellettuale, appassionatamente realizzata, si generano e vivono. Nel decennio tra il 1950 e il 1960 Getto prosegue gli studi danteschi affiancandoli sia allo studio del Tasso, che continuerà per quasi quarant’anni, sia allo studio intenso e innovativo del Barocco, sia successivamente all’inchiesta sul Decameron e sui poeti e sui critici del Novecento, da Gozzano a Montale, da Momigliano a Flora a Praz.

8Attraverso una miscellanea di studi in suo onore, Doglio porta alla nostra memora il ricordo di Enrico Ghidetti, la sua opera critica, le sue ricerche, i suoi interessi, la cura nel creare e nel curare, nell’alimentare e nel coltivare i suoi discepoli, e, infine, la lunga direzione della Rassegna della Letteratura Italiana a quella, più recente, di una nuova serie di Studi Danteschi, senza dimenticare la carica di presidente della Società Dantesca Italiana di Firenze dal 2007 al 2012. Non quantificabile è l’impegno profuso per la didattica e per i corsi universitari; così come magistrali, ricorda Doglio, sono le lezioni e le conferenze a Parigi, l’attività di consulente editoriale, di membro del Consiglio di Amministrazione del Gabinetto Vieusseux e del direttivo del Centro Studi Aldo Palazzeschi.

9In merito a Renzo Negri, il ricordo è primariamente associato all’indagine sull’Ariosto all’inizio degli anni Settanta, anche se il suo originario nucleo di studi aveva riguardato il campo letterario sette-ottocentesco e dantesco. Nel 1971, quando appare l’Interpretazione dell’« Orlando furioso » di Negri, si andava affermando l’idea che il poema dell’Ariosto andasse letto in chiave narrativa, come fosse vero e proprio romanzo. Questa indicazione veniva spinta all’estremo, in modo decisamente nuovo, per alcuni versi sconcertante, dal tentativo d’avanguardia operato da Edoardo Sanguineti e Luca Ronconi con L’Ariosto in piazza, allestito a Spoleto, il 4 luglio 1969, per il Festival dei Due Mondi. Ancora oggi, dopo più di cinquant’anni nei quali la bibliografia sul poema dell’Ariosto è vorticosamente cresciuta, il libro di Negri, afferma Doglio, rivela intuizioni creative e resta un’agile, originale lettura di sicura efficacia didattica e di oggettiva possibilità di riprese.

10Procedendo nell’alfabeto di civiltà, incontriamo il nome di Ettore Paratore. Nel lontano 1971 usciva, negli atti di un convegno dell’Accademia dei Lincei sul Teatro classico italiano nel ’500, il suo saggio dal titolo Nuove prospettive sull’influsso del teatro classico nel ’500. Il saggio, di quasi cento pagine, rientra in una linea particolarmente rilevante dell’esperienza di Paratore che inizia con la Storia del teatro latino, pubblicata nel 1957 e più volte ristampata, anche in anni recenti, continua poi con i volumi su Terenzio e su Plauto, per culminare nei cinque tomi della fortunatissima edizione romana delle Commedie di Plauto. Opere, tutte, importanti non solo nell’ambito degli studi di letteratura latina, ma anche in quelli di italianistica e di comparatistica poiché il teatro rientra in quel concetto, enunciato da Salvatore Settis, di classico « che riguarda sempre non solo il passato ma il presente e una visione del futuro », in quanto « per dar forma al mondo di domani è necessario ripensare le nostre molteplici radici ». Da questo punto di vista, con Ettore Paratore Doglio ci ricorda che è necessario rileggere i testi del teatro antico e del teatro del Cinquecento per capire più a fondo l’orizzonte culturale, politico, sociale del nostro presente: è, perciò, quanto mai vana e sterile l’opposizione tra storia, letteratura e storia dello spettacolo.

11Intrecciando storia patria, filologia e critica, Giovanni Ponte si avvicina e valorizza autori minori, poco studiati o addirittura pervenutici solo attraverso una tradizione manoscritta. Una linea di fondo assai rilevata è, poi, quella degli studi sul Boiardo, avviati già nei primi anni Cinquanta sulla scorta degli studi ariosteschi del suo maestro Walter Binni. Il fedele rapporto Ponte-Binni appare uno dei tratti particolari dell’esperienza intellettuale di Ponte, particolare anche per certi aspetti della scrittura (basti pensare al necrologio di Walter Binni che Ponte affidò nel 1998 al Giornale Storico della Letteratura Italiana) e per le ben note testimonianze sul piano umano. Saggi che in gran parte confluiscono nel volume del 1972, La personalità e l’opera del Boiardo che propone – ed è lo stesso Ponte a dirlo nella premessa – « un’interpretazione del Boiardo fondata su un documentato esame d’assieme della sua opera ». Ma accanto a Boiardo, ci sono gli studi rivolti a Leon Battista Alberti, Poliziano, Leonardo e autori sommersi nell’oblio e meritoriamente riscoperti come Bartolomeo Gentile Falamonica.

12In Ezio Raimondi viene riconosciuto un maestro di perspicacia per la sua capacità di scrutare e attraversare i testi tassiani nel profondo e per la capacità di mettersi in intima connessione con la complessa identità del Tasso, guardando alle sue inquietudini, alle sue ansie ma anche alle sue responsabilità. Si tratta di una vera e propria testimonianza di « relazione etica » e di una lezione non solo di critica letteraria ma anche di civiltà. « Una lezione tanto più necessaria » afferma Doglio « in questi giorni sgomenti di violenza e barbarie » (p. 119). L’attenzione continua, vigile, sollecita alla realtà, ai giovani, al presente e al passato, alla tradizione e al nuovo che avanza è una delle costanti ricercata e riscontrata dall’autrice di Maestri, dove la passione è palpabile e contestuale a un concreto rigore scientifico, figlio di un lavoro lento, metodico, sistematico, presupposto e fondamento per insegnare a pensare, ad argomentare, a contestualizzare.

13L’autrice ci istruisce, poi, in merito alla sacra fedeltà, criterio che permette di avvicinarci sempre di più, senza pretesa di arbitrarie letture, alla volontà di grandi autorità. Gianvito Resta dimostra, a tal proposito, i risultati della sua « lunga fedeltà » agli studi tassiani, formula usata da Contini per Montale, ma vi aggiungeva un secondo aggettivo, « ininterrotta », per renderla subito in tutta evidenza una fedeltà consapevolmente messa in atto e deliberatamente praticata in un esercizio durato, con forme e modi diversi, sino agli ultimi giorni. Anche l’attenzione alla scrittura epistolare, ci dice Doglio, pare un altro segno di lunga fedeltà ininterrotta di Resta. Il punto di partenza nel lontano 1954 è il grande quadro di genere dell’epistola umanistica nel suo complesso, riconosciuta come documento tra i più espressivi di un ambiente di cultura e di civiltà, di una visione del mondo e insieme dell’impegno del letterato, dell’intellettuale sempre pronto al dibattito con interlocutori diversi, talora in forte contrasto.

14Di Edoardo Sanguineti si è scritto molto, a proposito del suo lavoro di critico, saggista, poeta, romanziere, drammaturgo, traduttore, sceneggiatore, lessicografo, e la bibliografia è in continua crescita. Tra le sue carte, Doglio sceglie di soffermarsi sulle lettere che scambiò con Enrico Filippini e Fausto Curi – oggi apparse in due edizioni distinte –, relativamente poche rispetto alle migliaia che egli scrisse, perché mostrano la natura, la creatività della sua scrittura epistolare, la chiara e sapida prosa, la rinuncia al superfluo, la scarnita vivezza del periodo, la leggerezza di tocco, il gusto della provocazione intellettuale, la citazione spesso nascosta o modificata, la capacità parodistica e caricaturale, la battuta folgorante.

15Sull’ecdotica dei laudari e sugli studi laudistici Giorgio Varanini ha influito in modo determinante, tanto che a lui guardano come a un maestro studiosi diversi per generazione, formazione e provenienza. È difficile sintetizzare per Doglio l’attività di Varanini, anche perché i suoi interessi furono sempre molto più vasti di quelli che risultano ufficialmente dalla sua produzione scientifica. Scorrendo la sua bibliografia si nota subito il prevalere iniziale di un interesse per la filologia e la letteratura religiosa. Molto ci sarebbe da dire, ma Doglio su tutto preferisce ricordare che questo maestro ha indirizzato generazioni di studiosi, e anche di studenti, a una filologia rivolta alla massima cura linguistica per il testo tràdito, e a una letteratura sempre immersa nel sacro e nella spiritualità.

16Chiude la bella rassegna di Maestri la figura di Claudio Varese. Già la miscellanea di studi in suo onore, che occupa più di ottocento pagine, basterebbe a testimoniare di per sé la presenza, l’azione e la forza di attrazione del critico. Ma Doglio non può non ricordare la sua capacità maieutica e l’impegno di seguire, passo dopo passo, ogni allievo per portarlo, se possibile, da studente a studioso autonomo, attrezzato e responsabile. Come pure encomiabile è la vocazione al dialogo, a voce o per lettera, di colloquio franco e generoso, e la possibilità di essere testimonianza, con il suo esempio, di rispetto tanto verso gli scrittori classici quanto verso quelli contemporanei.

17Se è vero che ogni lettura è un viaggio affascinante e creativo, il libro Maestri di Maria Luisa Doglio ci consente di viaggiare nella storia critica letteraria del Novecento italiano e ci permette di ripercorrere il tracciato di grandi studiosi che hanno dimostrato sensibilità verso i silenzi e le parole altrui, poche o molte che siano, dimostrandoci che anche una sola riga può essere scritta « con adeguata arte » e in virtù di ciò merita ascolto e attenzione.

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Pour citer cet article

Référence papier

Ilenia Del Gaudio, « Maria Luisa Doglio, Maestri. Un alfabeto di civiltà »Italies, 27 | 2023, 419-423.

Référence électronique

Ilenia Del Gaudio, « Maria Luisa Doglio, Maestri. Un alfabeto di civiltà »Italies [En ligne], 27 | 2023, mis en ligne le 12 juillet 2024, consulté le 01 novembre 2024. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/italies/12782 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/12a57

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