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Abel-Rémusat e Hegel: sinologia e filosofia nell’Europa del XIX secolo

Anne Cheng
p. 139-151

Abstract

Jean-Pierre Abel-Rémusat (1788-1832), the distinguished holder of the first chair of Chinese studies in France – as well as Europe – was a contemporary of the no less distinguished German philosopher Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831). The advent of sinology, i.e. the new academic discipline represented by Abel-Rémusat, is an interesting fact if placed in the context of the professionalization of philosophy so eminently embodied by Hegel. In this perspective, the relations between these two great minds are even more eloquent with respect to the place given to China in the intellectual geography of 19th century Europe.

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Termini di indicizzazione

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Note della redazione

La prima pubblicazione del presente articolo è apparsa nel 2014, in lingua francese, in Comptes-rendus des séances de l’année, Académie des inscriptions et belles-lettres, 2, Paris, De Boccard, pp. 959-971. La presente traduzione è a cura di Jimmy Hernandez Marcelo ed Erica Onnis.

Testo integrale

1Una delle discipline che contribuì più fortemente a individuare e affermare l’identità – e poi la supremazia – dell’Europa fu la filosofia, e la Cina, tanto più fu centrale nelle argomentazioni di coloro che, come Voltaire, stavano lottando per sfidare l’universalità della religione cristiana e la definizione dell’Europa in termini religiosi, tanto più venne esclusa dall’Europa una volta che essa venne ridefinita sfruttando termini nuovi, non più quelli della religione, ma quelli della ragione che stava diventando l’oggetto di una nuova disciplina professionale, la filosofia, insegnata in un quadro istituzionale a essa esclusivamente dedicato, vale a dire le facoltà all’interno delle università. Oggi siamo ormai abbastanza lontani dalla definizione di “filosofo” dell’Illuminismo fornita da Étiemble:

  • 1 Étiemble 1957-1959: 24.

Il filosofo del xviii secolo appartiene tanto alle lettere, e persino, sì, alle belle lettere, quanto a quella che d’ora in avanti si chiama filosofia; in questo secolo dove i club sostituiscono i salotti e la lotta politica il rispetto del galateo, egli è la trasposizione militante dell’uomo onesto. Il “filosofo” si occupa dell’uomo in generale, ma non crede più ai meriti dell’introspezione, e si affiderebbe, piuttosto, all’esperienza e all’osservazione1.

  • 2 Hegel 1930 [1844a].
  • 3 Cousin 1829.

2Mentre i “filosofi” dell’Illuminismo vedevano nella Cina un caso esemplare per la loro lotta contro la morsa della religione, le nuove “storie della filosofia” che fiorirono in Germania e in Francia alla vigilia del xix secolo destinate a professori e studenti delle università tesero, al contrario, a delimitare il territorio della filosofia in termini europei relegando in uno spazio diverso e non-filosofico tutto ciò che non rientrava nell’eredità greca (non più cristiana). Lo studioso tedesco Wilhelm Gottlieb Tennemann (1761-1819), per esempio, scrisse una Geschichte der Philosophie pubblicata in dodici volumi a Lipsia tra il 1798 e il 1819 che venne definita «il libro più completo» da Hegel nelle sue Lezioni sulla storia della filosofia2. Questo testo avrà in Francia un’ampia diffusione grazie alla traduzione di Victor Cousin, pubblicata nel 1829 con il titolo di Manuel de l’histoire de la philosophie3. Qui Tennemann descrive il carattere specifico della filosofia in questi termini:

  • 4 Tenneman 1819: 3.

L’uomo, in virtù della sua ragione […] aspira ad una scienza dei principi ultimi e delle leggi ultime della natura e della libertà come delle loro reciproche relazioni. Dapprima egli ubbedisce ad un cieco bisogno, senza rendersi conto bastantemente di questo moto istintivo della sua ragione. […] Insensibilmente questo moto diventa più riflettuto, e si regola sui progressi della ragione, che insegna di giorno in giorno a meglio conoscersi. Questo moto riflettuto è quello che noi chiamiamo filosofia4.

3Due criteri associano l’origine della filosofia alla Grecia e giustificano l’idea di un “declino orientale”. Il primo è la libertà politica (è evidente, in questo caso, un effetto del mito del dispotismo orientale):

  • 5 Ivi: 13.

Il vero cominciamento della filosofia trovasi, dunque, appo i greci e particolarmente in a quell’epoca in cui, in conseguenza dei progressi dell’immaginazione e dell’intelligenza, l’attività razionale si sviluppa in un grado più alto; epoca nella quale divenute le menti più indipendenti dalla religione, dalla poesia e dalla politica, si posero alla ricerca della verità e si consacrarono a studi regolari5.

4Al mito che deriva dall’agorà e dalla democrazia ateniese, si oppone dunque sia il sistema indiano delle caste sia il regime dispotico di cui l’impero cinese è rappresentazione favorita a partire dalla metà del xviii secolo:

  • 6 Ivi: 11-12.

I popoli orientali, che, per l’antichità e la data del loro incivilimento sono anteriori ai Greci, non si innalzarono mai allo stesso grado, per quanto almeno ne possiamo giudicare noi. […] Il clima, la costituzione politica, il dispotismo e la divisione per caste si opposero sovente al libero sviluppamento dell’ingegno6.

5Assistiamo, qui, a un autentico processo d’invenzione della Grecia come origine dell’Europa, definita in primo luogo dalla valorizzazione della filosofia e della democrazia, di cui invece la Cina è il perfetto controesempio. Il secondo criterio è l’elaborazione di un discorso razionale che sia in grado di liberarsi da quello religioso (che si tratti della Rivelazione o delle superstizioni) e di costruirsi in modo riflessivo. Tennemann, per esempio, dice dei “popoli orientali”:

  • 7 Ibidem.

Tutta la loro sapienza porta ancora il carattere d’una rivelazione divina, rappresentata dalla immaginazione sotto mille forme diverse. [...] Lo spirito di questi popoli rivestì coi colori della immaginazione le credenze della ragione, ed un certo numero di opinioni speculative, più o meno arbitrariamente concepite, affine di rendersele più chiare, ma senza ritornare sul passato, senza dimandarsi conto dei processi della ragione e del suo principio […] Le idee sopra Dio, sul mondo e sull’umanità, che non si possono negare a questi popoli, non sono state appo essi l’opera ponderata d’alcuna filosofia7.

  • 8 In particolare: Confucius Sinarum Philosophus, raccolta di traduzioni parziali e glosse di testi da (...)
  • 9 Tennemann 1819: 60.

6Secondo Tennemann, l’esercizio filosofico è quindi associato a una riflessività e a una scientificità che sono decretate assenti fra le “saggezze orientali”. Evidentemente, Tennemann si sente obbligato a menzionare la Cina nella sua Storia della filosofia, in modo da non rompere completamente con la tradizione dell’Illuminismo che l’aveva preceduto, ma egli riduce la questione a quindici righe che riproducono la vulgata tratta dagli scritti dei missionari gesuiti8: il taoismo e il buddhismo sono presentati come superstizioni o, al più, come “dogmi religiosi” a cui sono mescolate alcune “opinioni filosofiche”. Per quanto riguarda Confucio, Tenneman asserisce che egli «riunì le tradizioni dell’uno e dell’altro, perfezionò le leggi e diede buone massime di morale»9.

7Liquidare la Cina in poche righe e inserirne la cultura nella categoria dei “dogmi religiosi” era un modo per squalificarla rispetto alla categoria della “filosofia”. Questo fu un aspetto importante del ritorno dalla sinofilia alla sinofobia: mentre la Cina, nel quadro dell’Illuminismo europeo del xviii secolo, appariva come il modello di una civiltà antichissima che aveva mostrato la straordinaria prodezza di non sfruttare la religione per creare una società governata invece dalla moralità e dalla civiltà – e ciò grazie all’insegnamento del “filosofo” Confucio – l’Europa dell’inizio del xix secolo capovolge totalmente questa prospettiva: il pensiero cinese è ora relegato alla categoria di “religione” (e, a causa della sua antichità, persino di religione primitiva), contro la quale è costruita la categoria specificamente – e presto esclusivamente – europea di “filosofia”.

  • 10 Vedi nota 3.

8Questa è esattamente la posizione condivisa da Joseph-Marie Degérando o Gérando (1772-1842), contemporaneo francese di Tennemann e membro dell’Institut de France, che pubblica nel 1804 la sua Histoire comparée des systèmes de philosophie, considérés relativement aux principes des connaissances humaines. Questo libro, che deve servire da manuale per gli studenti di filosofia della Facoltà di Belle Arti di Parigi e propone “un ragionamento parallelo delle varie dottrine filosofiche”, è tradotto in tedesco da Tennemann negli anni 1806-1807, mentre, come abbiamo visto, la Geschichte der Philosophie di quest’ultimo era ampiamente conosciuta in Francia grazie alla traduzione di Victor Cousin, pubblicata nel 1829 con il titolo Manuel de l’histoire de la philosophie10. In effetti, troviamo in Degérando la stessa preoccupazione di presentare la filosofia come una scienza:

  • 11 Degérando 1822: 199.
  • 12 Ivi: 281.
  • 13 Ivi: 316-317.

C’è stato, quindi, un inizio della filosofia laddove ci fu l’inizio della riflessione11.
[…]
L’accezione vaga e indefinita che il nome di filosofia ha ricevuto in Francia durante il secolo scorso, l’uso che ne è stato fatto per designare generalmente un certo modo di vedere e di trattare un argomento qualsiasi, persino l’abuso che ne è stato fatto troppo spesso per indicare certi sistemi particolari, richiede, prima di sfruttare questo termine, di determinarne con cura il senso associato. Pertanto avvertiamo, una volta per tutte, che gli riconosciamo, in questo lavoro, il suo valore naturale; che parlando della filosofia, la consideriamo una scienza, la scienza del vero, del buono e del bello, la scienza che contiene i principi comuni a tutti gli altri12.
[…]
La filosofia è fiorita solo nei paesi e nei secoli in cui ha regnato una vera e saggia libertà, perché in tali paesi e soltanto in questi secoli, la mente umana è stata capace di acquisire consapevolezza delle proprie forze e di entrare in possesso delle sue nobili prerogative. Questa grande e bella condizione fu realizzata, per la prima volta, nelle felici terre della Grecia13.

  • 14 Questi corsi non sono stati pubblicati durante la vita di Hegel e furono ricostruiti al meglio solo (...)

9Così vediamo come il magistero filosofico europeo si costituisca in uno stretto legame tra la Germania e la Francia che trovano un contatto nel filosofo che domina per eccellenza la prima metà del xix secolo: Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831). Quest’ultimo iniziò a interessarsi all’Oriente (oltre che alla Persia e all’Egitto) solo tardivamente, nell’ultimo decennio della sua vita, quando impartiva lezioni di filosofia della storia e della religione all’Università di Berlino, lezioni che lo conducono, senza dubbio con uno spirito sistematico, a guardare verso l’India e la Cina. Nelle note di questi corsi, pubblicati con il titolo Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie14, c’è una sezione dedicata alla “Filosofia orientale” che è caratterizzata da Hegel nei termini seguenti:

  • 15 Hegel 2009 [1844b]: 133 [Per ragioni di chiarezza e completezza, abbiamo adottato entrambe le tradu (...)

Quel che va sotto il nome di ‘filosofia orientale’ designa in genere piuttosto il modo religioso di rappresentare, caratteristico degli orientali: una rappresentazione religiosa, un’intuizione del mondo, che è molto facile prendere per filosofia. […] La filosofia orientale è una filosofia religiosa, una rappresentazione religiosa e bisogna indicare il motivo per il quale viene spontaneo considerare la rappresentazione religiosa orientale anche come filosofia15.

10Il rifiuto hegeliano del “pensiero orientale” e la sua qualifica come religione è l’occasione per affermare, al contrario, le specificità dell’identità greca e germanica, fino al punto di ripetere, all’inizio di ognuno dei suoi corsi, che esistono due filosofie, la filosofia greca e la filosofia germanica, e proseguire sostenendo che ciò che è orientale deve essere escluso dalla storia della filosofia:

  • 16 Ivi: 171.
  • 17 Ivi: 173.

La differenza sta nel fatto che il principio della libertà e dell’individualità fa la sua comparsa nell’ambiente greco, ed ancor più in quello germanico. Gli dèi greci appaiono subito individualizzati al modo di persone16.
[…]
In Oriente il punto principale è che solo l’unica sostanza in quanto tale è il vero: l’individuo in se stesso non ha nessun valore e non può acquistarne in quanto si mantenga in opposizione con ciò che è in sé e per sé. Invece ha valore in quanto sia parte della sostanza, nella quale però cessa d’essere coscienza, d’essere soggetto per sé: ed in questa assenza di coscienza svanisce. Ecco il tratto fondamentale delle religioni orientali. Invece nello spirito greco e germanico il soggetto si sa libero, ed esso dev’esser mantenuto in questa condizione e non semplicemente venir soppresso. Poiché in tal modo l’individuo si libera per sé, è per sé, risulta senz’altro molto più difficile che il pensiero si liberi dalla personalità e si costituisca per sé17.

  • 18 Vedi Cousin, “Introduction à l’histoire de la philosophie”, in Cousin 1828: 51.

11E Victor Cousin (1792-1867), che era discepolo di Hegel, rincara il giudizio con un’opposizione binaria che non ci ha più abbandonato: «Il Mediterraneo e la Grecia sono l’impero della libertà e del movimento, mentre l’altopiano del mondo indo-cinese [cioè l’India e la Cina] è l’impero dell’immobilità e del dispotismo»18. Comprendiamo, quindi, come la definizione del “giardino privato” della filosofia, che affonda le sue radici non più nell’Est biblico, ma in Grecia, trovi la sua giustificazione nell’Europa in piena ascesa del xix secolo e identifichi il suo “Altro” e il suo repoussoir ideale con la Cina con una radicalità simile a quella per cui era essa stata eletta a modello per i “filosofi” dell’Illuminismo.

  • 19 Thoraval 1998.

12Tuttavia, come ha rilevato Joël Thoraval19, tra il 1821 e la sua morte nel 1831 si assiste a un’evoluzione delle concezioni di Hegel: nella Fenomenologia dello spirito, pubblicata nel 1807, Hegel era soddisfatto dalla definizione ereditata, dall’Illuminismo, della religione cinese come “religione naturale”, fondata su “un’intuizione di Dio senza distinzione”. Dieci anni dopo, tuttavia, egli distingue tre principali religioni asiatiche, globalmente qualificate come “panteiste” e corrispondenti ai tre momenti della “divisione della coscienza in sé”: in questo schema, prima viene la religione cinese, seconda la religione indù e, infine, il buddhismo. Nello spazio di un decennio, la religione cinese è stata quindi promossa da “magia” (Zauberei) primitiva, collocata appena sopra quella degli Eschimesi, a “religione della misura”. Si noti di passaggio che come “religione dell’essere-in-sé”, il buddhismo di origine indiana rappresenta lo stadio finale delle religioni dell’Estremo Oriente, una chiara indicazione del passaggio dalla sinomania all’indomania che ha segnato il xix secolo europeo, soprattutto quello tedesco.

13Se gli Inglesi, considerata la colonizzazione dell’India nel xviii secolo, sono stati pionieri nell’istituzionalizzare gli studi sanscriti, allo stesso modo la Francia può vantarsi di essere stata la prima nazione europea a fornire agli studi sinologici una cornice a tutti gli effetti scientifica con la creazione, nel 1814 al Collège de France, di una “Cattedra di lingua e letteratura cinese e tartara-manciù” assegnata a Jean Pierre Abel-Rémusat (1788-1832). Poco dopo, nel 1822, venne creata la Società asiatica che cura (ancora oggi) il Journal asiatique, e nel 1843 venne infine inaugurata una cattedra di cinese presso la Scuola nazionale di lingue orientali viventi, stabilita nel 1795 e divenuta ora l’Istituto nazionale di lingue e civiltà orientali (INALCO).

14Contemporaneamente, nell’Europa del xix secolo, un’Europa in piena espansione industriale e coloniale, appaiono quindi, da un lato, la filosofia come disciplina professionale e istituzionalizzata nel quadro universitario e, dall’altro, la sinologia come scienza dedicata alla conoscenza specializzata di una Cina fino a quel momento esclusa dalla filosofia (una disciplina ancora declinata al singolare). In Francia, nello specifico, la filosofia e la sinologia seguono destini istituzionali sorprendentemente paralleli: nel 1814, mentre Abel-Rémusat inaugura la propria cattedra al Collège de France, Victor Cousin, discepolo di Hegel e fondatore della filosofia universitaria francese, insegna all’École normale supérieure. Uno spazio adeguato per la conoscenza della Cina è in altre parole organizzato nell’esercizio istituzionale della conoscenza, di cui la disciplina filosofica deve dare conto, e ciò è chiaro se si legge Degérando, che espunge la Cina e l’Est dalla filosofia nel 1804, ma le reintroduce nella sua Histoire del 1822 visti i recenti lavori del sinologo Abel-Rémusat.

  • 20 La domanda cui faceva eco quella del numero 27 (2005) della rivista “Extrême-Orient, Extrême- Occid (...)
  • 21 Mémoire letto il 15 giugno 1820 e pubblicato nei Mémoires de l’Institut royal de France, Académie d (...)

15Victor Cousin, nella seconda lezione che tiene il 24 aprile 1828 alla Sorbona, pone la famosa domanda: “C’è stata o no filosofia in Oriente?”20. La retorica della sua risposta è in parte quella di Tennemann o Degérando, ma si adatta in gran parte alle teorie sull’Oriente professate da Hegel, che Cousin ha avuto l’onore e la fortuna di incontrare durante i suoi tre viaggi in Germania (nel 1817, nel 1818 e nel 1824) e di cui diventa entusiasta e incondizionato diffusore in Francia. Nel 1826, su invito di Victor Cousin, Hegel viene a Parigi. Incontra Abel-Rémusat a una conferenza tenuta da quest’ultimo all’Istituto e legge attentamente il suo Mémoire sur la vie et les opinions de Lao-tseu, philosophe chinois du vie siècle avant notre ère, datato 182021. Questo incontro sembra aver avuto un effetto importante sulla rappresentazione delle religioni cinesi da parte del filosofo tedesco e infatti, non appena tornò a Berlino, nei corsi del 1827, Hegel fece esplicito riferimento all’autorità del sinologo francese che presenta come “il miglior conoscitore dell’Oriente”.

16Ciò che modifica radicalmente la concezione di Hegel è l’inversione delle gerarchie trasmesse per la prima volta in Europa dai pionieri francesi della sinologia laica nella presentazione dei tre insegnamenti tradizionali cinesi (san jiao 三 教). A causa, in un primo momento, dell’interpretazione dei gesuiti (e con essa del primato accordato in filosofia alla fede cristiana) e, in un secondo momento, del rifiuto, sotto l’Illuminismo, dell’oscurantismo religioso, il daoismo (dao 道) e il buddhismo (shi 釋 o fo 佛) erano stati condannati come orribili superstizioni, mentre l’insegnamento confuciano (ru 儒) della morale razionale, potenzialmente compatibile con il dogma cristiano, era risultato l’unico degno di attenzione sia in teologia che in filosofia. Nella sua lezione inaugurale al Collège royal de France, il 16 gennaio 1815, Abel-Rémusat rende un educato omaggio all’opera dei gesuiti, pur distinguendosi da loro:

  • 22 Rémusat 1843: 161.

L’idea che ci si fa generalmente della filosofia cinese si basa esclusivamente sulle traduzioni che i missionari cattolici hanno fatto di alcuni dei principali libri appartenenti alla scuola di Confucio. La situazione di questa particolare classe di Europei li obbligava […] a leggere e studiare i monumenti letterari che furono a lungo dedicati alla parte colta della nazione e che divennero la base dell’amministrazione e la regola della politica22.

  • 23 Guillaume Pauthier continua il lavoro di Abel-Rémusat sul taoismo con il suo Mémoire sur l’origine (...)

17Diversamente dai gesuiti, Abel-Rémusat prima, Stanislas Julien (1797-1873), suo successore al Collège de France, poi, e infine Guillaume Pauthier (1801-1873) dedicheranno i loro sforzi di filologi ed esegeti alla presentazione dei canoni taoisti e buddhisti per cercare di assicurare loro uno status “filosofico”. Il taoismo venne così isolato nella sua specificità cinese, nella misura in cui i testi buddhisti cinesi serviranno essenzialmente alla comprensione del buddhismo, identificato come originariamente indiano23 grazie alla scoperta del sanscrito.

  • 24 Hegel 1983: 430.

18Nella seconda sezione delle Lezioni sulla storia della filosofia dedicata al “Primo grado della religione naturale: la religione della magia (Zauberei)”, c’è una sottosezione intitolata “La religione di stato cinese e il Tao”24, in cui Hegel articola i “tre insegnamenti” (san jiao 三 教) in modo sorprendente:

  • 25 Ivi: 432.

Nell’impero cinese vi è una religione di Fo o di Buddha, che fu introdotta cinquant’anni dopo Cristo. Inoltre vi è l’antica religione cinese di Tao, questo è propriamente un dio, è la ragione. Però la religione di stato, la religione dello stato cinese è la religione del cielo, dove il cielo, Tien, viene riconosciuto come il Signore, il dominatore supremo25.

  • 26 Lettera indirizzata dal Padre Amiot di Pechino al ministro di Louis XVI, Henri-Léonard Bertin, data (...)

19La cosa più notevole è che, per identificare il taoismo come la religione della Ragione, Hegel fa affidamento su una lettera del 1787 di Padre Joseph-Marie Amiot (1718-1793), un missionario gesuita in Cina, che scriveva a proposito della “setta del Tao-sée” (in cinese daoshi 道士), sacerdoti accusati di culti taoisti26. Da buon gesuita, Padre Amiot non nasconde il suo disprezzo per ciò che i gesuiti definivano “setta degli stregoni”:

  • 27 Lettera Sur la secte des Tao-sée. Ivi: 208.

La famosa setta del Tao-sée, rivale di quella dei Lettrés ma ora caduta in discredito, è disprezzata sommamente da tutti gli uomini d’onore, perché per alcuni secoli ha annoverato tra i suoi seguaci solo ciò che c’è di più vile nella nazione27.

20Nelle Lezioni sulla storia della filosofia, Hegel menziona ciò che comprende – o meglio ciò che gli è presentato – come le sue grandi fonti d’ispirazione: il Y-King (Yijing, o Libro dei Mutamenti), Confucio e Laozi (che costituiscono ancora una sorta di “trio vincente” nei milieux médiatiques). Tuttavia, con la garanzia scientifica di Abel-Rémusat, Hegel capovolge completamente la scala di valori dei gesuiti: mentre questi ultimi tracciavano una netta distinzione tra la “filosofia” di Confucio e le “superstizioni” taoiste e buddhiste, Hegel fa del taoismo una religione della Ragione e riduce il confucianesimo a una morale formalista dello stato, che vieta l’esistenza di una libertà soggettiva e, conseguentemente, eterogenea alla filosofia propriamente detta:

  • 28 Hegel 1930 [1844a]: 137-138.

La prima cosa da rilevare presso i Cinesi è la dottrina di Con-fu-tse (Confucio), nata cinquecento anni a.C., venuta in molta reputazione ai tempi di Leibniz; essa è una filosofia morale. Inoltre Confucio commentò le più antiche opere fondamentali della tradizione cinese, specialmente le storiche; tuttavia ciò che lo rese più famoso fu appunto l’elaborazione da lui fatta della morale, e in questo campo egli è rimasto l’autorità più venerata dai Cinesi. La sua biografia è stata tradotta di sugli originali cinesi dai missionari francesi: essa narra ch’egli è stato all’incirca contemporaneo di Talete, fu a lungo ministro, poi cadde in disgrazia, perdette la carica e visse filosofando tra una cerchia d’amici, non senza però che spesso si ricorresse ancora al suo consiglio. Possediamo delle conversazioni di Confucio coi suoi discepoli, le quali però non contengono niente di speciale, ma soltanto una morale popolare, esposta con buone e vigorose massime che noi del resto troviamo dovunque, presso tutti i popoli, anche in forma più profonda: per esempio il De Officiis di Cicerone è un libro di massime morali che contiene più cose e migliori di qualsiasi libro di Confucio. Questi non è dunque che un saggio, esperto della vita e del mondo, che non presenta alcun elemento di filosofia speculativa; e l’esame delle sue opere originali può portarci a pensare che sarebbe stato meglio per la sua fama se esse non fossero state tradotte. L’opera edita da gesuiti francesi è tuttavia più una parafrasi che una traduzione28.

  • 29 Ivi: 140.

21Evidentemente, è Abel-Rémusat ad aver rivelato a Hegel l’esistenza di «una vera e propria setta, quella dei Tao-sse, i cui aderenti non sono mandarini né seguaci della religione di stato, e neppure buddhisti o seguaci della religione del Lama»29. E Hegel continua:

  • 30 Nella versione francese delle Lezioni sulla storia della filosofia (quella originariamente citata d (...)
  • 31 Ivi: 141-142.

Il libro di Lao-tse, detto Tao-te-king […] è opera fondamentale per i Tao-sse, cioè per i seguaci della ragione, che chiamano il loro sistema di vita Tao-tao, vale a dire, indirizzo o legge della ragione. Essi dedicano la loro vita allo studio della ragione e affermano che chi conosce la ragione nel suo fondamento possiede la scienza universalissima. […] [D’après Abel Rémusat, Tao signifie chez les Chinois “chemin, moyen de communication d’un lieu à un autre”, puis raison, substance, principe. Tout ceci condensé au sens métaphorique, métaphysique, signifie chemin en général. C’est le chemin, la direction, le cours des choses et le fondement de l’existence de toute chose. […] Tao est donc “la raison originelle, la nous (l’intelligence) qui a engendré le monde et le gouverne comme l’esprit régit le corps”30]. Abel-Rémusat dice che per rendere il significato di Tao, l’espressione più adatta sarebbe il λόγος dei Greci31.

  • 32 Ivi: 142.
  • 33 Scambi epistolari pienamente ripresi in Rousseau, Thouard 1999.

22La traduzione di dao 道 con il greco logos non fa che riprendere le traduzioni dei gesuiti con il latino Ratio. Tuttavia, Hegel non può fare a meno di notare che la questione è confusa a causa della natura grammaticale della lingua cinese che “non possiede determinazioni di caso, e le parole sono poste semplicemente l’una accanto all’altra”32. Con queste considerazioni, Hegel fa riferimento alla Lettre sur les caractères des Chinois di Abel-Rémusat, che tiene uno scambio epistolare sul tema con il suo collega tedesco Wilhelm von Humboldt (1767-1835), il quale presentò all’Accademia delle scienze, nel gennaio 1822, il suo saggio Sur la naissance des formes grammaticales et leur influence sur le développement des idées. Dopo la pubblicazione del testo, Abel-Rémusat ne propose una relazione nel “Journal Asiatique” (vol. 5, luglio-dicembre 1824); a ciò Humboldt rispose con una Lettre à Abel Rémusat sur le génie grammatical de la langue chinoise comparé à celui des autres langues, anch’essa pubblicata nel “Journal Asiatique” (vol. 9, luglio-dicembre 1826) ed edita a Parigi nel 1827 con il titolo Lettre à M. Abel Rémusat sur la nature des formes grammaticales en général et sur le génie de la langue chinoise en particulier. Gli scambi epistolari continuarono poi in privato tra i due studiosi fino al 183133.

  • 34 Bopp 1816.

23Questo dibattito filosofico-grammaticale tenta di determinare se la lingua cinese sia, per sua stessa struttura, adatta all’esercizio filosofico. Alla domanda: “è possibile fare filosofia in cinese?” la risposta non può che essere negativa perché, sintetizzando: senza flessione, nessuna riflessione. L’opposizione non è solo di ordine filosofico, ma più profondamente di ordine linguistico, e riguarda in generale le lingue non-flesse come il cinese, dichiarate per questa ragione non idonee alla filosofia, e le lingue flesse europee, derivate principalmente dal greco e dal latino, delle quali, nel xix secolo, il sanscrito era considerato origine comune. Nel lavoro di Franz Bopp (1791-1867), pubblicato nel 1816, appare per la prima volta il termine “indoeuropeo” o “indo-germanico” per riferirsi all’insieme europeo e indiano delle lingue antiche34. La tesi del sanscrito come lingua madre, difesa nel 1808 in Essai sur la langue et la sagesse des Hindous da Friedrich Schlegel (1772-1829), fratello minore di August Wilhelm (1767-1845), è tuttavia invalidata, a favore di una “parentela” tra il greco e il sanscrito. A causa di questa parentela scoperta tra il sanscrito e il greco, la Cina si trova dissociata dall’India con la quale era prima raggruppata nell’entità “Oriente”. L’argomento linguistico relativo al sanscrito, che unirebbe le lingue flesse europee costituendone l’origine comune, ha l’effetto di collegare l’India all’Europa e di isolare ancora di più la Cina come l’Altro assoluto.

24Con poche eccezioni, sono dunque queste le rappresentazioni della Cina – non la Cina in sé – che hanno suscitato l’interesse delle élite europee per secoli. Potremmo dire che la “Cina” non è mai stata se non un pretesto, un caso esemplare a favore o contro preesistenti teorie discusse nei dibattiti già in corso. Il lavoro dei sinologi accademici successivi ad Abel-Rémusat fu quindi quello di combattere queste rappresentazioni parzialmente fantasiose e queste idee preconcette tramite uno studio e un’analisi rigorosa dei testi e delle caratteristiche della Cina ed è senza dubbio grazie a questo padre fondatore che la sinologia deve essere considerata un’invenzione francese.

25Collège de France

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Note

1 Étiemble 1957-1959: 24.

2 Hegel 1930 [1844a].

3 Cousin 1829.

4 Tenneman 1819: 3.

5 Ivi: 13.

6 Ivi: 11-12.

7 Ibidem.

8 In particolare: Confucius Sinarum Philosophus, raccolta di traduzioni parziali e glosse di testi dal canone confuciano (Grande Étude, Invariable Milieu, Entretiens, Vie de Confucius) curato da P. Couplet et al. nel 1687 (Couplet, Herdtrich 1687); Nouveaux Mémoires sur l’état présent de la Chine del P. Lecomte pubblicato nel 1696 (Lecompte 1696); Traité sur quelques points de la religion des Chinois del P. Longobardi composto nel 1625, ma pubblicato nel 1701 (Longobardi 1701); Traité sur quelques points importants de la Mission de Chine di P. de Sainte Marie scritto intorno al 1640, ma anch’esso pubblicato nel 1701 dalle Missions Étrangères (de Sainte Marie 1701). Questi ultimi due testi sono quelli commentati da Leibniz nella sua Lettre à M. de Rémond sur la philosophie chinoise nel 1716. A questo si aggiunge la Description géographique del P.J.-B., du Halde pubblicata nel 1735 (du Halde 1735), l’edizione del 1770 di J. de Guignes dello Chou-King, di P. Gaubil, Les Recherches philosophiques sur les Égyptiens et les Chinois di Cornelius De Pauw, pubblicato a Berlino, Londra e Parigi nel 1785 (De Pauw 1773), e Mémoires del P. Amiot pubblicate dal 1776 al 1791 (Amiot 1779).

9 Tennemann 1819: 60.

10 Vedi nota 3.

11 Degérando 1822: 199.

12 Ivi: 281.

13 Ivi: 316-317.

14 Questi corsi non sono stati pubblicati durante la vita di Hegel e furono ricostruiti al meglio solo a partire dalle note prese da diversi ascoltatori in momenti diversi, con il titolo Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie (Hegel 1930 [1844a]).

15 Hegel 2009 [1844b]: 133 [Per ragioni di chiarezza e completezza, abbiamo adottato entrambe le traduzioni italiane disponibili del testo di Hegel. La prima, pubblicata nel 1930 (1844a), è una traduzione completa, ma desueta; la seconda, pubblicata nel 2009 (1844b) è moderna e più comprensibile, ma parziale. N.d.T.]

16 Ivi: 171.

17 Ivi: 173.

18 Vedi Cousin, “Introduction à l’histoire de la philosophie”, in Cousin 1828: 51.

19 Thoraval 1998.

20 La domanda cui faceva eco quella del numero 27 (2005) della rivista “Extrême-Orient, Extrême- Occident” sotto la mia direzione: Y a-t-il une philosophie chinoise? Un état de la question. Vedi in particolare l’articolo di A.-L. Dyck (Dick 2005).

21 Mémoire letto il 15 giugno 1820 e pubblicato nei Mémoires de l’Institut royal de France, Académie des Inscriptions et Belles-Lettres 7, 1820, M: 1-54. Abel-Rémusat aveva tradotto a partire del 1816 il Ganying pian 感應篇con il titolo Le Livre des récompenses et des peines (Il libro dei premi e delle punizioni). La sua traduzione del Foguo ji 佛國記, narrazione del pellegrinaggio in India del monaco buddista cinese Faxian 法顯, appare postumamente sotto il titolo Foe-koue-ki ou relation des royaumes bouddhiques, voyage dans la Tartarie, dans l’Afghanistan et dans l’Inde, exécuté à la fin du IVe siècle par Chy Fa Hian nel 1836. Notiamo che c’è una nuova traduzione annotata di questo testo dovuta a J.-P. Drège, pubblicata sotto il titolo Mémoire sur les pays bouddhiques nella collezione Bibliothèque chinoise des Belles Lettres, 2013.

22 Rémusat 1843: 161.

23 Guillaume Pauthier continua il lavoro di Abel-Rémusat sul taoismo con il suo Mémoire sur l’origine et la propagation du Tao, ou de la Raison suprême, fondée en Chine par Lao-Tseu del 1831. Cura nel 1838 una versione francese, latina e cinese del Tao-Te-King (Daodejing 道德經) di cui Stanislas Julien, discepolo di Abel-Rémusat e suo successore al Collège de France, propone quattro anni più tardi una nuova traduzione con il titolo Le livre de la voie et de la vertu (Julien 1842). È questa tradizione di valorizzazione del taoismo che si è perpetuata nel xx secolo al Collège de France grazie alle opere, ancora oggi largamente autorevoli, di Henri Maspero (1883-1945), nominato alla Cattedra di Lingua e letteratura cinese nel 1919 dopo Édouard Chavannes e morto da deportato nel 1945 a Buchenwald.

24 Hegel 1983: 430.

25 Ivi: 432.

26 Lettera indirizzata dal Padre Amiot di Pechino al ministro di Louis XVI, Henri-Léonard Bertin, datata il 16 ottobre 1787 e riprodotta in essenza nel Volume 15 delle Mémoires concernant l’histoire, les sciences, les arts, les mœurs, les usages, etc., des Chinois.

27 Lettera Sur la secte des Tao-sée. Ivi: 208.

28 Hegel 1930 [1844a]: 137-138.

29 Ivi: 140.

30 Nella versione francese delle Lezioni sulla storia della filosofia (quella originariamente citata dall’autrice, ossia le Leçons sur l’histoire de la philosophie pubblicate da Gallimard nel 1954) si trova questa sezione che riportiamo in francese, poiché assente in entrambe le traduzioni italiane.

31 Ivi: 141-142.

32 Ivi: 142.

33 Scambi epistolari pienamente ripresi in Rousseau, Thouard 1999.

34 Bopp 1816.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Anne Cheng, «Abel-Rémusat e Hegel: sinologia e filosofia nell’Europa del XIX secolo»Rivista di estetica, 72 | 2019, 139-151.

Notizia bibliografica digitale

Anne Cheng, «Abel-Rémusat e Hegel: sinologia e filosofia nell’Europa del XIX secolo»Rivista di estetica [Online], 72 | 2019, online dal 01 mars 2020, consultato il 02 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/estetica/6116; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/estetica.6116

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