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Pittura, soggettività e storia. Forme estetiche e attraversamenti ermeneutici fra Cina ed Europa

Alberto Giacomelli
p. 30-47

Abstract

The introduction of the essay shows the impossibility of considering both China and Europe as univocal cultural identities schematically opposed. Starting from this, the main goal of the article is to put into comparison the specific artistic experience of Chinese and European painting. The historical moment taken into account includes some examples from European painting between the late Middle Ages and the Nineteenth Century as well as some from Chinese painting between the Ming and Qing era. From this comparison, the article aims to highlight some elements of discontinuity between European ontology of art and Chinese pictorial conception. Western portrait is considered as an expression of the individual character of its creator, as well as of the subject represented and of the collective character of the historical era in which it is conceived. On the contrary, Chinese landscape painting is considered as a manifestation of the “emptiness” of the author’s “non-self” and, at the same time, as an expression of the dynamic processes of nature exceeding both the limits of the subject and those of the historical context. While in the transition from the Renaissance to the Baroque, both the works of art and the handwork details condense the epochal taste (kunstwollen) and the spirit of the time (Zeitgeist), in China the historical and artistic processes are part of the process of Dao and express the flow of the supra-historical energy of qi.

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Termini di indicizzazione

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Testo integrale

1 La muraglia e la soglia. Interrogare i confini

  • 1 Cacciari 2016: 19; 2000, 73-79.
  • 2 Crisma 2016: 198.

1Le immagini quanto mai attuali del confine e della soglia possono forse aiutare a riflettere sui punti di tangenza o, di contro, sulle incolmabili discontinuità tra filosofia occidentale e pensiero cinese. Mentre il sostantivo greco πέρας e quello latino limes rimandano a un confine come linea di demarcazione che separa un interno da un esterno, la nozione di soglia non indica semplicemente un limite in quanto barriera, ma piuttosto un luogo peculiare che insieme congiunge e divide1. Sinologia e filosofia, in questa prospettiva, non rappresentano ambiti di indagine schematicamente contrapposti, ma orizzonti di pensiero irriducibilmente plurali che si connotano e acquistano senso solo attraverso lo scambio, il dialogo, la relazione. Per nulla riconducibili a «Identità Culturali monolitiche, univoche e reciprocamente impermeabili»2, Oriente e Occidente rappresentano piuttosto realtà aperte e intrinsecamente interculturali:

  • 3 Amselle 2001: 53.

Si può affermare che ogni cultura si produce e si costituisce solo in quanto intercultura, ossia in quanto risultante – in ogni fase della sua nascita e del suo sviluppo – di scambi culturali. Ogni cultura, insomma, risulta essere intercultura in senso intrinseco: non è mai data e non si darà mai una cultura in sé predefinita e autonoma che entra in contatto con un’altra cultura altrettanto predefinita e autonoma, ma ogni cultura, al di là delle sue presunzioni o delle sue intenzioni più o meno dichiarate, si è sempre formata grazie al complesso delle sue mediazioni con culture diverse da sé3.

  • 4 Crisma 2016: 193.

2Un confronto emancipato da banali orientalismi dovrà allora rinunciare alle contrapposizioni manichee, alle facili generalizzazioni, alle «fragorose retoriche dell’essenzialismo culturale»4.

  • 5 Pischel Fraschini 2019: 32.
  • 6 È stato opportunamente messo in luce come, in particolare con l’espansione della dinastia Qing nell (...)

3È in questa direzione che si muove Gina Pischel Fraschini riflettendo sulla Grande Muraglia – simbolo architettonico per eccellenza della frontiera – che solo in apparenza divide rigidamente il “medesimo” e l’“altro” come elementi antitetici: «La funzione della Grande Muraglia non è stata tanto quella di impedire che i barbari la travalicassero, quanto di far sì che, quando l’avessero anche superata, fossero costretti a comportarsi da cinesi, vale a dire da contadini stabili e non da nomadi della steppa»5. L’elemento di costrizione alla base di questo rapporto non preclude una volontà di integrazione, ma semmai si collega a un’idea di cultura (wenhua 文化) che accoglie la “differenza” attraverso l’educazione, l’istruzione, la prescrizione di norme e precetti, evocando un’idea costitutivamente relazionale di identità. Non solo i “barbari” trassero vantaggio dall’assimilazione della cultura cinese, ma, viceversa, essi stessi influenzarono tale cultura: non si è mai trattato dunque di un’univoca “sinizzazione” dei popoli confinanti, quanto semmai di una reciproca e creativa trasformazione6.

4La Grande Muraglia non rappresenta perciò semplicemente un immane tentativo di preservare immutato il monolitico ordine interno alla Cina rispetto a un caos esterno che attenta alle sue leggi, ma è testimonianza di un rapporto conflittuale e insieme dialogico-dialettico fra realtà sociali dinamiche – quella delle tribù mongole e in genere delle popolazioni limitrofe dell’Asia centrale e quella dell’Impero – che mettono reciprocamente in discussione i propri presupposti.

  • 7 Cfr. Roetz 1984.

5Come è noto, la Grande Muraglia era destinata a raccordare e rafforzare precedenti costruzioni difensive e dunque a tutelare l’opera di unificazione politica inaugurata da Qin Shi Huangdi, Primo Augusto Imperatore di Qin: lo stereotipo di una Cina immota entro le proprie mura a seguito di tale unificazione è ulteriormente confutabile se si considera l’elevato grado di autonomia di feudatari e nobili durante la dinastia Qin (221-206 a.C.) e Han (206 a.C. - 220 d.C.), che minacciava costantemente la compattezza imperiale. L’elevato grado di discordia e dissenso fra la popolazione impediva a sua volta il diffondersi di un senso di unità condivisa, mentre orientamenti di pensiero profondamente differenti come il confucianesimo e il legismo – che talora trovavano punti di equilibrio o addirittura di fusione – problematizzavano la questione dei confini non solo geografici, ma anche spirituali della Cina pre-buddhista7.

6Sulla pluralità e l’intrinseca frammentazione interna della Cina, Kai Vogelsang è esplicito:

  • 8 Vogelsang 2014: 25.

La delimitazione netta della Cina rispetto all’esterno è un mito tanto quanto la sua mancanza di confini all’interno. Il cosiddetto «impero unitario» cinese non fu mai unitario, né dal punto di vista etnico né da quello culturale. Mongoli, popolazioni di ceppo turco e tai, e numerosi altri ancora, e perfino Indoeuropei, da sempre vissero frammisti alla popolazione «cinese». Portarono guerra e perdite irreparabili, ma anche stimoli e arricchimenti per la civiltà «cinese».8

  • 9 Leys 1991: 60-61.
  • 10 Jullien 2004: 113.

7Non è allora possibile concepire una Cina stabile e sempre uguale a se stessa a partire dalla dinastia Qin, né è lecito contrapporre in maniera inerte tale civiltà a un “fuori” altrettanto ipostatizzato, si tratti delle tribù mongole o di una generica alterità come l’Occidente. «La Cina», osserva Simon Leys, «è l’Altro fondamentale senza il cui incontro l’Occidente non può diventare veramente consapevole dei contorni e dei limiti del suo Io culturale»9. Per evitare quelli che François Jullien chiama gli «atavismi del pensiero»10, che demarcano in forma netta i confini fra civiltà, occorre pertanto interrogare tali confini, saggiarne la tenuta, metterne in luce la porosità.

  • 11 Marramao 2003: 56.
  • 12 Ivi: 58.

8Chiarita la necessità di una «desacralizzazione della diade Oriente/Occidente»11, e dunque l’esigenza di «sfondare il comodo divano orientale/occidentale su cui ci siamo fin qui seduti»12, ci si pone in questo contesto l’obiettivo di contribuire alla messa in discussione di tali rigide dicotomie attraverso l’analisi e la comparazione di specifiche esperienze artistiche.

9Se Oriente e Occidente non possono essere intesi come poli nettamente contrapponibili, ma come visioni del mondo intrinsecamente plurali e correlate, il presente contributo intende mettere in luce alcuni specifici elementi e dinamiche di fondo che – pur nella molteplicità delle loro forme, matrici e derivazioni – sembrano connotare trasversalmente i modi di intendere e produrre l’arte in Europa, e che non sono invece riscontrabili e immediatamente sovrapponibili agli altrettanto molteplici modi di intendere e produrre l’arte sviluppatisi in Cina. Proprio in quanto “multiversi” fluidi, gli “Orienti” cinesi e gli “Occidenti” europei vivono di reciproche influenze, ma anche di feconde differenze, che legittimano la presenza di quelle soglie tra pratiche e modi di pensiero che vanno riconosciute e pensate.

  • 13 Benjamin 1993: 9.

10Il primo elemento di discontinuità tra esperienze artistiche cinesi ed europee verrà riconosciuto nell’idea di opera come medium espressivo del carattere individuale del suo creatore e insieme del soggetto rappresentato; il secondo elemento riguarderà l’opera come medium del carattere collettivo dell’epoca storica in cui viene concepita. La tesi che si intende sostenere è che mentre l’arte occidentale tende a essere manifestazione sensibile dell’“essenza” soggettiva dell’autore e del suo modello, nonché monade storica, ossia «espressione integrale delle tendenze religiose, metafisiche, politiche ed economiche di un’epoca»13, l’arte cinese tende a essere manifestazione sensibile del “vuoto” come non-sé dell’autore e, al contempo, monade cosmica, che traspone in forme la natura come impermanenza, immenso scenario di processi dinamici che travalicano tanto i limiti del soggetto quanto quelli del contesto storico.

11Al fine di evitare di fare riferimento a modelli troppo astratti e poco realistici, si intende interrogare in termini comparativi la specifica esperienza artistica della pittura, storicamente contestualizzata in Europa nel periodo fra tardo Medioevo e xix secolo e in Cina nel periodo fra la dinastia Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911).

2 Ritratto, individualità e storia nell’Occidente moderno

  • 14 De Mauro, Grassi, Battisti 1972: 565.

12Il termine «ritratto»14, che in Europa entra in uso nel tardo Medioevo e diviene di uso comune tra il xiv e il xv secolo, rimanda in primo luogo al predicato re-traho, che indica un “trarre linee” come ripetizione, ri-produzione passiva di un soggetto artistico. Un secondo significato del termine è quello di pro-traho, che indica il disegnare qualcosa al posto di qualcos’altro con intento allegorico. Vi è poi una terza accezione di ritratto che si potrebbe definire “ermeneutica” e che intende la rappresentazione come messa in luce creativa e come interpretazione dell’essenza espressiva peculiare di un paesaggio, di un oggetto, ma principalmente di un volto. In quest’ultimo caso, lo sguardo e il tocco personale del pittore tra-ducono un soggetto dal piano della realtà a quello dell’immagine, offrendo nel ritratto un’interpretazione artistica dell’individualità. Nel dipinto convivono, pertanto, la custodia mimetica della verità espressiva dell’oggetto e il creativo rivelare e portare alla luce la sua essenza, il suo carattere invisibile in quanto ἦθος, forma della personalità, concrezione di appetizioni, emozioni e qualità morali. Nella pittura rinascimentale e barocca, così come nella ritrattistica del xviii e xix secolo, il polo mimetico-ricettivo e il polo creativo-espressivo sono elementi complementari: esteriorità e interiorità, corpo e anima, carattere e volto convergono nel ritratto. Se si pensa a Leonardo da Vinci, ad Albrecht Dürer, a Caravaggio, a Diego Velázquez, a Rembrandt, a Caspar David Friedrich, appare chiaro che la “verità” del ritratto sia correlata alla capacità dell’artista di interpretare in modo personale la rapraesentatio di un paesaggio (spirituale, idillico, placido, sublime, tempestoso, angosciante) o di salvaguardare e rivelare l’espressione e il carattere individuale di un volto (galante, estatico, demoniaco, giocoso, perverso, onesto, irruento, ponderato e così via).

  • 15 Gurisatti 2006: 23.

13La dimensione soggettiva del ritratto europeo fra xiv e xix secolo – pur con ovvie differenze – connota allora l’azione creativa del pittore, che non deve copiare in modo passivo, ma interpretare espressivamente, ri-creare e svelare in termini attivi l’originale. Così inteso, il volto del ritratto non rispecchia soltanto – in termini romantici – i sentimenti e l’interiorità del suo creatore, ma è medium di una polarità dinamica e di una convergenza fra anima e carattere, indole e temperamento del pittore e dell’oggetto raffigurato. Vi è pertanto una «“reciprocità di sguardi”, all’interno di una dialettica polare fra oggetto e soggetto in cui l’accoglimento e la donazione del senso fanno tutt’uno»15. Il grande artista non “vampirizza” allora la natura o il volto altrui imponendo se stesso, le proprie proiezioni sull’immagine, ma porta a emersione la “verità” del vissuto individuale attraverso la rappresentazione, che è atto insieme mimetico-passivo ed ermeneutico-attivo.

  • 16 Lavater 1968-1969: 51
  • 17 Sulzer 1967: 719.

14Come osserva Johann Kaspar Lavater, la qualità della genialità appartiene al pittore nel momento in cui egli «ci permette di riconoscere un’anima dotata di carattere personale; nel ritratto vediamo un essere individuale nel quale intelletto, inclinazioni, sentimenti, passioni, particolarità buone e cattive dello spirito e del cuore sono mescolati in un modo caratteristico»16. Allo stesso tempo, il genio pittorico è colui che ci rivela nel ritratto quella “verità” che nemmeno l’originale possiede. Come mostra sempre Lavater, citando dalla voce «Portrait» della Allgemeine Theorie der schönen Künste di Sulzer: «È raro che, nella natura, si possano vedere i volti in quella luce vantaggiosa in cui sa porli l’abile pittore… Da un buon ritratto possiamo conoscere l’uomo meglio che dalla natura»17.

  • 18 Gadamer 1983: 191.

15Nel dipinto l’“essenza” di un volto, di un paesaggio, di un oggetto si manifesta perciò più eloquentemente che nella realtà stessa: nella rappresentazione pittorica, come sottolinea Hans Georg Gadamer in Verità e metodo, il raffigurato subisce «una crescita nell’essere, un aumento d’essere», in virtù del quale l’originale acquista un «di più di realtà»18.

  • 19 Gurisatti 2006: 244.
  • 20 Baudelaire 1981: 89.

16Il tema dell’ontologia dell’arte emerge, allora, in modo perspicuo dall’analisi del ritratto occidentale, che – come si è sottolineato – non è mera copia di un essere raffigurato, ma nemmeno segno arbitrario: il dipinto mantiene piuttosto una comunione ontologica con ciò che rappresenta e insieme incrementa il suo “essere”, portando alla visibilità «l’espressione individuale del raffigurato con un surplus di chiarezza e di verità estetica»19. Il ritratto appare allora ontologicamente più potente del “vero” in virtù della sua funzione rivelativa dell’essenza del soggetto, del suo carattere, della sua personalità. «Il problema», rileva Baudelaire, «non è quello di copiare, ma di interpretare in una lingua più semplice e luminosa»20.

17L’interpretazione attiva del dipinto da parte del ritrattista occidentale, oltre a rivelare l’intima essenza del suo soggetto, comporta inevitabilmente che l’opera d’arte possa dirsi una “grafia” inconfondibile del suo autore, ossia una manifestazione materiale e visibile della sua personalità, del suo stile. Il ritratto è quindi anche espressione della soggettività dell’artista non perché quest’ultimo si serva consapevolmente dell’opera come mezzo per esprimere se stesso, ma perché inevitabilmente nell’opera si depositano – in modo affatto inconsapevole – elementi psichici radicati nel suo carattere personale ed insieme elementi essenziali dell’epoca, del clima, dell’atmosfera culturale collettiva in cui egli vive e produce. Nella ritrattistica occidentale sembra dunque ricorrere non solo un’intrinseca relazione fra l’opera e il carattere individuale dell’artista e del raffigurato, ma anche un legame altrettanto essenziale fra l’opera e il carattere collettivo-epocale del suo tempo.

  • 21 Gurisatti 2006: 250.
  • 22 Riegl 1953: 20,25, 73, 139, 272; Sedlmayr 1984: 46.

18Sul piano del carattere singolare, l’autentico contenuto del ritratto è, dunque, l’individualità intesa non empiricamente come immagine di una persona conosciuta, ma ontologicamente come manifestazione espressiva di tratti che ne rivelano l’intima essenza. Osservando un ritratto, abbiamo perciò l’impressione che esso catturi la personalità del suo soggetto. È a partire dal tardo Medioevo che il ritratto europeo assume una connotazione individuale sempre più marcata. Rispetto alle figure impersonali, stereotipate e spiritualizzate del canone iconografico ecclesiastico, emerge l’elemento temporale, concreto, umano: «sono i volti di Giotto, intorno al 1300, con le loro accentuate caratteristiche individuali, ad anticipare la grande epoca del ritratto»21. A partire dal Quattrocento si assiste in Europa allo sviluppo di un Porträtwollen – di una “volontà di ritratto” ovvero di un “volere ritrattistico” – intrinsecamente legato al cambiamento epocale del Rinascimento. Questo grande rivolgimento culturale si riverbera nel dipinto e in generale in ogni aspetto dell’arte: il passaggio dalla rigida obbedienza alle leggi corporative medievali al sorgere di un tipo nuovo di artista, essenzialmente diverso dall’artigiano, rappresenta, in Europa, il mutamento di quello che Alois Riegl definisce Kunstwollen, “volere artistico” o “volontà d’arte”22. Rinnovatosi lo spirito del tempo, si modificano il “gusto”, lo stile e la concezione del ritratto, che sono espressione morfologica della storia, forma visibile, precipitato e incarnazione del peculiare carattere collettivo-epocale. Il nuovo artista, manipolando la materia, infonde nell’opera un’impronta stilistica non solo personale, ma un tratto tipico che inaugura un’intima relazione e un’affinità intensiva fra volto del ritratto e volto della storia.

  • 23 Riegl 1953: 21, 109.
  • 24 Id. 1963: 6.
  • 25 Panofsky 2016: 13.
  • 26 Id. 1984: 159.
  • 27 Cfr. Wölfflin 1915.
  • 28 Cfr. Panofsky 2016: 22.

19Nelle opere di Donatello, Ghiberti, Brunelleschi, Piero della Francesca, Mantegna, Botticelli, Masaccio, Domenico Ghirlandajo e così via, si manifesta quell’affermazione dell’io individuale – della sua eternità e idealità – che è la cifra stessa del Rinascimento. Viene a emersione, così, il peculiare Kunstwollen come «forza fatale e ineluttabile»23, «immanente impulso creativo artistico»24, che accomuna il carattere dell’artista, dell’opera e dell’epoca. Nell’Autoritratto di Dürer (1500) e in quello di Leonardo (1512) l’intero mondo umanistico e rinascimentale, ossia il suo Wollen artistico, filosofico, religioso e politico, si condensa intensivamente nel tratto minimo: il ritratto è monade dello spirito, del carattere, delle esigenze etiche ed estetiche di una collettività epocale. Nel suo saggio teorico Il problema dello stile nelle arti figurative (1915)25 e poi ne Il concetto di «Kunstwollen» (1920)26, Erwin Panofsky, riprende i temi di Riegl ponendosi in termini critici rispetto alla concezione stilistica di Heinrich Wölfflin27 e mette in luce come lo strumento organico dell’occhio dell’artista non possa prescindere dall’atteggiamento sovrapersonale dell’epoca che ne segna lo spirito, il temperamento, la disposizione, il sentimento. Ecco che «opere totalmente diverse nella loro essenza individuale come Il ritratto di Hieronymus Holzschuher di Dürer (1526) e il Ritratto di Baldassarre Castiglione di Raffaello (1514-1515) possono apparire in definitiva espressivamente apparentate»28.

  • 29 Fraenger 1920: vi.
  • 30 Cfr. Goethe 1983; Gurisatti 2010: 98.

20Il valore rivelativo del dettaglio, del tratto inappariscente, non si riverbera, d’altro canto, secondo questa impostazione esegetica, unicamente nell’unicità del capolavoro pittorico, ma anche nel prodotto artigianale minore, nel manufatto che – dai rebbi di una forchetta al giocattolo – è a sua volta “traccia” ineffabile di un “gusto” storico. Citando Friedrich Schlegel, Wilhelm Fraenger afferma: «Nella storia dell’arte […] tutto riposa su innumerevoli minuzie […]»29. Si tratta di una linea ermeneutica che prende le mosse dalla nozione goethiana di Urphänomen: come per il Goethe della Metamorfosi delle piante, la foglia, la Urpflanze, è «espressione fenomenica concentrata in un punto del mondo vegetale»30; allo stesso modo per gli interpreti della morfologia della storia il dettaglio artistico-artigianale è forma concreta e visibile del carattere, dell’anima, della struttura e dell’“idea” di un’epoca.

  • 31 Mastroianni 2000: 413-442.
  • 32 Benjamin 2003: 248.

21L’attenzione per il tratto minimo, indagato dalle lenti della micrologia, si condensa nel motto di Aby Warburg «il buon Dio abita nel dettaglio»31, e costituisce la cifra del metodo di indagine favorito da Benjamin, per il quale «solo tra le pieghe si trova l’essenziale […] la memoria passa dal piccolo al piccolissimo, e da questo al minuscolo, e ciò che incontra in questi microcosmi diventa sempre più potente»32. Profonde consonanze si possono cogliere nella riflessione di Gottfried Semper, Ludwig Klages, Wilhelm Worringer, Oswald Spengler, Georg Simmel, Hans Sedlmayr e Rudolf Kassner.

  • 33 Cfr. Riegl 1908; Benjamin 1999.

22Tali riferimenti appaiono importanti giacché scardinano, di fatto, la rigida distinzione – frutto della moderna categorizzazione storicistica europea – fra “belle arti” e “arti minori”, ovvero fra “arte” ed “artigianato”, restituendo una visione estetica “occidentale” demarcata in modo meno netto e schematico. L’attenzione di Riegl – e poi di Benjamin – nei confronti del Barocco33, il suo interesse per l’Art nouveau, il Liberty, lo Jugendstil, la tessitura, la miniatura, il mosaico e l’arte tardo romana, dimostrano l’importanza, per il grande storico dell’arte, di recuperare delle “zone d’ombra” della storia dell’arte e della cultura. In questo senso, la grecità – ovvero il mondo “classico” – non costituisce affatto la sola matrice dell’arte europea, né l’unica pietra angolare dalla quale giudicarla.

  • 34 Cfr. Maravall 1989.

23Tornando alla pittura, come il volto del ritratto rinascimentale, sobrio, nobile, maestoso, è traccia micrologica di una nuova ideologia individuale che pone l’uomo al centro del cosmo divinizzandolo, così il volto del ritratto barocco rispecchia una diversa atmosfera culturale, un altro Kunstwollen. Le scoperte scientifiche e il conseguente decentramento dell’uomo e del mondo nell’Universo collegati alla rivoluzione copernicana, gli elementi di mobilità del Seicento con i suoi contrasti dinamici fra istituzioni autoritarie e libero commercio, tradizione religiosa conservatrice e nascita della cultura urbana34, si riverberano nei volti di Velázquez, Rubens, Rembrandt.

  • 35 Gadamer 1983: 175 sgg.
  • 36 Ōhashi 2017: 150.
  • 37 Gurisatti 2006: 252.
  • 38 Simmel 1991: 31.

24I processi di secolarizzazione che attraversano l’Europa del xvii secolo mettono in crisi la rappresentazione artistica del volto come imago Dei35, come espressione dell’homo universalis: parlando dell’Autoritratto di Leonardo, Ryōsuke Ōhashi afferma: «se a questo ritratto aggiungessimo un’aureola e un bastone pastorale, esso assomiglierebbe all’immagine di “Dio Padre”»36. Il peculiare spirito epocale barocco si manifesta allora «nell’aspetto transitorio, momentaneo, emozionale della figura»37. Il dipinto rispecchia, anche in questo caso, il periodo storico in cui è prodotto: il ritratto di Rembrandt, osserva Georg Simmel, emerge «dalla vita che è sempre e soltanto in divenire, soggetta al destino del tempo»38.

25I fondamentali mutamenti che segnano la modernità europea sono allora estremamente significativi per cogliere l’intima relazione fra arte e storia che connota la pittura occidentale, come dimostra la ritrattistica settecentesca, specchio di un “volere artistico” ancora differente, che scalza la sensibilità barocca ed esalta gli ideali illuministici di naturalezza, sincerità, trasparenza. Ecco emergere il simple style di Thomas Gainsborough, l’espressività di William Hogarth, ma anche il manierismo rococò di François Boucher. L’Ottocento sarà, a sua volta, foriero di epocali cambiamenti, che trovano riscontro nella scomposizione espressionista del ritratto in Édouard Manet e Paul Cézanne, e che preannunciano la frantumazione della forma e della soggettività propria della stagione delle avanguardie.

26In che termini, alla luce di questa breve ricognizione, le esperienze pittoriche cinesi si differenziano, ovvero non ricalcano, i rapporti espressivi fra soggettività, creazione artistica e strutture storiche caratteristici della ritrattistica occidentale moderna?

Ritratto, individualità e storia nella pittura cinese Ming e Qing

  • 39 Cfr. Caterina 2006: 135.

27Benché si intenda circoscrivere l’indagine sulla pittura cinese al periodo fra il xiv e il xix secolo, così da garantire un confronto sincronico con le esperienze artistiche europee appena convocate, appare necessario fare riferimento alle origini antiche di tale pittura, che rappresentano un punto di riferimento e un modello canonico imprescindibile e costante per i tutti i maestri moderni. Le prime manifestazioni pittoriche cinesi di cui si ha testimonianza risalgono al periodo degli Stati Combattenti (480-221 a.C.), tuttavia di tale fase non resta quasi nulla a eccezione di reperti murari e funerari39. È nell’arco temporale fra il iii e il vi secolo d.C., comunemente chiamato periodo dei Tre regni e delle Sei Dinastie, che nascono e si sviluppano le prime scuole e le prime opere teoriche dedicate alla pittura. Fra i contributi critici di questo periodo va ricordata l’opera 古畫品錄 (Guhua pin lu, Registrazione e classifica delle antiche pitture) scritta intorno al 500 d.C. da Xie He 谢赫. L’Autore suddivide quarantatré pittori dei tempi passati in sei classi e formula i sei principi liufa (六法) per giudicare dipinti e artisti.

  • 40 Xie He 1996: 616. Cfr. Caterina 2006: 135-136.
  • 41 Fongaro, Ghilardi 2005: 145.
  • 42 Shitao 2014: 64.
  • 43 Ibidem.

28I sei principi fondanti della pittura postulano 氣韻生動 (qiyun shengdong, «l’animazione attraverso la consonanza dello spirito»), 骨法用筆 (gufa yongbi, «il metodo strutturale nell’uso del pennello»),應物象形 (yingwu xianxing, «la fedeltà all’oggetto nel ritrarne le forme»), 隨類賦彩 (suilei fucai, «la conformità al genere nell’applicare i colori»), 經營位置 (jingying weizhi, «la progettazione adatta nella sistemazione degli elementi») e 傳移模寫 (zhuanyi moxie, «la trasmissione dell’esperienza del passato nel fare le copie»)40. Il principio che postula la «consonanza dello spirito» allude alla necessità, da parte del pittore, di lasciar fluire dinamicamente il qi (氣), l’“energia vitale”, il “soffio”, lo “spirito”. Tale flusso è ciò che consente lo scambio vicendevole e aperto (appunto la «consonanza») fra i poli rappresentati dal corpo del pittore e dal suo cuore-mente (xin 心), ma anche fra l’esteriorità dell’ambiente e l’interiorità dell’artista. Nel dipinto si riverbera perciò la spontaneità della natura (ziran 自然, ciò che accade «così da sé»)41 ed è di tale dinamismo e di tale processualità naturale che il dipinto cinese è monade e microcosmo. L’atto creativo del ritratto perciò è segno, traccia e frammento in cui si ricrea e si esprime il Dao (道), la dinamica polare e a-duale del cosmo, la relazione scambievole e fluida degli elementi naturali. Il riferimento di Xie He all’«animazione attraverso la consonanza dello spirito» rimanda al all’atto morfogenetico alla base dell’«unico tratto» di cui parla Shitao 石涛 (1642-1707) a distanza di secoli: «L’unico tratto, yi hua 一畫, è “radice di tutti i fenomeni”»42: la pittura genera il mondo, ovvero i «diecimila esseri», la totalità degli aspetti e dei processi di cui si compone il reale43.

  • 44 Ivi: 37.
  • 45 Pasqualotto 2014: 14.
  • 46 Laozi 2004: 11, 60; 2018.
  • 47 Cfr. Cheng 2016: 37.
  • 48 Pasqualotto 2002: 37-73.

29Il ritratto non è, pertanto, espressione del carattere del suo autore, né è rivelazione della personalità del suo soggetto, né ancora è manifestazione di un peculiare “gusto epocale”, bensì costituisce una pratica che, ricreando il cosmo (e non imitandolo), attiva una risonanza tra uomo e natura, una dinamica respiratoria che aderisce al fluire del reale44. Dipingere significa esplicitare il soffio del qi, seguire il Dao ossia conformarsi all’alternanza polare di inspirazione ed espirazione che rimanda alla rappresentazione taoista del mondo basata sui due principi opposti e complementari di yin (陰) e yang (陽). Se il tema dell’ontologia dell’arte emerge nella ritrattistica europea lì dove il volto dipinto rivela un surplus dell’essenza individuale (del genio artistico, del soggetto rappresentato, della storia), l’unità di yin e yang nel dipinto cinese non è finalizzata a un incremento ontologico, a un potenziamento dell’essere, ma piuttosto a valorizzare e vivificare il fattore del vuoto. Non solo il vuoto è la condizione di possibilità universale per la circolazione dei soffi vitali e per il dinamico compenetrarsi di qualsiasi polarità, ma è anche la matrice inesauribile di ogni creazione artistica: per trasferire delle forme sulla carta o sulla seta, il pittore deve primariamente realizzare wu xin (無心), «lo svuotamento di cuore-mente, la liberazione da ogni distrazione, preoccupazione, fantasia, ricordo, pregiudizio»45. Come si legge nel 道德經 (Daodejing, Il canone della Via e della Virtù), «seguire il Dao» significa «svuotare il cuore»46, abdicare alla soggettività, a quell’individualità che costituisce il focus ontologico del ritratto europeo moderno. La nozione di vuoto a fondamento dell’ontologia taoista47 si ritrova poi al cuore degli insegnamenti del Buddha nei concetti fondamentali di «non-sé» (anatta) – ossia di «vuoto di sostanzialità», «non-anima», «non permanenza di un’identità personale» – e di «impermanenza» (anicca) – ossia di «transitorietà», «vuoto temporale»48.

  • 49 Ivi: 50.
  • 50 Shitao 2014: 135-139.
  • 51 Ivi: 136.
  • 52 Jullien 2004.
  • 53 Ghilardi 2014: 405.

30Dal Rinascimento al Romanticismo gli elementi del talento, della genialità, dell’ispirazione, dell’originalità creativa rivelano, di contro, il ruolo chiave della dimensione psicologica e caratterologica personale nella vicenda pittorica occidentale. Non l’essenza soggettiva, ma il vuoto come negazione della fede «nell’essenzialità dell’io, della pienezza di sé»49 rende invece possibile il rapporto osmotico tra realtà e rappresentazione nella pittura cinese classica. Ecco che Shitao, nei suoi famosi Discorsi sulla pittura del monaco Zucca Amara (inizio del xviii secolo, dinastia Qing), invita ad «allontanarsi dalla polvere»50, ossia a emanciparsi da qualsiasi forma di attaccamento egoico e ad aprirsi alla naturalità, al fine di cogliere, tramite il pennello, «la consapevolezza del fluire stesso della vita, nel suo darsi, […], nel suo passare con i ritmi non sempre armoniosi delle stagioni, degli anni […]»51. Questo invito di Shitao a non opporre al reale la propria interiorità creatrice, il proprio “volere ritrattistico” (Porträt-wollen) richiama quello – sia taoista che buddhista – a non cristallizzare la costitutiva impermanenza del tempo. Non è la forma del tempo che si coagula nell’opera rivelando in essa la propria essenza metafisica (Kunst-wollen), ma è l’assenza di forma – il dinamico «vuoto di permanenza» – ciò che paradossalmente prende vita nel segno immobile della pittura. Affermare che «la grande immagine non ha forma»52 significa allora mettere in luce come, non solo in ambito pittorico, ma anche storico, la Cina non abbia mai sentito la necessità di una compartimentazione del tempo, ma abbia piuttosto cercato di «cogliere l’unità fondamentale, omogenea e unitaria della “trasmissione della Via” (daotong53.

  • 54 Nietzsche 2007.

31La scansione temporale e la sua categorizzazione storiografica rappresentano pertanto una peculiarità metodologica moderna della cultura europea e non una prerogativa della Cina tradizionale: proprio la «malattia storica» dell’ipertrofia monumentale e antiquaria – rappresenta l’oggetto polemico del manifesto antistoricista e “inattuale” per eccellenza che Nietzsche intitola Sull’utilità e il danno della storia per la vita54. Nemico della vita e del suo esuberante fluire, lo storicismo occidentale connota decisamente anche la storia dell’arte, costruendo ad hoc distinzioni categoriali altrimenti liquide. Responsabilità dello schematismo storicistico è, peraltro, la definizione stessa di “belle arti”, nella sua contrapposizione all’artigianato. Come il confine netto fra arte e artigianato viene messo in discussione dalle letture “micrologiche” e “anticlassiche” di Riegl, Benjamin, Worringer e di molti altri interpreti, così tale distinzione risulta certamente forzata contestualmente alle varie aree culturali della Cina. Se tuttavia, nell’ottica dell’ermeneutica del dettaglio, l’artigianato prodotto in Europa è considerato manifestazione visibile del tempo, ossia espressione fenomenica concentrata di una specifica forma storica, l’artigianato cinese (dal vasellame ai monili di giada, dagli amuleti alle porcellane), non convoca una simbiosi tra l’oggetto e il temperamento epocale, ma è semmai anch’esso manifestazione dell’energia sovrastorica del qi.

32Laddove non c’è scansione storicistica del tempo, ma circolazione della medesima energia vitale, non può evidentemente esservi Zeitgeist, ovvero spirito di un’epoca: si potrà semmai parlare di qualità artistiche ricorrenti e correlate, che si avvicendano e si perpetrano ripresentandosi talora identiche in epoche diverse, come avviene nel ritmo delle stagioni.

33Non sorprende allora che la necessità di attivare il qi postulata inizialmente da Xie He venga ripresa da Shitao, né che gli altri principi del Guhua pin lu relativi all’esecuzione della pittura (l’importanza della pennellata nello stabilire la forma, la riconoscibilità degli oggetti, l’uso dei colori adatti, la corretta composizione e l’esempio inestimabile degli antichi maestri) non sembrino essere semplicemente un distillato teorico del “volere artistico” proprio dell’epoca delle Sei Dinastie, ma piuttosto un modello e un canone metastorico al quale la gran parte dei pittori cinesi delle fasi storiche successive ha attinto.

  • 55 Cfr. Alberti 1950.
  • 56 Shitao: 34.
  • 57 Cfr. Jullien 2008: 19.
  • 58 Bacone 1971: 1.

34Ciò non significa che la pittura e l’artigianato cinese tradizionale nel corso della loro storia millenaria siano rimasti immutati, ma piuttosto che gli artisti abbiano innanzitutto considerato il passato come sfondo e contenitore retorico da riattivare e riempire di volta in volta con forme e unità stilistiche differenti. Mentre, allora, nel suo breve trattato sulla pittura, Leon Battista Alberti (1436) chiude, di fatto, con la precettistica delle gilde medievali, inaugurando una sensibilità, un gusto, un carattere epocale (Kunstwollen) altro rispetto al mondo che lo ha preceduto55, nei suoi Discorsi Shitao – pur scagliandosi contro ogni tendenza meramente manierista – sottolinea costantemente la necessità di conoscere e comprendere la regola (liaofa 了法), identificando nel rispetto dei modelli canonici dell’antichità, nell’aderenza al loro metodo (fa 法), «uno dei momenti fondamentali dell’apprendimento»56. È pur vero che anche la tradizione pittorica europea si sviluppa attraverso l’apprendistato, il tirocinio presso i maestri, lo studio dei classici e dei manuali canonici nelle accademie d’arte; e tuttavia il passaggio dal Medioevo al Rinascimento e da questo alla rivoluzione scientifica, o ancora l’avvicendarsi dell’illuminismo settecentesco al mondo barocco, segnano dei veri e propri scarti non solo dell’immagine dell’uomo, ma anche dell’immagine del mondo e nel rapporto tra uomo, natura, arte e storia. Come sottolinea Jullien, la vicenda storica cinese non esperisce ugualmente i ritmi di tale sviluppo57: mentre l’età umanistico-rinascimentale oppone una cultura antropocentrica – e dunque lo studio dell’humanitas – alla cultura teocentrica medievale, creando le condizioni per una concezione affatto nuova del sapere, al susseguirsi delle dinastie, per secoli in Cina restano sottese visioni del mondo stabili di matrice confuciana, taoista e buddhista. La presenza di stereotipie nell’ornato, nella manifattura e nella pittura si intreccia a uno sviluppo storico che vede la Cina attestarsi come un Impero centralizzato le cui istituzioni – fondate sul potere assoluto dell’Imperatore e sulla stabile burocrazia del mandarinato – si manterranno pressoché intatte dal 221 a.C. sino alle invasioni occidentali del xix secolo. Contestualmente alle epoche Ming e Qing, non si assiste, pertanto, a rivoluzioni antropologiche, gnoseologiche e artistiche equivalenti a quelle che connotano i differenti caratteri epocali europei. Il frontespizio dell’Instauratio magna scientiarum di Bacone, pubblicata nel 1620, raffigura una caravella nell’atto di varcare le «colonne d’Ercole», a simboleggiare la consapevolezza dell’Autore di avventurarsi verso un nuovo mondo, verso un’inedita concezione del sapere come dominio dell’uomo sulla natura58. Fra il xiv e il xix secolo la Cina continua invece a cogliere la natura come insieme dinamico organico di processi, e a intendere la storia a sua volta come interazione dinamica di eventi e non come scansione causale di epoche. Giacché i «fattori correlati» di yin e yang, che mantengono in moto il processo naturale del Dao, indicano la totalità dei processi e delle polarità, essi coinvolgono in un rapporto di respirazione e correlazione anche il presente e il passato, la regola e l’innovazione.

35I dipinti di paesaggi (shanshui 山水,) o i ritratti di figura umana (renwu 人物) della scuola Zhe (浙, xv secolo) non esprimono pertanto un carattere e un “volere artistico” particolarmente differente da quelli appartenenti alle tradizioni Song (960 d.C. - 1279 d.C.) e Yuan (1264 d.C. - 1368 d.C.), né si colgono fra i dipinti di epoca Ming e quelli di epoca Qing le medesime rivoluzioni stilistiche che separano il Rinascimento dal Barocco. La visione cosmologica che si esprime nel dipinto di paesaggio intitolato Spingendosi al di là del ponte a opera di Dai Jin 戴進 (1388-1452), fondatore della scuola Zhe, trova, per esempio, riscontro nel dipinto di Shitao Nebbia mattutina tra i bambù dorati, realizzato nel 1669. Pur nella differenza degli stili, in entrambe le opere il rapporto che intercorre fra pittura e dinamismo del mondo è il medesimo: nel paesaggio non è proiettata l’individualità personale dell’artista, e ogni elemento (la montagna, la roccia, gli alberi, la nebbia, il cielo e la terra) è in relazione e tensione polare con l’altro. Ciò che emerge non è perciò l’essenza ontologica della soggettività e della temporalità, ma il fluire del qi in una rete di elementi interagenti e interdipendenti priva di un’identità fissa.

  • 59 Chevrier 1986: 119-144. Duranti 2010: 21.

36Come i colori e le fantasie possono ricorrere nell’ordito di un tessuto, così i motivi decorativi, gli elementi pittorici e le forme artigianali possono riemergere a distanza di secoli nella storia cinese, che – pur nella pluralità dei suoi paradigmi –59 è, a sua volta, attuazione di un libero incontro fra passato e presente, necessaria continuità fra tradizione e mondo attuale (jinshi 今时).

37È significativo in questo senso che il carattere utilizzato per indicare i testi cinesi classici sia jing (經), che indica propriamente la trama della stoffa: la tradizione costituisce così l’intreccio e la struttura portante del tempo e intrattiene un rapporto attivo con il presente, aprendo in esso dei varchi e tornando continuamente a nuova vita. Conoscere e rinnovare la pittura significa, in questo senso, rilanciare l’arte degli antichi: il rispetto della tradizione come elemento cardine della cultura confuciana, la fluidità del Dao e l’elemento dell’impermanenza buddhista attraversano come un filo rosso la storia della Cina pur nei suoi sconvolgimenti politici e sociali, cosicché gli artisti non seguono pedissequamente la regola, ma la modulano e la introiettano dinamicamente, creativamente, senza mai infrangerla.

38Già all’epoca della dinastia Han la storia acquisiva senso proprio in continuità con i mutamenti dell’universo e della natura tramite la Teoria dei Cinque Elementi (wuxing 五行). Mentre nel passaggio dal romanico al gotico, oppure dal barocco al rococò, tanto le singole opere d’arte quanto l’elemento micrologico e inappariscente del dettaglio artigianale condensano il gusto epocale, non si riscontra invece in Cina un equivalente fenomeno di fissazione temporale e di cristallizzazione delle tappe del divenire nell’opera, poiché i processi storici e artistici di cui si compone il reale sono un tutt’uno con il processo del Dao.

  • 60 Sima Qian 2017: I, 612; Vandermeersch 1987: 22.

39L’artista e l’artigiano agiscono secondo principi già sperimentati come positivi ed efficaci nelle epoche precedenti e dunque accordano il loro produrre all’ordine universale e alle sue cicliche ricorrenze. Ecco che Sima Qian 司馬遷 (145-86 a.C.), storico cinese autore dello 史記 (Shiji, Memorie storiche) dichiara che il suo scopo è di «Delucidare l’unione del cielo e dell’umanità attraverso i cambiamenti del tempo»60.

  • 61 Yu Jianhua 1986: I, 990. Cfr. Ghilardi 2014: 34.

40In questa prospettiva di intima correlazione fra la natura («il cielo») e la storia («i cambiamenti del tempo»), che vivifica l’arte attraverso una costante attualizzazione del passato, il pittore Dai Xi 戴熙(1801-1860 d.C.) mette in luce tutto il potenziale creativo insito nel rinnovo dei modelli canonici antichi. L’artista moderno deve fare in modo che sia la tradizione a essere sua mimesi, e non viceversa: «facile è dipingere assomigliando agli antichi, difficile è dipingere come se [fossero] gli antichi ad assomigliare a me»61.

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Note

1 Cacciari 2016: 19; 2000, 73-79.

2 Crisma 2016: 198.

3 Amselle 2001: 53.

4 Crisma 2016: 193.

5 Pischel Fraschini 2019: 32.

6 È stato opportunamente messo in luce come, in particolare con l’espansione della dinastia Qing nell’Asia continentale, molti gruppi nomadi della regione del Kirghizistan, del Kazakistan e della Mongolia stabilirono con la Cina relazioni di «commercio», «interdipendenza», «collaborazione». Fra gli obiettivi cinesi vi era quello di preservare la lealtà dei capi tribù, ma anche la loro indipendenza. I nomadi ebbero accesso a una serie di privilegi economico-culturali e a loro volta influenzarono e trasformarono l’assetto cinese, specie dal punto di vista della tecnica militare legata alla cavalleria e al tiro con l’arco. Per quanto riguarda specificamente le relazioni cinesi con le tribù mongole, queste si svilupparono nel contesto di una diplomazia ritualizzata, che includeva il frequente verificarsi di matrimoni, alleanze, giuramenti di sangue, scambi di doni e reciproci inviti. Cfr. Di Cosmo 2003: 351-372; 2013: I, t. II, 263-320; 2013: II, 243-255.

7 Cfr. Roetz 1984.

8 Vogelsang 2014: 25.

9 Leys 1991: 60-61.

10 Jullien 2004: 113.

11 Marramao 2003: 56.

12 Ivi: 58.

13 Benjamin 1993: 9.

14 De Mauro, Grassi, Battisti 1972: 565.

15 Gurisatti 2006: 23.

16 Lavater 1968-1969: 51

17 Sulzer 1967: 719.

18 Gadamer 1983: 191.

19 Gurisatti 2006: 244.

20 Baudelaire 1981: 89.

21 Gurisatti 2006: 250.

22 Riegl 1953: 20,25, 73, 139, 272; Sedlmayr 1984: 46.

23 Riegl 1953: 21, 109.

24 Id. 1963: 6.

25 Panofsky 2016: 13.

26 Id. 1984: 159.

27 Cfr. Wölfflin 1915.

28 Cfr. Panofsky 2016: 22.

29 Fraenger 1920: vi.

30 Cfr. Goethe 1983; Gurisatti 2010: 98.

31 Mastroianni 2000: 413-442.

32 Benjamin 2003: 248.

33 Cfr. Riegl 1908; Benjamin 1999.

34 Cfr. Maravall 1989.

35 Gadamer 1983: 175 sgg.

36 Ōhashi 2017: 150.

37 Gurisatti 2006: 252.

38 Simmel 1991: 31.

39 Cfr. Caterina 2006: 135.

40 Xie He 1996: 616. Cfr. Caterina 2006: 135-136.

41 Fongaro, Ghilardi 2005: 145.

42 Shitao 2014: 64.

43 Ibidem.

44 Ivi: 37.

45 Pasqualotto 2014: 14.

46 Laozi 2004: 11, 60; 2018.

47 Cfr. Cheng 2016: 37.

48 Pasqualotto 2002: 37-73.

49 Ivi: 50.

50 Shitao 2014: 135-139.

51 Ivi: 136.

52 Jullien 2004.

53 Ghilardi 2014: 405.

54 Nietzsche 2007.

55 Cfr. Alberti 1950.

56 Shitao: 34.

57 Cfr. Jullien 2008: 19.

58 Bacone 1971: 1.

59 Chevrier 1986: 119-144. Duranti 2010: 21.

60 Sima Qian 2017: I, 612; Vandermeersch 1987: 22.

61 Yu Jianhua 1986: I, 990. Cfr. Ghilardi 2014: 34.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Alberto Giacomelli, «Pittura, soggettività e storia. Forme estetiche e attraversamenti ermeneutici fra Cina ed Europa»Rivista di estetica, 72 | 2019, 30-47.

Notizia bibliografica digitale

Alberto Giacomelli, «Pittura, soggettività e storia. Forme estetiche e attraversamenti ermeneutici fra Cina ed Europa»Rivista di estetica [Online], 72 | 2019, online dal 01 mars 2020, consultato il 15 mai 2025. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/estetica/5932; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/estetica.5932

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