Navigation – Plan du site

AccueilNuméros25Il transito degli Argonauti nell’...

Il transito degli Argonauti nell’Adriatico settentrionale nella poesia latina umanistica friulana e giuliana

Le passage des Argonautes dans le nord de l’Adriatique dans la poésie latine humaniste frioulane et julienne
The Passage of the Argonauts in the Northern Adriatic in Friulian and Julian Humanist Latin Poetry
Stefano Di Brazzano

Résumés

L’article expose les modalités de reprise des épisodes du mythe du passage des Argonautes dans le nord de l’Adriatique par cinq poètes humanistes latins actifs dans le Frioul et dans la Vénétie-Julienne : transport à dos d’hommes du navire à travers les Alpes, emplacement de l’endroit où ils atteignirent l’Adriatique, présence de Médée et meurtre d’Apsyrtos. L’examen des passages montre comment le récit, basé exclusivement sur des sources latines, devient d’un simple ornement rhétorique-érudit un élément constitutif de la narration poétique et un sujet de discussion.

Haut de page

Notes de l’auteur

Questo articolo è una rielaborazione dell’intervento da me tenuto su invito del prof. E. Pellizer nell’incontro internazionale «Gli Argonauti senza confini tra la Colchide e l’Adriatico (fabbricare miti tra Mar Nero, Danubio, Sava, Adriatico ed Eridano)», Trieste-Lubiana, 6‑7 settembre 2011.

Texte intégral

  • 1 Apollonio Rodio, Argonautiche, IV, 282‑595. Seguo la ricostruzione di Vitelli Casella (2010, 479‑48 (...)
  • 2 Si veda Scilace di Carianda, 20; Aristotele, Historia animalium, VIII, 13; Pseudo-Aristotele, Mirab (...)

1Il passaggio per l’Adriatico settentrionale degli Argonauti e Medea, nonché dei Colchi loro inseguitori guidati dal fratello di lei Assirto, è attestato fin dalle fasi più antiche del mito ma, a quel che sembra, fu ampliato in maniera assai originale da Apollonio Rodio. Questi, discostandosi dalla tradizione che faceva uscire le due navi dal Mar Nero attraverso lo stretto del Bosforo, per far loro quindi percorrere l’Egeo, lo Ionio e l’Adriatico dapprima da sud a nord e quindi nel verso opposto, fece invece imboccare alla nave di Giasone uno dei rami dell’estuario del Danubio (Istro), fiume che poi essa navigò fino alla confluenza della Sava, risalendo quindi dapprima quest’ultimo fiume e poi la Kupa, raggiungendo così la zona delle Alpi orientali per immettersi poi nel corso della Fiumara e sboccare nel golfo del Quarnaro1. Una convinzione ben attestata nella trattatistica greca faceva infatti dei tre ultimi fiumi un unico corso d’acqua, un ramo secondario dell’Istro che, dipartendosene a destra, sfociava nell’Adriatico2. Sulle isole del Quarnaro avrebbero avuto poi luogo uno scontro con i Colchi e l’assassinio di Assirto da parte di Giasone con la complicità di Medea, fatto che avrebbe dato il nome di Isole Assirtidi alle odierne Cherso e Lussino.

2Queste le più importanti testimonianze in proposito nella cultura romana:

  • 3 Vedaldi Iasbez (1994, 258‑259, n. 291).

Histrorum gentem fama est originem a Colchis ducere, missis ab Aeeta rege ad Argonautas, raptores filiae, persequendos; qui ut a Ponto intraverunt Histrum, alueo Saui fluminis penitus inuecti uestigia Argonautarum insequentes naues suas umeris per iuga montium usque ad litus Adriatici maris transtulerunt, cognito quod Argonautae idem propter magnitudinem nauis priores fecissent; quos ut auectos Colchi non reppererunt, siue metu regis siue taedio longae nauigationis iuxta Aquileiam consedere Histrique ex uocabulo amnis, quo a mari concesserant, appellati. (Giustino, Epitome delle Storie Filippiche di Pompeo Trogo, XXXII, 3, 13‑15)3

  • 4 Vedaldi Iasbez (1994, 210‑211, 410, 260, n. 198, 462, 295 e 199).

Carnorum haec regio iunctaque Iapudum, amnis Timavus, castellum nobile uino Pucinum, Tergestinus sinus, colonia Tergeste, XXXIII ab Aquileia. Vltra quam sex milia passuum Formio amnis, ab Ravenna CLXXXVIIII, anticus auctae Italiae terminus, nunc uero Histriae. Quam cognominatam a flumine Histro, in Hadriam effluente e Danuuio amne eodemque Histro exaduersum Padi fauces, contrario eorum percussu mari interiecto dulcescente, plerique dixere falso, et Nepos etiam Padi accola; nullus enim ex Danuuio amnis in mare Hadriaticum effunditur. Deceptos credo, quoniam Argo nauis flumine in mare Hadriaticum descendit non procul Tergeste, nec iam constat quo flumine. Vmeris trauectam Alpis diligentiores tradunt, subisse autem Histro, dein Sauo, dein Nauporto, cui nomen ex ea causa est inter Emonam Alpisque exorienti […] Oppida Histriae ciuium Romanorum Agida, Parentium, colonia Pola, quae nunc Pietas Iulia, quondam a Colchis condita; abest a Tergeste CV […] Iuxta Histrorum agrum Cissa, Pullariae et Absyrtides Grais dictae a fratre Medeae ibi interfecto. (Plinio il Vecchio, Naturalis historia, III, 127‑129 e 151)4

  • 5 Essa è confutata anche da Diodoro Siculo, Biblioteca storica, IV, 56, 3 e 7‑8, e Strabone, Geografi (...)
  • 6 Corbato (1993, 179‑180).

3Se dunque Trogo/Giustino riconduce il toponimo Histria al nome del fiume Hister, e vede negl’Istri i discendenti dei Colchi che lo avevano risalito, Plinio riporta, per confutarla in quanto fondata su un falso presupposto, una spiegazione alternativa, che lega il toponimo al ramo secondario dell’Istro, alla cui esistenza egli mostra di non credere5, attribuendo maggior credito alla versione data da Trogo, annoverato tra i diligentiores, secondo cui la nave Argo (e quella dei Colchi), dopo aver risalito i fiumi Danubio, Sava e Nauporto (da identificare con la Lubianizza e il cui nome deriverebbe appunto da nauim portare) sarebbe stata trasportata a spalla per il tratto compreso tra il punto a monte di Emona (Lubiana) in cui esso non era più navigabile fino alla costa adriatica. Proprio il fatto che la nave sarebbe uscita in Adriatico dopo aver imboccato l’Istro alla foce avrebbe dato origine all’equivoco. L’idea del trasporto a spalla, allo stato delle nostre conoscenze, sembra essere un apporto originale di Trogo, non essendo attestata in alcun autore precedente6. Plinio però si discosta da Trogo, perché a suo dire gli Argonauti si affacciarono sull’Adriatico non calandovi direttamente la nave da terra ma dopo aver navigato lungo un tratto di un fiume sulla cui identità egli non sa esprimersi.

  • 7 De Caprio (2014, 22‑23). Gli studiosi ritengono che Marziale attinga a una versione ellenistica a n (...)

4L’idea sembra essere condivisa e in certo modo precisata da Marziale, il quale in due suoi epigrammi afferma che il dioscuro Polluce, anch’egli membro della spedizione argonautica, abbeverò il suo cavallo Cillaro nelle acque del Timavo, verosimilmente vedendo in quest’ultimo il fiume su cui Plinio non sapeva pronunciarsi. Neppure questo dato trova riscontro in alcuna fonte greca7.

  • 8 Cfr. Moreno Soldevila (2006, 237): «Cyllarus, Castor’s stallion, was a gift from Leda, who received (...)

Et tu Ledaeo felix Aquileia Timauo,
   hic ubi septenas Cyllarus hausit aquas. (Marziale, Epigrammi, IV, 25, 6‑7)8

  • 9 Vedaldi Iasbez (1994, 167, n. 140). Cfr. Schöffel (2002, 268‑269): «Das Epitheton pius ist sonst fü (...)

An tua multifidum numerauit lana Timauum,
   quem pius astrifero Cyllarus ore bibit? (Ivi, VIII, 28, 7‑8)9

5L’episodio mitologico non mancò di destare l’interesse degli eruditi friulani e giuliani in età umanistica, essendo percepito come un tratto nobilitante che legava direttamente la terra patria a una delle più importanti saghe della cultura antica.

  • 10 Casarsa (2009a, 1014‑1018); cfr. Moschella (1993, 613‑615); Flood (2006, 25‑28, n. A‑6); Benedetti  (...)

6Il primo poeta latino umanista di area veneto-friulana che vi dedichi un certo spazio di una sua opera è Giovanni Stefano Emiliano (Quinctius Aemilianus Cimbriacus), nato attorno al 1450 a Vicenza, ove fu allievo di Ognibene Bonisoli da Lonigo (Pantagathus Leonicenus). Più o meno ventenne egli giunse a Pordenone, allora possesso degli Asburgo, quale insegnante di lettere latine e greche, ricevendo un primo alloro poetico nel 1469 in occasione della visita in città dell’imperatore Federico III. Qualche mese dopo passò a San Daniele, quindi a Gemona. Fu nuovamente a Pordenone tra il 1482 e il 1486, trasferendosi nei due anni successivi a Sacile. Dal 1490 alla morte, occorsa dieci anni dopo, esercitò la professione a Cividale del Friuli10. Nel 1489 intraprese un viaggio a Linz per omaggiare Federico III e suo figlio Massimiliano presentando un ciclo di cinque Encomiastica ad diuum Caesarem Federicum imperatorem et Maximilianum regem Romanorum, poemetti in esametri incentrati sull’elezione di Massimiliano a re dei Romani e sulla prigionia da lui subita nelle Fiandre l’anno precedente. Essi, che gli valsero l’investitura a conte palatino e un secondo alloro poetico, furono poi pubblicati a stampa nel 1504 a Venezia da Aldo Manuzio.

  • 11 Gli abitanti di Bruges sono paragonati agli uccelli dopo una tempesta (vv. 16‑21), il sorgere del n (...)
  • 12 Freher & Struve (1717, 441). Il vello d’oro è detto Phryxeum in quanto offerto al re colco Eeta dal (...)

7Dei cinque componimenti l’ultimo è dedicato alle lodi nei confronti della magnanimità di Federico III pronunciate dagli abitanti di Bruges, i quali avevano tenuto prigioniero Massimiliano per più di tre mesi poiché si era rifiutato di sostituire i reggenti affiancati al figlio Filippo il Bello, forestieri e rapaci. Alla notizia del sequestro Federico si era mosso dall’Austria verso le Fiandre con un esercito e aveva stretto d’assedio per 39 giorni la città di Gand, dove nel frattempo Massimiliano era stato trasferito, fino a ottenerne il rilascio e senza poi abbandonarsi a ritorsioni. L’esile trama del carme è arricchita dal ricorso frequentissimo a similitudini, tolte sia dal mondo naturale sia da quello mitologico11. In particolare la commozione del vecchio imperatore nel rincontrare dopo tanto tempo il proprio figlio scampato al grave pericolo è paragonata dal Cimbriaco dapprima ai sentimenti di Laerte al rivedere dopo vent’anni il figlio Ulisse, quindi a quelli provati da Esone re di Iolco nel momento in cui riabbracciò il figlio Giasone reduce dall’impresa del vello d’oro (conformemente alla versione del mito data da Ovidio, Metamorfosi, VII, 159‑296)12.

         

At tibi, cum natum uidisti, maxime Caesar,
uenisse incolumem, maduerunt lumina fletu,
tantaque sollicitum tentarunt gaudia pectus,
quanta olim mouere senem, cum uenit Vlixes
quattuor exactis per bella, per aequora lustris.
Tu natum reducem manibus complexus utrisque
oscula anhela dabas, longaeuus qualiter Aeson,
raptor ut ad patrias Phryxei uelleris oras
uenit, et Adriacos pulsauit remige fluctus
seruato, magni superatis fluctibus Istri
Alpinisque iugis, per quae uel nobilis Argo
traiecta est umeris ad Iapydis aequora ponti:
oscula mille dabat post tanta pericula nato
Aeson, ac superis reddebat uota secundis.
Non aliter, Caesar, soluebas debita magno
sacra Deo supplex pro nato sospite ad aras:
hic merces Arabum incensis altaribus ardent,
quaesitaeque preces fiunt, dum tura cremantur,
quales conueniat tanto pro munere reddi.

 
 
  80
 
 
 
 
  85
 
 
 
 
  90
 
 
 
 
  95
 

8Si può osservare la stretta aderenza alle fonti latine (vv. 88‑89) e, più in generale, come l’episodio sia inserito nella narrazione secondo uno spirito tipicamente umanistico, ossia come un dato erudito ornamentale, certamente non essenziale. Non stupirà peraltro il fatto che, tra tutti i possibili episodî tramite i quali la vicenda di Giasone poteva essere evocata, il poeta scelga soltanto quello che ha una connessione con le terre soggette al dominio degli Asburgo.

  • 13 Su questa e le altre Rhapsodiae, si veda Benedetti (1962‑1963, 127‑128 e 148‑149).

9Qualche anno dopo, sfumata la prospettiva di una carriera poetica presso la corte imperiale, il Cimbriaco cercò di guadagnarsi la protezione del nuovo patriarca di Aquileia, il veneziano Nicolò Donà (1434‑1497), indirizzandogli sei Rhapsodiae, poemetti in distici elegiaci nei quali al neoeletto, insediatosi nel giugno del 1494, erano presentati varî aspetti dell’ampia circoscrizione ecclesiastica soggetta alla sua giurisdizione13. Nel secondo componimento, intitolato Rhapsodia de Aquileiensi dioecesi e ritenuto dalla critica il più interessante, il poeta

  • 14 Ziliotto (1959, 32), nuovamente collazionato con San Daniele del Friuli, Civica Biblioteca Guarneri (...)

[…] sarà guida al nuovo arrivato lungo tutto il confine del suo dominio: partendo da Aquileia verso oriente, lungo l’arco delle Alpi, sale fino alla Drava e alla Sava […] Di tutte le regioni che va perlustrando fa notare al Donato gli aspetti geografici, delle popolazioni caratterizza l’indole e la civiltà, assicurando il presule circa la loro leale obbedienza. Fino a qui l’elemento fantastico è assente, ma esso prende la rivincita nell’àmbito della leggenda e della storia. Le regioni riprendono i nomi antichi14.

         

Noriciae gentes et duri terra Liburni
   audiet edictis imperiisque tuis,
et per quas rupes caelo spectabilis Argos,
   uecta humeris fluctus uenit in Adriacos
qua celer Haemonias Nauportus summouet undas

   Alpinis raptum flumen ab aggeribus.
Tunc et Pollucis septeno fonte Timaui
   demissi rapidas Cyllarus hausit aquas.
Sic quae terribiles posuerunt moenia Colchi,
   tempore quo fugit filia saeua patrem
fraterno Stygios satiauit sanguine manes
   cuius et Absyrtis insula nomen habet.
Non satis: Argiui succendit tecta tyranni
   impia, sic laeso, sic in amore furens.
Ergo fugam approperans uenit qua surgit in altum
   qui de Medea nomina collis habet.
Tristes ambages, horrendaque murmura nocte
   sentit adhuc quisquis arua propinqua colit.
Curre sub immitem qua tendunt Pannones Istrum,
   qua Draos horrificas, qua Saos urget aquas,
illic, antistes, quacumque ab origine gentes
   sponte fatebuntur iure subesse tuo.

 
 
 
 
  15
 
 
 
 
  20
 
 
 
 
  25
 
 
 
 
  30
 
 

  • 15 Ad es. Flavio (2016, 168): «Ab Humago quinque itidem passuum milibus abest Haemonia ciuitas, cui nu (...)
  • 16 In realtà il toponimo Medea, attestato in un documento del 762 nella forma Medegia, dovrebbe essere (...)

10I riferimenti mitologici sono qui ampliati notevolmente. Dopo il cenno al passaggio delle Alpi a spalla (vv. 13‑14) il poeta introduce le Haemoniae undae, riprendendo il toponimo attestato in Plinio ma riferendolo evidentemente non a Lubiana bensì alla località istriana di Cittanova (detta Emon(i)a o Haemonia nei documenti ecclesiastici a partire dal secolo XII), il cui mare è mosso dal Nauportus, da identificarsi perciò non con la Lubianizza ma con il Quieto (vv. 15‑16)15. Da Marziale trae la menzione di Cillaro e del Timavo dalle sette bocche (vv. 17‑18), mentre il cenno all’insediamento colchico (v. 19) deriva da Giustino o da Plinio, da cui proviene pure il ricordo dell’assassinio di Assirto (vv. 21‑22), qui attribuito esplicitamente alla perfidia di Medea, particolare che il poeta poteva desumere da Ovidio, Tristia, III, 9, in cui il nome della località di Tomis sul mar Nero è ricondotto al fatto che nelle vicinanze, presso il delta del Danubio, Assirto fu fatto a pezzi (τόμια) dalla sorella. L’incendio del palazzo di Creonte (vv. 23‑24) poteva essere noto al poeta da Seneca, Medea, 879‑890. Ancora, egli — forse per primo — collega il toponimo ‘Medea’ presso Gorizia all’ipotetico passaggio dell’eroina (vv. 25‑26; la scansione temporale è però vaga: fugam approperans non può che riprendere il v. 20 e non implicare un nuovo passaggio in Friuli posteriore all’incendio)16. Gli Argonauti pertanto, portata a spalle la nave attraverso le Alpi Giulie e calatala nel Quieto, si sarebbero affacciati in Adriatico dal suo estuario per poi piegare a nord penetrando nel golfo di Trieste fino alla foce del Timavo. Alla maggiore estensione dell’episodio rispetto all’Encomiasticon corrisponde un registro più elevato (ad es. la nave, che lì era soltanto nobilis, qui diventa caelo spectabilis). Si osserverà infine come il processo qui attuato sia in certo modo contrario rispetto a quanto avveniva nel panegirico: non è infatti la similitudine erudita a evocare il particolare geografico ma è l’illustrazione del territorio a richiamare la digressione mitologica.

  • 17 Ferracin (2009, 215‑216); cfr. Pizzi (1990, 12‑22); Venier (2006, 689‑693); Venier (2016, 10‑28); V (...)
  • 18 Zingerle (1881, 4, n. [2]), cfr. Benedetti (1966‑1969, 121‑124, n. 5 e 161‑162, con numerosi errori (...)

11Allievo del Cimbriaco e decorato dell’alloro poetico da Federico III nell’estate del 1489 a Pordenone, ove era nato attorno al 1460, Cornelio Paolo Amalteo si trattenne per i due anni seguenti presso la corte imperiale; nel 1493 ebbe la cattedra di poetica e retorica presso l’università di Vienna, l’anno successivo passò per breve tempo a Motta di Livenza, ma già qualche mese dopo era nuovamente in Austria. Nel 1495 rientrò a Pordenone, ma ben presto fece ritorno a Vienna dove morì, forse per mano assassina, al principio del 151717. Il Carmen de faustissimo aduentu diui Caesaris Federici III in distici elegiaci fu pronunciato appunto in occasione del conferimento della laurea, come si evince dall’auspicio che l’imperatore possa frenare Pannones rebelles (v. 129), riferito all’occupazione ungherese di Vienna nel 1485. Come Giove alternava l’attività bellica con gli otia pacifica, così l’imperatore, dopo il felice esito della guerra nelle Fiandre, si porta nella regione dei Veneti dove regna la pace, passando per Verona, Vicenza, Treviso e giungendo a Pordenone. Nell’esordio il poeta si chiede, con una sorta di Priamel, quale sia il motivo di questo lungo viaggio: forse essere ricevuto dal senato di Venezia oppure visitare Aquileia con la sua basilica e i luoghi circostanti?18

         

Siue quod instituit Caesar loca sancta uidere
   iuxta Sontiacas et Natisonis aquas

non procul horrisoni septeno a fonte Timaui,
   hic ubi Amyclaeis perstrepit amnis aquis,
hic ubi post nati fraternaque funera matrem
   Phasiacos perhibent edocuisse dolos.

 
  60
 
 
 
 

12Più che dagli autori antichi Amalteo pare dipendere dal maestro, che in un caso cita quasi letteralmente (v. 61). L’unico indizio di una rielaborazione diretta delle fonti è la variazione del sintagma marzialiano Ledaeus Timauus, le cui acque sono definite Amycleae, da Amicle in Laconia, patria di Tindaro e quindi dei Dioscuri (v. 62, cfr. Virgilio, Georgiche, III, 89‑90: «talis Amyclaei domitus Pollucis habenis / Cyllarus […]»). Altre riprese dal Cimbriaco si hanno nella menzione di Medea ai vv. 63‑64, ove l’anafora di hic ubi mette quasi sullo stesso piano la connessione mitologica già propria degli antichi e quella con il toponimo moderno. Pure il fatto che entrambi i delitti dell’eroina (qui associati al Fasi, principale fiume della Colchide) siano considerati come già avvenuti si può spiegare con una lettura poco attenta dei vv. 23‑26 della Rhapsodia. La scrittura di Amalteo è più preziosa rispetto a quella del Cimbriaco, con i rimandi a singoli elementi del mito espressi tramite allusioni erudite, mentre lo status della breve digressione mitologica è una sorta d’incrocio tra i due modelli visti finora: qui infatti è la geografia che genera il mito come nella Rhapsodia, ma essa è a sua volta introdotta quale ornamento retorico come nell’Encomiasticon.

  • 19 Cargnelutti (2009, 2380‑2381).
  • 20 Cfr. Cavazza (2009, 1188‑1193; 1998, 227‑230).
  • 21 Udine, Biblioteca civica «V. Joppi», ms. principale 97, f. 20r. Al v. 5 Aganippis è una fonte che s (...)

13Notaio udinese, autore di numerosi carmi latini e di un’opera corografica in 5 libri intitolata Forumiulium, Giuseppe Sporeno, nato verso il 1490 e morto nel 156019, si formò nelle scuole della città natale e fu in relazioni amichevoli con numerosi dotti friulani, tra i quali il nobile tarcentino Cornelio Frangipane di Castello il Vecchio20. Nell’epigramma intitolato Vrsae et Antaeae comparatio ad Frangipanem, contenuto nel libro III dei Carmina, egli confronta la propria amata Antea con Orsa Hofer, sorella del signore di Duino, oggetto dell’interesse dell’amico, associando le due donne rispettivamente ai fiumi Torre e Timavo: il primo è alimentato dalle Muse poiché scorre nei pressi di Tarcento, sede del cenacolo umanistico del Frangipane; al secondo si dissetò Cillaro. Come però questo è poca cosa rispetto a quelle, così le gote di Antea sono più belle di quelle di Orsa, che pure sarebbero il suo tratto di maggior grazia21.

         

Vrsa genis, Antaea oculis iaculantur amores,
   Turri haec nympha decens, illa, Timaue, tua est.
Clarus uterque latex, illi dant flumina Musae
   hoc repulit pulcher Cyllarus amne sitim;
At sonipes quanto minor est Aganippide Musa,
   tanto Antaea genis pulchrior, Vrsa, tuis.

 
 
 
 
  5
 

14Dipendente soltanto da Marziale, l’epigramma non è altro che un arguto complimento erudito all’amico promotore di cultura e poesia.

  • 22 Udine, Biblioteca civica «V. Joppi», ms. principale 97, f. 40r. Cfr. Livio, Ab urbe condita, XLI, 1 (...)

15Tra i carmi del libro IV spicca il lungo poemetto in esametri intitolato Petri Percoti iureconsulti Vtinensis et Lucinae Herculanae epithalamion, in cui la topica del genere viene rielaborata in maniera alquanto originale. Venere si rivolge al figlio Cupido pregandolo di far sì che il giovane Pietro non pensi soltanto alla filosofia e al diritto; segue la descrizione della sposa. In termini mitologici è poi delineata la vita dei figli che dalla coppia nasceranno: il primogenito Traiano studierà diritto o medicina a Padova mentre Isabella sarà oggetto delle attenzioni di Venere stessa che la istruirà nelle arti femminili. S’inserisce a questo punto (vv. 151‑245), secondo la tecnica dell’ἔκφρασις mutuata dal carme 64 di Catullo, la descrizione di una veste che la fanciulla tesse con l’aiuto di Minerva, sulla cui superficie sono rappresentati a ricamo gli episodî salienti della storia del Friuli, dalla fondazione di Aquileia (181 a.C.) al Bellum Histricum contro il re Epulone (178‑177 a.C., cfr. Livio, Ab urbe condita, XLI, 1‑11) alla difesa della città condotta da Rutilio Pudente Crispino durante l’assedio portato da Massimino il Trace (238 d.C., cfr. Erodiano, VIII, 3‑6) alle vicende del duca Berengario (888‑924) e del patriarca Poppone (1013‑1042) fino alla fine dello stato patriarcale sotto Lodovico di Teck (1413‑1435). Un sicuro terminus post quem per la datazione del lavoro è costituito dalla menzione del reuccio celta Catmelo (v. 171), alleato dei Romani, conosciuto esclusivamente attraverso il libro XLI di Tito Livio, la cui editio princeps uscì a Basilea nel marzo del 153122.

         

   Vt Catmelus opes Istrorum et Martia signa
ebrius amisit fluuii septemplicis alueo,
quem puppe insignes Minyae, Pagasaea iuuentus,
epoto subiere uado, nec Cyllarus audax
praeteriit rudibusque potens naualibus Argo.

 
 
 
 
  175

  • 23 Sulla battaglia, si veda Corbato (1976, 17‑19).
  • 24 Per questa identificazione, si veda Vedaldi Iasbez (1994, 174‑175).

16Il poeta ricorda la battaglia del Lacus Timaui del 178 a.C. in cui gl’Istri, conquistato l’accampamento nemico, si diedero alla crapula e furono perciò poi facilmente annientati dai Romani, ma ritiene erroneamente Catmelo il loro comandante23 e fa tacitamente intendere tramite la ripresa marzialiana che gli Argonauti (detti Minyae dal nome del bisnonno di Giasone, mentre Pagase è il porto della Tessaglia ove la nave Argo fu costruita, cfr. Ovidio, Metamorfosi, VII, 1: «Iamque fretum Minyae Pagasaea puppe secabant […]») si affacciarono sull’Adriatico proprio dal Timavo, dopo averlo percorso epoto uado, espressione che sembra alludere a un prosciugamento dell’alveo, forse inghiottito da una voragine del terreno (cfr. Ovidio, Metamorfosi, XV, 273: «Sic ubi terreno Lycus est epotus hiatu […]», e Seneca, Naturales quaestiones, III, 26, 3‑4). Pare dunque che Sporeno consideri il Timavo come la parte terminale del ramo secondario dell’Istro, che però già al tempo degli Argonauti avrebbe mutato il suo corso calandosi nelle viscere della terra e costringendo pertanto gli eroi a batterne l’alveo prosciugato fino al punto in cui le acque riemergono24. Di là dal fraintendimento del luogo liviano, la scrittura è caratterizzata da insistiti richiami ai classici nei richiami preziosamente eruditi; si osserverà inoltre come Cillaro, definito pius da Marziale, dopo essere stato pulcher nell’epigramma, divenga qui audax, e come al contrario invece di esaltare l’audacia dell’impresa argonautica si preferisca rimarcare la rozzezza dell’equipaggiamento navale. Anche in questo caso poi la descrizione geografica, che dà il destro alla digressione mitologica, è a sua volta parte di un elemento retorico.

  • 25 Casarsa (2009b, 1917‑1921).
  • 26 Udine, Archivi e biblioteche diocesane, Biblioteca Bartoliniana, ms. 21, 232‑233.

17Nato a Tricesimo nei primi anni del secolo XVI, Alessandro Paolini fu allievo di Lazzaro Bonamico da Bassano e dell’udinese Romolo Amaseo a Padova; esercitò dapprima la professione notarile nella città natale, dal 1536 per un decennio condusse una vita girovaga a servizio di varî personaggi, per poi rientrare a insegnare in diversi centri del Friuli e del Veneto orientale: l’ultimo incarico lo portò a Cividale a partire dal 1591. Era ancora in vita nel 1599. Tra i suoi carmina docta spicca il De patriae Fori Iulii laudibus panegyricus, «[…] tramato con echi mitologici, leggende, spunti storici e prelievi virgiliani: una terra fortunata […] che la natura generosa ha dotato di confini naturali […] alla quale Saturno svelò i segreti dell’agricoltura e che è abitata da una stirpe di uomini di ferro, tolleranti della fatica […] e memori delle tradizioni»25. L’esordio è connotato dal motivo topico dell’incertezza in merito agli argomenti da trattare e alla loro successione (vv. 18‑29)26.

         

   Sed quis erit nostri limes uel carminis orsus?
Num ueteres patriae memorabo stemmata ritus,
insignes meritisque uiros famaque perenni,
bellaue praeclarasque urbes atque oppida, quorum
nomina uix etiam, nedum uestigia, parent,
antiquam ex illo repetens ab origine formam,
cum tellus primum tumidis emersit ab undis
et deserta coli (scriptum est ut marmore) coepit,
an cum uecta furens Colchis Medea, secuta
infidum, ut meruit fratris de caede cruenta,
Aesonidem, huc proprio posita de nomine sede
intulit aeternum patriae memorabile nomen?
 
28 proprio scripsi propria ms.

 
 
  20
 
 
 
 
  25
 
 
 
 
 
 

18Più che alle fonti antiche il poeta sembra rifarsi al Cimbriaco della Rhapsodia, da cui riprende, variandola, l’espressione fraterno sanguine (v. 27) nonché il tema stesso del soggiorno di Medea nei pressi del colle omonimo. Il fatto invece che il dato topografico che porta con sé il riferimento mitologico sia elemento di una Priamel avvicina il componimento a quello di Amalteo.

  • 27 Egli del vantava ascendenze romane (Istria, vv. 66‑76), ma si tratta quasi certamente di «[…] vante (...)
  • 28 Da ultimo Trebbi (2016, 627‑628); cfr. Zlobec (2004, 8‑46).
  • 29 Rapicio (1555, f. [a i]v): «Vtinam uero et Histriam suam aliquando emittat, carmen sane uarium ac p (...)
  • 30 Zlobec (2004, 52).

19Nato a Trieste nel 1533 da famiglia appartenente all’aristocrazia municipale, Andrea Ravizza, che sulle orme dei proprî antenati latinizzò il proprio cognome in Rapicius27, studiò dapprima a Capodistria con Ambrogio Apollonio (Febeo), quindi nelle università di Vienna e Padova, ove si laureò in utroque iure alla fine del 1554. Nel 1556 fu inviato alla corte imperiale come rappresentante del comune di Trieste avendo così modo di legarsi a influenti personaggi grazie ai quali ottenne un posto di segretario. Consigliere aulico dell’imperatore Ferdinando I nel 1563, due anni dopo fu presentato dall’arciduca Carlo d’Asburgo, sovrano dell’Austria interna, al papa Pio IV quale vescovo di Trieste. Confermato sulla sede due anni dopo, morì in circostanze poco chiare alla fine del 157328. Da una testimonianza del muggesano Giovanni Apostolo sappiamo che il poemetto corografico Histria era già terminato alla fine del 1554 ma che l’autore era assai restio a pubblicarlo29. Esso fu infine dato alle stampe a Vienna nel 1556 con la dedica al diplomatico austriaco Sigmund von Herberstein. Una seconda edizione, riveduta e accresciuta e con il titolo ritoccato in Istria, vide la luce nella stessa città nel 1561 quale appendice ai Typi chorographci prouinciarum Austriae pubblicati dal geografo viennese Wolfgang Lazius30.

  • 31 Zlobec (2004, 68‑69 e 83‑85).

20Il poema illustra la regione istriana seguendo la linea della costa dal Timavo fino all’Arsa, per poi concludere con il presentare i principali centri abitati dell’interno. Il primo dei passi in cui si allude alla saga argonautica è naturalmente quello dedicato appunto al Timavo, presente già nella prima stesura e leggermente rimaneggiato nella redazione definitiva31.

         

   Sunt in conspectu positae refluentibus undis
mille urbes, totidemque ferax tenet oppida tellus.
Haud procul hinc Phrygii uisuntur stagna Timaui,
unde fluunt gelidae septeno gurgite lymphae.
   Hic dum rimoso condit se fomite et undas
secretis auget uenis caecisque latebris,
stillatim manat, uires cursumque secundans.
Vulgus iners densa noctis caligine saeptus
credidit hos fontes aliis scatuisse lacunis
atque Antenoreis fluxisse in uallibus, unde
Meduacus, plenis hodie lapsurus in aequor
cornibus, assurgens Venetas excurrit in undas.
Sed uanum quodcumque ferunt, hic ille Timauus,
quem sacri celebrant uates, hic Cyllarus hausit
septenos latices fontano e gurgite et illos
inter saxa sedens Pucinis miscuit uuis.

  50
 
 
 
 
  55
 
 
 
 
  60
 
 
 
 
  65

21Il poeta, dopo aver introdotto i Phrygii stagna Timaui, con l’aggettivo che rinvia allo sbarco del troiano Antenore (vv. 52‑53, cfr. Virgilio, Eneide, I, 242‑246, nonché Claudiano, carmi, 7, 120: «[…] Phrygii numerantur stagna Timaui»), polemizza con il uulgus iners che, semplificando le vicende di questo eroe, poneva il Timavo nei pressi di Padova ov’egli si stabilì: Lucano, Bellum ciuile, VII, 191‑194; Silio Italico, Puniche, XIII, 214‑216; Sidonio Apollinare, carmi, 9, 194‑196 e, tra i moderni, Biondo Flavio, Italia illustrata, VI, 9, 27‑39. Per asseverare che il Timavo cantato dai poeti antichi è quello che sfocia nei pressi di Trieste, Rapicio ricorre infine all’autorità di Marziale. Il tono polemico si giustifica sia con l’attaccamento per le memorie antiche della città natale sia con il fatto che la topografia stessa è l’argomento principale del poemetto.

  • 32 Zlobec (2004, 75 e 93).

22Il tema è quindi ripreso più avanti, in un passo aggiunto nella seconda redazione del poema, quando la rassegna delle città costiere dell’Istria tocca Cittanova, che Rapicio come già il Cimbriaco identifica con l’antica Aemonia, vedendo pertanto nel fiume Nauportus percorso dalla nave Argo prima di affacciarsi in Adriatico il Quieto, di cui tratteggia l’ampio estuario32.

         

   Nec procul hinc celebris Nauportus panditur inque
Adriacum properat pelagus, celeresque carinas
admittit plenis uenientes cursibus ad se.
Huc (si uera fides) Argiuae robora pubis
uectam humeris nauim per celsa cacumina montis
extulerant, Istri subiens quae fluminis undas
dum medios audet penetrans inter iuga cursus
rumpere, fessa olim patriis consedit arenis,
unde ipsa antiquum felix tenet Istria nomen.

 
 
 
  290
 
 
 
 
  295

23Il passo, evidentemente inserito in quanto atto a spiegare l’etimologia del toponimo Istria, è stato considerato da alcuni una parafrasi di Giustino, ma non mancano a ben vedere rinvii a Plinio, a partire dal verbo subire (v. 292). Egli nondimeno, forse per smussare il contrasto con le conclusioni che il lettore poteva trarre dai versi dedicati al Timavo, premette la formula dubitativa si uera fides (peraltro mutuandola dal luogo lucaneo confutato nel brano precedente). Ancora una volta quindi avremmo, dopo il trasporto a spalla cui è riservata una certa enfasi, un ingresso in Adriatico dal Quieto con una prosecuzione della navigazione verso nord fino alle foci del Timavo. Da notare infine che per Rapicio a insediarsi in Istria non sarebbero i Colchi ma gli stessi Argonauti.

24Si è dunque visto come i testi poetici in cui il tema riceve maggior attenzione ed è trattato più diffusamente sono, prevedibilmente, quelli di esplicito carattere geografico, la Rhapsodia del Cimbriaco, dai tratti più espositivi data la prospettiva ecclesiastica, e l’Istria di Rapicio, opera propriamente corografica, in cui vi è pure una presa di posizione (anche il poema di Paolini è corografico, ma è limitato al Friuli propriamente detto). Un altro dato significativo è che essi si fondano tutti sulle stesse fonti latine, senza trarre alcun elemento nuovo da testi greci, pur disponibili (almeno in traduzione latina) dalla fine del Quattrocento. Addirittura, Amalteo e Sporeno sembrano conoscere direttamente soltanto i testi di Marziale. Altrettanto prevedibilmente, nessun autore dà credito alla navigazione lungo il fantomatico ramo secondario dell’Istro: chi affronta questo episodio della saga o accenna in modo generico a un percorso terrestre (Sporeno), oppure menziona esplicitamente il trasporto a spalla (Cimbriaco e Rapicio), il quale può concludersi o genericamente nell’Adriatico (Cimbriaco Encomiasticon), oppure più o meno esplicitamente nel Quieto, cui segue la navigazione verso nord fino alla foce del Timavo (Cimbriaco Rhapsodia, e Rapicio). Del resto, quest’ultimo, non fosse che per le sue ascendenze virgiliane, è l’elemento più sfruttato della saga, trovandosi in quattro poeti su cinque (l’unico a non menzionarlo è Paolini); segue Medea, di cui trattano tre poeti (Cimbriaco, Amalteo e Paolini). Minor interesse è invece dimostrato per l’etimologia del nome Histria, ricordata dal solo Rapicio, e per la collocazione dell’assassinio di Assirto sulle isole del Quarnaro, cui accenna soltanto Cimbriaco nella Rhapsodia.

Haut de page

Bibliographie

BENEDETTI Andrea, L’attività educativa e poetica del Cimbriaco (1449‑1499) e la sua influenza nel diffondersi della cultura umanistica in Friuli, «Atti dell’Accademia di scienze, lettere e arti di Udine», s. VII, 3, 1960‑1963, pp. 109‑204.

BENEDETTI Andrea, Cornelio Paolo Amalteo umanista pordenonese, «Atti dell’Accademia di scienze, lettere e arti di Udine», s. VII, 8, 1966‑1969 (2), pp. 97‑181.

CARGNELUTTI Liliana, Sporeno Giuseppe, in C. Scalon, Cl. Griggio & U. Rozzo (edd.), Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani, 2, L’età veneta, 1‑3, Udine, Forum, 2009, pp. 2380‑2381.

CASARSA Laura, Emiliano Giovanni Stefano, in C. Scalon, Cl. Griggio & U. Rozzo (edd.), Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani, 2, L’età veneta, 1‑3, Udine, Forum, 2009, pp. 1014‑1018.

CASARSA Laura, Paolini Alessandro, in C. Scalon, Cl. Griggio & U. Rozzo (edd.), Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani, 2, L’età veneta, 1‑3, Udine, Forum, 2009, pp. 1917‑1921.

CASSOLA Filippo, Storia di Aquileia in età romana, in Aquileia e l’alto Adriatico, 1: Aquileia e Grado, Udine, Arti grafiche friulane, 1972, pp. 23‑42.

CAVAZZA Silvano, Frangipane di Castello, Cornelio, in Dizionario biografico degli Italiani, 50, Roma, Treccani, 1998, pp. 227‑230.

CAVAZZA Silvano, Frangipane di Castello Cornelio, in C. Scalon, Cl. Griggio & U. Rozzo (edd.), Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani, 2, L’età veneta, 1‑3, Udine, Forum, 2009, pp. 1188‑1193.

CORBATO Carlo, L’arco del Timavo negli scrittori classici, in M. Mirabella Roberti (ed.), Studî monfalconesi e duinati, Udine, Arti grafiche friulane, 1976, pp. 13‑21.

CORBATO Carlo, Gli Argonauti in Adriatico, «Archeografo triestino», 101, 1993, pp. 171‑184.

DE CAPRIO Vincenzo, Il viaggio degli Argonauti nell’Alto Adriatico: metamorfosi di un mito fra tre e settecento, «Carte di viaggio», 7, 2014, pp. 9‑49.

DESINAN Cornelio C., «Osservazioni su alcuni toponimi friulani di aspetto celtico», in I Celti nell’alto Adriatico (atti delle tre giornate internazionali di studio, Trieste, 5‑7 aprile 2001), Trieste, Editreg, 2001, pp. 43‑53.

FERRACIN Antonio, Amalteo Cornelio Paolo, in C. Scalon, Cl. Griggio & U. Rozzo (edd.), Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani, 2, L’età veneta, 1‑3, Udine, Forum, 2009, pp. 215‑216.

FLAVIO Biondo, Italy Illuminated, vol. 2: Books V‑VIII, edited and translated by Jeffrey A. White, Cambridge (Mass.) – London, Harvard University Press, 2016.

FLOOD John L., Poets Laureate in the Holy Roman Empire. A Bio-Bibliographical Handbook, I‑IV, Berlin / New York, De Gruyter, 2006.

FREHER Marquardt & STRUVE Burkhard G., Rerum Germanicarum scriptores, qui res in Germania & imperio sub Friderico III. Maximiliano I. impp. memorabiliter gestas illo aeuo litteris prodiderunt, 2, Strasbourg, Dulssecker, 1717.

MAINARDIS Fulvia, I pagani Meteienses di CIL V 42*: la possibile riabilitazione di un “falso asquiniano”, «AFB», 8, 2018, pp. 470‑486.

MORENO SOLDEVILA Rosario, Martial, Book 4. A Commentary, Leiden, Brill, 2006.

MOSCHELLA Maurizio, Emiliano, Giovanni Stefano, in Dizionario biografico degli Italiani, 42, Roma, Treccani, 1993, pp. 613‑615.

PIZZI Giancarlo, Storia degli Amaltei, Oderzo, Becco Giallo, 1990.

RAPICIO Andrea, Andreae Rapitii iureconsulti Tergestini oratio. In collegio Patauino habita dum ciuilis, et pontificii iuris insignia susciperet, Padova, Percacino, 1555.

SCHÖFFEL Christian, Martial, Buch 8. Einleitung, Text, Übersetzung, Kommentar, Stuttgart, Steiner, 2002.

SÉNAC R., Le retour des Argonautes d’après les Argonautiques d’Apollonios de Rhodes, «BAGB», 24 (4), 1965, pp. 447‑476.

TREBBI Giuseppe, Ravizza Andrea, in Dizionario biografico degli Italiani, 86, Roma, Treccani, 2016, pp. 627‑628.

VARUTTI Marta, Paolo, in M. Venier (ed.), Amaltheae fauilla domus. Un’antologia poetica da Paolo ad Aurelio Amalteo, Pordenone, Accademia San Marco, 2016, p. 101.

VEDALDI IASBEZ Vanna, La Venetia orientale e l’Histria. Le fonti letterarie greche e latine fino alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, Roma, Quasar, 1994.

VENIER Matteo, Poesia latina degli Amalteo, «Aevum», 80, 2006, pp. 687‑716.

VENIER Matteo, Introduzione. La famiglia Amalteo: storia breve di una lunga tradizione artistica, in M. Venier (ed.), Amaltheae fauilla domus. Un’antologia poetica da Paolo ad Aurelio Amalteo, Pordenone, Accademia San Marco, 2016, pp. 9‑97.

VITELLI CASELLA Mattia, «Rotte argonautiche lungo il Danubio: alcune note su A.R. 4. 304 – 4. 595», in Roma e le province del Danubio (atti del I convegno internazionale, Ferrara – Cento, 15‑27 ottobre 2009), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010, pp. 469‑487.

VITELLI CASELLA Mattia, Il transito degli Argonauti nell’Adriatico settentrionale e centrale: note geografiche ad A.R. 4. 335‑387, «RSA», 41, 2011, pp. 9‑23.

ZILIOTTO Baccio, Dal mio schedario, «Pagine istriane», 38, 1959, pp. 32‑36.

ZINGERLE Antonius, De carminibus Latinis saeculi XV. et XVI. ineditis, Innsbruck, Wagner, 1880.

ZLOBEC Barbara, Andrea Rapicio, vescovo e umanista triestino (1533‑1573), Treviso, Cassamarca, 2004.

Haut de page

Notes

1 Apollonio Rodio, Argonautiche, IV, 282‑595. Seguo la ricostruzione di Vitelli Casella (2010, 479‑484) che riprende Sénac (1964, 456‑459); per altre interpretazioni, cfr. Vitelli Casella (2011, 13‑16).

2 Si veda Scilace di Carianda, 20; Aristotele, Historia animalium, VIII, 13; Pseudo-Aristotele, Mirabilia, 105 (839b); Ipparco in Strabone, Geografia, I, 3, 15; Scimno, 773-776; in ambito latino Mela II, 63 = Vedaldi Iasbez (1994, 132‑137, n. 81‑84, 86‑87, 92), nonché la predizione di Tifi in Valerio Flacco, Argonautiche, VIII, 189‑191: «[…] sequemur / ipsius amnis (scil. Histri) iter, donec nos flumine certo / proferat inque aliud reddat mare». Cfr. Corbato (1993, 175‑176).

3 Vedaldi Iasbez (1994, 258‑259, n. 291).

4 Vedaldi Iasbez (1994, 210‑211, 410, 260, n. 198, 462, 295 e 199).

5 Essa è confutata anche da Diodoro Siculo, Biblioteca storica, IV, 56, 3 e 7‑8, e Strabone, Geografia, I, 3, 15 e VII, 5, 9 = Vedaldi Iasbez (1994, 133‑134 e 136, n. 84, 86 e 90).

6 Corbato (1993, 179‑180).

7 De Caprio (2014, 22‑23). Gli studiosi ritengono che Marziale attinga a una versione ellenistica a noi altrimenti ignota.

8 Cfr. Moreno Soldevila (2006, 237): «Cyllarus, Castor’s stallion, was a gift from Leda, who received it from Poseidon».

9 Vedaldi Iasbez (1994, 167, n. 140). Cfr. Schöffel (2002, 268‑269): «Das Epitheton pius ist sonst für das Pferd nicht belegt […] mag sich aber durch eine sprichwörtliche Treue bis in den Katasterismos erklären, auf den die proleptisch zu verstehende Enallage astrifer anspielt».

10 Casarsa (2009a, 1014‑1018); cfr. Moschella (1993, 613‑615); Flood (2006, 25‑28, n. A‑6); Benedetti (1960‑1963, 109‑116).

11 Gli abitanti di Bruges sono paragonati agli uccelli dopo una tempesta (vv. 16‑21), il sorgere del nuovo giorno è presentato con una tipica formula epica (vv. 37‑39); altri tratti topici sono la descrizione di Massimiliano (vv. 39‑65); l’elogio delle virtù pacifiche e belliche di Federico tramite exempla desunti dalla storia romana, mentre la conclusione è occupata dall’altrettanto canonica richiesta di sostegno accompagnata dall’impegno a maiora canere (vv. 131‑170 e 189‑194).

12 Freher & Struve (1717, 441). Il vello d’oro è detto Phryxeum in quanto offerto al re colco Eeta dal beota Frisso.

13 Su questa e le altre Rhapsodiae, si veda Benedetti (1962‑1963, 127‑128 e 148‑149).

14 Ziliotto (1959, 32), nuovamente collazionato con San Daniele del Friuli, Civica Biblioteca Guarneriana, ms. 229 (coll. Fontanini XLII), 165‑166.

15 Ad es. Flavio (2016, 168): «Ab Humago quinque itidem passuum milibus abest Haemonia ciuitas, cui nunc Ciuitati Nouae est nomen. Prope quam sunt ostia Nauporti fluminis (Quieti nunc appellati), in quem ex Alpibus oriundum Argon nauim Plinius asserit fuisse dimessa»; cfr. Vedaldi Iasbez (1994, 356‑357).

16 In realtà il toponimo Medea, attestato in un documento del 762 nella forma Medegia, dovrebbe essere di origine celtica e presupporre una forma *Meteia, con la tipica terminazione che si ritrova in toponimi quali Aquileia, Celeia, Noreia, ecc.; cfr. Desinan (2001, 46). L’unica attestazione si ha nei pagani Meteienses dell’iscrizione CIL V 42*, generalmente ritenuta un falso dovuto all’erudito Girolamo Asquini (1762‑1837), ma la cui autenticità è difesa da Càssola (1972, 28‑29), cfr. Mainardis (2018, 470‑486).

17 Ferracin (2009, 215‑216); cfr. Pizzi (1990, 12‑22); Venier (2006, 689‑693); Venier (2016, 10‑28); Varutti (2016, 101); Flood (2006, 58, n. A‑24); Benedetti (1966‑1969, 102‑107).

18 Zingerle (1881, 4, n. [2]), cfr. Benedetti (1966‑1969, 121‑124, n. 5 e 161‑162, con numerosi errori).

19 Cargnelutti (2009, 2380‑2381).

20 Cfr. Cavazza (2009, 1188‑1193; 1998, 227‑230).

21 Udine, Biblioteca civica «V. Joppi», ms. principale 97, f. 20r. Al v. 5 Aganippis è una fonte che scaturisce sul monte Elicona, sede delle Muse.

22 Udine, Biblioteca civica «V. Joppi», ms. principale 97, f. 40r. Cfr. Livio, Ab urbe condita, XLI, 1, 8: «Catmelus pro regulo erat tribus aut amplius milibus armatorum» (testo dell’editio princeps).

23 Sulla battaglia, si veda Corbato (1976, 17‑19).

24 Per questa identificazione, si veda Vedaldi Iasbez (1994, 174‑175).

25 Casarsa (2009b, 1917‑1921).

26 Udine, Archivi e biblioteche diocesane, Biblioteca Bartoliniana, ms. 21, 232‑233.

27 Egli del vantava ascendenze romane (Istria, vv. 66‑76), ma si tratta quasi certamente di «[…] vanterie di un umanista innamorato della romanità», cfr. Zlobec (2004, 4, n. 6).

28 Da ultimo Trebbi (2016, 627‑628); cfr. Zlobec (2004, 8‑46).

29 Rapicio (1555, f. [a i]v): «Vtinam uero et Histriam suam aliquando emittat, carmen sane uarium ac plenum iudicii».

30 Zlobec (2004, 52).

31 Zlobec (2004, 68‑69 e 83‑85).

32 Zlobec (2004, 75 e 93).

Haut de page

Pour citer cet article

Référence électronique

Stefano Di Brazzano, « Il transito degli Argonauti nell’Adriatico settentrionale nella poesia latina umanistica friulana e giuliana »Gaia [En ligne], 25 | 2022, mis en ligne le 22 juillet 2022, consulté le 17 mars 2025. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/gaia/2857 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/gaia.2857

Haut de page

Auteur

Stefano Di Brazzano

Liceo classico e linguistico statale con sezione ospedaliera “F. Petrarca”, Trieste
stefano.dibrazzano@liceopetrarcats.it

Haut de page

Droits d’auteur

Le texte et les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés), sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.

Haut de page
Rechercher dans OpenEdition Search

Vous allez être redirigé vers OpenEdition Search