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L’esclusione dal piacere e il piacere dell’esclusione nelle commedie di Aristofane

L’exclusion du plaisir et le plaisir de l’exclusion dans les comédies d’Aristophane
Exclusion from Pleasure and Pleasure of Exclusion in Aristophanes’ Comedies
Elena Fabbro

Résumés

Le présent travail vise à analyser le thème de l’exclusion dans les comédies d’Aristophane, en focalisant l’attention sur la relation entre le bien‑être qui se répand dans toute la société grâce au projet du héros comique et l’expulsion des individus ou des groupes qui ne correspondent pas aux valeurs gagnantes. Les scènes d’exclusion concourent à la mise en scène de l’agressivité du protagoniste, un élément spécifique de sa vitalité, et soulignent en même temps les implications idéologiques de son action. Ainsi, dans la Paix, le faiseur d’oracles et les marchands d’armes, qui profitent à des degrés divers du malheur collectif, sont expulsés des réjouissances ; dans le Ploutos, le sycophante, qui privilégie sa profession — c’est-à-dire ruiner ses victimes — plutôt que le bien universel de la richesse, est exclu des bénéfices de la richesse partagée. Dans les Oiseaux, se multiplient les rejets reçus par postulants qui, venant du monde que Pisthétaïros et Évelpidès ont tour à tour refusé, aspirent à partager et, surtout, à définir la nouvelle citoyenneté.

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Texte intégral

1In molte commedie di Aristofane la festa pubblica, che si declina soprattutto nel banchetto, è un ganglio vitale dell’azione, costituendo il correlato necessario, ma anche la realizzazione visuale e concreta e il riconoscimento, del successo conseguito dal bouleuma del protagonista, l’iniziativa capace di sovvertire dalle radici un mondo disforico, attingendo lo status pieno del godimento.

  • 1 Durkheim (1912, 386‑387); vedi Hall (2014, 311‑312): «rituals, including festivals, offer a mechani (...)

2Ma se l’iniziativa è individuale, il godimento — con la singolare eccezione degli Acarnesi — coinvolge la generalità sociale, nel cui contesto soltanto la festa può prodursi, rappresentando anzi, secondo il modello ermeneutico di Durkheim (1912), l’antidoto alle spinte centrifughe e la garanzia del loro contenimento1. Di certo il senso comunitario viene esaltato dallo statuto metateatrale che mette la festa recitata en abîme rispetto a quella cui partecipano gli spettatori, si tratti di Dionisie o Lenee.

  • 2 Sull’articolazione dell’emarginazione psichica, politica e sociale in termini spaziali, vedi Morosi (...)

3Proprio per questo suscita interesse il fenomeno, ripetuto e senza dubbio dotato di valore tematico nel macrotesto aristofaneo, per cui dalla comunità festante viene escluso qualcuno, individuo o gruppo, che fa comunque parte della società, e si trova a soffrire nel contesto della conciliazione festosa generale2. A mio parere, lo stato di esclusione si colloca alla convergenza di due importanti direttrici di senso.

  • 3 Questo fondamentale distinguo, e gli altri correlati e ugualmente essenziali rispetto alle forme de (...)

4La prima, di carattere ideologico, consiste nella tesi che dall’amputazione di cellule malsane, orientate da valori e interessi estranei, o peggio opposti, a quelli della generalità, la società ricava non divisione ma autentica compattezza e dunque al suo status ideale l’esclusione stessa si rivela funzionale. In tal senso è opportuno precisare che estraneità e opposizione degli interessi in questione sono sempre argomentate; in altri termini il meccanismo è irrelato alla ritualistica del ‘capro espiatorio’3.

  • 4 Il protagonista o ‘eroe comico’ e la sua volontà di affermazione individuale nei confronti di un si (...)
  • 5 Cfr. anche vv. 1389‑1391; sulle aggressioni di komastai violenti vedi anche Acarnesi, 981‑984, 1166 (...)

5La seconda, di carattere drammaturgico, è che l’emarginazione rappresenta compiutamente una strategia della relazione tra l’io e l’altro che organizza l’intero teatro di Aristofane. La realizzazione del benessere del protagonista4 contiene, oltre al soddisfacimento dei desideri primari, quello alimentare e quello sessuale, una declinazione del desiderio di potere secondo pulsioni aggressive che associano il piacere alla violenza consumata sull’altro. Spesso violenza fisica, e talvolta gratuita, non funzionalizzata al raggiungimento di uno scopo: esemplare in tal senso è forse il Filocleone delle Vespe che, uscito dal banchetto, picchia tutti quelli che incontra (vv. 1322‑1323)5.

6Ma in altri casi la violenza non è fisica e si consuma appunto con l’esclusione dall’altro, antagonista o la stessa comunità, dal godimento esclusivo dei benefici acquisiti.

  • 6 Sulla valenza degli elementi conflittuali in questa commedia, non sempre riconosciuti dalla critica (...)
  • 7 Per la confluenza tra iniziativa individuale e azione collettiva, vedi Cassio (1985, 55‑56).

7La distonia più ricca e articolata viene messa in questione nella Pace6, dove la comunità a beneficio della quale ha operato con successo il protagonista Trigeo è la più vasta che si possa immaginare: è infatti in difesa di «tutti i Greci» (‘Ελλήνων πέρι / ἁπαξαπάντων, vv. 105‑106) che Trigeo è salito in cielo a interpellare Zeus, e ne è tornato portando la Pace dopo averla disseppellita dall’antro in cui l’aveva nascosta Polemos. Ma se l’intento collettivo della sua impresa è sottolineato esplicitamente dal protagonista stesso o dagli altri personaggi (vv. 5859, 6263, 9394, 104106, 435436, 865867, 1320-1321) e trova conferma nella composizione panellenica del Coro stesso almeno nella prima parte della commedia (ὦ Πανέλληνες, v. 302)7, la rappresentazione di una rinnovata solidarietà comunitaria nella retorica anti-bellicista è sancita dall’esclusione delle due categorie più favorite dallo stato di guerra: i mercanti d’armi e i chresmologoi, che godevano di un rinnovato prestigio per il proliferare dei responsi testimoniato da Tucidide, II, 8, 2.

  • 8 Sembra qui operante un distinguo tra le figure del μάντις (v. 1046) e del χρησμόλογος (v. 1047) in (...)
  • 9 Tale sarà la definizione dell’omologo personaggio degli Uccelli (v. 983), vedi infra. Secondo Cassi (...)
  • 10 Conforme a una disposizione costante in Aristofane (vedi Smith, 1989, 144‑145), piuttosto che conne (...)
  • 11 Sulle sue tracce storiche, vedi Dillery (2005, 194‑195).
  • 12 L’argomento ricorre anche in tragedia, nell’appassionata accusa rivolta a Menelao da Andromaca nell (...)

8Uno di loro, dal nome parlante di Ierocle, si presenta al sacrificio che Trigeo sta officiando in onore della Pace8. Un servo lo scambia per un semplice parassita, un ἀλαζών, presentatosi lì «sulle tracce del fumo» (κατὰ τὴν κνῖσαν, v. 1050)9. Ma più lungo è lo sguardo di Trigeo che sospetta l’intruso di voler «ostacolare le trattative» (ἐναντιώσεταί τι ταῖς διαλλαγαῖς, v. 1049): la diffidenza preventiva10 è subito confermata dall’interessato con una violenta requisitoria, emblematica — prima ancora che per gli argomenti usati — per il punto di vista adottato, incompatibile con quello che ha prodotto il ritorno della Pace. Invece della solidarietà panellenica, Ierocle, abitante di Oreo, una località dell’Eubea11, ostenta un’ottusa posizione di parte e si rivolge agli Ateniesi in quanto tali, accusandoli di aver stretto un accordo imprudente con una controparte inaffidabile: le «scimmie con gli occhi vivaci» (v. 1065) e più chiaramente «le volpi che hanno animo astuto e mente ingannevole» (vv. 1067‑1068) alludono, senza nominarli, agli Spartani, che hanno questa fama in forza di un topos partigiano; in particolare le parole di Ierocle si sovrappongono ad Ach. 308, dove il coro afferma che per loro «non c’è altare, fede o giuramento che tenga», e a Lys. 629 (di loro «ci si può fidare come di un lupo affamato»)12.

9L’argomentazione che la pace sarebbe stata ‘prematura’ doveva suonare provocatoria a chi viveva la guerra come una sofferenza interminabile, periodicamente scandita dal fallimento dei tentativi di porvi fine, cui allude Ermes ai vv. 211‑219. Inoltre la lambiccata formulazione utilizzata («questo non piace ancora agli dei beati, / cessare la guerra “prima che il lupo sposi la pecora”», vv. 1075‑1076) ha tutta l’aria di un beffardo rinvio all’infinito, riflesso non di una determinazione temporale, ma di un adynaton, per tale rilevato da Trigeo nella sua brusca replica («maledetto, come fa il lupo a sposare la pecora?», v. 1076a), e rafforzato da due successive ricombinazioni pertinenti alla stessa specie retorica: «non potrai fare che un granchio proceda diritto» (v. 1083) e «non potrai rendere liscio il riccio spinoso» (v. 1086).

  • 13 Vedi la proposta di Borthwick (1968, 134‑139), anticipato da Agar (1918, 198) che intende ἀκαλανθίς (...)

10D’altro canto il topos del ‘troppo presto’ viene riproposto da Ierocle a v. 1078 con una scombinata applicazione del proverbio greco della ‘cagna frettolosa’ (cf. Esopo, 223, Perry; Archiloco, fr. 196a, 39‑41; Galeno, IV, 639, 5-6 K.; Macario, V, 32; Appendix Proverbiorum, I, 12) ad una cardellina. L’incongruenza, piuttosto che a un guasto testuale13, va ascritta al trattamento aggressivo e beffardo del personaggio, come già rilevava lo scolio ad l. (p. 157, Holwerda).

11L’impressione è che il ricorso alla tematica dei tempi risulti solo un vieto pretesto, familiare agli oppositori di tutti i tempi e di qualunque provvedimento che si giudichi impossibile o inopportuno contestare nei contenuti. Ma la considerazione sui tempi assume un aspetto più malizioso se rapportata alla figura professionale del chresmologos: caratteristica dell’indovino è infatti conoscere in anticipo ciò che ancora non si è verificato. Viceversa, ogniqualvolta si verifica qualcosa di cui l’indovino non era a conoscenza, la sua competenza e la sua funzione sociale vengono messe in crisi e il monopolio che si attribuisce sulle grandi questioni che interessano la collettività viene minacciato.

  • 14 Il problema è affrontato anche nell’Elena di Euripide, dove il servo, appena appreso che non la ver (...)

12Aristofane sperimenta qui una geniale strategia difensiva che consiste nel rovesciare le parti, sostenere che la colpa non è dell’indovino ma della realtà stessa; ovvero che non è lui in ritardo conoscitivo, quanto piuttosto l’evento inatteso è in incongruo anticipo fattuale rispetto a un dover essere che viene identificato con ciò che «è caro agli dei beati» (v. 1075), con un corto circuito assertivo e autoritativo. È a ben vedere il solo espediente atto a contrastare l’ovvia accusa di profetizzare post eventum (ὕστερον, v. 1085), come Trigeo non manca di rinfacciare a Ierocle. Negli stessi termini in Uccelli, 964‑965, Pisetero chiede al chresmologos «perché non hai vaticinato prima che fondassi la città?» ottenendo come risposta «perché il dio me lo impediva»14.

  • 15 Un espediente analogo ricorre in Aristofane, Uccelli, 1579 ss., dove Eracle viene ignorato al fine (...)
  • 16 «The stylization of epic and Trygaios’ farrago of quotation emphasize epic’s artifice, reinforcing (...)

13Proprio questa inutilità, che riduce la sua supponenza alla stregua di un imbroglio (φενακίζων, v. 1087) sta alla radice dell’espulsione, dapprima mimata dal gioco di fingere di non vederlo nell’indaffarata preparazione del sacrificio (v. 1051)15; infine il rifiuto formale ai suoi tentativi di ingerirsi nel rituale sacrificale (vv. 1056, 1060) è affidato a un pastiche di espressioni omeriche (vv. 1090‑1094) piegato all’aggressività contestuale verso l’interlocutore: «nessuno passava all’oracolante la gavetta nitida» (v. 1094)16. Alle deboli obiezioni di Ierocle (v. 1095, «οὐ μετέχω τούτων· οὐ γὰρ ταῦτ’ εἶπε Σίβυλλα»), che chiama in causa un’ulteriore fonte oracolare vieppiù autorevole, Trigeo oppone un’altra citazione omerica pronunciata con la massima serietà e solennità come proprio documento oracolare, le parole con cui Nestore cercava di avviare la riconciliazione fra Agamennone e Achille: «è senza fratria, senza leggi, senza focolare / chi si compiace dell’orribile guerra civile» (vv. 1097‑1098 = Iliade, IX, 63‑64).

  • 17 Vedi Zogg (2014, 142).
  • 18 Vedi Paduano (2002, 34).

14Sul piano della connotazione letteraria è degno di nota come modello e citazione concordino nel non limitarsi a una gnome sapienziale, ma nell’operare una forzatura ideologica su una situazione che in entrambi i casi non è del tutto congrua17: definire infatti «guerra civile» (πολέμου […] ἐπιδημίου) la guerra del Peloponneso è improprio quanto definire a quel modo la frattura prodottosi tra persone e di conseguenza fra entità autonome all’interno della coalizione greca sotto Troia; ma come Nestore gioca ogni carta per restituire l’ordine turbato, così Aristofane testimonia in maniera implicita, ma non meno intensa, la fraternità panellenica18.

  • 19 Sulla capacità di Aristofane di individuare il fattore economico e in particolare il profitto come (...)

15Dopo l’esclusione dell’entità inutile, una climax sospinge a quella dell’entità dannosa, i mercanti d’armi che traevano profitto dallo stato di guerra19. Già ai vv. 447‑448, durante lo scavo per il recupero della Pace, Trigeo aveva tuonato: «Se un fabbricante di lance o un mercante di scudi desidera la guerra per vendere meglio…», a cui il coro rispondeva «sia catturato dai pirati e ridotto a mangiare soltanto orzo».

16In quella situazione si affacciava un’altra categoria di nemici pubblici, parimenti stigmatizzata, quella dei militari bramosi di progredire nella carriera, di ταξιαρχεῖν (v. 444) o addirittura στρατηγεῖν (v. 450). Rovesciato il codice bellico con il successo dell’impresa, Aristofane conferma la direttrice privilegiata della sua polemica su cui si innesta in un misto di malafede e ingenuità diversiva la domanda del probulo in Lisistrata, 489, «perché, la guerra si fa per il denaro?».

17L’attacco ai mercanti d’armi, esplicitando la dialettica tra politica e interesse economico, completa l’analisi condotta da Ermes sulle cause della guerra, riconducendo — in termini marxiani — la sovrastruttura alla struttura: in altri parole essi sono pericolosi soprattutto perché sono i veri padri della guerra, non soltanto i suoi figli privilegiati.

18Ai vv. 545 ss. Ermes e Trigeo erano concordi nell’immaginarsi il fabbricante di elmi disperato per la caduta verticale del suo mercato, un danno cui si aggiungono le beffe dei fabbricanti di attrezzi agricoli, zappe e falci. Lo scenario pregustato diventa prassi teatrale dopo la seconda parabasi, quando dell’irrisione si prende carico in prima persona il protagonista (e con lui il poeta).

  • 20 Su questa «parodia degli oggetti» come segnale metonimico della fine del vecchio ordine vedi Camero (...)
  • 21 Per le viti come paradigma simbolico del sovvertimento e della distruzione bellica negli Acarnesi e (...)

19Sulla scia di un mercante di falci e un vasaio invitati a entrare in casa per le nozze di Trigeo con Opora (vv. 1207‑1208), si presentano a recriminare un gruppo costituito da un mercante d’armi e un fabbricante di elmi e uno di lance rovinati dal ritorno di Pace (vv. 1210‑1264), in perfetta antitesi con l’atmosfera festiva che si va approntando. Senza battere ciglio Trigeo si propone come loro potenziale cliente: con il tramonto definitivo dello stato di guerra, tutto è cambiato e la loro merce deve essere svenduta o trovare una sua risemantizzazione d’uso fondata su una valutazione tutta economica20: nella contrattazione i pennacchi (τοῖν λόφοιν, v. 1214; σφήκωμα, v. 1216) che negli Acarnesi rappresentavano, fin dall’entrata in scena di Lamaco, il simbolo borioso del prestigio militare, inteso come una malattia da Trigeo (λοφᾷς, v. 1211), possono servire a spolverare la tavola (v. 1218); in décalage scatologico la corazza risulta perfetta per i bisogni corporali (v. 1228‑1238), la tromba militare può diventare con modifiche o aggiunte, a scelta, un cottabo o una bilancia (vv. 1240‑1249), gli elmi, ottimi comunque «per misurare i lassativi» (v. 1254), o, con l’appendice di due anse, come anfore (v. 1258); le lance infine sono svilite a «pali da vigna a cento per una dracma» (v. 1263)21.

20Ma l’apparente disponibilità a contrattare di Trigeo rappresenta solo un livello intermedio dell’aggressione: quando gli interlocutori paiono pronti ad accettare faute de mieux ridicole offerte al ribasso — costretti così a marcare la profondità della loro attuale crisi finanziaria — allora il cliente si tira indietro, con voltafaccia già di per sé beffardi, e per di più assistiti da pretesti più ridicoli ancora: i λόφοι sono «robaccia, perdono i peli» (v. 1222); la corazza «mi brucia» (v. 1239).

  • 22 Altra questione è se essa possa venire intesa come opzione realistica o storicamente praticabile; n (...)
  • 23 Sulla trama intertestuale che impronta la scena vedi in dettaglio Kloss (2001, 86‑89).

21Una volta demistificato e vanificato dallo stesso proponente il riciclo, non resta che la contrapposizione frontale ai mercanti di morte22, che vengono scacciati a più riprese dal padrone di casa (vv. 1221, 1239 e 1253). Il medesimo schema a dittico si ripete con il contrasto tra il figlio del generale Lamaco e quello di Cleonimo, il famigerato ῥίψασπις, vigliacco per antonomasia (cf. vv. 446, 673 ss., e Acarnesi, 88, Nuvole, 353, 400, Vespe, 19, 822‑823, Uccelli, 289, 1475), sui temi dei canti che intendono eseguire durante il banchetto nuziale (vv. 1268‑1301)23: il primo intonerà materiale epico e verrà sbeffeggiato da Trigeo che individua la causa di tale predilezione nel padre guerrafondaio, mentre l’altro gli opporrà sul filo della citazione il primo distico elegiaco del celebre carme di Archiloco sulla perdita dello scudo (fr. 5 W.), rintuzzato da Trigeo che infine completa l’emistichio del ragazzo, un adattamento del fr. 5, 3 (αὐτὸν δ’ ἐξεσάωσα), con un passo di Alceo fr. 6, 13‑14 V. καὶ μὴ καταισχύνωμεν [ / ἔσλοις τόκηας γᾶς ὔπα κε̣[ιμένοις:

Παίδων β´ ψυχὴν δ’ ἐξεσάωσα —
Τριγ.                                        καταισχυνάς γε τοκῆας      (v. 1301)

  • 24 La sutura καὶ μὴ ricorre ossessiva come cerniera della composizione alcaica (vv. 9, 13; 25 e 28 μηδ (...)
  • 25 Il monito di ascendenza epica (Omero, Iliade, 6, 208‑209) a non disonorare la stirpe ricorre deform (...)
  • 26 Vedi Kugelmeier (1996, 41‑43), Zogg (2014, 64).
  • 27 Nello scarto sintattico rispetto al modello alcaico si insinua, per Bonanno (1973‑1974, 191‑193) un (...)

22Ma il riuso del dispositivo poetico si rivela tendenzioso, perché, scardinando attraverso il taglio della negazione μὴ24 l’invito alcaico ad esercitare l’ἀριστεία mostrandosi degni dei propri avi25, Trigeo trova l’occasione per stigmatizzare ancora la vigliaccheria di Cleonimo26. L’agra boutade non sembra innescata tanto dall’odio di parte quanto dal bisogno di sottolineare che l’amore per la pace è una virtù, non lo schermo di un difetto di coraggio e di civismo: lo può ben dire Trigeo, che l’uno e l’altro ha dimostrato di possedere in massimo grado. E se naturalmente il figlio di Lamaco, irriducibile, merita di essere cacciato fuori (ἄπερρε καὶ τοῖς λογχοφόροισιν ᾆδ’ ἰών, v. 1294), al figlio di Cleonimo è concesso di partecipare al banchetto (ἀλλ’ εἰσίωμεν, v. 1302) ma con il marchio dell’infamia familiare27.

  • 28 Sulla distribuzione di ruoli e battute, controversa fin dall’edizione di Wilamowitz (1927, 199), ve (...)
  • 29 Dalla festa finale prefigurata dal Coro sono allontanati dall’Ateniese A’ alcuni indesiderati che s (...)

23Occorrerà paradossalmente uno scenario politico-militare molto più complesso, per non dire disperato, perché la pace si presenti nella Lisistrata con la forza di un ecumenismo senza ombre, come attesta la struttura stessa del finale (vv. 1242‑1321)28, in cui la gioia per la riconciliazione e la pace riconquistata è in grado di obliterare l’alterità per eccellenza tra Ateniesi e Spartani e la scena ateniese ospita uno Spartano che canta le glorie e le memorie belliche comuni (v. 1247‑1272); non c’è spazio per nessun’altra alterità, che neghi anche a un solo individuo la felicità familiare fin qui devastata e impedita dalla guerra: «L’uomo stia accanto alla donna, e la donna all’uomo» (vv. 1275‑1276)29.

  • 30 Questa distonia — su cui vedi Konstan & Dillon (1981), MacDowell (1995, 342‑345), Paduano (1988, 21 (...)

24Nel Pluto invece la felicità globale derivante dal riequilibrio economico del mondo si scontra con l’eccezione del sicofante. La singolarità della sua posizione viene a interferire con una peculiarità della commedia altamente problematica: il disegno di restituire la vista al cieco dio della ricchezza si propone di operarne una distribuzione etica, assegnandola agli onesti e ristabilendo così il nesso tra giustizia e ricchezza; ma a questo sviluppo si giustappone un altro plot sensibilmente diverso, che sembra orientare la seconda parte della trama verso un arricchimento universale. La questione è oggetto di intensa attenzione critica30, ma in questa sede mi limito a sottolineare che più che la conflazione di due divergenti azioni drammatiche qui risulta operante l’implacabile consequenzialità del principio per cui, essendo il denaro la forza dominante del mondo — come Cremilo dimostra all’ignaro Pluto — è la sua ontologia a determinare l’etica, non viceversa: non si è originariamente onesti o disonesti, ma si è disonesti solo in vista del profitto. Quando Pluto vedente si indirizzi «agli onesti, e non li abbandoni più», e rifugga dai disonesti e dagli empi, «renderà tutti onesti, ricchi e pii» (vv. 495‑497). E se la ricchezza è uno strumento per diffondere la giustizia, installato Pluto nella propria casa, Cremilo ne assume il monopolio condividendolo con quanti diano prova di essere compiutamente giusti o di aspirare a diventarlo.

  • 31 Brown (2008, 369‑371). Sul fulcro scenico della porta come discrimine di inclusione o esclusione, v (...)
  • 32 La reazione del sicofante è orientata a quel meccanismo sociale e politico, operante in particolare (...)
  • 33 A dispetto dell’illazione di Carione (δῆλον ὅτι βουλιμιᾷ, v. 871), simile a quella del servo di Tri (...)
  • 34 Una proposta che si delinea come arrogante e sacrilega: «If, however, the Informer really envisages (...)
  • 35 La polisemia di δίκη e dei suoi derivati è declinata in forma di ossimoro, o piuttosto di antifrasi (...)
  • 36 La critica contemporanea si è esercitata con ragioni spesso tortuose a rivedere il giudizio del sic (...)
  • 37 D’altra parte il cambio di vestito e di ruoli fra il sicofante e l’uomo onesto (vv. 935‑954), che c (...)

25Secondo uno schema scenico ben collaudato, alla sua porta si affollano molti personaggi desiderosi di accedere alla nuova prosperità31. L’articolazione del meccanismo drammaturgico focalizza nel sicofante l’unica persona che si sottragga alla prevalenza del profitto, resistendo alle più lucenti sirene eudemonistiche (vv. 850‑958): indisponibile alla conversione alla nuova vita (οὐδ᾽ἂν μεταμάθοις;)32 non rinuncerebbe al suo attivismo politico nemmeno per Pluto medesimo e il silfio di Batto (v. 925)33. Non manca in questa posizione una punta di sinistra grandezza, un impenitente rifiuto della morale che può far pensare al Don Giovanni di Mozart, e da parte di Cremilo il gusto di esercitare la Schadenfreude dell’esclusione, come contrappasso su chi adotta la Schadenfreude per sua regola di vita. Che in questo caso l’esclusione sia almeno in parte volontaria è un tratto paradossale ma coerente col fatto che il sicofante non ha mai chiesto di far parte del mondo riformato con la guarigione, ha chiesto piuttosto di annullare la guarigione medesima, antitetica alle sue concezioni: «il dio deve ritornare ad essere cieco34, o sarà la fine della giustizia» (ovvero dell’amministrazione giudiziaria, διὰ τὸν θεὸν τοῦτον, τὸν ἐσόμενον τυφλὸν / πάλιν αὖθις, ἤνπερ μὴ ’πιλίπωσιν αἱ δίκαι35; v. 858‑859). La sua espulsione è dunque necessaria da un punto di vista logico prima ancora che etico36: trovargli posto nel nuovo mondo di Pluto guarito equivarrebbe a trovarlo al Paflagone dei Cavalieri nel mondo risanato dai guasti che lui stesso ha provocato37.

  • 38 Vedi Orfanos (2006, 89‑101).
  • 39 Vedi MacDowell (1995, 209): «Birds has more characters than any other play of Aristophanes»; Whitma (...)
  • 40 Vedi Paduano (1974, 112), Fabbro (2013, 99), Morosi (2021, 108‑109).
  • 41 Morosi (2021, 52).

26Nella seconda parte degli Uccelli l’inusitata impresa coloniale richiama una sfilata di disturbatori che intendono partecipare al successo del piano del protagonista e ne vengono puntualmente respinti38. Come rilevato dalla critica, la parte dedicata agli alazones occupa un’estensione e una funzione drammaturgica senza confronti nella produzione superstite e risulta ritmata in rapida sequenza binaria (Av. 9031057 e 13371469)39: il primo movimento riguarda le intrusioni nel sacrificio rituale che celebra la fondazione della nuova città di un sacerdote, un poeta, un indovino, Metone, un ispettore e un venditore di decreti, la seconda, in cui si presentano un parricida, Cinesia e un sicofante, con la richiesta delle ali necessarie a divenirne cittadini effettivi. Attorno a un limite che è sia astratto che concreto — l’ingresso nella città e il riorientamento identitario40  si organizza una semantica spaziale: «la discontinuità identitaria tra l’io e l’altro è anche una discontinuità spaziale: chi è parte di un gruppo omogeneo può occupare uno spazio al di qua del limite, chi non ne è parte è irrimediabilmente confinato al di là»41.

  • 42 Vedi in dettaglio l’analisi di Catenacci (2007, 233‑237, 245‑253); sul riuso deformante di lessico (...)

27Del primo gruppo di postulanti, solo il primo, un poeta che arriva cantando un inno encomiastico per la nuova Nubicuculia vantandosi di averla «già da lungo tempo» (πάλαι πάλαι, v. 921) celebrata, viene accontentato nella sua richiesta di offrirgli qualcosa con una pelliccia (v. 935) e una tunica (v. 944‑945), peraltro a malavoglia, per la necessità di liberarsene (vv. 931‑932, 940) e lamentando come una seccatura inaspettata (v. 956) il fatto che si sia diffusa la notizia della fondazione42.

  • 43 L’orizzonte coloniale è suggerito anche dalla menzione di Lampone, il famoso chresmologos coinvolto (...)

28Viene invece scacciato il chresmologos, l’oracolista (v. 991), che si presenta a chiedere parte delle carni del sacrificio e vestiario in cambio di un oracolo di Bacide che contemplerebbe la fondazione della città degli uccelli (v. 963)43, e lo adduce con precisione e concretezza (λαβὲ τὸ βυβλίον, vv. 974, 976, 980); ma ironicamente Pisetero lo rintuzza con un immaginario oracolo trascritto dalla viva voce di Apollo:

quando senz’essere chiamato (ἄκλητος) arrivi un impostore (ἀλαζών) a dar noia
mentre si fa il sacrificio, e pretenda mangiare
allora bisogna riempirlo di legnate in mezzo alla schiena (vv. 983‑985).

  • 44 Vedi Grilli (2006, 296, n. 283).
  • 45 Vedi Zanetto (1987, 256).

29E con il consueto meccanismo della ritorsione (ovvero con la risemantizzazione aggressiva delle stesse parole dell’interlocutore)44 Pisetero procede a cacciarlo colpendolo verosimilmente con lo stesso βυβλίον (λαβὲ τὸ βυβλίον, v. 989). Oltre alla diffidenza per una categoria che stava guadagnando un ruolo politico sempre più vistoso, facendo leva sull’ansia generale in occasione della spedizione siciliana (Tucidide, 8, 1, 1), l’espulsione trova appiglio anche all’interno della trama drammatica: Pisetero stesso nell’agone aveva illustrato una nuova forma di mantica basata sul rapporto diretto, tra i nuovi dei, gli uccelli, e gli uomini (vv. 562‑569)45.

30Non hanno migliore fortuna lo scienziato Metone, portatore di un progetto urbanistico che prevede una struttura centrale, con le strade che convergono all’agorà (vv. 992‑1020), un ispettore inviato a controllare la regolarità della prassi coloniale (vv. 1021‑1034), e infine un venditore di decreti che pretende di fornire una legislazione per i rapporti internazionali (vv. 1035‑1055).

  • 46 Paduano (1973, 124): «Sta a fondamento del comportamento nei suoi riguardi una concezione dell’arte (...)

31Nel complesso quello che viene respinto è un tentativo lineare della vecchia società (ateniese o genericamente umana che la si consideri) di imporre alla nuova realtà politica un modello e un’impronta; in tal senso il trattamento meno violento riservato al poeta discende dall’irrilevanza attribuita alla sua funzione sociale46.

  • 47 Vedi Dunbar (1995, 664‑665), Zimmerman (1993).

32Va peggio a un secondo poeta, il famoso ditirambografo Cinesia, rappresentante della Nuova Musica (vv. 1372‑1409), che si presenta a chiedere le ali e più brutalmente del primo deve scontare l’equivalenza vulgata tra sperimentalismo poetico-musicale e vacuità della forma47, ma assai più rilevanti sono i due episodi che rispettivamente precedono e seguono il suo arrivo quello del πατραλοίας, dell’aspirante parricida (vv. 1337‑1371), e quello del sicofante (vv. 1410‑1468).

  • 48 Tensioni, complicazioni, difficoltà nel funzionamento del vittorioso βούλευμα comico sono frequenti (...)
  • 49 Vedi anche Nuvole, 1423‑1426.

33Il primo solleva un sospetto inquietante rispetto ai casi di esclusione fin qui considerati, in cui la nuova società rappresentava un punto fermo nella sua compattezza vittoriosa e inattaccabile48: tale orizzonte valoriale sembra ora messo in crisi quando il giovane motiva la richiesta con la propria conformità all’usanza specifica degli uccelli — menzionata nella parabasi ai vv. 757‑75949 — che, negando il principio dell’autorità parentale, permette appunto di percuotere il padre, un atteggiamento che peraltro il giovane estremizza esprimendo il desiderio di strozzarlo e impadronirsi dei beni.

  • 50 Di cui in realtà è modello anche l’allodola (vv. 471‑475).

34Ma prima ancora che l’aspirante si sia qualificato, Pisetero abbozza un tentativo di mediazione predicando la pluralità erodotea dei νόμοι e il conseguente relativismo etico (πολλοὶ γὰρ ὀρνίθων νόμοι, v. 1346), che priva il singolo nomos di carattere strutturale, e dunque alternativo rispetto alla società umana. Il pluralismo ripiega tuttavia ben presto su posizioni tradizionali: anche tra gli uccelli vige la pietas filiale di cui sono esempio le cicogne (vv. 1353‑1357)50; invece delle agognate ali il giovane viene rivestito di una panoplia e inviato a combattere in Tracia (v. 1369), dove indirizzare la propria aggressività.

  • 51 Strauss (1993, 164‑165). In tali termini si esprime anche la furia parricida di Fidippide in Nuvole(...)
  • 52 Vedi Orfanos (1998, 129‑131).
  • 53 Su questo punto vedi Paduano (1973); per Grilli (2006, 39‑41) la traiettoria dall’anarchia ideologi (...)

35In qualche modo la società minacciata di invasione supera la prova di resistenza, perché il conflitto generazionale nei suoi esiti estremi — il desiderio di strozzare il padre51 prendendosi il patrimonio (v. 1352) — viene neutralizzato nella pratica bellica: le armi da combattimento proprie degli uccelli (ala, sperone e cresta) sono risemantizzate nell’armatura da oplita (vv. 1364‑1366) al servizio di una buona causa52. Eppure anche in questa circostanza si manifesta quella tendenza a ritrattare o almeno a smorzare la carica di trasgressività trasmessa nella parabasi con il ‘manifesto’ degli uccelli dei vv. 753‑768, che nel graduale sviluppo dell’azione comica orienterà la trasformazione di un luogo apragmon e anti-autoritario in una potenza autocratica e imperialista53.

  • 54 A ragione della generale connotazione derogatoria del termine, un personaggio non si definisce mai (...)
  • 55 Un’attività che si estendeva nelle città che gravitavano nell’orbita della lega delio‑attica come d (...)
  • 56 Sulla cui funzione nel sistema giudiziario ateniese, vedi tra gli altri Christ (1998, 118‑159), Dog (...)

36Quanto all’intruso che si presenta in scena definendosi συκοφάντης (v. 1423)54, anche non arrivasse per ultimo dopo una serie martellante di rifiuti che a priori escludono qualunque sorpresa, nessuno spettatore si può aspettare che gli tocchi qualcosa di meglio dell’essere cacciato a frustate (vv. 1410-1468). Indubbiamente non ha pretesti per motivare ideologicamente la richiesta delle ali, che sono per lui solo un mezzo per rendere più efficiente e veloce la sua azione anche in ambito internazionale (κύκλῳ περισοβεῖν τὰς πόλεις καλούμενος, v. 1425)55. Resta da chiedersi se l’esercizio di un’attività legittima e perfino istituzionale come quella dell’accusatore pubblico56 possa essere annoverato nella categoria del nuovo codice normativo recitato nell’epirrema parabatico: «quanto ciò che qui (scil. tra gli uomini) è turpe e vietato per legge (αἰσχρὰ καὶ νόμῳ κρατούμενα) è bello presso noi uccelli» (vv. 755‑756).

37È opportuno in proposito operare un distinguo: che Aristofane consideri biasimevole il mestiere di sicofante è fuori dubbio, ed è presentato come un’opinione radicata nel comune sentire. Si potrebbero citare esempi ad abundantiam, in particolare la scena del Pluto prima menzionata, dove la presunzione del sicofante per l’interesse pubblico, definitosi χρηστὸς […] καὶ φιλόπολις (v. 900) e vittima di immotivata sventura imputabile al dio Pluto, suscita l’indignazione dell’uomo onesto, oltre che una pronta confutazione (vv. 901‑922). Ma che sia «vietato per legge» non è sostenibile, anche se Aristofane sembra avallarlo implicitamente in un punto della perorazione di Pisetero, che alla richiesta tecnica dell’interlocutore risponde con la fornitura di ali metaforiche, elargendogli cioè il paterno consiglio a cercarsi un mestiere che, a differenza del suo, possa essere qualificato come «legale» (νόμιμον, v. 1450).

  • 57 Com’è noto, la natura accusatoria del processo attico e il fatto che l’azione legale era promossa d (...)
  • 58 Sull’ampio spazio riservato alle ragioni del pubblico accusatore, vedi Fisher (1976, 70: «there is (...)
  • 59 Personaggio non altrimenti noto ma agevolmente identificabile dal pubblico grazie ad un’etopea affi (...)
  • 60 Vedi Pellegrino (2010, 122). «He is the “other” of democratic civic identity, who transforms politi (...)

38Quest’ultima definizione suona come un lapsus a cui il discorso è stato trascinato dall’oltranza dello sdegno, o almeno come vigorosa denuncia del gap che intercorre tra mondo ‘legale’ e mondo ‘reale’, ovvero tra l’ideologia del libero accesso al procedimento giudiziario e la sua pratica pervasiva57. Nel Pluto il sicofante afferma peraltro di esercitare una «difesa delle leggi vigenti» (τὸ μὲν οὖν βοηθεῖν τοῖς νόμοις τοῖς κειμένοις, v. 914)58. Dunque non le singole persone — che restano tutte anonime, tranne Nicarco, il secondo sicofante sulla scena degli Acarnesi (vv. 908‑958)59 — ma la funzione stessa è biasimata come abietta e socialmente rovinosa60, come meccanismo del più ampio ingranaggio, l’amministrazione della giustizia, i cui effetti distorsivi sono costantemente oggetto dell’aggressione comica.

39Da questa concatenazione discende peraltro un ulteriore motivo perché la città degli uccelli rigetti il postulante: lungi dall’essere autenticamente trasgressivo, è una figura organica al vecchio mondo, umano e in particolare ateniese, che anzi rappresenta per associazione quasi irriflessa; del resto in Nuvole, 206‑208, Strepsiade non riconosce Atene sulla carta geografica perché non vi vede raffigurata l’immancabile seduta del tribunale.

40Se nei casi esaminati i meccanismi che regolano l’esclusione fanno leva su un monopolio spaziale, identitario o della ricchezza, resta da considerare un inquietante contro-esempio nelle Ecclesiazuse: un’esclusione che non viene messa in atto, benché avrebbe ogni motivo di esserlo, ma che viene proposta da persona priva dell’autorità per farla valere. Si tratta di Cremete, il cittadino ligio, che ha poco prima sostenuto un dibattito (perdente) contro un anonimo cittadino, scettico sulla riforma di Prassagora e ben risoluto a non consegnare i suoi beni al tesoro comune. Le osservazioni di quest’ultimo sull’impraticabilità della riforma erano certamente acute e mordaci. Basti ricordarne una per tutte: «non è nostra tradizione (πάτριον) quella di dare: prendere piuttosto sì. Lo fanno anche gli dei: basta vedere le mani delle statue» (vv. 778‑780).

  • 61 E in tal senso le conseguenze del piano di Prassagora comportano un riorientamento dei rapporti eco (...)
  • 62 Il confronto che si svolge nei termini astratti dell’osservanza cieca e incondizionata della nuova (...)

41Al contempo peraltro è indubbio che le sue motivazioni vadano ascritte a quell’interesse privato (vv. 205‑208), individuato costantemente da Aristofane come il vero male sociale e politico della città61. Non solo l’anonimo bolla di stupidità chi obbedisce alle leggi costituite (vv. 762, 764), ma ha in mente di adottare una tattica antisociale dal punto di vista logico, quella di «aspettare di vedere cosa fanno gli altri» (vv. 788‑789)62: una scelta che, se generalizzata, vanificherebbe l’attuazione di qualunque provvedimento legislativo, non solo di quello in discussione.

42Quando tuttavia appare la banditrice a proclamare erga omnes l’invito a pranzo, eccolo rivestire con prontezza i panni del cittadino modello (vv. 853‑854): «Allora vado. Che resto qui a fare, se questa è la delibera della città?». L’improvvisata ortodossia non fa altro che anticipare, realizzandola nei fatti, la più cinica professione di opportunismo (vv. 872‑874): «Bisognerà che trovi qualche espediente per conservare quello che ho e avere anche la mia parte di questo pasticcio comunitario».

  • 63 «La simmetria risulta ironica per il fatto che, resistendo entrambi alle pressioni, Cremete si è co (...)

43Esterrefatto Cremete oppone il proprio rifiuto all’ingresso dell’altro nella festa, ma non può che subordinarlo alla decisione di chi adesso detiene il potere: «no di certo, se le donne non hanno perso il cervello, non prima di avere consegnato» (vv. 856‑857). Ma ‘le donne’ non sono presenti in quel momento, e il profittatore difende il proprio privilegio di prendere senza dare in una contesa verbale che prende la forma di una ritorsione, simmetrica rispetto alla scena precedente (vv. 799 ss.)63, dove le sue obiezioni non riuscivano a distogliere Cremete dal consegnare la propria roba difendendo l’adempimento di un dovere.

  • 64 Per una rassegna delle varie interpretazioni vedi Sommerstein (1984, 315‑316); per una riconsideraz (...)
  • 65 Per quanto riguarda e.g. il Pluto vedi le riserve di Sommerstein (1996), McGlew (1997) e Fiorentini (...)

44L’impressione che insieme al profittatore si insinui nella riforma una bomba a orologeria destinata a farla esplodere, a trasformare la festa trionfale in amaro disincanto o mistificazione, può apparire più suadente64 di altre interpretazioni ‘ironiche’ che hanno toccato altre commedie aristofanee65, ma nel complesso è troppo forte la coerenza con cui è rappresentato il grande tema comunitario della felicità, del sogno realizzato; troppo impressionante, se vogliamo scendere in particolari, la fantasmagoria gastronomica e linguistica che è il finale delle Ecclesiazuse.

  • 66 Una prospettiva non dissimile rispetto alle Ecclesiazuse in cui il piano di Prassagora, generato da (...)

45Se al termine di questo sommario percorso vogliamo considerare in un percorso a ritroso gli Acarnesi, vi scopriremo in una sorta di cannocchiale rovesciato il capovolgimento dello schema comico oggetto di questa analisi66: lì è una persona sola — Diceopoli, caratterizzato dallo Stichwort «μόνος» fin dalla prima scena quando percorre l’ekklesia lasciata deserta da chi dovrebbe deliberare sulla pace (vv. 29, ma cf. anche 110, 290, 493, 1020, 1057) — a escludere dalla felicità della pace ritrovata tutti gli altri.

  • 67 Vedi Morosi (2021, 54)

46Dopo avere firmato la pace separata con Sparta (ἐμοὶ …μόνῳ, vv. 130131), Diceopoli liquida l’uno dopo l’altro, i due sicofanti che si mettono di traverso alla sua riapertura del mercato tradizionale (vv. 818‑828, 908‑958), Lamaco che vorrebbe acquistare da lui i prodotti tornati accessibili (vv. 959‑970), Dercete che piange la perdita dei suoi buoi e gli chiede di essere unto con «una goccia di pace» (v. 1033), il paraninfo che in cambio della stessa richiesta gli manda la carne del banchetto nuziale (vv. 1048-1055). Lo spazio dell’agorà separata che Diceopoli ha istituito definisce la sua identità e al contempo delimita il godimento dei beni ottenuti67; come commenta il coro: «quest’uomo ha trovato la dolcezza della pace, e sembra che non voglia farne parte a nessuno» (vv. 1037‑1039).

  • 68 Si confronti la situazione degli Uccelli (v. 894) in cui Pisetero, esasperato con il Sacerdote per (...)

47E proprio l’atteggiamento del coro dà la misura dell’autoreferenzialità del trionfo. Dapprima ostile a Diceopoli, poi diviso in due semicori contrapposti, infine convintamente schierato al suo fianco dopo la vittoria dialettica su Lamaco, non avanza mai alcuna pretesa di partecipazione ai benefici: ammira (v. 971) e invidia (v. 1008) le sue qualità intellettuali, e al massimo si limita a lamentarsi che la vista del banchetto «fa morire di fame me e i vicini» (vv. 1044‑1045)68.

  • 69 Vedi e.g. Foley (1988, 4546; Bowie (1993, 3239) e in dettaglio al riguardo Morosi (2021, 65, n. 3 (...)
  • 70 Vedi Edmunds (1980, 14 e 28), MacDowell (1983, 158‑160; 1995, 75‑77), Parker (1991, 204‑206), Fishe (...)

48Sull’‘egoismo’ di Diceopoli non sono mancate analisi severe69 che non sembrano cogliere il rilievo della surreale creatività, vettore primario del senso complessivo della commedia. L’isolamento morale e politico sperimentato da Diceopoli nell’assemblea non può che tradursi dopo la felice conclusione della pace in godimento esclusivo dei vantaggi acquisiti. Corollario ineludibile è il tracollo del quadro istituzionale democratico e l’approdo a un nuovo orizzonte politico in cui il protagonista da semplice cittadino si fa lui stesso istituzione statale, polis, che ne sussume bisogni e comportamenti70.

49La specularità degli Acarnesi rispetto alle situazioni oggetto di questo studio trova conferma nel fatto che il procedimento di segno opposto, l’inclusione, ricorre come un’eccezione riservata a una sposa che chiede il talismano per conservare accanto a sé il marito e viene accontentata perché «non è responsabile della guerra» (v. 1062): è aperta la lunga via che conduce a Lisistrata e alla felicità universale.

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Notes

1 Durkheim (1912, 386‑387); vedi Hall (2014, 311‑312): «rituals, including festivals, offer a mechanism for the symbolic recreation of society, in wich its members define what is mutually sacred to them».

2 Sull’articolazione dell’emarginazione psichica, politica e sociale in termini spaziali, vedi Morosi (2021, 51‑62).

3 Questo fondamentale distinguo, e gli altri correlati e ugualmente essenziali rispetto alle forme dell’esclusione codificate in campo socio-politico (ostracismo, atimia), sono del tutto ignorati nel lavoro piuttosto farraginoso di Credo (2020). Tra i molti lavori sul φαρμακός nella commedia si segnalano Rosen (1988, 21‑24), Bowie (1993, 74‑75), Rosenbloom (2002, 332‑337), la sintesi di Di Bari (2013, 180‑182) e Credo (2020, in part. 3, n. 16).

4 Il protagonista o ‘eroe comico’ e la sua volontà di affermazione individuale nei confronti di un sistema politico o sociale sono da tempo riconosciute dalla critica come il nucleo generativo della commedia aristofanea; vedi e.g. Whitman (1964), Paduano (1974), Henderson (1993), Grilli (2022).

5 Cfr. anche vv. 1389‑1391; sulle aggressioni di komastai violenti vedi anche Acarnesi, 981‑984, 1166-1170; Ecclesiazuse, 663‑664. «Violence at the end of a comedy is situated at the limen of a comic play that is still embedded within the liminal phase of a Dionysiac festival. Insulated or mediated by this festive layer, violence is kept at a sufficient distance from the audience» (Riess, 2012, 295).

6 Sulla valenza degli elementi conflittuali in questa commedia, non sempre riconosciuti dalla critica, vedi Morosi (2021, 77‑81).

7 Per la confluenza tra iniziativa individuale e azione collettiva, vedi Cassio (1985, 55‑56).

8 Sembra qui operante un distinguo tra le figure del μάντις (v. 1046) e del χρησμόλογος (v. 1047) in genere intercambiabili e assimilate in un totale discredito sulla scena aristofanea vedi Smith (1989, 142) e Lateiner (1993, 187‑193).

9 Tale sarà la definizione dell’omologo personaggio degli Uccelli (v. 983), vedi infra. Secondo Cassio (1985, 129130) «alla figura di Ierocle come persona si sovrappone però qui certamente un ‘tipo’: quello dell’impostore che con la scusa di grandi proposte politiche cerca in pratica solo di assicurarsi qualche piccolo vantaggio immediato, in questo caso un po’ di carne del sacrificio». Per un esame della tipologia sociale degli alazones, vedi MacDowell (1990).

10 Conforme a una disposizione costante in Aristofane (vedi Smith, 1989, 144‑145), piuttosto che connesso a un preciso e recente oracolo sulla durata della guerra come suggerisce Canfora (1970, 63‑64).

11 Sulle sue tracce storiche, vedi Dillery (2005, 194‑195).

12 L’argomento ricorre anche in tragedia, nell’appassionata accusa rivolta a Menelao da Andromaca nella tragedia omonima di Euripide (vv. 445‑463); cfr. anche l’accenno in Supplici, 187.

13 Vedi la proposta di Borthwick (1968, 134‑139), anticipato da Agar (1918, 198) che intende ἀκαλανθίς come nome proprio alternativo a Galanthis/Galanthias, la donna trasformata in donnola da Era per aver agevolato il parto di Alcmena, suggerendo l’emendazione di κὠδίνων per χἠ κώδων, accolta anche da Olson (1998).

14 Il problema è affrontato anche nell’Elena di Euripide, dove il servo, appena appreso che non la vera Elena ma un fantasma plasmato degli dei sia stato la posta in palio della guerra, biasima i celebrati indovini greci e troiani, Calcante ed Eleno, per non aver detto la verità in tempo utile, consentendo col loro silenzio la strage. L’obiezione che gli dei stessi vietassero la rivelazione è presentata dal servo stesso come ipotetica (v. 752), ma porta a concludere sulla conseguente inutilità di ogni canale di comunicazione indiretta tra uomo e dio («ma allora perché ci affidiamo agli indovini? Bisogna chiedere felicità agli dei con i sacrifici, e lasciare perdere gli oracoli», vv. 753‑754; trad. di M. Fusillo).

15 Un espediente analogo ricorre in Aristofane, Uccelli, 1579 ss., dove Eracle viene ignorato al fine opposto e propriamente inclusivo, di stimolarne golosità e curiosità, in modo da accettare in cambio dell’invito a pranzo le condizioni poste da Pisetero e disastrose per la causa degli dei.

16 «The stylization of epic and Trygaios’ farrago of quotation emphasize epic’s artifice, reinforcing the explicit satire on Hierokles’ profession» (Ruffell, 2011, 329).

17 Vedi Zogg (2014, 142).

18 Vedi Paduano (2002, 34).

19 Sulla capacità di Aristofane di individuare il fattore economico e in particolare il profitto come motore decisivo dell’azione sociale vedi per un primo orientamento Fabbro (2021).

20 Su questa «parodia degli oggetti» come segnale metonimico della fine del vecchio ordine vedi Camerotto (2007, 131‑138).

21 Per le viti come paradigma simbolico del sovvertimento e della distruzione bellica negli Acarnesi e nella Pace, vedi ivi, 136‑137.

22 Altra questione è se essa possa venire intesa come opzione realistica o storicamente praticabile; non c’è ragione tuttavia di intendere questa scena come l’esito di un tentativo di smorzare o evitare il contenzioso sociale, limitandosi a prendere a bersaglio «a few unfortunate characters» espulsi allo stesso modo in altre commedie di sicofanti o delatori «who similarly capture a negative model of citizen activity rather than a particular group» (McGlew, 2001, 91‑92): l’esempio è infelice per le ragioni esposte infra.

23 Sulla trama intertestuale che impronta la scena vedi in dettaglio Kloss (2001, 86‑89).

24 La sutura καὶ μὴ ricorre ossessiva come cerniera della composizione alcaica (vv. 9, 13; 25 e 28 μηδέ).

25 Il monito di ascendenza epica (Omero, Iliade, 6, 208‑209) a non disonorare la stirpe ricorre deformato nella piccata risposta del sicofante a Pisetero che vuole persuaderlo a cambiare mestiere: τὸ γένος οὐ καταισχυνῶ. / παππῷος ὁ βίος συκοφαντεῖν ἐστί μοι (vv. 1451‑1452).

26 Vedi Kugelmeier (1996, 41‑43), Zogg (2014, 64).

27 Nello scarto sintattico rispetto al modello alcaico si insinua, per Bonanno (1973‑1974, 191‑193) un beffardo apprezzamento di Trigeo che, deviando dal ‘codice’, smentisce «l’attesa equazione padre codardo = figlio codardo»: se il figlio «svergogna i padri» (v. 1301) Cleonimo «non dovrà arrossire per il mancato coraggio del figlio, bensì del proprio». L’interpretazione implica che a καταισχύνειν si attribuisca non l’atteso significato di ‘disonorare’ ma quello raro di ‘smascherare’, come in Pindaro, Olimpiche, X, 8.

28 Sulla distribuzione di ruoli e battute, controversa fin dall’edizione di Wilamowitz (1927, 199), vedi Marzullo (1975‑1977). Quanto alla problematica attribuzione nella paradosis dei vv. 1273-1278 alla protagonista vedi le osservazioni di Russo (1984, 263‑265), di Perusino (2020, 315: «L’esclusione di Lisistrata e delle amiche […] è anche il segno tangibile del ristabilimento dell’ordine tradizionale nella polis come nell’oikos»), e di Grilli (2022, 293, n. 123).

29 Dalla festa finale prefigurata dal Coro sono allontanati dall’Ateniese A’ alcuni indesiderati che si affollano ai Propilei desiderosi di unirsi ai convitati, forse schiavi o curiosi (vv. 1216 ss. e 1239‑1240), in una scena di genere sottolineata dall’appello diretto agli spettatori. Sulla loro identificazione, in assenza di indizi testuali o interpretazioni scoliastiche si rimanda a Perusino (2020, 308‑310).

30 Questa distonia — su cui vedi Konstan & Dillon (1981), MacDowell (1995, 342‑345), Paduano (1988, 21‑25, 106‑107, n. 75) — ha innescato un ampio dibattito e una messe di interpretazioni ‘ironiche’ della commedia; vedi da ultimo Fiorentini (2005).

31 Brown (2008, 369‑371). Sul fulcro scenico della porta come discrimine di inclusione o esclusione, vedi Poe (1999) e Morosi (2021, 86‑88). Sul ruolo drammaturgico di impostori/disturbatori sulla scena comica ancora utili risultano le pagine di Cornford (1914, 154‑155) che li interpreta come un’iterazione frammentaria dell’antagonista attivo della prima parte della commedia. Per un inquadramento con approccio narratologico di queste scene episodiche come momenti di interruzione e di sosta dell’azione che apportano al contempo «indizi importanti per comprendere pienamente la nuova dimensione della realtà scenica», vedi Grava (1999, 30) e Torchio (2001, 7‑11, 216‑217 ad 926‑958) e (2007, 163‑166); in generale, vedi Pellegrino (2010, 118‑121 = 2017, 409‑413).

32 La reazione del sicofante è orientata a quel meccanismo sociale e politico, operante in particolare in ambito giudiziario, (πολυπραγμοσύνη, «intraprendenza», «desiderio di darsi da fare») da cui i due Ateniesi negli Uccelli intendono prendere le distanze (v. 44). Non a caso il sicofante sulla scena degli Uccelli si definisce πραγματοδίφης («cercaprocessi», v. 1424).

33 A dispetto dell’illazione di Carione (δῆλον ὅτι βουλιμιᾷ, v. 871), simile a quella del servo di Trigeo (Pace, 1045, vedi supra) il personaggio risulta totalmente irrelato alla costellazione simbolica della fame. La priorità assoluta data alla professione su ogni altra istanza dissuade dall’assimilazione del sicofante negli Uccelli alla categoria degli «hungry intruders», come sostiene Credo (2020, 18 e 21).

34 Una proposta che si delinea come arrogante e sacrilega: «If, however, the Informer really envisages proposing the re-blinding of Wealth, it will stamp him as a man of exceptional viciousness and cruelty […]; in addition, since Wealth is a god, it would be an act of gross impiety, for which […] the informer does not have the excuse of acting in the general interest of humanity» (Sommerstein, 2001, 191).

35 La polisemia di δίκη e dei suoi derivati è declinata in forma di ossimoro, o piuttosto di antifrasi, in Uccelli, 1434-1435, dove Pisetero sostiene che è preferibile «vivere secondo giustizia» (διαζῆν […] / ἐκ τοῦ δικαίου) che «imbastire querele» (δικορραφεῖν). Nella stessa commedia, a v. 1468, il sicofante è accusato di στρεψοδικοπανουργίαν, «furfanteria nello stravolgere la giustizia».

36 La critica contemporanea si è esercitata con ragioni spesso tortuose a rivedere il giudizio del sicofante in una luce meno negativa, vedi e.g. Bowie (1993, 277278): «Since he cannot be reproached for his greed, unlike many of the other rich and bad, his polupragmosune is attacked, but this was a protean concept, which could be talked of as a good thing, as showing a proper interest in the city’s affairs, or a bad one, as meddling in the affairs of others», o Leigh (2013, 31‑32).

37 D’altra parte il cambio di vestito e di ruoli fra il sicofante e l’uomo onesto (vv. 935‑954), che con lui anima una scena a dittico, richiama nel suo schema simbolico proprio quello tra Paflagone e Salsicciaio nel finale dei Cavalieri, vedi Bowie (1993, 291) e Compton-Engle (2015, 86‑87).

38 Vedi Orfanos (2006, 89‑101).

39 Vedi MacDowell (1995, 209): «Birds has more characters than any other play of Aristophanes»; Whitman (1964, 320, n. 55): «What is remarkable in the Birds is the union of outer with inner form, symmetry with plot movement, and the development of the fantasy through the demands of impostors»; Zanetto (1987, 250‑254).

40 Vedi Paduano (1974, 112), Fabbro (2013, 99), Morosi (2021, 108‑109).

41 Morosi (2021, 52).

42 Vedi in dettaglio l’analisi di Catenacci (2007, 233‑237, 245‑253); sul riuso deformante di lessico e stilemi melici vedi Kugelmeier (1996, 112‑116).

43 L’orizzonte coloniale è suggerito anche dalla menzione di Lampone, il famoso chresmologos coinvolto nella deduzione della colonia di Turi (vv. 987‑988).

44 Vedi Grilli (2006, 296, n. 283).

45 Vedi Zanetto (1987, 256).

46 Paduano (1973, 124): «Sta a fondamento del comportamento nei suoi riguardi una concezione dell’arte come inanità frigida che non è certo l’estetica aristofanesca, bensì il maggior rimprovero che egli fa ai poeti del suo tempo».

47 Vedi Dunbar (1995, 664‑665), Zimmerman (1993).

48 Tensioni, complicazioni, difficoltà nel funzionamento del vittorioso βούλευμα comico sono frequenti in Aristofane e si addensano particolarmente nell’ultima parte della produzione superstite: esse hanno prodotto una massiccia tendenza critica a considerare il successo del βούλευμα stesso e del personaggio che ne è portatore non nel suo valore facciale, ma in una prospettiva ironica che di fatto ne sancirebbe il fallimento. Da queste interpretazioni io dissento, convinta che nessuna complessità tra quelle coraggiosamente affrontate e non occultate dal testo di Aristofane sia in grado di capovolgere la finalità strutturale della commedia, che è quella di offrire allo spettatore la realizzazione di un sogno di felicità; ma anche se si accettasse questa linea esegetica, non ne verrebbe alterata la disposizione relativa dei personaggi nelle scene di esclusione che si fondano sulla convenzione che chi esclude goda di un incontestabile privilegio e chi viene escluso soffra della sua mancanza. Per una considerazione sui presupposti ermeneutici della dimensione ironica dei significati, vedi anche Grilli (2022, 81‑83).

49 Vedi anche Nuvole, 1423‑1426.

50 Di cui in realtà è modello anche l’allodola (vv. 471‑475).

51 Strauss (1993, 164‑165). In tali termini si esprime anche la furia parricida di Fidippide in Nuvole, 1376, 1389 (cfr. 1385); vedi Strauss (1966, 41‑42).

52 Vedi Orfanos (1998, 129‑131).

53 Su questo punto vedi Paduano (1973); per Grilli (2006, 39‑41) la traiettoria dall’anarchia ideologica del nuovo mondo all’adesione a un sistema morale tradizionale risponde a un’evoluzione funzionale dell’identità del protagonista con il progressivo rafforzamento della sua posizione autoritaria.

54 A ragione della generale connotazione derogatoria del termine, un personaggio non si definisce mai tale («an abusive phrase which in real life could be used of himself only by one unthinkably careless about his own τιμή» [Dunbar, 1995, 678]; «that in itself is a joke» [Harvey, 1990, 107]). Per un’ulteriore occorrenza Dunbar (1995, 674) segnala Aristofane, Banchettanti, frammento 228, 1 K.‑A. ἔσειον, ᾔτουν χρήματ’, ἠπείλουν, ἐσυκοφάντουν, in cui la klimax di attività estorsive potrebbe essere vantata dal Figlio degenere: «fort.1. pers. sing. […], improbi filii impudenter gloriantis verba» (Kassel & Austin, 1984, 137).

55 Un’attività che si estendeva nelle città che gravitavano nell’orbita della lega delio‑attica come denuncia [Senofonte] Costituzione degli Ateniesi, 1, 16‑18; vedi Rhodes (1993, 39). Il ruolo dell’accusatore volontario sembra diffuso oltre i confini dell’Attica: cfr. Eupoli, frammento 245 K.‑A. su Tino; vedi Rubinstein (2003).

56 Sulla cui funzione nel sistema giudiziario ateniese, vedi tra gli altri Christ (1998, 118‑159), Doganis (2007, 65‑83).

57 Com’è noto, la natura accusatoria del processo attico e il fatto che l’azione legale era promossa dalla querela di un privato cittadino (ὁ βουλόμενος) favoriva l’attività dei sicofanti che di solito è presentata come mercenaria (la legge prevedeva una ricompensa in caso di accusa fondata) ma aveva anche importanti risvolti politici. Il sistema ateniese si difendeva dagli abusi attraverso apposite procedure per sicofantia, cfr. [Demοstene] 58, 6; vedi MacDowell (1978, 62‑66, 225‑226, Hansen (1991, 194‑195).

58 Sull’ampio spazio riservato alle ragioni del pubblico accusatore, vedi Fisher (1976, 70: «there is an unresolved conflict between the ideals of the democracy, and the assumptions that such prosecutors are usually villains interfering in other people’s lives from the wrong motives») e di Christ (1998, 145‑148).

59 Personaggio non altrimenti noto ma agevolmente identificabile dal pubblico grazie ad un’etopea affidata ad alcune spie verbali che al suo ingresso in scena ne sbozzano connotazioni fisiche e morali (πίθακον ἀλιτρίας πολλᾶς πλέων, v. 906; μικκός γα μᾶκος οὗτος, v. 909a; πᾶν κακόν, v. 909b), vedi Olson (2002, 299 e 1992, 316‑319), Totaro (2000, 190).

60 Vedi Pellegrino (2010, 122). «He is the “other” of democratic civic identity, who transforms political participation into personal gain, and therefore embodies political corruption in a way that helps to define correct citizen behavior» (McGlew, 1997, 46); contra Christ (1998, 243, n. 20) lo intende anche come «a social type».

61 E in tal senso le conseguenze del piano di Prassagora comportano un riorientamento dei rapporti economici con l’abolizione di tutti gli interessi privati: Saïd (1996, 301‑302).

62 Il confronto che si svolge nei termini astratti dell’osservanza cieca e incondizionata della nuova legge, indipendentemente dalla sua natura, vs un tatticismo attento al proprio interesse privato, non risulta anodino nei suoi esiti: «even the foolishly just man is superior to the injust one», sottolinea Strauss (1966, 275).

63 «La simmetria risulta ironica per il fatto che, resistendo entrambi alle pressioni, Cremete si è conquistato l’adempimento di un obbligo, lo scettico si è conquistato un privilegio ingiusto» (Paduano, 1999, 27). «Primo per prendere, ultimo per dare», nell’etopea dell’egoista inadempiente si staglia il profilo dell’eroe ponēros della commedia attica antica trasformato in personaggio secondario Grilli (2022, 197‑198, in part. n. 25).

64 Per una rassegna delle varie interpretazioni vedi Sommerstein (1984, 315‑316); per una riconsiderazione critica nei confronti di «that universal elixir of twentieth century criticism, irony», vedi Slater (1997, 127, n. 44) e (2002, 228‑230).

65 Per quanto riguarda e.g. il Pluto vedi le riserve di Sommerstein (1996), McGlew (1997) e Fiorentini (2005).

66 Una prospettiva non dissimile rispetto alle Ecclesiazuse in cui il piano di Prassagora, generato da una insofferenza verso la politica ateniese simile a quella di Diceopoli, approda a un finale altrettanto agro: lo scioglimento delle istituzioni democratiche, ormai diventate superflue; vedi Strauss (1966, 272).

67 Vedi Morosi (2021, 54)

68 Si confronti la situazione degli Uccelli (v. 894) in cui Pisetero, esasperato con il Sacerdote per i troppo numerosi inviti al sacrificio in onore della nuova città, minaccia di farlo da solo (μόνος). Non si deve confondere tuttavia questo gesto, orientato, come quello di Diceopoli, all’affermazione di una nuova identità aggressiva e autosufficiente, con le esclusioni specifiche, ispirate a motivi ideologici, che si sono prese in considerazione a proposito degli Uccelli.

69 Vedi e.g. Foley (1988, 4546; Bowie (1993, 3239) e in dettaglio al riguardo Morosi (2021, 65, n. 38).

70 Vedi Edmunds (1980, 14 e 28), MacDowell (1983, 158‑160; 1995, 75‑77), Parker (1991, 204‑206), Fisher (1993, 41), Moorton (1999, 30, 37, 50, n. 41), Paduano (2008, 29 e 34), Nelson (2016, 126‑140).

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Pour citer cet article

Référence électronique

Elena Fabbro, « L’esclusione dal piacere e il piacere dell’esclusione nelle commedie di Aristofane »Gaia [En ligne], 25 | 2022, mis en ligne le 22 juillet 2022, consulté le 24 mars 2025. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/gaia/3197 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/gaia.3197

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Elena Fabbro

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