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DOSSIER THÉMATIQUE
Strangers at Home. Civilizing Immigrants between Inclusion and Exclusion in Ancient Thebes

Anfione-Niobe e Zeto-Aedon: la fondazione di Tebe nel dramma attico

Amphion-Niobé et Zéthos-Aédon : la fondation de Thèbes dans le drame attique
Amphion-Niobe and Zethos-Aëdon: The Foundation of Thebes in Attic Drama
Sabrina Mancuso

Résumés

L’objectif de cette contribution est de clarifier la réception à l’époque classique du mythe du cycle thébain de Zéthos et son épouse Aédon à travers une analyse de ses adaptations et interprétations. Le déplacement du décor du mythe en Thrace peut être lu comme une critique envers cette région, avec laquelle Athènes avait des rapports difficiles à l’époque. Il y a des éléments déductibles du Térée, comme la « voix de la navette », qui montrent que Sophocle a proposé une relecture du mythe du rossignol en termes politiques : par ce moyen, il veut exprimer son aversion contre la possibilité d’une alliance athénienne avec la Thrace. Il s’agit d’un problème capital dans le débat politique athénien au moment du gouvernement de la Thrace par Térès et Sitalcès.

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Parole chiave:

Anfione, Zeto, Aedon, Tebe, tragedia, Tereo
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Texte intégral

1. Introduzione

1.1. Problem setting e metodologia

1Il presente contributo si propone di far luce sulla ricezione di alcuni miti arcaici del ciclo tebano — in particolare quello relativo a Zeto e alla sua sposa Aedon — nell’età classica, tramite un’analisi dei loro adattamenti e riletture. L’obiettivo principale della ricerca proposta consiste nell’indagare come il mito di Aedon si trasformi, nel momento in cui viene introdotto nel dramma attico, e come tale trasformazione sia imputabile allo spostamento dell’ambientazione del mito da Tebe in Tracia, dovuto a motivazioni politiche. La seconda parte del presente contributo si propone di offrire un quadro completo dei miti di Anfione e Zeto e delle loro spose nell’età arcaica, in modo da delineare il contesto storico e letterario, in cui questi miti si inquadravano prima dell’età classica. L’ultimo paragrafo di questa sezione è dedicato all’indagine dei significati metapoetici del canto di Anfione, i quali trovano un parallelo nel canto di Aedon.

2Da un punto di vista metodologico, mi propongo di distinguermi dagli studi precedenti, analizzando il primo campo d’indagine prospettato attraverso un confronto sistematico — talvolta coadiuvato da una comparazione intertestuale — fra le fonti arcaiche del mito dell’usignolo e i riferimenti ad esso presenti in tragedia. Inoltre, mi propongo di arricchire quest’analisi, presentando un breve studio relativo alle etimologie popolari dei protagonisti maschili delle due versioni di questo mito, utile all’interpretazione letteraria della rilettura che ne viene effettuata nel dramma attico. La seconda sezione sarà invece caratterizzata da un confronto fra le fonti del mito di Anfione e Zeto e quelle delle saghe asiatiche. Il campo di indagine relativo ai significati metapoetici del mito di Anfione e di quello dell’usignolo sarà infine analizzato attraverso un commento generale ai testi, arricchito da un confronto con paralleli letterari.

1.2. Tebe nell’epos arcaico

  • 1 Il nome di Cadmo era, inoltre, legato alla civilizzazione: Cadmo era considerato il portatore delle (...)
  • 2 Vedi anche Berman (2004, 2-3).

3Secondo il ciclo tebano, il fondatore di Tebe è generalmente Cadmo ([Apollodoro], Biblioteca, III, 1, 4). È, dunque, osservabile una narrativa di fondazione relativamente standard: un enigma causa il ricorso a un oracolo, e un eroe, Cadmo, viaggia da un’altra terra per fondare la città1. Ma, in aggiunta alla storia di Cadmo, c’è anche la storia dei gemelli Anfione e Zeto, eroi locali tebani. In Omero, Cadmo è menzionato solo una volta, e come padre di Ino, non come fondatore di Tebe. Anfione e Zeto sono, invece, indicati come fondatori di Tebe2:

καί ῥ’ ἔτεκεν δύο παῖδ’, Ἀμφίονά τε Ζῆθόν τε,
οἳ πρῶτοι Θήβης ἕδος ἔκτισαν ἑπταπύλοιο
πύργωσάν τ’, ἐπεὶ οὐ μὲν ἀπύργωτόν γ’ ἐδύναντο
ναιέμεν εὐρύχορον Θήβην, κρατερώ περ ἐόντε.
(Omero, Odissea, XI, 262-265)

  • 3 Secondo Asio, sono figli di Epopeo di Sicione (Asio, fr. 1 West).
  • 4 Secondo [Apollodoro], Biblioteca, III, 10, 1, sposò Tebe.
  • 5 Vedi anche Euripide, Fenicie, 145; Pausania, IX, 5, 9.

4Nei poemi omerici, Anfione e Zeto sono i gemelli figli di Zeus e Antiope, figlia di Asopo (Omero, Odissea, XI, 260-265)3. Entrambi presero parte alla spedizione degli Argonauti e costruirono le mura di Tebe, di cui divennero signori (Omero, Odissea, XI, 260-265). Zeto sposò Aedon4, con cui generò Itilo ma, dopo l’uccisione di quest’ultimo effettuata dalla madre, morì di preoccupazione e fu sepolto a Tebe5:

ὡς δ’ ὅτε Πανδαρέου κούρη, χλωρηῒς ἀηδών,
καλὸν ἀείδῃσιν ἔαρος νέον ἱσταμένοιο,
δενδρέων ἐν πετάλοισι καθεζομένη πυκινοῖσιν
ἥ τε θαμὰ τρωπῶσα χέει πολυδευκέα φωνήν,
παῖδ’ ὀλοφυρομένη Ἴτυλον φίλον, ὅν ποτε χαλκῷ
κτεῖνε δι’ ἀφραδίας, κοῦρον Ζήθοιο ἄνακτος·
ὣς καὶ ἐμοὶ δίχα θυμὸς ὀρώρεται ἔνθα καὶ ἔνθα.
(Omero, Odissea, XIX, 518-524)

  • 6 Vedi anche Euripide, Ecuba, 29.
  • 7 Si tratterebbe di una figlia femmina secondo una fonte non ferecidea di: Scholium in Euripidis, Pho (...)
  • 8 Vedi anche Scholium in Apollonium Rhodium, IV, 1090, p. 305 Wendel; Properzio, III, 15, 29-42; Igin (...)
  • 9 Vedi anche Tulli (2007, 72-77).

5Secondo Esiodo (fr. 183 M.-W.), Anfione sposò invece Niobe, figlia di Tantalo. Conformemente alla testimonianza di Ferecide (III, fr. 124 Jacoby)6, i gemelli furono spesso messi in parallelo con Castore e Polluce. Ferecide (III, fr. 124 Jacoby) riferisce, inoltre, una tradizione, in base alla quale Zeto e Aedon avevano anche un secondo figlio, chiamato Neide7. Secondo fonti più tarde, i gemelli, esposti dopo la nascita per volontà di Lico e Dirce, gli zii di Antiope che la tenevano prigioniera, furono allevati da pastori. Quando ad Antiope riuscì di sfuggire alla prigionia per raggiungere i propri figli, i gemelli vendicarono le sofferenze della madre uccidendo Dirce. La storia di concepimento, nascita e riabilitazione finale di Anfione e Zeto fu sviluppata, se non in parte inventata, da Euripide nella sua Antiope8. Nella letteratura successiva, i gemelli furono spesso presentati come esempio del contrasto fra lo stile di vita pratico e quello filosofico (Platone, Gorgia, 485 e, 506 b; Rhetorica ad Herennium, II, 43; Cicerone, De oratore, II, 155)9. Piuttosto chiaramente, Apollonio Rodio (I, 738-740) mostrò la loro essenza basilarmente diversa: secondo lui, il robusto pastore Zeto muoveva le pietre con la forza muscolare, mentre al suono della lira del musico Anfione queste lo seguivano da sé. Dopo la morte dei suoi figli, Anfione attaccò il tempio di Apollo e fu, per questo, ucciso dalle sue frecce (Igino, Fabulae, IX). Secondo altre fonti, invece, si suicidò (Ovidio, Metamorfosi, VI, 271-272) o divenne pazzo (Luciano, De saltatione, XLI). Il matrimonio di Anfione con Niobe potrebbe rappresentare l’unione di due elementi della popolazione di base; non a caso, l’origine di Niobe può essere stabilita in Lidia.

2. Il mito dell’usignolo da Omero alla tragedia

2.1. L’usignolo come sposa di Zeto: la versione arcaica del mito

6Al mito di Anfione e Zeto sono strettamente connessi i miti riguardanti le loro spose Niobe e Aedon, entrambe riconducibili ad origini asiatiche e menzionate nei poemi omerici.

  • 10 Il loro numero varia, nelle fonti, fra tre e venti. Omero (Iliade, XXIV, 614-617) parla di sei figl (...)
  • 11 Esiodo, fr. 183 M.-W.; Ferecide, III, fr. 38 Jacoby; Saffo, fr. 142 Voigt; Eschilo, fr. 154a-163 Ra (...)

7Niobe era sposata ad Anfione, con cui generò molti figli10. Si vantò, dunque, di esser più feconda di Leto che, sdegnata, le scatenò contro Apollo e Artemide, i quali fecero strage dell’intera prole. Allora, Niobe andò dal padre Tantalo al Sipilo e lì, dopo aver pregato Zeus, fu trasformata in pietra11.

  • 12 Ferecide, III, fr. 124 Jacoby; la versione di Ferecide è desumibile dagli Scholia in Odysseam, XIX, (...)
  • 13 Scholium in Odysseam, XIX, 518 B2, p. II, 683 Dindorf. È opportuno, in ogni caso, osservare che lo (...)

8È possibile ricostruire la versione arcaica del mito di Aedon attraverso tre fonti, che si differenziano reciprocamente per alcuni particolari: il già citato Omero (Odissea, XIX, 518-524), Ferecide12 e lo scolio B213.

  1. Omero allude al mito, ricordando come l’usignolo Aedon, che in origine era una donna nata da Pandareo, pianga per aver ucciso il proprio figlio Itilo, avuto da Zeto.

  2. Secondo la tradizione riportata da Ferecide, Aedon, invidiosa dell’abbondante prole della cognata Niobe, decide di ucciderne il figlio maggiore, Amaleo. Per errore, Aedon uccide però il proprio figlio Itilo, che dormiva con Amaleo. Questo è il nucleo essenziale del mito, generalmente noto come versione tebana del mito di Aedon.

  3. Lo scolio B2 contiene un ulteriore dettaglio, non menzionato dalle altre fonti: Aedon, dopo aver assassinato Itilo ma prima di essere trasformata in usignolo, è inseguita da Zeto.

2.2. L’usignolo come sposa di Tereo: i significati politici assunti dal mito in tragedia

  • 14 Eschilo, Supplici, 57-67, Agamennone, 1140-1149; Sofocle, Aiace, 625-634, Trachinie, 103-111, 962-9 (...)
  • 15 Mi riferisco alla versione del mito riportata da Sofocle, il quale, nel Tereo, sviluppò tale mito n (...)

9La versione tragica del mito, deducibile da alcuni riferimenti presenti nei testi dei tre tragici14 e dai frammenti del Tereo di Sofocle, presenta numerosi cambiamenti. Conformemente ad essa15, Procne, figlia del re di Atene Pandione, sposa il re di Tracia Tereo e gli dà un figlio, Iti. Successivamente, Procne chiede a Tereo di recarsi ad Atene, per portarle la sorella Filomela. Tereo accetta, ma stupra Filomela sulla via del ritorno e le taglia la lingua, affinché nessuno conosca il suo gesto. Filomela riesce a comunicare con Procne, ricamando su un tessuto una narrazione dell’affronto subito. Le due sorelle, per vendetta, uccidono e fanno a pezzi Iti, per poi imbandirne le carni a Tereo. Resosi conto di ciò che ha mangiato, Tereo insegue le donne, con intenzioni omicide. A quel punto, Procne e Filomela vengono tramutate dagli dei rispettivamente in usignolo e rondine; Tereo, invece, si trasforma in un’upupa.

10Nella versione tragica del mito, il nuovo protagonista maschile Tereo è, al contrario dell’irreprensibile Zeto, un violento stupratore. Mentre il tebano Zeto non ebbe alcuna colpa nell’uccisione del fanciullo, il trace Tereo è la ragione principale di questo delitto, in quanto scatenò la vendetta della sua sposa col proprio comportamento, caratterizzato da infedeltà e violenza.

  • 16 Tucidide, II, 29,3; vedi anche Pausania, I, 41, 8-9; IV, 8-9.
  • 17 Di questo avviso sono: Mayer (1892, 491), Cazzaniga (1935, 438; 1950a, 61-63), Gernet (1935, 209-21 (...)

11Il Tereo è il dramma che presenta i più significativi adattamenti programmatici del mito dell’usignolo. L’uso di questo mito in chiave politica, da parte di Sofocle, è evidente dal fatto che Tucidide avverte la necessità di difendere il re di Tracia Tere dall’accusa di essere imparentato con Tereo, adducendo come motivazione delle sue argomentazioni il fatto che Tereo — a differenza di Tere — era un trace di Daulia16. Tere apparteneva alla tribù degli Odrisi; a lui succedette il figlio Sitalce, il quale intraprese una politica filo-ateniese, che culminò in un trattato di pace stipulato nel 431. Tale trattato fu, però, violato dallo stesso Sitalce, che passò dalla parte dei Macedoni. Atene era, perciò, intorno al 431, divisa fra tendenze filo-tracie e anti-tracie; nel 429 essa era, invece, verosimilmente dominata dall’ostilità nei confronti dei Traci. Il bersaglio polemico di Tucidide potrebbe essere, dunque, Sofocle, colui che — probabilmente per primo — ambientò il mito dell’usignolo in Tracia17. Tale ambientazione implica conseguentemente una certa ostilità nei confronti dei Traci.

  • 18 Ciò che Filomela ricama è molto probabilmente un messaggio scritto, com’è osservabile dalle seguent (...)
  • 19 Sofocle, fr. 595 Radt (7 Milo); vedi anche Dobrov (1993, 202), Monella (2005, 106). Scattolin (2013 (...)
  • 20 Vedi anche Burnett (1998, 186-187). Nel Tereo, Procne riesce a liberare Filomela in occasione delle (...)
  • 21 Platone, Simposio, 205 b.
  • 22 Erodoto, II, 82.

12Un altro elemento del mito, che probabilmente è da considerarsi innovazione di Sofocle, è la glossotomia subita da Filomela. Tale innovazione ha, verosimilmente, due finalità: caratterizzare il barbaro Tereo in modo violento e rendere necessaria l’introduzione di un messaggio scritto, fondamentale al riconoscimento delle due sorelle18. Non a caso, la glossotomia e il messaggio scritto sono elementi carichi di implicazioni metaforiche: essi tematizzano lo scontro fra la civiltà — la quale è caratterizzata dall’alfabetizzazione — e la barbarie — contrassegnata dall’ostilità nei confronti della scrittura. La glossotomia di Filomela effettuata da Tereo allude chiaramente all’ἰσηγορία, osteggiata dai barbari; tale azione viene successivamente punita proprio da un atto di scrittura, appunto dalla «voce della spola»19. La «voce della spola» si carica, dunque, di due valori simbolici: l’ἰσηγορία — tipica della civiltà ateniese — e l’abilità nella tessitura tipica delle donne ateniesi; tali elementi porteranno le principesse di Atene a sconfiggere il barbaro Tereo20. In questo modo, viene dimostrata la superiorità ateniese sui barbari, superiorità evidente tanto sul piano pratico quanto su quello artistico, sfere cui afferiscono sia la scrittura sia la tessitura. La «voce della spola» assume, pertanto, i due significati principali della ποίησις: quello, cioè, di creazione dal nulla21 e quello di creazione poetica22. Un’altra probabile innovazione sofoclea che allude al carattere barbarico di Tereo è la metamorfosi in upupa, la quale compare per la prima volta nel Tereo:

τοῦτον δ’ ἐπόπτην ἔποπα τῶν αὑτοῦ κακῶν
πεποικίλωκε κἀποδηλώσας ἔχει
θρασὺν πετραῖον ὄρνιν ἐν παντευχίᾳ·
ὃς ἦρι μὲν φανέντι διαπαλεῖ πτερὸν
κίρκου λεπάργου· δύο γὰρ οὖν μορφὰς φανεῖ
παιδός τε χαὐτοῦ νηδύος μιᾶς ἄπο·
νέας δ’ ὀπώρας ἡνίκ’ ἂν ξανθῇ στάχυς,
στικτή νιν αὖθις ἀμφινωμήσει πτέρυξ·
ἀεὶ δὲ μίσει τῶνδ’ †ἄπ’ ἄλλον† εἰς τόπον
δρυμοὺς ἐρήμους καὶ πάγους ἀποικιεῖ.
(Sofocle, fr. 581 Radt = 14 Milo)

  • 23 Pausania, I, 41, 8-9.
  • 24 Sofocle, fr. 581, 9-10 Radt (14 Milo).
  • 25 Si riteneva che realizzasse il proprio nido con escrementi umani (Aristotele, Historia Animalium, 6 (...)
  • 26 Come riferisce Eliano (Storie Varie, II, 3). In realtà, l’upupa è un uccello insettivoro molto timi (...)
  • 27 Così lo descrivono Sofocle (fr. 581, 3 Radt = 14 Milo) e Ovidio (Metamorfosi, VI, 674).
  • 28 Omero, Iliade, IV, 533; vedi anche Thompson (1966, 96).
  • 29 Vedi Ovidio, Metamorfosi, VI, 673-674.
  • 30 Sofocle, fr. 583, 1 Radt (2 Milo). Probabilmente, Sofocle rappresentò Tereo vestito da upupa sulla (...)
  • 31 Aristofane, Uccelli, 199-201; vedi anche Scarpi (1982, 213-217).
  • 32 Aristotele, Historia Animalium, 559 a 8; vedi anche Thompson (1966, 96).
  • 33 Vedi anche Kiso (1984, 81), Monella (2005, 124-125).
  • 34 Vedi anche Zacharia (2001, 96).

13L’upupa è un uccello straniero23, poco noto nell’Atene dell’età classica, caratterizzato da un aspetto strano, selvaggio e minaccioso, da un temperamento solitario e asociale24 — avendo esso abbandonato i suoi luoghi nativi — e abitudini sporche25. È un cacciatore di rondini26, dominato da risentimento e da atteggiamenti ostili alle donne, tratti che devono essere ascritti alla sua vicenda umana. Il suo aspetto — che condensa tutto ciò che è ritenuto insolito ad Atene — è simile a quello di un uomo armato27: la sua cresta ricorda l’acconciatura tipica dei Traci (ἀκρόκομος), che è a propria volta simile al cimiero di un elmo28, mentre il suo becco lungo e appuntito ricorda una lancia29. Ciò lo rende θρασύς ὄρνις ἐν παντεχνία30. Il suo stesso nome, ἔποψ, è per i greci verosimilmente legato alle lingue barbariche31. L’upupa migra in Grecia, soggiornandovi in primavera e in autunno, ma non vi nidifica; lo fa, invece, in Macedonia e, forse, in Epiro32. Alla luce di queste considerazioni, la trasformazione finale di Tereo in un’upupa può essere interpretata come un ulteriore simbolo di barbarie. Ciò è evidente non solo nella perdita, da parte di Tereo, della natura umana attraverso l’imbestiamento33, ma anche nel fatto che la trasformazione in un uccello è un risultato che si addice al peggior tipo di reati contro la famiglia: gli uccelli sono lontani dalla specie umana più di quanto non siano altri animali, che presentano una maggior quantità di elementi comuni con gli uomini34.

14Un ultimo elemento, che sembrerebbe provare l’ostilità di Sofocle nei confronti dei Traci, è osservabile nel seguente frammento:

νῦν δʹοὐδέν εἰμι χωρίς. ἀλλὰ πολλάκις
ἔβλεψα ταύτῃ τὴν γυναικείαν φύσιν,
ὡς οὐδέν ἐσμεν. αἳ νέαι μὲν ἐν πατρὸς
ἥδιστον, οἶμαι, ζῶμεν ἀνθρώπων βίον·
τερπνῶς γὰρ ἀεὶ παῖδας ἁνοία τρέφει.
ὅταν δʹἐς ἥβην ἐξικώμεθʹἔμφρονες,
ὠθούμεθʹἔξω καὶ διεμπολώμεθα
θεῶν πατρῴων τῶν τε φυσάντων ἄπο,
αἳ μὲν ξένους πρὸς ἄνδρας, αἳ δὲ βαρβάρους,
αἳ δʹεἰς ἀληθῆ δώμαθʹ͵ αἳ δʹἐπίρροθα.
καὶ ταῦτʹ͵ ἐπειδὰν εὐφρόνη ζεύξῃ μία͵
χρεὼν ἐπαινεῖν καὶ δοκεῖν καλῶς ἔχειν.
(Sofocle, fr. 583 Radt = 2 Milo)

  • 35 Fra i tre tragici, Sofocle fu sempre considerato quello meno interessato agli stranieri, poiché, ne (...)

15Qui, Procne si riferisce esplicitamente al proprio popolo con l’appellativo di «Greci», e successivamente deplora la sorte delle donne, vendute come merce dai propri padri a stranieri o barbari. È, dunque, osservabile una distinzione cosciente fra ξένοι e βάρβαροι. Se si analizza l’intera produzione di Sofocle, appare chiaro non solo che ebbe un profondo interesse per i popoli stranieri, ma anche che rappresentò molti di loro con la maggiore esattezza possibile nei drammi non conservati. Perciò, la differenziazione operata fra ξένοι e βάρβαροι risulta essere estremamente significativa. Benché l’atteggiamento di Sofocle rispetto agli stranieri appaia caratterizzato da interesse e curiosità, l’antitesi fra greci e barbari è qui consapevolmente rappresentata, probabilmente per raffigurare l’alleanza militare coi Traci come dannosa35.

  • 36 Vedi anche Rosati, Chiarini (2013, 344). Sutton (1984, 129) paragona lo stesso passo delle Metamorf (...)

16Le considerazioni sul Tereo, che ho appena esposto, possono essere integrate da un breve confronto con le Metamorfosi di Ovidio (VI, 420-675), che con ogni probabilità riferiscono il mito dell’usignolo rifacendosi a questo dramma. Nelle Metamorfosi (VI, 614-619), Procne esprime i suoi propositi di vendetta nei confronti di Tereo e, in questa sede, fornisce un elenco degli organi di cui vorrebbe mutilarlo. La lingua allude alla glossotomia subita da Filomela, così come gli occhi richiamano il nome di Tereo, colui che guarda, mentre i genitali si riferiscono alla sua insaziabile sessualità. Nella poesia di Ovidio è, dunque, osservabile una precisa rete simbolica, che si manifesta nella menzione della lingua, organo collegato all’elevata cultura greca, in contrasto con gli occhi, i quali rimandano direttamente a Tereo, e coi genitali, organi collegati ad un uso più rozzo e immediato, che ritengo alludano alla cultura barbarica36. Data la tematizzazione del contrasto fra civiltà e barbarie, evidente nel Tereo, è ragionevole ipotizzare che il menzionato elenco fosse già presente nel dramma di Sofocle. Verosimilmente, le procedure osservabili in questo passo delle Metamorfosi furono già realizzate, almeno in parte, da Sofocle, il quale — imitato da Ovidio — configurò l’opposizione fra le principesse ateniesi e Tereo come un’opposizione fra παιδεία e barbarie.

  • 37 Interpretazioni diverse dalla mia sono offerte da Cazzaniga (1950a, 35-36), Dobrov (1993, 184), Cas (...)

17Sofocle sembra, dunque, operare una rilettura del mito dell’usignolo che lo rifunzionalizza in chiave politica: essa ha il fine di comunicare l’avversione di Sofocle ad ogni possibile politica di alleanza con la Tracia37.

2.3. Risemantizzazione dei nomi di Zeto e Tereo

  • 38 Scholium in Aristophanis, Aves, 102, pp. 21-22 Holwerda; vedi anche Neuhausen (1962, 172-173).
  • 39 Vedi anche Fontenrose (1948, 155).

18Zeto è un nome parlante derivante da ζητέω, come riferisce Igino (Fabulae, VII, 4). È, dunque, possibile interpretare il nome Zeto come cercatore; egli era, cioè, un uomo che cercava sua moglie, per punirla. Probabilmente, fu proprio in virtù di ciò, che Zeto fu scelto, nel mito, come sposo di Aedon. Non a caso, anche Tereo è un nome parlante, derivante da τηρέω38. Il personaggio col nome di Tereo, nomen agentis che indica l’uomo che guarda, si identifica col proprio sguardo lascivo, che è la base delle sue azioni violente. Tale nome è, inoltre, associato a quello di Tere, che regnava sulla Tracia negli anni precedenti la rappresentazione del Tereo. Infine, è opportuno osservare che la parola ἔποψ, che indica l’upupa in cui Tereo si trasforma, ha lo stesso significato assunto dal nome Tereo39. La somiglianza dell’etimologia popolare di Tereo (da τηρέω) e ἔποψ (da ἐποπτεύω) può rientrare fra gli elementi che hanno influenzato Sofocle. Come Tereo è l’uomo che guarda, l’upupa è, dunque, l’uccello che guarda. È inoltre possibile, a mio avviso, osservare una certa ironia tragica relativamente al nome parlante Tereo: Tereo avrebbe, effettivamente, dovuto guardare, sorvegliare Filomela, anziché stuprarla e mutilarla.

  • 40 Nella poesia arcaica è, spesso, possibile osservare mutazioni implicite del carico etimologico e se (...)

19I nomi di Zeto e Tereo vengono entrambi rimotivati attraverso l’accostamento a due verbi per rafforzare la loro identità. Tale sorte apre nuove vie all’interpretazione del mito che — in due momenti storici differenti — vede entrambi protagonisti40.

3. Influssi asiatici ed elementi metapoetici nei miti di Anfione e Zeto e delle loro spose

3.1. I rapporti del mito di Anfione e Zeto con Tantalo, Pandareo e il mito del Cane d’Oro

  • 41 Il cane d’Oro custodiva il τέμενος di Zeus a Creta; Pandareo lo rubò e lo affidò a Tantalo, perché (...)
  • 42 Vedi Monella (2005, 18).

20Gli idionimi utilizzati nelle fonti della versione arcaica dei miti connessi ad Anfione, Zeto e alle loro spose si collegano a due ambienti diversi: quello microasiatico, di cui fa parte Pandareo (protagonista, insieme a Tantalo, del mito del Cane d’Oro41), e quello greco-continentale di cui fa parte Zeto42.

  • 43 Scholia in Odysseam, XIX, 518-520, p. II, 683 Dindorf.
  • 44 Vedi anche Cazzaniga (1950a, 6-7).

21La presenza di Zeto nel mito di Aedon riconduce a Tebe. In questa tradizione è, dunque, osservabile l’accostamento di Zeto con Pandareo, proveniente dall’Asia. È possibile, inoltre, rilevare un parallelo fra la coppia Zeto-Aedon e la coppia Anfione-Niobe; quest’ultima è figlia di Tantalo e proviene a propria volta dall’Asia. Entrambi i fondatori di Tebe appaiono, dunque, già intimamente uniti con due eroi d’Asia, Tantalo e Pandareo, con i quali risultano acquisire lo stesso grado di parentela. A loro volta, Tantalo e Pandareo si trovano già associati nel mito del Cane d’Oro in una tradizione, che si colloca al di fuori della Grecia continentale. Non a caso, gli scoli ad Omero riferiscono una tradizione del mito, in cui, come motivazione della sconsideratezza di Aedon, viene introdotta Niobe; la sconsideratezza di Aedon viene spiegata con l’invidia di questa per la numerosa prole della cognata, esattamente come avveniva nel mito di Niobe43. Niobe e Aedon restano entrambe prive di prole, piangendo in eterno la propria sconsideratezza, anche al di là della vita umana: esse sono, infatti, associate in una metamorfosi, che le priva della natura e della condizione di esseri umani44.

3.2. Interazioni del mito di Niobe col mito di Aedon

  • 45 Scholium in Euripidis, Phoenissas, 1111, p. I, 364 Schwartz.
  • 46 Vedi Cazzaniga (1951a, 10).

22È possibile osservare che Niobe, nell’ambito della versione arcaica del mito di Aedon, viene descritta in modo molto diverso rispetto a quanto avviene nei versi dell’Iliade che la riguardano strettamente (XXIV, 599-620). Nell’Iliade, tutti e dodici i figli di Niobe vengono uccisi da Apollo, che si propone così di punire la tracotanza della loro madre; la cognata di Niobe Aedon non prende in alcun modo parte alla strage. Riguardo a Niobe ed alla morte dei Niobidi, sono, dunque, probabilmente esistite due versioni, l’una indipendente dall’altra. La Niobe dell’Iliade, che fu trasformata in una roccia, appartiene verosimilmente ad una tradizione diversa da quella osservabile nel mito di Aedon. Ferecide, nel momento in cui riferisce specificamente la saga di Niobe, segue la versione dell’Iliade, in base a cui Niobe aveva sei figlie e sei figli, fra i quali non compare Amaleo45. Lo stesso Ferecide sembra, in questo modo, effettuare degli adattamenti programmatici rispetto a quanto aveva detto sul mito di Aedon, e sembra attingere a due saghe in origine diverse46.

  • 47 [Apollodoro], Biblioteca, III, 10, 1.
  • 48 [Apollodoro], Biblioteca, I, 29, 4.
  • 49 Vedi Cazzaniga (1950a, 11).

23Alla tradizione prettamente tebana di Anfione e Zeto si collegano Neide, — fratello di Itilio — Tebe, sposa di Zeto (invece di Aedon)47 e Ippomedusa, che era sposa di Anfione invece di Niobe48; essa era verosimilmente estranea all’influsso delle saghe asiatiche relative a Tantalo e Pandareo49. In un secondo tempo, a questa tradizione viene collegato il mito dell’usignolo, che giunge dall’Asia ad annunciare la primavera.

  • 50 Vedi Cazzaniga (1950a, 7, 12).

24Questo nucleo subisce l’influsso della saga di Niobe. Aedon, che inizialmente era connotata solo come cognata di Niobe, assume, poi, il carattere di quest’ultima. Così Zeto subisce, per colpa della sposa asiatica, la stessa sorte di Anfione: la privazione della discendenza. La μονοπαιδία di Zeto sembra, pertanto, riflettersi in quella di Anfione, a differenza di quanto avveniva nella saga di Niobe e Leto. Dunque, Amaleo non è uno dei Niobidi che muore prima della strage dei fratelli, in quanto la saga di Niobe è doppia. Le due spose di origine asiatica — discendenti da tracotanti sovrani asiatici — distruggono le stirpi degli ecisti di Tebe e, appaiono, dunque, meritare una pena che trascenda la loro stessa natura. La soppressione delle stirpi di Anfione e Zeto appare un destino estremamente grave per dei re; i due fondatori di Tebe si trovano uniti in tale singolare destino, a causa delle loro spose di origine asiatica. La roccia e l’usignolo — in cui Niobe e Aedon rispettivamente si trasformano — allontanano le due eroine dalla natura umana, molto più di quanto non avvenga in altre metamorfosi note al pubblico greco50.

3.3. La lira di Anfione e il canto dell’usignolo come metafora della poesia lirica

  • 51 Pausania, IX, 5, 6.
  • 52 Vedi Krappe (1925, 28).

25Riguardo al canto di Anfione, è invece possibile osservare come esso sia paragonabile ai canti di lavoro comuni in Grecia durante la costruzione di edifici51. Il mito di Anfione è, dunque, interpretabile come la resa poetica di questo costume e, dal momento che i toni della lira di Anfione costruirono le mura di Tebe, può essere letto alla luce dell’antico motivo del potere magico della musica e, conseguentemente, del mito52.

  • 53 Fa eccezione Euripide, Eracle, 1039-1041.
  • 54 Eschilo, Agamennone, 1141-1144; Sofocle, Aiace, 628-631, Trachinie, 964, Elettra, 104, 1076; Euripi (...)
  • 55 Vedi anche Monella (2005, 221-233).

26Allo stesso modo, osservando i riferimenti al mito dell’usignolo, è possibile notare come esso, che trae dal più grande dolore immaginabile — la morte del proprio figlio — il più bel canto esistente, assurga a simbolo del canto poetico. Non a caso, nell’Odissea (XIX, 518-524) viene usato, in relazione a questo mito, il verbo ἀείδω, che solitamente indica il solo cantare umano. In contesti tragici, l’usignolo ricorre quasi esclusivamente nelle sezioni liriche53 ed è generalmente utilizzato come termine di paragone per le sofferenze di chi lo invoca. Spesso il lamento del personaggio, che si paragona all’usignolo, assume le forme del ϑρῆνος54. In tragedia, il τόπος dell’usignolo è, dunque, sempre invocato in relazione al canto tragico; non a caso, nelle Supplici (v. 65), in riferimento all’usignolo, Eschilo usa il verbo ξυντίθημι, verbo della composizione letteraria55.

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Notes

1 Il nome di Cadmo era, inoltre, legato alla civilizzazione: Cadmo era considerato il portatore delle lettere in Grecia, in quanto si riteneva che l’alfabeto fosse nato in Beozia; vedi anche Kühr (2006, 87-106).

2 Vedi anche Berman (2004, 2-3).

3 Secondo Asio, sono figli di Epopeo di Sicione (Asio, fr. 1 West).

4 Secondo [Apollodoro], Biblioteca, III, 10, 1, sposò Tebe.

5 Vedi anche Euripide, Fenicie, 145; Pausania, IX, 5, 9.

6 Vedi anche Euripide, Ecuba, 29.

7 Si tratterebbe di una figlia femmina secondo una fonte non ferecidea di: Scholium in Euripidis, Phoenissas, 1111, p. I, 364 Schwartz.

8 Vedi anche Scholium in Apollonium Rhodium, IV, 1090, p. 305 Wendel; Properzio, III, 15, 29-42; Igino, Fabulae, VIII. Estremamente significativi risultano essere i frammenti 184-186 e 188 Kannicht dell’Antiope, che riportano parte dell’agone fra Anfione e Zeto. L’agone ha per tema la scelta fra la vita d’azione, rappresentata paradigmaticamente da Omero e incarnata — nel caso specifico — da Zeto, e la vita contemplativa, simboleggiata dalla lira di Anfione; vedi anche Tulli (2007, 74), Biga (2015, 217-262).

9 Vedi anche Tulli (2007, 72-77).

10 Il loro numero varia, nelle fonti, fra tre e venti. Omero (Iliade, XXIV, 614-617) parla di sei figli maschi e sei femmine.

11 Esiodo, fr. 183 M.-W.; Ferecide, III, fr. 38 Jacoby; Saffo, fr. 142 Voigt; Eschilo, fr. 154a-163 Radt; Sofocle, fr. 441a-451 Radt.

12 Ferecide, III, fr. 124 Jacoby; la versione di Ferecide è desumibile dagli Scholia in Odysseam, XIX, 518, p. II, 683 Dindorf e da Eustazio in Odysseam, XIX, 518 (1875, 32).

13 Scholium in Odysseam, XIX, 518 B2, p. II, 683 Dindorf. È opportuno, in ogni caso, osservare che lo scolio B2 è molto probabilmente l’esito di successivi rimaneggiamenti; in virtù di ciò, non potrebbe essere propriamente annoverato fra le fonti della versione arcaica del mito.

14 Eschilo, Supplici, 57-67, Agamennone, 1140-1149; Sofocle, Aiace, 625-634, Trachinie, 103-111, 962-963, Elettra, 103-109, 145-152, 1074-1081, Edipo a Colono, 668-678; Euripide, Andromaca, 861-862, Eracle, 1016-1027, Elena, 1107-1116, Fenicie, 1509-1522, Fetonte, 67-70.

15 Mi riferisco alla versione del mito riportata da Sofocle, il quale, nel Tereo, sviluppò tale mito nella sua forma più completa; gli altri autori si limitano a farvi dei brevi cenni.

16 Tucidide, II, 29,3; vedi anche Pausania, I, 41, 8-9; IV, 8-9.

17 Di questo avviso sono: Mayer (1892, 491), Cazzaniga (1935, 438; 1950a, 61-63), Gernet (1935, 209-216), Kiso (1984, 60), Dobrov (1993, 213), Monella (2005, 87-88).

18 Ciò che Filomela ricama è molto probabilmente un messaggio scritto, com’è osservabile dalle seguenti testimonianze: Scholium in Aristophanis, Aves, 212, pp. 37-38 Holwerda; Aristotele, Poetica, 1454 b 35-37; Ovidio, Metamorfosi, VI, 577, 582; [Apollodoro], Biblioteca, III, 14, 8; Libanio, Narrationes, XVIII, 2. Di questo avviso sono Calder (1974, 89), Kiso (1984, 67), Dobrov (1993, 204-205). Di un altro avviso sono, invece, Ribbeck (1875, 580), il quale ha ipotizzato una compresenza di lettere e disegni, e Pearson (1963, 221) che, seguito da Casanova (2003, 59-68), si è espresso a favore di un’immagine ricamata. Hourmouziades (1986, 137) appare indeciso fra lettere e disegni. Monella (2005, 109) si è limitato a constatare che la maggior parte degli studiosi ha ipotizzato l’uso di un messaggio scritto. Pur ritenendo opportuno mantenere una certa prudenza, credo — sulla scia di Calder (1974, 89) — che l’espressione κερκίδος φωνή (fr. 595 Radt = 7 Milo) alluda con ogni verosimiglianza ad un messaggio scritto, dal momento che le iscrizioni greche venivano normalmente lette ad alta voce.

19 Sofocle, fr. 595 Radt (7 Milo); vedi anche Dobrov (1993, 202), Monella (2005, 106). Scattolin (2013, 126) osserva che lo stratagemma della «voce della spola» è innovazione sofoclea: Aristotele (Poetica, 1454 b 35-37) non avrebbe avuto alcun interesse a citare, in relazione al Tereo, un elemento attestato anche nelle versioni precedenti del mito.

20 Vedi anche Burnett (1998, 186-187). Nel Tereo, Procne riesce a liberare Filomela in occasione delle Trieteriche, feste tracie in onore di Dioniso, verosimilmente ricorrendo a dei travestimenti da menadi. Tale stratagemma alluderebbe al fatto che, grazie alla cultura ateniese, gli elementi tipici delle civiltà barbariche si rivoltino contro i barbari stessi.

21 Platone, Simposio, 205 b.

22 Erodoto, II, 82.

23 Pausania, I, 41, 8-9.

24 Sofocle, fr. 581, 9-10 Radt (14 Milo).

25 Si riteneva che realizzasse il proprio nido con escrementi umani (Aristotele, Historia Animalium, 616 a 35).

26 Come riferisce Eliano (Storie Varie, II, 3). In realtà, l’upupa è un uccello insettivoro molto timido e pauroso, che teme perfino le rondini; vedi anche Oder (1888, 546).

27 Così lo descrivono Sofocle (fr. 581, 3 Radt = 14 Milo) e Ovidio (Metamorfosi, VI, 674).

28 Omero, Iliade, IV, 533; vedi anche Thompson (1966, 96).

29 Vedi Ovidio, Metamorfosi, VI, 673-674.

30 Sofocle, fr. 583, 1 Radt (2 Milo). Probabilmente, Sofocle rappresentò Tereo vestito da upupa sulla scena; da qui l’accusa mossa dalla controparte comica di Tereo a Sofocle, indicato come responsabile del suo aspetto ridicolo (Aristofane, Uccelli, 98-102).

31 Aristofane, Uccelli, 199-201; vedi anche Scarpi (1982, 213-217).

32 Aristotele, Historia Animalium, 559 a 8; vedi anche Thompson (1966, 96).

33 Vedi anche Kiso (1984, 81), Monella (2005, 124-125).

34 Vedi anche Zacharia (2001, 96).

35 Fra i tre tragici, Sofocle fu sempre considerato quello meno interessato agli stranieri, poiché, nelle sue opere conservate, rappresentò un minor numero di elementi riconducibili a popoli stranieri rispetto ad Eschilo ed Euripide. Inoltre, a Sofocle fu legata l’immagine tradizionale di poeta classico e puramente greco, la quale portò a credere che non fosse interessato al mondo esterno ad Atene. Ma, se si analizzano i suoi drammi frammentari, appare chiaro che avesse un profondo interesse per i popoli stranieri (Andromeda, Tamira, Colchidi, Rhizotomoi, Sciti, Laocoonte, Alessandro, Antenoridi, Troilo, Trittolemo, Enomao); vedi anche Kiso (1984, 51-53).

36 Vedi anche Rosati, Chiarini (2013, 344). Sutton (1984, 129) paragona lo stesso passo delle Metamorfosi al frammento 587 Radt (4 Milo) del Tereo. Entrambi i passi sembrano caratterizzati da pregiudizi sui barbari.

37 Interpretazioni diverse dalla mia sono offerte da Cazzaniga (1950a, 35-36), Dobrov (1993, 184), Casanova (2003, 59-68).

38 Scholium in Aristophanis, Aves, 102, pp. 21-22 Holwerda; vedi anche Neuhausen (1962, 172-173).

39 Vedi anche Fontenrose (1948, 155).

40 Nella poesia arcaica è, spesso, possibile osservare mutazioni implicite del carico etimologico e semantico di un nome. Tale risemantizzazione, spesso effettuata in modo allusivo e tuttavia comprensibile al pubblico, è funzionale alla creazione di una corrispondenza fra il nome del personaggio e il contesto poetico in cui questo si trova inserito; vedi anche Tsitsibakou-Vasalos (2007, 69). Sulle etimologie arcaiche vedi anche Gambarara (1984, 108-135).

41 Il cane d’Oro custodiva il τέμενος di Zeus a Creta; Pandareo lo rubò e lo affidò a Tantalo, perché lo nascondesse a Zeus. Entrambi gli eroi furono, poi, soggetti, alla punizione del dio: Scholium in Odysseam, XIX, 518-520, p. II, 683 Dindorf; Scholium in Odysseam, XX, 66-68, p. II, 688 Dindorf; Eustazio in Odysseam, XIX, 518 (1875, 32).

42 Vedi Monella (2005, 18).

43 Scholia in Odysseam, XIX, 518-520, p. II, 683 Dindorf.

44 Vedi anche Cazzaniga (1950a, 6-7).

45 Scholium in Euripidis, Phoenissas, 1111, p. I, 364 Schwartz.

46 Vedi Cazzaniga (1951a, 10).

47 [Apollodoro], Biblioteca, III, 10, 1.

48 [Apollodoro], Biblioteca, I, 29, 4.

49 Vedi Cazzaniga (1950a, 11).

50 Vedi Cazzaniga (1950a, 7, 12).

51 Pausania, IX, 5, 6.

52 Vedi Krappe (1925, 28).

53 Fa eccezione Euripide, Eracle, 1039-1041.

54 Eschilo, Agamennone, 1141-1144; Sofocle, Aiace, 628-631, Trachinie, 964, Elettra, 104, 1076; Euripide, Eracle, 1039, Elena, 1111-1115, Fenicie, 1515-1518.

55 Vedi anche Monella (2005, 221-233).

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Pour citer cet article

Référence électronique

Sabrina Mancuso, « Anfione-Niobe e Zeto-Aedon: la fondazione di Tebe nel dramma attico »Gaia [En ligne], 21 | 2018, mis en ligne le 01 novembre 2018, consulté le 23 mars 2025. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/gaia/357 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/gaia.357

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Auteur

Sabrina Mancuso

Eberhard Karls Universität Tübingen.
Sabrina Mancuso a obtenu son diplôme magistral en lettres classiques à l’université de Pise en 2015 avec un mémoire intitulé Un paradigma mitico: Issione nel Filottete di Sofocle. Depuis 2016, elle est inscrite en doctorat (cotutelle Eberhard Karls Universität Tübingen—Università di Pisa) et prépare une thèse intitulée Der Prokne-Mythos als exemplarischer Mythos bei Aischylos, Sophokles und Euripides. Ses principaux domaines de recherche sont la poésie homérique et son interprétation, la poésie épique archaïque et la tragédie, notamment les drames de Sophocle.

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