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DOSSIER THÉMATIQUE
À l’aube des villes antiques : vocabulaire de la cité et formes urbaines
I. Formation des cités

L’Italia dei centri proto-urbani: percorsi regionali a confronto

Centres proto-urbains italiens : comparer les parcours régionaux
Italian Proto-Urban Centres: Comparing Regional Pathways
Francesco Quondam

Résumés

L’article traite du thème des parcours régionaux vers l’urbanisation de l’Italie centrale et méridionale. Vers la fin de l’âge du bronze, de grands centres unitaires de plusieurs dizaines ou centaines d’hectares apparaissent dans l’Étrurie méridionale, en dominant une grande partie du territoire. Ces centres nouvellement fondés sont définis comme des « centres proto-urbains » par une longue tradition d’études. Des parcours similaires vers une plus grande complexité du paysage humain peuvent être trouvés dans le Latium, la Campanie, la Vénétie et plus tard également à Bologne et dans le nord-ouest de l’Italie. En Calabre, au contraire, les preuves d’un tournant proto-urbain similaire font généralement défaut.

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Texte intégral

1Quello dell’urbanizzazione dell’Italia antica — vale a dire il percorso che, nel volgere dei pochi secoli intorno al 1000 a.C., condurrà al tramonto delle comunità di villaggio e all’emergere in vaste aree della penisola di nuove forme di aggregazione territoriale, sociale e politica, diretto preludio delle città (e società) di età storica — è fenomeno tra i più importanti e meglio documentati dell’archeologia protostorica italiana, su cui molto si sono spesi negli ultimi cinquant’anni studiosi assai superiori a me per autorevolezza e spessore intellettuale. Nel rispondere all’affettuoso invito degli amici Arianna Esposito e Airton Pollini a contribuire con un saggio sul tema, non posso quindi esimermi dal denunciare sin da subito la mia inadeguatezza: si tratta infatti di tematiche che hanno intersecato il mio percorso di ricerca solo marginalmente, e soprattutto da una prospettiva, quella meridionale delle società calabresi e lucane, in qualche modo distinta, considerato che molte zone del Mezzogiorno non conobbero in questo lasso di tempo un pieno e autonomo sviluppo verso la città. Il debito che le poche pagine che seguono nutrono nei confronti di chi al tema degli sviluppi proto-urbani della penisola italiana si è dedicato sia dal punto di vista dell’impalcatura teorica, sia sotto il profilo della minuziosa (e faticosa) collazione dei dati sul campo è pertanto immenso, e appena compensato dalla bibliografia, necessariamente agile e sintetica.

2In apertura, qualche breve nota lessicale: per quanto «comunità di villaggio» e «centro proto-urbano» siano infatti locuzioni ormai ampiamente diffuse nella letteratura di settore, un rapido glossario può comunque essere utile a orientare il lettore poco avvezzo, oltre che a delimitarne le specifiche sfumature semantiche consolidatesi nell’uso corrente.

3L’impiego di un termine generico e versatile come «villaggio» trova il proprio minimo comune denominatore in riferimento ad aggregazioni insediative di modesta entità, ovviamente anche ben oltre i limiti cronologici della preistoria: i vici tardoantichi sono villaggi tanto quanto gli insediamenti trincerati del Neolitico apulo-materano o le palafitte perilacustri del Bronzo antico dell’Italia settentrionale. Villaggio è anche la forma d’insediamento caratteristica dell’età del bronzo italiana (XXI-X sec. a.C.): una definizione certo molto generica, che comprende al suo interno centri anche molto diversificati per dimensioni, scelte ubicative e durata nel tempo, ma accomunati dalla modesta estensione sia dell’area insediativa vera e propria (1-10 ettari, solo eccezionalmente sino a 15 o addirittura 20), sia della propria sfera territoriale di competenza. Sarebbe impossibile sintetizzare in poche righe la pluralità dei concreti assetti insediativi che a partire soprattutto dal Bronzo medio (XVII-XIV sec. a.C.) disegnano il popolamento protostorico dell’Italia, ora esteso in maniera capillare a territori fino a quel momento occupati in maniera assai più rada e discontinua, ricadenti in fasce ecozonali diversificate e dalla differente vocazione produttiva: un’ipotetica rassegna spazierebbe dai castellieri friulani e dai villaggi arginati della pianura padana (le cosiddette «terramare», che nell’età del Bronzo recente, tra XIII e inizi del XII secolo, raggiunsero un livello di organizzazione territoriale alquanto avanzato) alle castelline tufacee d’Etruria e Lazio, sino ai villaggi fortificati della Puglia costiera, ai siti d’altura di Calabria e Sicilia, ai nuraghi sardi. Un mosaico di strategie insediative vasto e ramificato, accomunato però dal ruolo nodale svolto dall’esigenza, destinata a consolidarsi progressivamente proprio nel corso del II millennio, di occupare sedi dominanti e ben difese, fortificate dalla natura e/o dall’intervento dell’uomo, esigenza nella quale è difficile non cogliere anche il riflesso delle inevitabili tensioni connesse all’acquisita stabilità delle comunità umane, d’ora innanzi spesso stanziate senza soluzione di continuità nelle medesime sedi per molti secoli.

4Anche «centro proto-urbano» è locuzione ormai ampiamente sdoganata, per non dire abusata, nella letteratura di settore, consideratone l’impiego diffuso in tradizioni di ricerca anche molto diverse tra loro, e con sfumature semantiche spesso non del tutto univoche. Iniziamo dall’ovvio: a differenziare un centro proto-urbano da un villaggio sono innanzitutto le dimensioni. Mentre gli abitati dell’età del bronzo raggiungono solo in casi eccezionali estensioni di 20 ettari, l’ampiezza dei centri proto-urbani italiani si distribuisce su un ventaglio che dai 40-60 ettari dei centri di modulo minore raggiunge i 150-180 ettari dei grandi agglomerati dell’Etruria meridionale, sino forse a superare nel caso di Roma i 200 ettari. Per il lettore non familiare con queste strategie di misurazione, occorre però subito precisare che tali grandezze difficilmente avranno coinciso con l’estensione delle aree effettivamente insediate all’interno di ciascun sito (il computo delle quali è peraltro impossibile, data l’inevitabile lacunosità delle evidenze), ma identificano invece l’ampiezza massima complessiva dell’altura o del complesso di unità orografiche sede dell’insediamento, misura utile non solo in quanto parametro oggettivamente computabile e comparabile, ma anche poiché indicativa di un certo ordine di grandezza della corrispondente comunità umana, cui spettavano gestione e difesa dell’insediamento e sfruttamento del territorio circostante.

5La struttura interna di questi grandi centri non ci è ancora nota nel dettaglio: nonostante molti scavi recenti ne abbiano documentato significativi spaccati sia delle aree insediative (Vulci, Veio), sia di spazi e complessi pubblici dalle probabili valenze politiche e sacrali (Bologna, Roma), la sconfinata ampiezza dei siti e il lacunoso stato di conservazione di resti così antichi, spesso obliterati e inaccessibili, rappresentano un limite oggettivo alle nostre conoscenze; agli ostacoli determinati dalle modalità di formazione e conservazione del deposito archeologico si somma anche la scarsa propensione a condurre scavi d’abitato su vaste aree, complicati e costosi soprattutto in una fase, come quella attuale, in cui l’attività sul campo di Soprintendenze e Università è limitata da restrizioni di budget e vincoli legislativo-amministrativi di non poco peso.

  • 1 Guidi (1982); Ampolo (1983).

6Poco possiamo dire dunque sulle specifiche forme topografiche e architettoniche incarnate dalla svolta proto-urbana: spazi dedicati all’agone politico e alla vita pubblica, santuari, quartieri residenziali differenziati sulla base del censo, distretti produttivi e aree di stoccaggio, orti e stalle, fortificazioni e altri apprestamenti difensivi ne dovettero popolare la topografia in forme sempre più complesse e razionalmente pianificate. Non a caso, proprio la definizione di spazi pubblici politico-sacrali, spesso connotati da architetture monumentali, costituisce uno degli elementi enucleati dalla riflessione teorica sugli elementi distintivi della città, particolarmente fervido per l’Italia centrale tirrenica negli anni che videro l’attività del gruppo dei Dialoghi di Archeologia, dal memorabile seminario del 1977 su La formazione della città nel Lazio sino al dibattito accolto nei primi anni 1980 sulle pagine della rivista Opus, dove il caso di Roma divenne emblema della contrapposizione tra l’approccio allora comune nell’archeologia classica ed etruscologica, teso a valorizzare soprattutto l’orizzonte arcaico di compiuta transizione verso forme propriamente urbane, e quello del gruppo romano di protostoria, forte di oltre un ventennio di riflessioni teoriche e ricerche topografiche sul campo, e che attraverso le parole di un giovane Alessandro Guidi sostenne l’importanza della svolta proto-urbana come autonomo processo endogeno dalle profonde implicazioni politiche e socio-culturali1.

7Va infatti ricordato subito come il salto nella scala dimensionale degli insediamenti non costituisca altro se non l’aspetto più archeologicamente percepibile di un processo le cui ragioni più profonde non possono che essere sociali, politiche, «culturali»: a tramontare allo scorcio dell’età del bronzo non sono solo i villaggi in quanto sedi fisiche delle comunità, ma anche e soprattutto le forme tradizionali di organizzazione della società e di esercizio del potere politico, i modi della produzione e dello scambio consolidatesi nel corso di molti secoli; il nuovo paesaggio proto-urbano, al contrario, è emanazione di comunità umane più ampie, coese e popolose, attrici nel giro di poche generazioni di una repentina crescita nella complessità socio-politica e culturale, esito a sua volta del decollo di sistemi economico-produttivi e di circuiti di scambio mediterranei di scala incomparabilmente superiore rispetto ai precedenti dell’età del bronzo.

8L’Etruria meridionale rappresenta senza dubbio il distretto in cui la portata del cambiamento in atto alla fine del II millennio a.C. è più evidente nella sua radicale discontinuità (fig. 1): qui, nel volgere dei pochi decenni che segnano la fine dell’età del Bronzo finale (X secolo a.C.), la fitta trama di piccoli villaggi d’altura che aveva animato il popolamento dell’età del bronzo si dissolve a favore di un nuovo ordine territoriale imperniato sui quattro grandi centri proto-urbani di Vulci, Tarquinia, Cerveteri, Veio, incomparabilmente superiori per dimensioni e scala del controllo territoriale; una discontinuità ancora più dirompente, se si considera da un lato che il paesaggio così rapidamente eclissatosi si pone al termine di un ciclo insediativo di durata plurisecolare, avviato già nel Bronzo medio e poi consolidatosi — pur con una propria tensione dialettica interna, legata al progressivo emergere di comunità autonome, di tipo monocentrico, a scapito di forme più «solidali», policentriche, di occupazione del territorio — nel corso del Bronzo tardo, dall’altro il sostanziale successo del nuovo ordine territoriale, che godrà di pari longevità, accrescendo progressivamente la propria complessità e proseguendo il proprio corso del Primo Ferro (925-720 a.C.) e poi ancora in età storica, sino alla conquista romana.

Fig. 1. – Etruria meridionale: evoluzione diacronica del popolamento nel Bronzo finale.

Fig. 1. – Etruria meridionale: evoluzione diacronica del popolamento nel Bronzo finale.

Da Barbaro (2010).

  • 2 Di Gennaro (1986); Pacciarelli (1991).
  • 3 Breve storia della ricerca, completa di bibliografia, in Marino (2015).

9Certo, molte delle acquisizioni ormai consolidate e condivise in maniera pressoché unanime dalla comunità degli studiosi sono frutto dell’intensa stagione di dibattiti avviatasi negli anni 1950 e 1960: chi, come me, ha iniziato il proprio percorso universitario negli anni che videro la pubblicazione del volume Dal villaggio alla città di Marco Pacciarelli (prima edizione 2000), una vera e propria pietra miliare del settore, non può che ritenere del tutto superata la lettura topografica policentrica proposta oltre cinquant’anni fa da John Ward-Perkins per Veio, secondo cui a ciascuna delle necropoli del Primo Ferro disposte a corolla intorno al sito avrebbe corrisposto un singolo, piccolo villaggio autonomo sui prospicienti margini del pianoro; tale modello interpretativo tenne però banco a lungo, soprattutto in ambito etruscologico, finché la massa critica della documentazione acquisita non ne dimostrò in maniera incontrovertibile l’anacronismo: in questo senso, fondamentali sono state le acquisizioni di Marcello Guaitoli e dell’Istituto di Topografia Antica della Sapienza sulla dispersione delle ceramiche del Primo Ferro sul pianoro veiente, talmente coprenti da non poter non riflettere un’occupazione diffusa, e poi l’attività sul campo di giovani studiosi come Francesco Di Gennaro e Marco Pacciarelli, operanti in maniera capillare su ampi distretti dell’Etruria meridionale (l’area dei Bagni di Stigliano; il pianoro di Vulci e il suo hinterland2), e che proprio con tali ricerche sistematiche gettarono le basi delle letture diacroniche consolidatesi nei decenni successivi. Nel frattempo, già nei tardi anni 1950 e 1960, ancora in relazione a Veio, alla lettura di Ward-Perkins si erano venute opponendo le voci di Hermann Müller-Karpe e del giovane Renato Peroni, che per primi colsero le profonde implicazioni sociali e politiche insite nella svolta proto-urbana3.

  • 4 Il recente volume di Barbara Barbaro (2010) ne consente una lettura estremamente dettagliata e dina (...)
  • 5 Pacciarelli (2000, 2009); Marino (2017).
  • 6 Iaia & Pacciarelli (2012).
  • 7 Di Gennaro (2019), con riferimenti.
  • 8 Pacciarelli (2014).
  • 9 Barbaro (2010, 127-129).

10Molti sono gli aspetti della svolta proto-urbana intorno a cui in letteratura si registra ormai un ampio consenso, a partire dalla natura progettuale del fenomeno, incarnata dal rapido e complessivo abbandono dei villaggi del Bronzo finale4 e dal concentrarsi del popolamento nelle nuove sedi, pianori dai margini frastagliati e acclivi, fortificati dalla natura, strutturalmente affini a quelli prediletti nel Bronzo tardo, ma di estensione incomparabilmente maggiore (120-180 ettari, da dieci a cento volte la media dell’età del bronzo), dominanti su paesaggio e linea di costa (Vulci, Tarquinia, Cerveteri) o su importanti aste fluviali (Veio), baricentro di comprensori territoriali estesi per migliaia di kmq5. A questo modello dei centri proto-urbani «maggiori» si affiancano comunque anche nella stessa Etruria meridionale esperienze diverse, come nel caso di Orvieto, dove l’occupazione di un sito di dimensioni inferiori alla media (circa 80 ettari) dipende forse dall’ineguagliabile importanza tattico-strategica della rupe orvietana, o in quello ancora più eloquente di Bisenzio, dove all’occupazione estensiva dell’area «aperta» e pianeggiante alla base del Monte Bisenzio, già insediato nel Bronzo finale, corrisponde anche l’elaborazione di un rituale funerario opposto a quello delle altre comunità proto-urbane dell’Etruria meridionale, che proprio nel rito crematorio villanoviano trovano al di là dei pur esistenti dialetti locali un linguaggio comune6. Anche la datazione al X secolo, ancora entro il Bronzo finale 3, dell’avvio del processo sinecistico, già indiziata per molti centri dalla topografia delle evidenze funerarie e avvalorata a Tarquinia dai numerosi rinvenimenti d’orizzonte protovillanoviano sul pianoro della Civita (fig. 2), è ora confermata anche per Vulci e Veio dallo scavo di importanti depositi stratificati: proprio a Veio, le recentissime acquisizioni della necropoli di Pozzuolo, afferente al piccolo sito difeso di Isola Farnese e come quest’ultimo abbandonata nel corso del Bronzo finale 3 (fig. 3), e quelle delle équipe di Francesca Boitani e Gilda Bartoloni a Campetti e Piazza d’Armi chiudono una lunga querelle circa la prima formazione del centro proto-urbano, da datarsi ancora nel corso del BF 37. Comunità preesistenti dovettero a volte svolgere un ruolo attrattore nei confronti dei gruppi umani dispersi nel territorio: nel caso esemplare di Tarquinia, centro che per precocità, ampiezza e articolazione dell’area insediativa, complessità delle modalità di sfruttamento del territorio e ‘organicità’ del linguaggio funerario villanoviano si configura verosimilmente come vero e proprio epicentro della svolta proto-urbana8, l’occupazione del piccolo sperone della Castellina (fig. 2), insediato nel corso dell’intera età del bronzo, precede quella del complesso di alture che compongono la Civita, progressivamente occupate durante il Bronzo finale 39.

Fig. 2. – Tarquina (VT).

Fig. 2. – Tarquina (VT).

In alto, l’abitato del BF 1-2 della Castellina della Civita con le relative necropoli (triangoli grigi). In basso, il centro proto-urbano del BF 3 con le circostanti testimonianze funerarie (triangoli neri).

Da Barbaro (2010).

Fig. 3. – Veio (RM).

Fig. 3. – Veio (RM).

In basso, il pianoro di Isola Farnese con la relativa necropoli di Pozzuolo (cerchio vuoto). In alto, il grande pianoro di Veio con le circostanti testimonianze funerarie del BF 3 (triangoli neri).

Da Barbaro (2010), rielaborato.

  • 10 Pacciarelli (2009) e Marino (2017), con riferimenti.

11Anche in Etruria settentrionale sono noti coevi e analoghi processi di tipo proto-urbano, seppure secondo dinamiche più eterogenee, peraltro spesso ancora non note nel dettaglio. A Chiusi, l’abitato del Primo Ferro si distribuisce senza soluzione di continuità sul complesso frastagliato di colline che bordano a nord-ovest il centro storico, parte anch’esso del sistema insediativo protostorico, per un’estensione complessiva pari a circa 120 ettari: un assetto alquanto articolato, la cui complessità ed estensione era completamente ignota fino a vent’anni fa. Più piccola, anche se difficilmente computabile, l’area insediativa di Vetulonia (40 ettari?), che occupa un rilievo frastagliato e molto elevato sul fondovalle, come anche quella di Populonia, sull’omonimo promontorio dominante il golfo di Baratti e in diretto rapporto con il mare10. Pur nelle almeno parziali divergenze nella tipologia ed estensione delle sedi insediative, anche in Etruria settentrionale si riconoscono pertanto chiaramente alcuni tratti organici alla svolta proto-urbana dell’Etruria meridionale, tanto nella cronologia del fenomeno, quanto nella scelta di sedi ubicate in rapporto diretto con crocevia di scambi, siano essi importanti direttrici fluviali (Chiusi) o direttamente il mare (Populonia, Vetulonia).

  • 11 Ortalli (2016), con bibliografia precedente.

12Un processo di formazione più articolato e diluito nel tempo è noto per il centro di Bologna, dove nel corso della fase iniziale del Primo Ferro sono documentati più villaggi prossimi tra loro, ma ben distinti e bordati dalle rispettive necropoli, mentre solo nel corso della fase 2 del Primo Ferro il popolamento si coagulerà nella vasta area pianeggiante compresa tra il corso del torrente Aposa a est e del Vallescura (o del Ravone) a ovest, grossomodo corrispondente alla metà centro-occidentale del centro storico, cinta da una imponente struttura di fortificazione (fig. 4); di recente individuazione è anche il gigantesco complesso ligneo, datato al pieno VIII secolo a.C., di piazza VIII Agosto, composto da almeno tre fasce parallele e distanziate di file longitudinali di pali estese oltre 100 metri, la cui interpretazione è discussa11.

Fig. 4. – Bologna.

Fig. 4. – Bologna.

L’estensione del centro proto-urbano (grigio chiaro) con le circostanti necropoli (grigio scuro).

Da Ortalli (2016).

  • 12 Leonardi (2009); Balista & Gamba (2013); Candelato et al. (2015); Gonzato et al. (2015).
  • 13 Gambari & Cerri (2011).

13In Veneto, la formazione dei centri proto-urbani del Primo Ferro, tra cui spiccano Este e Padova (fig. 5), è preceduta dalle esperienze del Bronzo tardo dei poli insediativi polesani di Campestrin/Frattesina/Villamarzana, con estensione complessiva di diverse decine di ettari e fortissima vocazione alle attività produttive e agli scambi ad ampio raggio, destinati però a un rapido declino nel corso dell’età del ferro; ancora al Bronzo finale sembra risalire l’impianto di Oppeano e forse anche il sito di Gazzo Veronese, alla confluenza tra Tartaro e Tione, che già tra X e IX sec. a.C. raggiunse un’estensione di almeno 30 ettari12. A nord-ovest, ormai piuttosto ben noto è il caso di Como e quello del grande polo insediativo dell’VIII secolo a.C. di Castelletto Ticino, lungo il corso del Ticino alla base del Lago Maggiore, con una marcata vocazione agli scambi, accentuata dalla posizione in un punto nodale delle vie di comunicazione tra la penisola e l’Europa continentale13.

Fig. 5. – Padova.

Fig. 5. – Padova.

L’estensione del centro proto-urbano (grigio chiaro) con le circostanti necropoli (nero) e le aree a coltivo (grigio scuro).

Da Balista & Gamba (2013), rielaborato.

  • 14 Il volume di Luca Alessandri (2013), offre una documentazione completa dei siti.
  • 15 Pacciarelli (2000); Di Gennaro & Guidi (2009).
  • 16 Oppure dai villaggi: Alessandro Guidi pensa a un’occupazione polinucleare, con più aree insediative (...)
  • 17 Damiani & Parisi Presicce (2019).
  • 18 Ampolo (2019).

14Anche il Latium vetus, l’attuale Lazio meridionale, conobbe sviluppi di tipo proto-urbano, ma nella maggior parte dei casi già nel corso dell’età del ferro, in particolare tra le fasi IIA avanzata e IIB iniziale della sequenza laziale, pertanto con un décalage di qualche generazione rispetto all’area a Nord del Tevere. Prevale anche qui il modello di occupazione su pianoro naturalmente difeso14, polarizzato però attorno a un modulo dimensionale ridotto, che si attesta sui 40-60 ettari di estensione, cui corrisponde anche una maggiore densità del tessuto insediativo, con siti più ravvicinati e dai territori estesi non oltre 100/150 chilometri quadrati15. Si distingue sotto entrambi i profili il caso di Roma, dove il centro proto-urbano, sviluppatosi nel corso della fase IIA a partire dal preesistente villaggio dell’età del bronzo16, occupa l’intera area dall’orografia irregolare corrispondente all’attuale settore centro-orientale del centro storico cittadino, dai colli (Campidoglio, Palatino, Quirinale) alle aree di fondovalle, per un’estensione complessiva superiore ai 200 ettari. Proprio a Roma, gli storici scavi della «Sapienza» sulle pendici palatine (Carandini & Carafa, Panella), le indagini sull’arce capitolina e le numerose acquisizioni di Anna De Santis nell’area del Foro di Cesare, unite alla fondamentale rilettura delle evidenze dalla convulsa stagione di ricerche postunitarie del tardo 1800 (un’importante mostra ai Musei Capitolini ne ha di recente offerto una panoramica assai esaustiva17) offrono un’enorme massa critica di dati, che alimentano un dibattito tuttora assai vitale e articolato circa la cronologia e l’interpretazione storico-archeologica della Prima Roma18.

15Sviluppi proto-urbani per espansione a partire da preesistenti villaggi dell’età del bronzo, questi ultimi in genere limitati alla parte sommitale, più piccola e maggiormente difesa delle alture, sono ben documentati in molti centri laziali (Ardea, Pratica di Mare); altri sono invece impiantati all’inizio del Primo Ferro, come nel caso di Gabii, dominante sul lago di Castiglione e di estensione non inferiore ai 60 ettari.

  • 19 Pacciarelli (2014); Gobbi (2015).

16Lo studio degli sviluppi proto-urbani della Campania è raramente scisso da riflessioni sulla natura etno-culturale del popolamento del Primo Ferro, considerato che i grandi centri di Capua, Pontecagnano e Sala Consilina sono accomunati da una ritualità funeraria che soprattutto nel corso del Primo Ferro 1 richiama quella delle comunità villanoviane d’Etruria, ma con propri specifici linguaggi formali e decorativi e con oscillazioni anche molto sensibili nei codici simbolico-rituali19.

17L’ubicazione dei centri marca qui una differenza sostanziale rispetto all’Etruria: sia Capua, sia Pontecagnano occupano infatti punti nodali del territorio (la prima presso il corso del Volturno, la seconda lungo la fascia pericostiera del golfo di Salerno), in posizione però sostanzialmente aperta, priva di difese naturali: a Pontecagnano l’abitato si dispone su un basso terrazzo appena sopraelevato sulla pianura costiera circostante, originariamente punteggiata di lagune e aree paludose (fig. 6). Tali posizioni «aperte» si concretizzano anche in una maggiore libertà e dispersione dell’area insediativa, che in particolare nel corso del Primo Ferro 1 si distribuisce in più nuclei distinti: ancora a Pontecagnano, la localizzazione delle necropoli indica chiaramente la presenza di un secondo polo insediativo esterno a quello che sarà il perimetro della città storica, in località Pagliarone, riassorbito poi nello sviluppo del centro proto-urbano forse agli inizi del Primo Ferro 2. Anche a Capua la distribuzione delle necropoli (spicca quella di nuovo scavo in località Parisi, sinora nota in forma preliminare) e delle evidenze insediative (polo Italtel, con la contigua necropoli dei Cappuccini) delinea per il Primo Ferro 1 (fine X-IX sec. a.C.) una situazione topograficamente articolata, con una graduale concentrazione del popolamento nel perimetro del centro proto-urbano nel corso del Primo Ferro 2 (fine IX-VIII sec. a.C.). Tale maggiore libertà e dispersione dei poli insediativi complica il computo dimensionale dei siti, che dovettero comunque raggiungere dimensioni prossime (Pontecagnano) o ampiamente superiori (Capua) ai 100 ettari. È ancora una volta l’organizzazione bipolare delle necropoli (S. Antonio/S. Rocco) a segnalare l’ubicazione di un grande villaggio del Primo Ferro sulla dorsale collinare occupata dal centro moderno di Sala Consilina: in questo caso, però, alla fase proto-urbana non farà seguito un organico sviluppo di tipo urbano in età storica, come indiziato anche dall’assenza nelle sepolture del Primo Ferro 2 di quelle marcate forme di concentrazione di beni e simboli di status che connotano le aristocrazie incipienti dei centri proto-urbani medio-tirrenici. Una delle ragioni di questa sorta di involuzione può essere individuata nella posizione del sito, a controllo dell’importantissimo istmo di comunicazione terrestre del Vallo di Diano, ma lontano dalle aree costiere (e in particolare dal bacino del Tirreno), che soprattutto nel corso dell’VIII secolo registreranno una crescita davvero esponenziale nel volume e nella qualità degli scambi (non a caso la ceramica greca d’importazione o imitazione, ben nota a Capua e Pontecagnano, sembra forse del tutto assente nei corredi del Primo Ferro di Sala Consilina).

Fig. 6. – Pontecagnano (SA).

Fig. 6. – Pontecagnano (SA).

L’estensione del centro proto-urbano (a tratteggio) con le circostanti necropoli (in grigio), in rapporto a idrografia e viabilità nel territorio.

Da D’Agostino & Gastaldi (2012).

18Ancora più a sud, anche in ampie parti della Calabria, il Primo Ferro è animato dalla tensione alla formazione di comunità più ampie e maggiormente dominanti, ma secondo percorsi solo in parte correlabili con quelli delle comunità medio-tirreniche.

  • 20 Pacciarelli (2017).
  • 21 Quondam (2017), con riferimenti.
  • 22 Quondam (2014).

19Sul promontorio di Tropea, uno dei comprensori meglio noti dal punto di vista delle dinamiche insediative protostoriche, si assiste nel Bronzo finale 3 all’impianto del nuovo centro egemone di Torre Galli, che dalla propria posizione baricentrica e assai dominante, lungo i margini dell’altopiano del Poro, diviene il fulcro di un nuovo sistema territoriale esteso all’intero promontorio. La necropoli del Primo Ferro 1, indagata da Paolo Orsi tra il 1922 e il 1923, rivela una comunità ben strutturata, imperniata su famiglie omologhe per struttura, ma separate da divari sensibili e crescenti nella ricchezza e nell’accesso ai beni di prestigio esotici, qui eccezionalmente ben documentati anche in un orizzonte così risalente. L’estensione del sito è però alquanto limitata: il pianoro sede dell’abitato — peraltro verosimilmente occupato solo in parte durante il Primo Ferro 1 — non supera i 20 ettari, un ordine di grandezza di gran lunga inferiore anche al modulo proto-urbano «minore» laziale; ciò nonostante, il sistema territoriale inaugurato allo scorcio del Bronzo godrà di notevole longevità, indice di un suo sostanziale successo: dopo un probabile orizzonte di crisi nel corso del Primo Ferro 2, indiziato anche dai dati dei nuovi scavi, la comunità di Torre Galli godrà di una nuova fioritura in età arcaica, in un orizzonte ovvero contemporaneo alle prime generazioni di vita della vicina colonia di Hipponion20. Tra le ragioni di questo longevo successo va verosimilmente annoverata la precocità del riassetto insediativo monocentrico, come anche l’inserimento in una rete, quella imperniata sui grandi poli di scambio dei centri proto-urbani tirrenici, intorno a cui si giocheranno nel Primo Ferro partite d’importanza crescente (giova ricordare che l’orizzonte di fondazione di Torre Galli è all’incirca quello di Capua e Pontecagnano, e lo stesso che segna la distruzione dell’Ausonio II di Lipari). La crescente importanza della dimensione mediterranea dello scambio, e in particolare del ruolo svolto dallo Stretto di Messina come snodo principale dei traffici, può aver svolto un ruolo propulsivo anche nei processi che condussero alla formazione di comunità umane più vaste nella cuspide meridionale ionica della Calabria, dove nel corso del Primo Ferro sono noti siti su pianori difesi particolarmente dominanti e d’estensione polarizzata attorno al modulo proto-urbano «minore» dei 40 ettari. Allo stato attuale delle conoscenze, tali aggregazioni insediative sembrano però configurarsi come l’esito di processi di ristrutturazione territoriale di lunga durata e non privi di proprie contraddizioni interne. Nella Locride, territorio ampiamente conosciuto grazie alle ricerche di Massimo Cardosa e a quelle più recenti della Scuola Normale di Pisa, l’occupazione del Primo Ferro interessa in maniera rarefatta grandi siti contigui tra loro come Gerace, Ianchina e forse Timpe della Monaca, mentre l’affermazione nel corso del Primo Ferro 2 di Ianchina come centro egemone del comprensorio sembra l’esito di un processo graduale e faticoso, piuttosto che di una rapida pulsione sinecistica21. In Sibaritide, invece, gli assetti monocentrici precocemente delineatisi nel corso del Bronzo tardo, imperniati su una pluralità di centri autonomi e di dimensioni grossomodo analoghe si manterranno cristallizzati anche nel corso del Primo Ferro, senza che il popolamento frazionato della regione possa essere riunito in aggregazioni più vaste22.

20Insomma, molti sono i percorsi verso l’urbanizzazione dell’Italia protostorica, una varietà certamente destinata ad accrescersi nei prossimi decenni con il prosieguo delle ricerche: ma quel che appare certo è che le comunità peninsulari dell’area medio-tirrenica seppero raccogliere le sfide dei propri tempi, configurandosi rapidamente come uno dei principali poli della complessità territoriale, socio-economica e politica nel Mediterraneo del I millennio a.C.

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Bibliographie

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Notes

1 Guidi (1982); Ampolo (1983).

2 Di Gennaro (1986); Pacciarelli (1991).

3 Breve storia della ricerca, completa di bibliografia, in Marino (2015).

4 Il recente volume di Barbara Barbaro (2010) ne consente una lettura estremamente dettagliata e dinamica, ma la selezione e concentrazione dell’insediamento è fenomeno progressivo, già a partire dal Bronzo medio.

5 Pacciarelli (2000, 2009); Marino (2017).

6 Iaia & Pacciarelli (2012).

7 Di Gennaro (2019), con riferimenti.

8 Pacciarelli (2014).

9 Barbaro (2010, 127-129).

10 Pacciarelli (2009) e Marino (2017), con riferimenti.

11 Ortalli (2016), con bibliografia precedente.

12 Leonardi (2009); Balista & Gamba (2013); Candelato et al. (2015); Gonzato et al. (2015).

13 Gambari & Cerri (2011).

14 Il volume di Luca Alessandri (2013), offre una documentazione completa dei siti.

15 Pacciarelli (2000); Di Gennaro & Guidi (2009).

16 Oppure dai villaggi: Alessandro Guidi pensa a un’occupazione polinucleare, con più aree insediative, estese anche a Palatino e Quirinale; altri ritengono invece che l’occupazione del Bronzo facesse perno soprattutto attorno all’inespugnabile castellina del Campidoglio, insediata almeno dal Bronzo medio iniziale.

17 Damiani & Parisi Presicce (2019).

18 Ampolo (2019).

19 Pacciarelli (2014); Gobbi (2015).

20 Pacciarelli (2017).

21 Quondam (2017), con riferimenti.

22 Quondam (2014).

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Table des illustrations

Titre Fig. 1. – Etruria meridionale: evoluzione diacronica del popolamento nel Bronzo finale.
Crédits Da Barbaro (2010).
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/gaia/docannexe/image/1022/img-1.jpg
Fichier image/jpeg, 151k
Titre Fig. 2. – Tarquina (VT).
Légende In alto, l’abitato del BF 1-2 della Castellina della Civita con le relative necropoli (triangoli grigi). In basso, il centro proto-urbano del BF 3 con le circostanti testimonianze funerarie (triangoli neri).
Crédits Da Barbaro (2010).
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/gaia/docannexe/image/1022/img-2.jpg
Fichier image/jpeg, 300k
Titre Fig. 3. – Veio (RM).
Légende In basso, il pianoro di Isola Farnese con la relativa necropoli di Pozzuolo (cerchio vuoto). In alto, il grande pianoro di Veio con le circostanti testimonianze funerarie del BF 3 (triangoli neri).
Crédits Da Barbaro (2010), rielaborato.
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/gaia/docannexe/image/1022/img-3.jpg
Fichier image/jpeg, 151k
Titre Fig. 4. – Bologna.
Légende L’estensione del centro proto-urbano (grigio chiaro) con le circostanti necropoli (grigio scuro).
Crédits Da Ortalli (2016).
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/gaia/docannexe/image/1022/img-4.jpg
Fichier image/jpeg, 118k
Titre Fig. 5. – Padova.
Légende L’estensione del centro proto-urbano (grigio chiaro) con le circostanti necropoli (nero) e le aree a coltivo (grigio scuro).
Crédits Da Balista & Gamba (2013), rielaborato.
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/gaia/docannexe/image/1022/img-5.jpg
Fichier image/jpeg, 346k
Titre Fig. 6. – Pontecagnano (SA).
Légende L’estensione del centro proto-urbano (a tratteggio) con le circostanti necropoli (in grigio), in rapporto a idrografia e viabilità nel territorio.
Crédits Da D’Agostino & Gastaldi (2012).
URL http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/gaia/docannexe/image/1022/img-6.jpg
Fichier image/jpeg, 108k
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Pour citer cet article

Référence électronique

Francesco Quondam, « L’Italia dei centri proto-urbani: percorsi regionali a confronto »Gaia [En ligne], 22-23 | 2020, mis en ligne le 30 juin 2020, consulté le 21 mars 2025. URL : http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/gaia/1022 ; DOI : https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/gaia.1022

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