Navigazione – Mappa del sito

HomeNumeri32variaIl denaro come limite dell’econom...

varia

Il denaro come limite dell’economia e incidente della storia

Pierangelo Dacrema
p. 133-150

Testo integrale

1 I difetti del sistema denaro e il denaro come difetto del sistema

1Vale la pena di studiare l’ipotesi di un sistema economico capace di svolgere le sue tipiche funzioni in assenza di denaro? È utopistico lo scenario di un mondo che decide di fare a meno del denaro e che compie questa rivoluzione nel giro di decenni e non di millenni? È pensabile che una nuova economia non monetaria sia in grado di offrire tangibili vantaggi rispetto a quella attuale?

2Sono queste le domande a cui intendiamo rispondere. Ed è chiaro che la risposta potrebbe essere no, non sembra neanche il caso di prendere sul serio un’idea che, per quanto suggestiva, appare irrimediabilmente stravagante e priva di sbocchi concreti. Oppure sì, gli argomenti utilizzati per mettere a fuoco l’ipotesi sono abbastanza convincenti da suggerire la necessità di ulteriori approfondimenti. In ogni caso, soddisfare la curiosità che potrebbero aver destato i nostri interrogativi costerebbe “soltanto” la pazienza di una breve lettura.

3Ciò premesso - e aggiungendo che ci accontenteremmo, alla fine, di aver insinuato almeno un dubbio -, occorre innanzitutto risolvere un importante problema metodologico. Affinchè si possa parlare della scomparsa del denaro - del superamento e dell’abolizione della moneta -, devono ricorrere almeno due condizioni preliminari. La prima è che lo strumento di cui si tratta sia criticabile sul piano logico. La seconda è che esso sia censurabile anche sul piano pratico. Entrambe le condizioni devono essere riconducibili alle caratteristiche intrinseche dello strumento. Sul primo punto, che verrà ripreso in seguito, basti dire che ci si riferisce alla necessità che lo strumento presenti dei difetti più o meno vistosi (imperfezioni, inadeguatezze, contraddizioni in relazione alle sue stesse funzioni). Difetti che dovranno essere strutturali, non confondibili con il sintomo della necessità di possibili perfezionamenti. Per esempio, un volta riconosciuta l’indispensabilità del ruolo dello Stato, potrebbe diventare opinabile, o fastidioso, l’obbligo da parte di tutti di pagare le tasse per garantire il suo funzionamento. Ma sarebbe davvero difficile da sconfessare il principio per cui tutti i percettori di un reddito debbano dare il proprio contributo. In altri termini, il sistema della tassazione potrà risultare migliorabile ma non per questo essere considerato un metodo sbagliato. Proprio a qualcosa di intimamente sbagliato allude invece la prima delle nostre due condizioni preliminari. Con il secondo punto — quello della censurabilità sul piano pratico - ci si riferisce invece, e molto precisamente, alla condizione del denaro di mero strumento. Proprio in quanto tale, e solo tale, io potrò lamentarmene e sottolinearne i limiti. Proprio perché non è una religione, un credo, un sentimento o una convinzione personale, per quanto profonda e diffusa, io potrò giudicarlo. Solo la somma di queste due condizioni (di queste due caratteristiche) ci consente di affrontare liberamente Fargomento. Perché non potremmo puntare il dito contro un “metodo” giusto e impeccabile, per quanto oneroso e complicato nella sua applicazione, né potremmo permetterci di condannare un criterio che a noi appare sbagliato se fosse in gioco un punto di vista “ideologico”, e non solo un mezzo da valutare sotto l’aspetto squisitamente pratico.

4A queste due prime condizioni se ne devono però aggiungere altre due, per evitare che il nostro discorso appaia irrimediabilmente utopistico. Infatti, occorre inoltre che: a) esista un mezzo idoneo a risolvere i problemi alla cui soluzione è oggi delegato il “metodo sbagliato”; b) il mezzo nuovo presenti, rispetto a quello vecchio, minori inconvenienti a parità di vantaggi, maggiori vantaggi a parità di inconvenienti o una combinazione degli uni e degli altri palesemente migliore. Saremmo tentati di aggiungere un terzo requisito: che il nuovo metodo, data la peculiarità dei compiti assolti da quello vecchio, riesca a coesistere con i peggiori vizi dell’umanità (ciò che, almeno in una certa misura, ha dimostrato di saper fare il denaro). Ma sembra di poter ritenere che il punto b) includa di fatto questa esigenza.

5Tirando le somme, restano aperte tre questioni. E ciò perché considereremmo già soddisfatta la seconda delle prime due condizioni (sempre che ci si possa azzardare a sostenere senza ulteriori commenti che il denaro non è, né è lecito che diventi, una fede, un’opzione non giudicabile per la sua natura esoterica o sentimentale). Ma i problemi metodologici non finiscono qui. Infatti, prima ancora di passare all’esame della solidità del nostro punto di partenza (il denaro come strumento difettoso sul piano logico), occorre chiarire almeno le più immediate implicazioni della seconda coppia di condizioni.

6A questo punto dovrebbe risultare inequivocabile il nostro scopo. Che il denaro presenti dei difetti da correggere è cosa ovvia. Che sia esso stesso il difetto da eliminare è l’ipotesi su cui stiamo lavorando.

2 Le regole di un'economia postmonetaria

7L’esistenza di una “tecnica” destinata a occuparsi dei problemi attualmente risolti dal denaro implica: 1) la formulazione di nuove regole per una nuova economia; 2) la circostanza che tali regole possano essere imparate (siano oggetto di apprendimento in tempi e con modalità ragionevoli).

  • 1 La “brutalità” del termine serve a chiarire che abbiamo in mente un sistema economico in cui sia pi (...)

8Occorre poi spiegare quali sarebbero i vantaggi della nuova economia. Punto sul quale non si può mancare di intelligibilità né di concretezza, tali vantaggi dovrebbero essere misurabili in termini di una riduzione della povertà (diminuzione del numero dei poveri, fino alla loro scomparsa, in un’accezione molto comune e intuitiva del concetto di povertà) e di una parallela salvaguardia delle possibilità (se non di un aumento rispetto a quelle attuali) di diventare ricchi1.

9In altre parole, a prescindere da effetti redistributivi che si ha ragione di ritenere possibili se non addirittura probabili e auspicabili, ci riferiamo a un sistema che contemplerebbe (come ora) forti accumuli della ricchezza e che non ne disturberebbe più di tanto la dimensione di “mito” da inseguire, lasciandola intatta come obiettivo e possibile ragione di vita, con tutti gli stimoli che vi sono associati. Lo scopo dell’arricchimento personale e la possibilità individuale di trarne godimento continuerebbero a svolgere la loro preziosa funzione sociale, solo che scambi e passaggi di proprietà non sarebbero più sanciti dal denaro.

10Anche delle regole, essenzialmente due, è il caso di svelare subito l’assoluta semplicità. La prima è che, in assenza di denaro, risulti generalizzata, cioè normale e diffusa, la risposta affermativa (equivalente alla “vendita”) a qualunque richiesta o manifestazione del bisogno di consumo (equivalente all’ “acquisto”). Entro in un supermercato, “compro” ciò che mi occorre ed esco, senza altre formalità. Lo stesso se entro in un bar, in una farmacia o in un negozio di ferramenta. Perché dovrei fare incetta di carne, pasta, olio commestibile piuttosto che lubrificante, se so che potrò ottenere queste cose ogni volta e nell’esatta misura in cui mi occorrono? L’inderogabilità della norma subirebbe una naturale e progressiva attenuazione con il passaggio dai generi di prima necessità ( alimentari, igienici, sanitari, trasporti, istruzione, abitazione, ecc.) a quelli più voluttuari (solo per fare qualche esempio, oggetti rari e preziosi, beni di grande valore aggiunto, grandi e lussuose abitazioni, imbarcazioni, veicoli, ecc.), dove la domanda potrebbe rimanere insoddisfatta per impossibilità di fatto (ogni bene sarebbe disponibile, ovviamente, fino all’esaurimento), o per scelta deliberata del “venditore”.

  • 2 Solleveremo più chiaramente il problema in seguito. E insinueremo di nuovo il dubbio che da questa (...)

11La seconda regola, complementare alla prima, consiste nel diritto che si avrebbe di applicare un principio “meritocratico” in materia di accesso a qualunque tipo di consumo (fatta salvala prima regola). Il tutto per dar vita a un sistema orientato a formare delle consuetudini ma non per questo rassegnato a non poter avvalersi di scelte, valutazioni e intuizioni personali. Da notare che il criterio del merito avrebbe probabilità di venire applicato in maniera arbitraria molto simili a quelle riscontrabili in un’economia del denaro (e che i meriti economici, a differenza di quanto accade in un’economia monetaria, tenderebbero a confondersi con meriti, e demeriti, non economici)2. Ma, a differenza di quanto accade oggi, la possibilità di valutare sarebbe aperta a tutti (in ossequio al principio del mercato e della sua ineludibile democraticità), mentre sappiamo che ora interessa soltanto il giudizio di chi possiede denaro (con un peso del giudizio proporzionale alla quantità di denaro che si possiede). Importante corollario di queste due regole — circostanza che aumenterebbe le probabilità di vederle applicate in concreto — diventerebbe un processo di demitizzazione del piacere legato al consumo e di rivisitazione del significato e delle conseguenze del consumare e del produrre, da vedersi come partì “uguali” dell’agire, entrambe potenzialmente (e ugualmente) piacevoli o spiacevoli, gratificanti o frustranti. Ma con queste considerazioni stiamo già scivolando verso un altro problema, quello che si lega alla domanda se queste regole possano essere effettivamente insegnate e apprese. E a questo proposito limitiamoci per il momento a osservare che già ora molti individui (molti “ricchi”, per esempio) mostrano di trarre più soddisfazione dalla produzione che dal consumo, dalla certezza di poter acquistare e consumare qualsiasi cosa in qualunque momento più che dal farlo effettivamente.

12Piuttosto, dato che le “prescrizioni” della nuova economia potrebbero essere apparse sconcertanti, cerchiamo di procedere con ordine. Una certa probabilità (per certi aspetti la più significativa) di vedere rispettate queste regole e di riuscire a trarne i vantaggi ipotizzati è legata infatti alla possibilità di ottenere un aumento della produzione globale (si procede più facilmente al frazionamento e alla distribuzione di un insieme di dimensioni maggiori). Proprio questa consapevolezza ci suggerisce di non rimandare ulteriormente l’esame della prima condizione del nostro discorso: il denaro come strumento sbagliato sul piano logico (ed empirico).

3 Il denaro come forma dì efficienza limitata

13La produzione è prioritaria rispetto alla distribuzione. E lo è nel senso più letterale del termine: non si può distribuire nulla se non si è prodotto nulla. Il denaro è un fenomeno che riguarda la distribuzione molto più che la produzione, e per questo — in un senso importante — è una variabile extraeconomica. L’economia, qualsiasi economia (non la disciplina economica), presenta una definizione riassumibile nella seguente equazione:

14P + V + A= E

15In economia il pensiero è azione. Più esattamente, l’economia (E) è la somma di pensiero (P), volontà (V) e azione (A). Un pensiero (un’idea) selezionato dalla volontà diventa, per effetto di questa, energia. L’energia finalizzata e concentrata su uno o più punti della realtà corporea (uomini e cose) dà luogo all’azione, che è lavoro. Viviamo di gestì, risultati materiali e immateriali, fatti e sensazioni. Il denaro è estraneo a tutto ciò. Anche come movente originale del gesto il denaro è debole. Se così non fosse, del resto, il problema economico mondiale sarebbe stato risolto da tempo attraverso il ricorso a nuove emissioni di moneta. Invece, come è ben noto, la fiducia incondizionata nel potere della moneta — l’adesione acritica a questo indirizzo di stampo keynesiano — ha prodotto il solo effetto di mettere in pericolo il valore stesso del denaro, creando inflazione e caos in un’economia privata di colpo del suo punto di riferimento: la certezza del denaro e della sua efficacia.

16Ma ben altri sono i difetti del denaro. In primo luogo, e in modo solo apparentemente paradossale, esso non è una misura precisa e “realistica” del valore. Il valore ha un senso, e non un prezzo, perché è irrimediabilmente soggettivo. Valore e rischio sono variabili soggettive (e soggettivo puntuale, personale è anche il criterio di definizione del merito attribuibile a qualunque gesto). Per un determinato prezzo io sono disposto a liberarmi dell’oggetto che, proprio allo stesso prezzo, tu sei così ansioso di ottenere. Per una data somma di denaro non sono disposto a fare ciò che tu ti renderesti disponibile a fare per una somma largamente inferiore (se sei un domatore, non ci vorrà molto a convincerti a entrare nella gabbia dei leoni). Il denaro è condannato a essere approssimativo, impreciso. Perché la sua matematica elementare non ha nulla a che vedere con la più complessa matematica del gesto. Non basta. Nell’economia del denaro c’è chi ha il compito di fare e chi ha quello di contabilizzare ciò che altri hanno fatto. In tutto il mondo, centinaia di milioni di individui sono addetti solo alla contabilizzazione, alla quantificazione — ovvero alla traduzione nel linguaggio del denaro - di tutto quanto si produce in termini di beni e servizi. Poi ci sono gli operatori, a tutti i livelli, dei sistemi finanziari (impiegati di banca, banchieri, assicuratori, agenti di cambio, contabili e cassieri, ecc.): un numero enorme di persone, più che mediamente acculturate, impegnate nella “manutenzione” del denaro che, spesso ce ne si dimentica, è uno strumento molto costoso. Tutti questi soggetti non fanno nulla per sé o per gli altri sul piano strettamente produttivo, non alimentano l’economia reale nel senso che non producono nulla di ciò di cui viviamo.

17Oltre che di questa occupazione “apparente”, il denaro è responsabile di una disoccupazione “apparente”, anch’essa fenomeno di dimensioni difficili da stimare con una certa precisione ma sicuramente vasto. Perché è evidente che la disoccupazione non indica la condizione di chi non vuole o non è in grado di fare qualcosa di utile per sé o per gli altri ma, più semplicemente, Tesser privi di un’occupazione remunerata in denaro. Il disoccupato è solo un escluso dal sistema della moneta, un soggetto che non gode di uno stipendio, di un salario, di una forma di remunerazione relativamente stabile. E il criterio del denaro che ufficializza la disoccupazione e che — responsabilità più grave — genera la sensazione dell’inutilità dei gesti non remunerati, espellendoli dal concetto e dalla pratica del lavoro.

18Accanto a tutto questo — ciò da cui consegue una diminuzione, rispetto al potenziale, del numero degli individui dediti alla produzione vera e propria — assistiamo all’inevitabile fenomeno delle “motivazioni deviate”. Pressoché impossibile da quantificare, è lecito presumere che anch’esso abbia pesanti conseguenze. Non lavoro per un risultato specifico ma lo faccio per il denaro. Il mio fine non è la massimizzazione della quantità e della qualità dei miei gesti ma il prezzo in moneta che posso ricavarne. La mia attenzione non è concentrata sul risultato del mio lavoro ma su un altro risultato. La mia mente è percorsa e distratta dai numeri sia al supermercato che sul luogo di lavoro. E non è colpa mia, perché c’è tutto un sistema a insegnarmi, a ricordarmi ogni giorno e ogni ora del giorno, che quel che conta non è il mio gesto — l’esito in sé della mia attività — ma il denaro che riesco a ricavarne. Certo il meccanismo prevede un rapporto di causa-effetto tra l’uno e l’altro. Ma il continuo richiamo alla preminenza dell’effetto — di per sé esauriente - mi distoglierà dall’importanza della causa.

  • 3 La questione, in realtà, è abbastanza controversa. Perché non è così semplice stabilire se l’interm (...)

19Esistono ragioni micro e macroecoeconomiche che inducono a dubitare della congruenza del “sistema del denaro” con l’obiettivo della massima produzione teorica. Anche gli oneri dell’intermediazione finanziaria, del trasferimento materiale e immateriale della moneta attuato dalle banche e da tutto il sistema finanziario — con tutte le difficoltà e i rallentamenti che ne conseguono — appesantiscono il fardello imposto dal denaro all’economia. Ma anche il ruolo degli organismi finanziari non va frainteso. È chiaro infatti che se il denaro è il “perno” del sistema economico, l’intermediazione finanziaria — che soddisfa le esigenze di trasferimento della moneta dalle economie finanziariamente in surplus a quelle in deficit, pompando il “liquido vitale” in ogni punto del sistema — si trova costretta a diventare il motore (o comunque uno dei principali fattori) dello sviluppo economico3.

  • 4 A questo riguardo, si consideri che una parte non irrilevante degli studi di tecnica bancaria e di (...)

20Non si mette in dubbio che il denaro riesca ad avere una sua scienza, volta a migliorarne l’uso e a salvaguardarne il valore4. Ma il nostro obiettivo è dichiaratamente diverso. Noi stiamo mettendo in discussione l’utilità del denaro, l’opportunità della sua centralità e della sua stessa esistenza. E se anche i motivi poc’anzi elencati non sono sufficienti a questo scopo, rappresentano senz’altro il primo passo in questa direzione.

4 Denaro, efficienza e progresso

21L’economia come disciplina - nella sua qualità di ricerca per la soluzione di una parte fondamentale dei problemi della vita quotidiana — si trova in contatto con molte altre “aree” del sapere, come e più di tutte le altre scienze. Una buona economia - un’economia non incerta e indirizzata senza esitazioni verso il suo risultato - avrà bisogno di una filosofia e di una politica su cui appoggiarsi. Per esempio, solo se confiderò nei benefici del progresso e nell’idea che essi debbano essere messi, almeno tendenzialmente, a disposizione di tutti, crederò nell’utilità di un certo tipo di orientamenti politici e di comportamenti economici, nonché in una certa fisionomia da dare a tutto il sistema della produzione e della distribuzione.

22Oltre che dei suggerimenti della filosofia e dei vincoli della politica potrei essere chiamato a tener conto, chessò, di alcune leggi della fisica. Potrebbe essere un errore trascurare che quando passeggio nel mio ufficio o per la strada mi comporto come un essere pensante, mentre mi comporto come un sasso quando cado dal quinto piano. Di questa contiguità naturale tra l’economia e “tutto il resto” riparleremo in seguito.

23Dobbiamo ora soffermarci sul concetto di efficienza. L’efficienza è essenzialmente velocità. Se dovessi passare la vita a piantar chiodi diventerei bravo, veloce, efficiente e specializzato nel farlo. L’efficienza è persistenza sulla stessa linea, il progresso è altro. Il progresso implica fantasia, comporta il passaggio ad altri modelli di comportamento e introduce nuove “modalità” dell’efficienza. L’invenzione di una macchina per piantare chiodi dà vita a un nuovo modello di efficienza (una nuova forma di velocità). E nostra convinzione che il denaro variabile che riteniamo estranea all’essenza del fatto economico — costituisca, dell’economia, solo l’efficienza, la velocità attuale, sostituibile da altre forme di velocità in virtù del progresso. Ciò sottolineato — e riprendendo la nostra semplice equazione dell’economia P+V+A = E = V , con V pari al valore prodotto dall’economia —, non sembra azzardato sostenere che non esista, o non abbia alcuna sollecitazione a esistere, tutta l’economia sottoposta alla condizione P+ V+ A < , dove ej esprime un’idea di efficienza minima. Per la verità, esistono almeno due importanti concetti di efficienza minima.

24Il primo ha a che vedere con l’“avvertibilità”, o meglio, con il vero e proprio sorgere del fatto economico. Per esempio, in una situazione in cui tutto lascia presumere che il fatto economico sia lì lì per nascere — un cameriere in un bar alla macchina del caffè, io che gli ho ordinato un caffè e che l’aspetto comodamente seduto al tavolo - può verificarsi il caso in cui non accade nulla, o nulla di significativo: il cameriere, nonostante la mia richiesta, rimane immobile, la sua velocità (relativamente alla mia posizione) resta pari a zero. Può accadere che non venga superata questa soglia di efficienza minima. La seconda versione del concetto di efficienza minima è invece legata al minimo di efficienza, ovvero di velocità, che rende conveniente il gesto (l’azione, il lavoro) sul piano finanziario nel contesto di un’economia (sufficientemente) evoluta. In tale ambito io non sarò competitivo al di sotto del livello di efficienza ex ; non esisterà un’iniziativa (un’impresa di qualsiasi tipo), per quanto in grado di generare “benessere” e rispondere a bisogni concreti, cui è consentito di sopravvivere al di sotto di ex .E ciò perché in un’economia della moneta si suppone - si stabilisce per definizione che merita di esistere solo un’impresa capace di produrre profitto monetario (non necessariamente benessere). Quindi, tutta l’economia E< e1 (tutto il valore Ve < e1 con e1 > 0 ) non esisterà perché non avrà ragion d’essere.

25Si potrebbe obiettare che questa “zona” dell’economia non esisterà sul piano finanziario ma sopravviverà, anche in un contesto evoluto, sul piano dell’economia reale (il fatto che le casalinghe non vengano pagate non implica la loro scomparsa o il venir meno della loro utilità). Ma il problema del valore centrale del denaro in un’economia monetaria rimarrà intatto. Il denaro eserciterà tutta la sua “forza di gravità” attraendo qualsiasi attore, distraendolo da altri obiettivi e sancendo con ciò il principio della scarsa convenienza a compiere gesti finanziariamente non remunerati. Si potrebbe ancora obiettare che, in un’economia evoluta, è bene che le imprese meno efficienti muoiano e vengano sostituite da altre più efficienti. Ma, prendendo atto di quanto accade oggi, sappiamo che ciò avviene in misura molto limitata. Fatto testimoniato sia dal fenomeno della “disoccupazione apparente” (dal mancato utilizzo di forze produttive), sia da quello dell’“occupazione apparente” (prova di quanto l’efficienza della produzione vera e propria, in termini di beni e servizi non finanziari, rimanga al di sotto di quella potenziale, ovvero della misura in cui funzioni e obiettivi come la contabilizzazione e la salvaguardia del denaro sottraggano risorse alla funzione produttiva in senso stretto).

  • 5 Come “occasione di consumo” intendiamo semplicemente il caso in cui si realizza la combinazione tra (...)

26In un’economia monetaria, oltre a mancare E < e1 verrà meno anche il prodotto dell’economia E > Md (dove Md è la moneta disponibile), ovvero P+V+A > Md (o anche Ve > Md), poiché non esisterà “occasione” di consumo, e quindi neanche di produzione, ogni qual volta il valore in denaro della produzione supererà l’ammontare della moneta disponibile5.

5 Economia ed entropia, energia e valore

27Qualsiasi economia - qualsiasi fatto economico - emerge da un gesto di “sottrazione” del tipo P+V+A = im-G, dove i è l’inefficienza massima - cioè la “stasi”, l’immobilità, l’assoluta non-azione - e G rappresenta la somma dell’energia fisica, intellettuale e di quella “estraibile” da tutti gli altri fattori produttivi all’origine del fatto economico. Perché sottrazione? Perché così va il mondo, dal big bang in poi, o comunque da quando la terra è abitabile. L’entropia vince su tutto, il disordine aumenta in modo ineluttabile e sarebbe folle pensare che l’economia si sottragga a questa regola. Il suo compito è stato e sarà sempre lo stesso: deformare, manipolare, consumare (essendole inibita, come è ovvio, qualunque forma di vera e propria creazione).

28Se è lecito ora, come pare, considerare im = 0 — essendo questo, di fatto, il significato e il reale impatto economico di im —, sarà lecito attribuire all’economia E (ovvero P+V+A) un segno (e un significato) negativo (-G) in modo che risulti, almeno in prima approssimazione, P+V+A = E = -G ? Su un piano rilevante la risposta è sì. Perché l’economia sottrae, attinge dal “cassetto” dell’inefficienza (dal serbatoio della non-azione, sul piano psico-fisico), e perché l’economia è consumo, cioè sottrazione finalizzata. Ma altrettanto vero è che avviene poi un riequilibrio, una manovra con segno positivo: il valore prima prodotto verrà utilizzato, e anche tale impiego sarà consumo (consumo finalizzato alla sopravvivenza e, perché no, anche a una vita “migliore”). In termini più chiari, idealmente — ma non senza notevoli risvolti pratici — abbiamo prima una fase della produzione (che di fatto è utilizzo, impiego di ogni forma di energia e materia) e poi una fase del consumo (che è quella dell’uso dei cosiddetti “beni e servizi” da parte degli uomini, volta ad affrontare e a migliorare gli aspetti della vita pratica). Prima si toghe dalle “cose così come stanno”, poi il ciclo prevede un’addizione, perché si impiega il valore prima prodotto per godere di un certo benessere e, al tempo stesso, ancora produrre. In realtà sappiamo che le due fasi si intersecano e si sovrappongono in modo inestricabile, perché esiste una naturale confusione tra ciò che consumo per vivere e ciò che consumo per produrre. Confusione a cui il denaro vuole porre il suo artificioso rimedio. Confusione che sussiste in molti aspetti della mia vita quotidiana: un tavolo o un’automobile sono beni “strumentali” (per distinguerli dai beni “di consumo”). Ma un bicchiere di vino o un pezzo di formaggio non sono anch’essi strumentali alla mia sopravvivenza e al mio benessere? Allora, se in prima approssimazione abbiamo preso atto di P+V+A = - G, dobbiamo ammettere che una versione più completa dell’economia E emerge da P+V+A = - G+C = E, dove C esprime la fase del consumo di cui abbiamo parlato.

29Il valore dell’economia tutta, pertanto — quello che il denaro si prefigge di quantificare —, sarà Ve = C-G. Guardando le cose da un punto di vista il più possibile oggettivo, quasi “esterno”, possiamo ritenere che C e G nel lungo periodo si assomiglino molto e tendano ad assumere lo stesso valore, tanto da far pensare che risulti Ve =0. E in effetti è così, perché nulla si crea e nulla si distrugge. Il pianeta che ci ospita, a parte i raggi del sole che lo colpiscono, appare un sistema piuttosto chiuso, e nulla fa pensare che la nostra economia possa scalfirlo, turbarlo più di quanto non faccia la sua stessa naturale entropia. In realtà, dal nostro “normale” punto di vista sappiamo che il significato delle oscillazioni di Ve attorno allo zero - cioè la mutevole differenza nel tempo tra C e G, tendente a zero - sta tutto nel valore dell’economia degli uomini, quello che coincide con la sopravvivenza e il progresso dell’umanità. Da questo nostro ragionamento si evincono almeno quattro fatti importanti.

  1. Come anche le nostre semplici equazioni, e in particolare il primo concetto di efficienza minima, tendono a sottolineare, il lato sostanziale dell’economia è il gesto (l’azione), non il denaro. (Ed è vero che così è sempre stato e così è anche tuttora. Ma è come se questa realtà venisse nascosta, offuscata dal denaro).

  2. Il secondo concetto di efficienza minima (più precisamente la disequazione E < e1), nonché il concetto di “occasione” di consumo mancata (più precisamente la disequazione E > Md), sembrerebbero segnalare non solo e non tanto l’opacità dello stimolo costituito dal denaro quanto l’esistenza di due “zone” dell’economia represse, letteralmente annichilite dal denaro.

  3. Se è vero che il denaro è interpretabile come l’efficienza dell’attuale sistema, abbiamo anche visto come esso stesso contenga veri e propri germi d’inefficienza, evidenziando suoi propri difetti (punto2). E il fatto che i paesi finanziariamente più evoluti siano di norma anche quelli economicamente più sviluppati ci induce a ipotizzare che - posto il denaro come valore “centrale” - un sistema finanziario relativamente sofisticato possa costituire, tra gli altri, uno strumento relativamente adatto a promuovere lo sviluppo; non che il denaro sia una forma di efficienza insuperabile ed esente da difetti. (Il denaro potrebbe essere l’individuo specializzato nel piantar chiodi che aspetta di essere sostituito da una macchina più veloce, più efficiente di lui).

  4. L’immagine dell’economia che si riduce a “sottrarre” e a “restituire” al mondo, in forma diversa, ciò che ha prima sottratto, ci aiuta a riflettere sul peso oggettivo della responsabilità del denaro. Quanto e a chi si sottrae? Come e a chi si restituisce? È ragionevole credere che uno strumento convenzionale come il denaro sia in grado di svolgere un compito così delicato?

6 Il denaro come forza debole ed equilibrio vincolante

30Il denaro ricorda la forza di gravità. Come la gravità il denaro è una forza debole e “indiretta” (si esercita in virtù della presenza di “masse” — forze produttive reali, uomini e macchine, beni e servizi - e in relazione alle loro “distanze”, ovvero ai rapporti esistenti tra i fattori della produzione). Come la gravità il denaro è responsabile di un ordine (il laccio gravitazionale vincola e stabilizza il moto della terra, così come il denaro dà uguaglianza e ripetitività ai gesti attorno a se stesso). Anche la differenza è evidente. Cosmico, grandioso e naturale è l’equilibrio della gravitazione universale. Limitato e artificiale è l’ordine imposto dal denaro. Ma ciò che più importa nel nostro discorso è che tanto il denaro quanto la gravità “deformano” i comportamenti, impongono direzioni ed erigono barriere al moto e alle sue infinite possibilità. Sempre a questo riguardo — e ancora nel tentativo di approfondire la natura del denaro e del suo impatto sul pensiero, sulla volontà e sull’azione degli uomini — appare significativo un altro parallelo tra le dinamiche dell’economia e quelle della fisica.

31“L’ipotesi più importante di tutta la biologia ... è che quello che fanno gli animali lo fanno gli atomi ... non c’è nulla che gli esseri viventi possano fare e che non si possa comprendere partendo dall’ipotesi che siamo fatti di atomi interagenti secondo le leggi della fisica” (Feynman 2000). Un notissimo esperimento effettuato con un cannone elettronico che spara un certo numero di elettroni, uno dopo l’altro, contro uno schermo protetto da una lastra in cui sono state praticate due fenditure verticali, ci racconta quanto segue: a) in presenza di un fascio di luce - di fotoni - che illumina il fenomeno, gli elettroni si comportano come comuni particelle, e il numero di essi che riesce a non infrangersi contro la lastra passando attraverso le fenditure va a disegnare due tracce verticali sullo schermo “corrispondenti” alle fessure stesse; b) in assenza di fotoni - in mancanza di una luce che consenta di osservare il fenomeno -, gli elettroni si comportano non più come particelle bensì come onde, lasciando sullo schermo una serie di tracce verticali (ben più di due, e con una forma e una molteplicità compatibili solo con il verificarsi di un’“interferenza” tipica, appunto, delle onde). Nel primo caso, cioè quando si vuole osservarlo, il fenomeno è perturbato. I fotoni colpiscono gli elettroni modificando la loro direzione: il principio di indeterminazione di Heisenberg si difende, e il fatto di volere (potere) misurare velocità e posizione delle particelle disturba l’esperimento. Nel secondo caso i fotoni non esercitano la loro azione di disturbo e le tracce “liberamente” lasciate dagli elettroni sono diverse, più numerose e diffuse (vale a dire caratterizzate dalla cosiddetta interferenza, che esiste quando gli elettroni si comportano un po’ come un’onda e un po’ come particelle, e la probabilità che i pacchetti di elettroni giungano allo schermo è distribuita come l’intensità di un’onda).

32È pensabile che il denaro abbia sugli uomini un effetto paragonabile a quello dei fotoni sugli elettroni, provocando una “compressione” delle probabilità del gesto e dei suoi possibili esiti?

  • 6 È chiaro che, sul piano pratico, di interlocutori di Y1 ne possono esistere numerosi. È sul piano c (...)

33Immaginiamo che XY = K- l’equazione di un’iperbole equilatera dove il prodotto delle due variabili da sempre luogo allo stesso risultato - esprima una sorta di ideale “equilibrio del denaro”. Il soggetto X (compratore) e il soggetto Y (venditore), a prescindere da ciò che compreranno e venderanno, avranno a disposizione il denaro per trovare un accordo e la curva K esprime le infinite combinazioni (X1Y1, X2Y2 e così via) di tale equilibrio (espresso appunto dalla costante del denaro che abbiamo chiamato K). Si noti che X1 non potrà “dialogare” con Y2 perché la linea del denaro gli procurerà “solo” l’interlocutore Y16. Questo in un’economia del denaro.

34L’eliminazione del denaro procura a X una pluralità (teoricamente, un’infinità) di interlocutori per risolvere lo stesso problema. Non esisterà più soltanto l’equilibrio K ma ne esisteranno numerosi (K1 K2, ... Kn). Le possibilità di contatto e di accordo tra X e Y si moltiplicheranno. Qualcuno potrebbe osservare che questi “equilibri” — queste possibilità di trovare un contatto e un accordo diversi da quelli promossi dal denaro — esistono anche nel contesto di un’economia del denaro. (Una cena e uno spettacolo tra amici dove non c’è spazio per dei commensali e per un pubblico paganti possono esserne un esempio. Ed è vero). Ma il problema è capire se la curva del denaro non diventa poi così “opprimente” da ostacolare la formazione di altre curve. Il sospetto è che la sicurezza, l’affidabilità e la preferibilità della curva del denaro, sue precostituite caratteristiche, uccidano sul nascere tante altre possibilità.

7 Denaro e matematica, lavoro e azione

35Il denaro rende possibile una molteplicità di equilibri, che abbiamo chiamato K. Ma è soltanto una. Si ha motivo di credere, infatti, che questo tipo di equilibrio sia mediocre, qualcosa di simile a una gabbia. E che dia luogo a una possibilità che non solo non è tenuta a verificarsi, ma che inibisce anche una serie di altre possibilità aperte invece a un’economia non condizionata dal denaro. La matematica del denaro, si diceva, è troppo elementare e potrebbe rivelarsi insufficiente e incongruente con lo scopo di “descrivere” l’economia. (Tra parentesi, non dimentichiamo che una convenzione capace di risolvere problemi importanti è sopportabile anche se è difettosa, ma può cessare di esserlo se si rivela clamorosamente sbagliata).

36Una matematica come quella sottesa alla relazione XY=K sembra, in effetti, molto più convincente quando sfrutta tutto il suo potenziale di matematica “per concetti”, cioè di matematica più adatta di quella dei numeri a rendersi economicamente significativa. Se X e Y rappresentano delle situazioni individuali e K un risultato indeterminato, perché ridurre K all’equilibrio e alla logica puramente numerica della moneta? Se K può rappresentare un equilibrio vero e ampio, articolato nelle sue versioni K1 K2, ... Kn e frutto di un “negoziato” andato a buon fine a prescindere dal suo punto di partenza, allora X e Y potranno combinarsi in tutta la loro “diversità” e la loro “distanza”, il loro essere l’uno “grande” e l’altro “piccolo”, l’uno “biondo” e l’altro “bruno”, l’uno “povero” e l’altro “ricco”. Il problema del rapporto tra la matematica e i gesti degli uomini non può essere liquidato con le addizioni e le sottrazioni consentite dal concetto e dalla pratica della moneta. Se è vero che “quello che fanno gli animali lo fanno gli atomi”, la prima cosa che viene in mente è che gli atomi appaiono più Uberi. Non a caso essi rispettano armonie matematicamente spiegabili e dimostrabili. E non a caso non accade il contrario (non è costringendo gli atomi dentro i confini di una semplice aritmetica che si ottengono superiori armonie). Spiegare i rapporti economici con il denaro è un po’ come provare a spiegare la meccanica quantistica con gli strumenti della fisica classica. Poiché le leggi di Newton (le regole meccaniche dell’inerzia e della forza) sono sbagliate nel mondo degli atomi, occorrerà trovare una matematica “speciale” per spiegare una fisica “speciale”. Se la fisica ha dovuto accogliere il principio di indeterminazione, può essere che qualcosa di simile debba accadere in economia (e che il K della nostra equazione debba rimanere indeterminato). La matematica potrebbe essere una partita di cui siamo solo spettatori, oppure un gioco di cui siamo i potenziali protagonisti. In entrambi i casi il problema è riuscire a diventarne interpreti sempre migliori.

37L’economia è pensiero, volontà e azione. Cosa distingue il lavoro dall’azione? Cosa distingue e separa l’intervento di quando apro il garage la mattina da quello che occupa qualsiasi altro momento del mio lavoro quotidiano? Nulla, se non il fatto che è per il mio lavoro che vengo pagato, non per l’apertura del garage (operazione per compiere sistematicamente la quale altri vengono pagati). Il lavoro è sgradevole e il resto piacevole? Non si può dire. A volte, più del lavoro mi pesa l’apertura del garage, così come accade talora il contrario. E può anche accadere che entrambe le cose mi affatichino, così come che entrambe mi siano gradite. Dovrò forse distinguere il lavoro dal non-lavoro solo per la “sensazione” di lavorare che mi accompagna quando “sto lavorando”? In realtà ci troviamo costretti ad ammettere che, nel vasto (e sostanzialmente unitario) universo dell’azione, l’unico fragile elemento di separazione del lavoro dal non-lavoro è il denaro. Ma se ciò risulta oggi largamente accettabile, come appare chiaro, sul piano pratico, come può esserlo anche su un piano più strettamente “scientifico”? E qui che si ripropone la nostra questione di metodo. È lecito affidarsi a uno strumento - a un metodo - sbagliato, pur con l’attenuante di non disporre di una “teoria del valore” corretta e completa? Qualunque sia la risposta, il punto di vista scientifico non dovrebbe rinunciare a suggerire tentativi, esperimenti, la ricerca di nuove e migliori “approssimazioni”.

38Come tecnica di enunciazione delle leggi della meccanica e della fisica, la matematica non è in grado di fornire spiegazioni (anche la legge della gravitazione universale non spiega nulla, limitandosi ad annunciare che esiste e che si applica identicamente a ogni corpo). La matematica tutt’al più racconta, descrive un funzionamento tacendone il perché. Questo è il suo limite intrinseco. E così e basta. Il lato forse più inaccettabile del denaro è la sua pretesa di porsi come spiegazione del valore, perché questa è l’intima ragione della sua affidabilità come mezzo di scambio. Il denaro si giustifica come mezzo di scambio e riserva di valore perché si suppone che del valore esso sia una spiegazione adeguata, o perlomeno una sintesi attendibile.

8 Il denaro e la storia

39Del profilo storico del nostro argomento è possibile solo un accenno in questa sede. Perciò, dopo un rapido richiamo ad alcuni capisaldi del pensiero in materia, ci limiteremo a una illustrazione sommaria del nostro punto di vista.

40Va premesso che in nessun momento della storia il denaro ha mai aggiunto alcunché di sostanziale al concetto di scambio e alla sua portata davvero rivoluzionaria non solo nel contesto dell’economia. È lo scambio (non il denaro), come chiarisce anche Simmel, a creare un “dopo” diverso dal “prima”. Non a caso Smith riconduce l’utilità del denaro alla velocità degli scambi distinguendolo nettamente dal valore, alla cui base mette il lavoro. I significati dello scambio e della specializzazione rimangono autonomi dal senso del denaro. E anche il contributo in termini di velocità offerto dal denaro è intuibile nella bilateralità, non nella multilateralità dello scambio (nel momento in cui offrissi al mondo, non a un soggetto individuato, ciò che sono capace di dare, e prendessi nel frattempo dal mondo stesso tutto ciò che mi serve, i “fili” dell’immensa rete del denaro comincerebbero ad apparire superflui e a svolgere cioè un ruolo in contrasto con l’istanza della velocità).

41Sotto un profilo più “culturale”, il denaro non si è mai trovato del tutto separato dal concetto di ricchezza, essendone sempre stato simbolo o espressione manifesta. Sia nelle analisi razionali di Agostino e di Tommaso, sia in quelle più appassionate e visionarie di Gioacchino da Fiore e di Francesco d’Assisi, emerge una condanna severa della cupidigia e della brama di ricchezza (più che di denaro) come motivi di allontanamento dai valori della vita spirituale. Hegel e Marx per primi metteranno in luce gli inquietanti bagliori del denaro, l’oscuro potere dell’oggetto e il feticismo che esso scatena. Ma poi Marx rivolgerà i suoi strali contro il capitale e i capitalisti, contro il soggetto e non l’oggetto (a differenza di Smith, che aveva distinto il carattere vile del denaro da quello buono del capitale, dei processi di accumulazione che lo caratterizzano e dello spirito capace di metterlo intelligentemente a frutto).

42Un altro dato storico che non si può trascurare è il fatto che tutte le economie “evolute” siano anche finanziariamente sviluppate. Constatazione che prescinde dal porsi il problema, come si è fatto in precedenza, del possibile rapporto tra finanza e sviluppo. Qui l’osservazione è una sola, e l’univocità del dato in sè sembrerebbe avallare l’ipotesi che non si ha, né si può avere, crescita economica senza una parallela crescita finanziaria. E chiaro come l’inoppugnabilità della circostanza faccia riflettere e come la discussione in materia debba rimanere aperta. Ma al momento basterà considerare che altre ipotesi sono lecite oltre quella già formulata. Per esempio, potrebbe avere un peso rilevante il fatto che settore finanziario è in fondo simile a tanti altri, popolato come gli altri da imprenditori sempre pronti a cavalcare un’onda, a sfruttare una debolezza degli uomini, a cogliere un’occasione di profitto, ad aumentare la produzione di una bibita dal sapore irresistibile. Non è per nulla da escludere che la crescita del settore finanziario, come comparto della manipolazione del denaro, abbia acuito e reso talora enormi gli squilibri nella distribuzione del reddito, problema che tende ad affliggere tutte le economie avanzate. Non è neppure da escludere una correlazione negativa tra finanza e sviluppo, almeno in certe circostanze (come in occasione della crisi del ’29, quando una situazione di difficoltà finanziaria — in tutta la sua teorica, essenziale “virtualità” — si è estesa con una violenza inaudita all’economia reale). Può essere che 1’ “età” del denaro rappresenti una fase ineludibile, per quanto superabile, nel ciclo di sviluppo delle economie, o di alcune di esse (così come è stato inevitabile che in molti paesi sia stata la dittatura a preparare il terreno per la futura democrazia). Così come può essere che l’era del denaro e del suo trionfo non solo sia transitoria ma neppure obbligatoria come punto di passaggio verso stadi più avanzati dell’economia (sappiamo che l’uomo, a un certo punto del suo cammino, ha abbandonato la clava, sua fedele compagna per tanto tempo, ma può essere che gli uomini di certe civiltà non abbiano neanche mai sentito il bisogno di usarla).

  • 7 Ci si riferisce a tutti gli interventi della ‘politica sociale” (sia “di destra” che “di sinistra”) (...)

43Il giorno in cui l’utilità del denaro venisse messa in dubbio in modo ufficiale, niente ci impedirebbe di immaginare che le economie arretrate (e tali anche sotto l’aspetto finanziario) possano avviare il loro progresso in virtù di un modello di sviluppo non monetario. Intanto anche la storia più recente ci conferma che quella del denaro è una convenzione costosa e difettosa, e che anche la politica appare sempre più orientata, in modo apparente o sostanziale, a correggerne gli errori e a lenirne le asprezze7.

9 Denaro e probabilità

44Il denaro è una “perturbazione” della realtà, rispetto alla quale intende porsi come un fattore d’ordine e di equilibrio. Il problema è capire di che ordine si tratta. Il denaro libera o imprigiona le probabilità? Così come esiste un determinismo monetario potrà esistere un determinismo in assenza di denaro, che dovremmo pur sempre considerare di tipo probabilistico. A una forma del caso se ne può sostituire un’altra. O meglio, a un caso costruito a tavolino come quello monetario può subentrarne un altro, per così dire, più naturale. E la domanda è se questa versione “più autentica” del caso può apparire preferibile, più coerente con obiettivi di benessere individuale e collettivo. La questione è eminentemente pratica e presenta una sua autonomia dalle sue implicazioni più “filosofiche”, dalle conseguenze che deriverebbero dalla decisione di mescolare i fatti economici con quelli non economici, l’economia con il resto della vita. Perciò dobbiamo tornare a interrogarci sull’effettiva possibilità di applicare le regole che, inizialmente, abbiamo posto alla base del funzionamento di un’economia postmonetaria.

45Possiamo davvero sperare che, in un negozio dove non vengono più fissati né esposti prezzi in moneta, si entri per soddisfare bisogni e desideri limitati? È lecito credere nell’efficacia di una forma di autolimitazione? Forse sì, ricorrendo al presupposto di un’educazione diversa, se potesse realmente cambiare l’abitudine radicata di confinare il piacere nei gesti del consumo e la fatica in quelli della produzione, e se desideri e bisogni non venissero artificialmente alimentati e resi sempre più omogenei dall’imperativo di un profitto in denaro. Mi lascerò sconvolgere dall’inebriante notizia che per comprare un’automobile o un chilo di pane non mi occorre più il denaro? No, continuerò ad alzarmi di buon’ora per recarmi al lavoro, alleggerito e non più frastornato da una ridda di cifre, certo di partecipare all’economia di un mondo che produce di più e meglio a vantaggio mio e di tutti. Potremmo sperare che questa nuova economia lasci spazio all’affermazione di un principio meritocratico? Forse sì, se il concetto di reputazione individuale acquisisse un significato più ampio e articolato e se a un diffuso ed efficace “controllo sociale” venisse abbinata una qualche forma (una certa capacità) di autovalutazione. Del resto, a proposito dei possibili, inevitabili errori (sopravvalutazioni e sottovalutazioni) della nuova economia, sarebbe proprio un errore sottovalutare quelli compiuti dall’economia attuale, abituata a premiare e a punire in modo spesso arbitrario. E circa le difficoltà di riuscire a educare gli individui alle nuove regole, si considerino da un lato lo stimolo offerto dall’entità della posta in gioco, dall’altro le non piccole difficoltà disseminate anche lungo il percorso dell’educazione alle regole del denaro.

46Non siamo affatto ispirati da una visione pauperistica della società e del sistema produttivo. Anzi. Solo ci sembra ragionevole tener presenti le fatiche del consumo accanto a quelle del lavoro, le gioie del lavoro accanto a quelle del consumo. Il profitto non cesserebbe di esistere. Semplicemente non emergerebbe più come differenza tra una somma di valutazioni in denaro dei beni destinati alfa vendita (ricavi) e una somma di valutazioni in denaro, non meno opinabili, dei beni destinati ad alimentare il processo produttivo (costi). Certo, nell’applicazione del più volte citato principio meritocratico potrebbe accadere in concreto che il merito “economico” vada a confondersi con altri meriti o demeriti (oggi dichiaratamente non economici). Ma questa sarebbe una diretta conseguenza dell’aver messo in contatto diretto l’economia con la non-economia, frutto dell’abbattimento di barriere e dell’eliminazione di confini da cui potrebbero scaturire più vantaggi che svantaggi. Il denaro, non lo si dimentichi, ha regole sue proprie e destinate, come in qualsiasi gioco, a essere meglio imparate e sfruttate da alcuni individui. E sembra di poter dire che il denaro sia più disposto a premiare i suoi specialisti (adatti a costruire il loro benessere) che non gli specialisti dell’azione (a cui dobbiamo il nostro benessere).

47Se opera davvero una benefica mano invisibile, adoperiamoci per renderla realmente tale, capace di intervenire a prescindere dalle intenzioni degli uomini. A chi sostiene che il denaro è uno strumento perfetto purché guidato da uno spirito etico opponiamo che non ci si può accontentare di aspirazioni o di declamazioni, e che è preferibile confidare in un cambiamento strutturale delle regole del gioco.

48Perciò proponiamo di sostituire la “fiducia” cartolarizzata, impacchettata e codificata del denaro con una fiducia più veloce, umana ed elastica, capace di accogliere in sé l’intuito, l’intelligenza, e anche momenti di “abbandono” che non escludano la capacità e la volontà di controllare e di giudicare. Fiducia che si presenta con almeno due facce diverse: l’una rivolta agli uomini, agli individui, con la sua tipica caratteristica di essere accordata o negata, ma che dovrebbe comunque coincidere con la voglia di non guardarli con sospetto e con pregiudizio; l’altra rivolta alla storia degli uomini, come coscienza delle loro miserie ma anche come consapevolezza di un futuro più esteso del loro passato e di un destino più grande delle loro origini. A proposito poi dell’interrogativo che ci si poneva all’inizio, circa la compatibilità del “nuovo” metodo con i peggiori vizi dell’umanità (attitudine dimostrata in qualche modo dal denaro, cioè dal “vecchio” metodo), sembra lecito rispondere sottolineando la validità dei presupposti di un interrogativo altrettanto importante: non è di per sé sorprendente che il denaro conviva con le pulsioni meno edificanti dell’uomo e di tutta la collettività essendone esso stesso aggravante e fattore di sollecitazione?

10 Un’altra politica, un nuovo diritto (e molti altri problemi)

49L’ipotesi di un’economia postmonetaria fa emergere una serie di problemi, opportunità e prospettive di cui non era nostro scopo parlare in queste pagine. Si pensi al nuovo significato del risparmio e ai nuovi metodi per “contabilizzarlo”, ai nuovi contenuti della politica e agli effetti del disancoramento dal denaro di qualunque forma del potere, alla nuova impresa e al nuovo imprenditore, alle tecniche e alle nuove consuetudini in materia di passaggio della proprietà di beni di “grande valore” (e ciò perché riteniamo che la proprietà privata come cura, amministrazione e responsabilità del bene debba continuare a svolgere il suo ruolo essenziale). Ma le nostre domande iniziali si ponevano proprio come dichiarazione della necessità di capire a priori se vale la pena di compiere (anche in ambito scientifico e sperimentale) uno sforzo così ampio di ridefinizione del “sistema”.

50Pensiamo di aver dato una prima risposta positiva all’interrogativo di fondo circa la possibilità teorica, da parte di un’economia non monetaria, di offrire il risultato di una maggiore produzione globale. A proposito della distribuzione - che sarebbe comunque un’ingenuità vedere come fenomeno del tutto slegato da quello produttivo - ci è parsa praticabile la strada di un’“educazione diversa” da quella rappresentata dall’assuefazione al denaro. Strada per percorrere la quale - oltre che fiducia nel progresso e nella (talora) dimostrata capacità degli uomini di tenere sotto controllo certi esiti della loro stessa evoluzione - occorre coscienza non solo degli errori macroscopici insiti nell’applicazione del criterio del denaro, ma anche della necessità di investire una somma di risorse (per lo studio, la progettazione e la realizzazione in ogni sua parte di un nuovo modello economico) proporzionale all’importanza dell’obiettivo e del cambiamento in discussione.

51È chiaro, a puro titolo di esempio, come il contratto sia destinato a rimanere uno strumento centrale anche del nuovo sistema. Oggi, nella fase contrattuale, ciascuno dei contraenti cerca di ottenere un profitto a scapito dell’altro, essendo tale circostanza non meno normale di quella per cui si interpreta il contratto come uno dei fondamenti della cosiddetta economia capitalistica. Oggi il contratto è vera e propria “sublimazione” di tale contrasto. Domani, come atto celebrativo dello scambio, il contratto dovrebbe diventare: 1) momento di dichiarazione ufficiale dell’assoluta soggettività del valore; 2) momento di soddisfacimento dell’“interesse” (bisogno o aspirazione) dei contraenti in un contesto che pone un argine alle dispute e fissa condizioni di relativa certezza. Buona parte del conflitto che il contratto è (faticosamente) incaricato di sanare riguarda l’attuale e, per così dire, esorbitante obiettivo dei contraenti di arricchirsi proprio attraverso l’accordo che il contratto va a sancire. Ma l’obiettivo è “ultroneo”, anche perché il contratto risponde meglio ad altri scopi (alla soddisfazione del bisogno, del desiderio). In assenza di denaro verrebbe meno l’ulteriore (e superfluo) fine dell’arricchimento monetario, nonché quello della quantificazione del medesimo, di per sé generatori di conflitto. Non che l’obiettivo di arricchirsi debba diventare poco commendevole. Dovrebbe piuttosto essere perseguito mediante contratti tesi a produrre non denaro ma benessere, la consistenza del quale dovrebbe essere sottoposta alla valutazione di tutti (come in un mercato che si rispetti) e rendersi disponibile a tutti gli individui, anche sulla base della capacità da loro evidenziata di promuovere questo stesso benessere. L’intelligenza oggi impiegata per spuntare un contratto che mira a una somma di denaro, di per sé difficile da individuare e da ripartire, dovrebbe essere (meno conflittualmente) indirizzata a redigere un contratto “buono” per i contraenti e per gli altri, in un quadro giuridico e di consuetudini che collega in modo molto stretto obiettivi e bisogni dei contraenti con quello del resto della collettività.

  • 8 Per quanto superfluo, si vuole ricordare che l’economia postmonetaria da noi ipotizzata conservereb (...)

52È evidente come molti problemi (praticamente tutti) rimangano aperti. C’è molto da fare per chi crede che l’economia del denaro presenti dei limiti insuperabili. La convinzione che la morte del denaro sia un destino, un fatto ineluttabile, potrebbe suggerire un’attesa paziente. Ma la sensazione che attendere potrebbe rivelarsi una scelta costosa sembra confermata dalle condizioni dell’attuale ordine economico mondiale8. E questa sensazione suggerisce di agire immediatamente.

Torna su

Bibliografia

Cameron, R. 1967, Banking in the Early Stages of Industrialisation, Oxford, Oxford University Press.

Feynmann, R.P. 2000, Sei pezzi facili, Milano, Adelphi.

Gerschenkron, A. 1965, Osservazioni sul saggio di sviluppo industriale in Italia 1881-1963, in II problema storico dell’arretratezza economica', ed. originale: Economie Backguardness, in Historical Perspective, Cambridge, Harvard University Press, 1962.

Goldsmith, R. 1969, Financial Structure and Development, New Haven, Yale University.

Torna su

Note

1 La “brutalità” del termine serve a chiarire che abbiamo in mente un sistema economico in cui sia pienamente salvaguardata la possibilità di produrre e accumulare ricchezze - proprietà di ogni tipo e forma, tranne che(ovviamente) in denaro — nel senso più tradizionale della parola. Ciò non esclude che, così come si evincerà dal seguito, noi si sia i primi a sperare nell’affermazione di nuovi e giù evoluti concetti di ricchezza, e che possa acquisire un peso sempre più significativo tanto la valutazione di ricchezze interiori”, immateriali, quanto il “premio” concreto — anche dal punto di vista prettamente “economico” — da riservare a queste stesse qualità. E evidente come questo profilo valutativo della nuova economia si presenti strettamente collegato con il prevedibile, drastico cambiamento che, in virtù della scomparsa del denaro, si verificherebbe nei rapporti tra ciò che è (o è considerato) economico e ciò che non è (o non è considerato) economico.

2 Solleveremo più chiaramente il problema in seguito. E insinueremo di nuovo il dubbio che da questa “confusione”, in assenza di denaro, tra premi (e punizioni) economici ed extraeconomici possano scaturire più vantaggi che inconvenienti. Oggi si invoca infatti (una nuova) moralità in economia. Ma è noto a tutti che comportamenti poco “morali” (ci si perdoni l’uso di un aggettivo il cui utilizzo dovrebbe essere più cauto di quanto lo è attualmente e comunque ridursi al minimo indispensabile) possono accompagnarsi (se non addirittura aprire la strada) all’accumulo di ingenti somme di denaro e di cospicue ricchezze. Le vie del denaro non ricalcano in alcun modo quelle dell’etica, perché sono diverse, separate. In un’economia postmonetaria queste vie potrebbero, almeno in parte,intrecciarsi, sovrapporsi. Una volta che le valutazioni economiche e non economiche dovessero fatalmente mescolarsi, perché mai a un individuo “moralmente” ripugnante” dovrebbe essere riconosciuto il “premio” della ricchezza? Questo interrogativo non presenta risposte certe e univoche. Sembra sensata però — a differenza di quanto accade oggi — l’idea di porselo e di offrirgli risposte sensate

3 La questione, in realtà, è abbastanza controversa. Perché non è così semplice stabilire se l’intermediazione finanziaria sia da annoverare tra le cause dello sviluppo o non ne sia piuttosto, essa stessa, un effetto. Le banche e gli altri organismi finanziari sollecitano le altre imprese (non finanziarie) a crescere o sono a loro volta, in quanto imprese, manifestazione di un ambiente favorevole alle espressioni dello spirito imprenditoriale e alla crescita economica che ne consegue? Come preciseremo più avanti, pensare che l’intermediazione finanziaria aiuti lo sviluppo non significa pensare, automaticamente, che il denaro (la moneta) sia un presupposto logico e pratico della crescita economica. La bibliografia in materia è molto ampia. A noi sembra piuttosto convincente a tesi, molto nota, di Goldsmith (1969) che, attraverso l’analisi del FIR (FinancialIntermediation Ratio), fa emergere una relazione tendenzialmente positiva tra finanza e sviluppo. Su questi temi è utile vedere anche R.Cameron (1967) e Gerschenkron (1965).

4 A questo riguardo, si consideri che una parte non irrilevante degli studi di tecnica bancaria e di economia degli intermediari finanziari è dedicata all’approfondimento e all’affinamento delle “regole di salvaguardia” della situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale delle banche e degli altri organismi finanziari, che sono poi le tecniche volte a tutelare il risparmiatore, il risparmio e il rapporto fiduciario che ne è il presupposto, ovvero - in ultima istanza - le regole che tutelano il denaro e il suo “valore”. NelPambito di una vastissima bibliografia, è il caso di citare, a titolo di esempio, il recente lavoro del Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, aprile 2003 (Nuovo accordo di Basiled).

5 Come “occasione di consumo” intendiamo semplicemente il caso in cui si realizza la combinazione tra resistenza di una data somma di moneta spendibile e una contestuale decisione di spesa. Quindi, parleremo di “occasione” mancata ogni qual volta risulti insufficiente la moneta spendibile per un determinato consumo oppure (anche) manchi la decisione di spesa per ragioni riconducibili a valutazioni e a ‘preoccupazioni” (di breve o di più lungo periodo) del decisore relative al totale della sua moneta spendibile nell’accezione della medesima ai “risparmio”. In sostanza, così come le abbiamo definite, le occasioni di consumo mancate sono tipiche di un economia del denaro, così come, altrettanto tipicamente, tendono a tradursi in altrettanti “stimoli mancati” a una maggiore produzione.

6 È chiaro che, sul piano pratico, di interlocutori di Y1 ne possono esistere numerosi. È sul piano concettuale che Y1 – nella sua qualità di soggetto dotato di un determinato bene e disponibile a venderlo a un dato prezzo– conserva una sua inequivocabile unicità.

7 Ci si riferisce a tutti gli interventi della ‘politica sociale” (sia “di destra” che “di sinistra”) destinati in qualche modo ad alleviare le difficoltà economiche delle classi meno abbienti.

8 Per quanto superfluo, si vuole ricordare che l’economia postmonetaria da noi ipotizzata conserverebbe il suo significato e la sua potenziale efficacia solo quando venisse applicata su scala planetaria. E ciò per evidenti ragioni di omogeneità del suo “linguaggio” (a una nazione che la adottasse sarebbero praticamente inibiti i rapporti internazionali con un’altra in cui risultassero ancora vigenti le regole dell’economia del denaro). Questa circostanza rende più problematica (ma anche più avvincente) l’ipotesi.

Torna su

Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Pierangelo Dacrema, «Il denaro come limite dell’economia e incidente della storia»Rivista di estetica, 32 | 2006, 133-150.

Notizia bibliografica digitale

Pierangelo Dacrema, «Il denaro come limite dell’economia e incidente della storia»Rivista di estetica [Online], 32 | 2006, online dal 30 novembre 2015, consultato il 22 avril 2025. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/estetica/2406; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/estetica.2406

Torna su

Autore

Pierangelo Dacrema

Articoli dello stesso autore

Torna su

Diritti d’autore

CC-BY-NC-ND-4.0

Solamente il testo è utilizzabile con licenza CC BY-NC-ND 4.0. Salvo diversa indicazione, per tutti agli altri elementi (illustrazioni, allegati importati) la copia non è autorizzata ("Tutti i diritti riservati").

Torna su
Cerca su OpenEdition Search

Sarai reindirizzato su OpenEdition Search