1Nel giardino floreale dell’Isola Che Non C’è si scontrano Lafcadio e Termidoro, due strani tipi sempre preoccupati di farsi riconoscere e di fare accettare gli oggetti delle loro ricerche. Non sono come gli studiosi d’un tempo, impegnati a costruire grandi sistemi e a inventare nuovi modi di pensare e di parlare, loro fanno piccole ricerche su oggetti particolari, si chiedono se esistono o se non esistono, come sono costruiti, di quali elementi sono composti, di che cosa hanno bisogno per continuare a esistere e cose così. Forse alcuni li prendono in giro per il loro modo di fare ricerca, magari altri li criticano aspramente e altri ancora è probabile che li guardino con un misto di invidia e curiosità. Fatto sta che tutti stanno sempre lì, ad aspettare di vedere che cosa combinano.
L. Ciao Termidoro, come va?
T. Bene, bene, ma sono molto di fretta perché ho tante cose da fare, sono in ritardo.
L. Termidoro, è da quando ti conosco che sei in ritardo, ti sembra normale? Sono gli oggetti sociali che ti danno così tanto da fare?
2Termidoro guarda per terra e gioca nervosamente con delle monete che tiene in mano. Si vede che sta seguendo un argomento o un pensiero senza molti risultati e si vede anche che la cosa lo innervosisce parecchio. Poi solleva lo sguardo verso l’amico e, posate le monete sul tavolo, si mette le mani dietro la schiena, e comincia a camminare freneticamente.
T. Allora Lafcadio, cerca di seguirmi e di darmi una mano, se puoi. Secondo te, che cosa studiano le scienze sociali? Di che cosa si occupano di preciso?
L. Beh, secondo me si occupano di cose un po’ particolari che non sono una parte indipendente del mondo come lo sono, ad esempio, gli alberi e le tigri, che sono oggetto di studio delle scienze naturali. Credo che le scienze sociali studino le entità politiche come le leggi e le nazioni, i fatti e gli eventi che riguardano, per esempio, la valuta, i debiti, l’inflazione e la deflazione e infine credo si occupino anche dei fatti sociali concernenti le classi, le razze e le questioni di genere.
T. Molto bene, amico mio, sei stato molto preciso. Ammetterai dunque che ciò di cui trattano le scienze sociali dipenda dall’intenzionalità umana, cioè che le scienze sociali studino degli oggetti che abbiamo creato noi stessi.
L. Sì, certo. Mi potresti però spiegare, per cortesia, che cosa significa di preciso creare un oggetto sociale? Creare dal nulla? Assemblare? Dare forma nuova al vecchio? Dare a una cosa una nuova funzione?
T. Quante domande Lafcadio! Vedo che ti stai appassionando anche tu alla questione. Allora — e cerchiamo di non correre troppo ma di fare un passo alla volta — secondo te che cosa vuol dire che le nostre intenzioni e le nostre credenze sono creative?
L. Sicuramente non vuol dire che credere che qualche cosa sia in un certo modo faccia sì che questa cosa sia effettivamente in quel modo.
T. Benissimo. Allora domandiamoci in primo luogo se ci può essere una realtà genuinamente creata dall’intenzionalità umana, cioè che abbia una oggettività, che sia in qualche modo indipendente dalla mente o dall’intenzionalità che l’ha creata. Noi infatti pensiamo normalmente alle scienze sociali come a delle scienze che si occupano di fatti oggettivi e che scoprono dei fatti o dei tipi di cose che prima erano sconosciuti. Però è anche vero che sembra che il fatto stesso che la realtà sociale sia creata dall’intenzionalità umana vada contro l’idea che ci possano essere dei fatti oggettivi, ricercati e scoperti dalle scienze sociali.
L. Io suggerirei di partire dalla creazione degli oggetti sociali, visto che sta lì il nodo della questione. Se non ricordo male, un bravo filosofo che insegna a Berkeley1 ha studiato proprio i momenti principali della costruzione della realtà sociale, giungendo poi alla conclusione che la realtà sociale è creata dal nostro imporre collettivamente delle funzioni alla realtà fisica bruta.
T. Hai detto molto bene. Per la costruzione della realtà sociale, secondo lui, ci servono infatti esattamente tre “ingredienti”: l’assegnazione di funzione, l’intenzionalità collettiva e le regole costitutive.
L. Allora, per esempio, se a un cilindro basso di legno assegniamo la funzione di essere uno sgabello, quel cilindro basso di legno sarà uno sgabello.
T. Certamente, amico mio, ma in questo caso si tratta di un semplice fatto sociale. I casi più interessanti, in realtà, sono quelli in cui creiamo dei fatti istituzionali imponendo su una qualche entità x una nuova funzione che essa non potrebbe assolutamente avere in virtù delle sue sole caratteristiche fisiche: per esempio quando imponiamo a un pezzo di carta la funzione di servire come denaro di scambio. In questo caso si tratta di una funzione dì status, cioè di una funzione che l’oggetto non potrebbe avere in virtù delle sue sole caratteristiche fisiche. Per imporre queste funzioni dobbiamo accettare quelle regole che dicono che “x conta come y nel contesto C”.
L. Quindi la differenza tra fatti sociali e fatti istituzionali può essere esposta così: che il cilindro d’albero sia uno sgabello è un semplice fatto sociale perché questo oggetto adempie alla sua funzione sulla sola base delle proprie caratteristiche fisiche, invece che qualcosa sia una banconota da 5 euro o un cittadino francese è un fatto istituzionale perché implica l’attribuzione di funzioni che possono essere acquisite solo grazie a una accettazione collettiva di regole costitutive che stabiliscono che cosa “conta come” essere un biglietto da 5 euro, essere un cittadino francese e così via.
T. Bravo Lafcadio, hai capito perfettamente. L’intenzionalità umana crea nuovi fatti e oggetti sociali a partire da fatti bruti e anche se tali oggetti dipendono da un soggetto per quanto riguarda la loro creazione, tuttavia sono oggettivi, nel senso che la loro verità o falsità è indipendente da qualsiasi atteggiamento o punto di vista.
L. Questa teoria mi pare molto buona e convincente. E interessante l’idea che la realtà sociale e in particolare la realtà istituzionale dipenda da fatti bruti ai quali viene imposta una nuova funzione.
- 2 «Fisicamente x e y sono esattamente la stessa cosa. La sola differenza è che abbiamo imposto uno st (...)
T. Sì, hai ragione, questa è una buona idea. Però mi sembra che parlando di priorità logica dei fatti bruti sui fatti istituzionali, il nostro filosofo abbia in realtà in mente qualcosa di più preciso, cioè che nessun oggetto sociale sia propriamente creato, perché in realtà qualsiasi oggetto sociale o istituzionale non sarebbe altro che un oggetto materiale al quale sarebbe stata assegnata una nuova funzione2. Questo potrebbe essere un limite della sua proposta, non credi?
L. Un limite? E perché? Dal punto di vista ontologico mi pare invece molto rassicurante: non siamo costretti ad aggiungere nuovi oggetti che potrebbero appesantire inutilmente la nostra ontologia, ci basta riconoscere nuove funzioni ai vecchi oggetti.
T. Certo, infatti nella sua teoria l’oggetto x preesiste sempre all’imposizione della funzione di status y, e anche se diverse imposizioni di funzione possono essere applicate agli stessi oggetti istituzionali (un cittadino francese può essere ministro, ad esempio), c’è sempre un punto in cui questo processo ha inizio, e questo punto coincide con un fatto bruto. Quindi, c’è sempre un fatto bruto sul quale sopravviene l’oggetto sociale prima inesistente.
L. Questo spiega bene il caso del denaro e del cittadino: i due fatti bruti sono il pezzo di carta e l’uomo, e i due oggetti sociali — sopravvenienti dopo l’attribuzione di funzione — sono una banconota da 5 euro e un cittadino francese. Ci sono però alcuni casi che mi sembrano più difficili da inquadrare all’interno di questa teoria.
T. Quali casi? Spiegati meglio.
L. Per esempio mi sembra che la Costituzione francese, la fiat e la Comunità Europea, pur avendo dei nessi con degli oggetti materiali individuali, non si basino, a rigore, su qualche particolare oggetto materiale.
- 3 Ferraris 2005 e 2007 esamina nel dettaglio questo tipo di critiche e propone valide soluzioni che (...)
T. Sì, hai ragione. Basti pensare che, nel caso di un incendio agli Archivi Nazionali di Parigi, noi non saremmo mai disposti a dire che la Francia è uno Stato senza Costituzione solo perché i documenti originali degli Archivi sono stati distrutti: ovviamente un incendio potrebbe distruggere un documento di grande interesse storico, ma non la Costituzione stessa3.
L. Ma allora che tipo di oggetto è la Costituzione francese? Io credo che una buona ontologia sociale dovrebbe essere capace di spiegarmelo.
T. Per questo ho sempre tanto da fare, amico mio, lo capisci adesso?
L. Certo. Ma se posso aiutarti in qualche modo, chiedimi pure. Gli amici servono a questo in fondo...
T. Non me lo farò ripetere due volte! Allora abbiamo visto come, per risolvere questo tipo di problemi, sia indispensabile spiegare nel dettaglio in che cosa consistano i metodi di costruzione della realtà sociale. Abbiamo anche visto come non sia sufficiente per i nostri scopi quello che possiamo imparare dal filosofo di Berkeley.
- 4 «[...] laddove si tratta di un ricevimento, se nessuno pensa di un particolare evento che sia un (...)
L. Sono perfettamente d’accordo con te. Prima di proseguire però ti vorrei domandare ancora una cosa. Se la realtà sociale è creata dall’intenzionalità collettiva che impone agli oggetti determinate funzioni (come sostiene il nostro filosofo), allora si deve ammettere che tutti i concetti sociali siano auto-referenziali. Dovremo quindi supporre che, per qualsiasi concetto sociale F, “x è F” implichi “x è usato come F, x è creduto essere F”4?
T. Ottima domanda Lafcadio. Chiaramente, se la risposta fosse affermativa, avremmo come conseguenza che tutti i fatti sociali creati dall’intenzionalità collettiva dovrebbero essere epistemicamente trasparenti, nel senso che la loro esistenza dovrebbe implicare logicamente il fatto che siano creduti esistere per quello che sono, come minimo da quelli che li hanno creati. E il filosofo di Berkeley dice davvero qualcosa del genere, sostenendo che l’autoreferenzialità sia una caratteristica distintiva dei fatti sociali rispetto ai fatti naturali.
L. Ma se le cose stanno così, come possono esserci dei fatti sociali della cui esistenza i membri di quella determinata società non sono a conoscenza? Se ammettiamo che, affinché ci siano fatti sociali di un certo tipo F, occorre che le persone accettino che certe cose di un certo tipo siano F, allora le scienze sociali non possono in realtà scoprire nulla.
T. Quello che hai appena esposto è un problema importante che limita molto il ruolo delle scienze sociali. Ma allora, io mi chiedo, come si possono spiegare le principali scoperte delle scienze sociali che riguardano cose come i cicli economici, i sistemi di classe e le strutture di potere, che esistono anche se nessuno lo sa?
L. E’ un bel problema in effetti. Prendi degli eventi sociali come le deflazioni, ad esempio. Sicuramente dipendono dall’intenzionalità collettiva, dal momento che dipendono dall’accettazione collettiva di un certo sistema monetario, tuttavia si può essere in un periodo di deflazione anche se nessuno pensa che sia così. Inoltre, anche se il concetto di “deflazione” è stato introdotto in un momento storico x, noi possiamo ragionevolmente supporre che ci siano state delle deflazioni anche prima.
T. Tutto ciò che hai appena detto mi pare metta bene in evidenza come, contrariamente a quanto sostiene il nostro filosofo di Berkeley, sembrare di essere, ad esempio, una deflazione, non sia logicamente precedente rispetto a essere una deflazione.
L. E se invece ci si spingesse a sostenere che, a rigore, non possiamo dire che le deflazioni esistono fino a che non abbiamo i concetti appropriati per comprenderle?
- 5 Foucault 1966.
- 6 «L’uomo è un’invenzione di cui l’archeologia del nostro pensiero mostra agevolmente la data recen (...)
T. Qui però il punto mi sembra essere piuttosto che mentre alcuni oggetti sociali, come ad esempio il denaro, per esistere richiedono stati intenzionali implicanti tali concetti, altri come le deflazioni non li richiedono. Poi l’idea che le deflazioni non esistono fino a che non abbiamo i concetti corrispondenti non ha, a ben vedere, maggiore plausibilità dell’idea che gli elettroni non esistono fino a che non abbiamo sviluppato adeguatamente i concetti per comprenderli. Ma davvero saresti disposto ad abbracciare le tesi di quel pensatore francese5 che credeva che persino parti della realtà fisica (l’uomo, per esempio6) fossero socialmente costruite? A me, piuttosto, sembra ragionevole sostenere che ciò che cade sotto il concetto di “elettrone” esistesse anche prima che gli scienziati lo scoprissero effettivamente. E lo stesso mi sembra si possa dire per il caso delle deflazioni.
L. Ti ringrazio molto Termidoro per la precisione delle tue osservazioni. Allora sembra proprio che, per affrontare le varie questioni, si debba ampliare il resoconto dei metodi di costruzione della realtà sociale.
T. Sì, amico mio, e questo non solo per rendere conto della totalità degli oggetti studiati dalle scienze sociali, ma anche per spiegare come il mondo sociale possa sia essere accessibile alla nostra conoscenza, sia includere tipi di entità epistemicamente e concettualmente opachi, prima non solo sconosciuti, ma magari anche inconcepibili e poi scoperti solo in un secondo momento.
L. Molto bene, allora cominciamo a lavorare. Mi sembra che per affrontare la questione occorra un primo chiarimento. Abbiamo visto che gli oggetti sociali dipendono da un lato dai fatti bruti e dall’altro dall’intenzionalità collettiva, quindi da entità spazio-temporali e da stati mentali. Dico bene?
T. Dici benissimo. La dipendenza poi, come ha osservato molto bene una filosofa di Miami7, può essere rigida o generica, a seconda che sia verso un particolare individuo o verso un individuo qualsiasi di un certo tipo.
L. Suggerirei di approfondire in primo luogo la dipendenza da entità spaziotemporali, visto che proprio questo è il tasto dolente della teoria del filosofo di Berkeley.
T. Vai avanti, Lafcadio, ti seguo.
L. Allora, mi sembra che la trattazione del tipo di dipendenza sussistente tra fatti istituzionali e fatti bruti sia stata troppo semplicistica: infatti, dal dire che i fatti istituzionali e sociali dipendono in generale da fatti bruti e non possono esistere senza il mondo fisico indipendente, non segue che ogni fatto o oggetto sociale dipenda rigidamente da un particolare fatto bruto, o che ogni oggetto sociale sia identico a qualche oggetto materiale al quale sia stata aggiunta una nuova funzione. Basti pensare che le corporazioni, le leggi e i governi dipendono tutti dal mondo fisico per la loro esistenza e sono creati dagli atti reali e intenzionali di scrivere, votare, e così via, però nessuna di queste entità è identificabile con qualche particolare oggetto fisico o fatto bruto8.
T. Molto bene amico mio, ti ringrazio. Però, per quanto riguarda la dipendenza, mi pare che anche la cosiddetta forma di “dipendenza dall’intenzionalità collettiva” non sia stata esposta in maniera soddisfacente. A te è chiaro che cosa significa “dipendere dall’intenzionalità”? Il nostro professore di Berkeley sembra sostenere che se una qualsiasi entità x dipende dall’intenzionalità, allora x deve essere conosciuta o riconosciuta per poter esistere. Tuttavia non mi pare che dipendere dall’essere conosciuta o riconosciuta sia una conseguenza logica del dipendere dall’intenzionalità: qualcosa può infatti ben dipendere dall’intenzionalità senza dipendere dal suo essere creduta esistere (può, per esempio, dipendere dall’essere pensata di qualche altra cosa o anche solo dall’esistenza di certi agenti con determinate caratteristiche). Come abbiamo visto nel caso delle deflazioni, non tutti gli oggetti sociali nascono dall’unanime consenso su di essi, alcuni possono sorgere come sottoprodotto o come effetto collaterale delle nostre credenze e pratiche collettive e non dipendono, per la loro esistenza, dal loro essere riconosciute o accettate in quanto tali.
L. Questa volta sono io che ti ringrazio! Abbiamo messo bene in evidenza le due questioni riguardo alle quali il nostro filosofo esperto di oggetti sociali ci lascia insoddisfatti. Certo, chiarire una questione non significa ancora avere trovato le risposte, ma è comunque un passo importante.
T. Ben detto Lafcadio.
L. Andiamo avanti però, abbiamo ancora molto da fare.
T. Noto con piacere, amico mio, che la mia è una malattia contagiosa. Proseguiamo quindi nel nostro ragionamento.
L. Va bene. Non riesco ancora a capire bene come avvenga la costruzione di un oggetto sociale. Quanto ha detto il filosofo di Berkeley non mi è parso pienamente soddisfacente, e io credo che capire la genesi di un oggetto sociale possa essere molto utile per comprenderne la struttura.
T. Certo, è così, ma se vogliamo proseguire per questa strada tu devi venirmi in aiuto, amico mio, perché è proprio su genesi e struttura degli oggetti sociali che la mia ricerca è bloccata da tempo, senza riuscire a proseguire.
L. Non ti demoralizzare Termidoro, vedrai che ne verremo a capo insieme. Bene, partiamo quindi dagli oggetti sociali e dalla loro creazione.
T. Lafcadio, ti prendi forse gioco di me? Ti stavo appunto dicendo che non so spiegare come avvenga la creazione degli oggetti sociali e tu mi dici che proprio da quella bisogna partire?
L. Non fare tante domande e seguimi con attenzione. Fino a pochissimo tempo fa (praticamente fino a che non abbiamo cominciato questa conversazione) io sapevo molto poco degli oggetti sociali. Però, seguendo le tue idee e i tuoi ragionamenti mi sono reso conto che io e te abbiamo moltissime cose in comune, in realtà.
T. Ma allora è vero che mi prendi in giro! Tu ti occupi di oggetti fittizi come Madame Bovary e Anna Karenina. Cosa possono mai avere in comune oggetti di questo tipo con oggetti sociali come le leggi e le deflazioni?
- 9 Walton 1990.
- 10 Per un interessante confronto tra la costruzione di oggetti fittizi e la costruzione di oggetti s (...)
L. Ti prego di seguirmi con pazienza e di non giungere a conclusioni affrettate. Nelle mie ricerche sugli oggetti fittizi mi sono imbattuto, ormai anni fa, in una teoria molto interessante, la famosissima teoria che vede la fiction come il mondo del “fare finta”9 (make believe). Questa teoria si impegna in particolare a spiegare i vari modi in cui le verità della fiction (verità nel mondo del make believe) possono essere generate e come queste riescono poi a essere indipendenti dalla mente che le ha create e dalle credenze e immaginazioni dei partecipanti al gioco di fiction. Partendo da alcuni casi di fare finta si può secondo me fornire qualche chiarimento sulle diverse forme di creazione di fatti sociali10.
T. Lafcadio io cerco di seguirti, ma tu non andare troppo veloce! Di che cosa stai parlando? Che cosa sono questi giochi di fare finta ai quali verrebbe ridotta la finzione? Di che cosa si fa finta?
L. Hai presente i giochi che fanno i bambini quando vanno nel bosco? Giocano alla maestra e qualche volta anche al mondo degli animali. Come pensi che facciano? Fanno finta, ad esempio, che una bambola di pezza sia una bambina o che un ceppo d’albero sia un orso. Capisci adesso che cosa hanno in comune questi oggetti con gli oggetti sociali?
T. Davvero no. Ma continua Lafcadio, continua, perché ho come l’impressione di esserci quasi.
L. Va bene. Una somiglianza di fondo è sicuramente che in entrambi i casi si tratta di oggetti che “stanno per” altri oggetti: la bambola “sta per” una bambina, il ceppo “sta per” un orso, il dischetto di metallo “sta per” un euro e così via. TÌ è chiara adesso la somiglianza? In ogni caso, a voler andare più nel dettaglio, possiamo anche provare a elencare le somiglianze che sussistono tra la creazione di entità fittizie in giochi di questo tipo e la creazione di fatti e oggetti sociali.
T. Vai avanti, non mi perderò una parola.
- 11 Walton 1990 definisce le regole del gioco “principi di generazione” e Searle 1995 “regole costituti (...)
L. Allora, cerchiamo di mettere in luce queste somiglianze... In primo luogo, sia nel caso di oggetti fittizi, sia nel caso di oggetti sociali, ce una dipendenza dall’intenzionalità collettiva e da certi oggetti e fatti esterni; in secondo luogo bisogna osservare che in entrambi i casi l’esistenza del mondo indipendente dalla mente fa sì che tali fatti e oggetti abbiano una relativa indipendenza rispetto alle credenze e alle intenzioni umane (infatti gli oggetti ci sono indipendentemente da noi che possiamo eventualmente attribuire loro determinate funzioni o “farli contare come” all’interno dei nostri giochi di fare finta); poi in entrambi i casi ci sono vari tipi di regole e metodi che possono condurre alla generazione di fatti sociali o fittizi; infine in entrambi i casi, sebbene le regole del gioco11 debbano essere almeno implicitamente comprese e accettate per poter avere il loro ruolo, possono anche non essere esplicitamente stipulate.
T. Certo, e infatti possono semplicemente essere incluse nelle conoscenze o nelle pratiche di sfondo, non devono per forza essere qualcosa che i partecipanti hanno di fatto in mente o che rendono esplicito. Per questo si parla di accettazione collettiva di certe forme di regole senza con ciò implicare che i partecipanti siano effettivamente in grado di esplicitare tali regole.
L. Benissimo Termidoro, vedo con piacere che hai seguito.
T. Sì, in effetti sto cominciando a cogliere le somiglianze e sono molto contento. Ma ti prego, procedi nella tua esposizione, sono curioso di sentire il seguito.
L. Bene, è giunto il momento di soffermarci sulle regole utilizzate per la costruzione degli oggetti fittizi e degli oggetti sociali. Tali regole possono essere di tre tipi: le regole individuali, le regole universali e le regole esistenziali. Le regole individuali sono le più semplici. Per esempio, nei giochi di fare finta, le regole individuali sono quelle che ci chiedono di immaginare qualcosa di un oggetto particolare: ad esempio di Emma immaginiamo che sia una principessa e di Nicola che sia un indiano. Analogamente, il tipo più semplice di costruzione di oggetti sociali consiste nella decisione che un certo oggetto x abbia un certo statuto sociale: per esempio che un certo individuo, poniamo Ruggero, conti come rappresentante degli studenti.
T. Potremmo quindi schematizzare le regole individuali in questo modo: di un oggetto x, noi accettiamo collettivamente Sx.
L. Ti ringrazio per la precisazione, Termidoro. Vuoi ancora aggiungere qualche cosa sugli oggetti creati da questo tipo di regole?
T. Soltanto che si tratta, chiaramente, di oggetti che non possono esistere senza la collettività che li crea e che li riconosce in quanto tali: questi sono oggetti epistemicamente trasparenti.
L. Ma allora non è mai possibile che ci sia qualcuno che non li conosce?
T. Certo, ci possono essere delle persone che non li conoscono, o per ignoranza o perché appartenenti a culture differenti: per loro, in effetti, gli oggetti sociali creati dalle regole individuali possono essere oggetto di reale scoperta.
L. Molto bene. Proseguiamo quindi con le regole universali. Secondo la famosa teoria del fare finta, i giochi di make believe possono anche essere guidati da regole generali di tipo condizionale, come ad esempio: “se trovi un ceppo d’albero nel bosco, devi immaginare che sia un orso”.
T. Ho capito! Secondo quello che hai appena detto, allora, nel gioco di fare finta in questione, i ceppi “contano come” orsi.
L. Esatto. Analogamente agli oggetti fittizi, anche gli oggetti sociali sono creati dall’accettazione di regole costitutive che stabiliscono che, se qualcosa soddisfa determinate condizioni, allora conta come oggetto sociale: ad esempio qualsiasi moneta così e così, coniata dalla Banca Centrale Europea, conta come una moneta da 1 euro. Vuoi schematizzare anche questo tipo di regole?
T. Certo: per ogni oggetto x — se x soddisfa determinate condizioni del contesto C — allora Sx.
L. Grazie. Come avrai notato, questa distinzione tra regole individuali e regole universali elimina alcune delle ambiguità che avevamo riscontrato nella formula del filosofo di Berkeley “x conta come y in C” e mette in evidenza come i membri della società possano avere una relazione epistemica diversa con gli oggetti dell’uno e dell’altro tipo. Ad esempio, quando le verità del gioco di fare finta sono create da regole universali, è possibile la scoperta di fatti particolari all’interno del gioco.
T. Certamente. Infatti i bambini che giocano agli animali nel bosco possono effettivamente scoprire che c’è (nel gioco di fare finta) un orso nascosto nel bosco: scoprono che c’è un orso nel senso che incontrano un ceppo d’albero in un punto in cui non sapevano di trovarne uno e sanno che un ceppo sta per un orso. Mi sembra che nell’ambito della realtà sociale accada qualcosa di molto simile: ci possono essere oggetti sociali particolari (ad esempio una moneta da 1 euro), creati attraverso regole universali, che esistono senza che nessuno sappia però della loro particolare esistenza.
L. Esattamente. Pensa per esempio a una moneta da 1 euro che, una volta creata, cada dietro a un macchinario del conio e non venga mai messa in circolazione.
T. Ecco, in questo caso, ci potrebbe comunque accadere un giorno di scoprire che dietro a quel macchinario c’è una moneta con un certo valore.
L. Quindi può succedere che nessuno sappia che un oggetto particolare soddisfa i requisiti di un determinato contesto C.
T. E i requisiti del contesto, tra l’altro, possono essere di tipi diversi: possono implicare altri concetti sociali, firme o timbri particolari, il richiamo all’autorità e possono anche richiamarsi al verificarsi di condizioni future nel mondo. Per quanto riguarda i requisiti mi sento abbastanza preparato... Comunque mi sembra che anche questo secondo tipo di costruzione attraverso regole non renda conto di oggetti, fatti ed eventi sociali concettualmente opachi, cioè oggetti, fatti ed eventi S nei confronti dei quali nessuno ha credenze di qualche tipo. In questo secondo caso si deve comunque presupporre una accettazione collettiva delle condizioni che devono essere soddisfatte affinché un oggetto x sia Sx, anche se poi — pensa al ceppo d’albero — possiamo non sapere se tali condizioni siano soddisfatte. Ma credo sia importante capire se ci siano o meno oggetti concettualmente opachi in senso forte, soprattutto per quanto riguarda l’ambito della scoperta nelle scienze sociali.
L. Amico mio, non correre troppo, soffermati piuttosto con me a esaminare il terzo tipo di regole di costruzione, le regole esistenziali, delle quali non abbiamo ancora parlato. Considera ad esempio i giochi di fare finta che sono all’opera nella fruizione di un’opera letteraria: in questi casi non ci viene richiesto di immaginare qualcosa di una particolare persona (come nel caso di Emma visto prima), bensì ci viene chiesto di immaginare che ci sia una persona così e così che fa questo e quello. Succede quindi che le regole del fare finta (che consistono nel fare finta che quello che dice il libro sia vero) introducano un nuovo personaggio fittizio anziché semplicemente attribuire nuove funzioni (fittizie) a persone o a cose (già esistenti). Quanto appena visto vale anche per la creazione di nuovi oggetti sociali.
T. Finalmente! Schematizziamo allora le regole esistenziali: noi accettiamo collettivamente che - se tutte le condizioni C si verificano - allora c’è un x che è Sx. Ma perché si chiamano regole esistenziali?
L. Si chiamano così perché introducono il quantificatore esistenziale nel contesto dell’accettazione collettiva e quindi, a differenza delle regole di costruzione precedentemente esposte, garantiscono l’effettiva creazione di nuovi oggetti (fittizi e sociali) e non semplicemente il conferimento di un nuovo statuto (fittizio e sociale) a oggetti fisici preesistenti.
T. Allora rientra sotto questa regola il fatto di accettare collettivamente che, ad esempio, se la maggioranza dei membri del Parlamento dell’Isola Che Non C’è approva una certa proposta di legge, è stata creata una legge.
L. Certo amico mio, rientra sotto il terzo tipo di costruzione. In questo caso il tipo di oggetti, fatti o eventi creati possono essere epistemicamente opachi, visto che si può non sapere del verificarsi delle condizioni di C e quindi non sapere dell’esistenza di una o di tutte le cose di tipo S.
T. Questo spiega, in effetti, le oscurità di alcuni fatti istituzionali della nostra società. Però mi sembra che anche in questo caso si tratti di fatti concettualmente trasparenti, nel senso che niente del tipo S esaminato finora può esistere senza che ci siano delle credenze riguardo a S.
L. Ben detto, quindi dobbiamo concludere che nessuna delle forme di costruzione esaminate finora può risolvere il versante epistemologico della questione che tanto ti sta a cuore e rendere conto della capacità delle scienze sociali di scoprire tipi di entità completamente sconosciute. In ogni caso, è importante tenere presente che questi tre metodi di costruzione ci consentono di rendere conto di una molteplicità di oggetti sociali, mostrando anche come si possano, per esempio con questo ultimo tipo di regole, creare nuovi tipi di entità (leggi, governi), anziché semplicemente aggiungere nuove etichette a oggetti fisici preesistenti.
3Termidoro lascia che l’amico finisca di parlare, poi si alza e comincia a camminare avanti e indietro. Annuisce con la testa, ma la fronte corrugata nasconde delle preoccupazioni. Forse ha capito una cosa importante e vuole trovare le parole giuste per comunicarla all’amico.
T. Permettimi una perplessità, Lafcadio. Non c’è forse, nel rilevare — come hai fatto tu — le somiglianze tra gli oggetti fittizi e gli oggetti sociali, un limite di fondo? Vogliamo forse sostenere che nel sociale si faccia finta? C’è davvero una somiglianza tra la costruzione della realtà sociale e la costruzione dei giochi di fare finta? Illuminami, amico mio, perché cominciano a sorgere in me forti dubbi riguardo al fatto che abbiamo effettivamente dato, in questo modo, un contributo importante per chiarire la costruzione — e quindi la struttura — degli oggetti sociali.
L. Come sei precipitoso nel perplimerti Termidoro! Hai davvero bisogno di sapere se i nostri ragionamenti ti aiuteranno nelle tue ricerche sugli oggetti sociali? E allora non ti demoralizzare tanto presto e seguimi con fiducia.
T. Va bene Lafcadio, farò come dici. Perdona la mia debolezza.
L. Allora proseguiamo facendo un piccolo passo verso i giochi di fare finta. Secondo la teoria del fare finta12, le verità del mondo della fiction in realtà non sono affatto verità, e parlare di “verità fittizie” non è altro che un modo per spiegare quali tipi di fare finta siano autorizzati dai giochi di make believe. Secondo questa teoria, a rigore, non esistono i fatti e gli oggetti fittizi creati dai principi di generazione e si è autorizzati a dire che ci sono tali fatti e oggetti solo ed esclusivamente all’interno del gioco di fare finta.
T. Ma allora, secondo questa teoria, non c’è davvero Anna Karenina come oggetto fittizio creato dall’accettazione della regola che quello che dice il libro è finzionalmente vero, tutto quello che possiamo dire è che il libro scritto da Tolstoj autorizza giochi di fare finta tali che uno che dicesse “C’era una volta una donna triste e appassionata di nome Anna Karenina” direbbe una verità fittizia che, pur essendo una verità all’interno della fiction, non è in senso stretto una verità.
L. Sì è come dici.
T. Però, se le cose stanno così, non mi sembra precipitoso concludere che, viste le somiglianze sussistenti tra oggetti sociali e oggetti fittizi, allora anche tutta la realtà sociale potrebbe essere vista come un “fare finta”: noi forse facciamo semplicemente finta che le cose abbiano acquisito delle nuove proprietà “sociali”, quando in realtà quelle proprietà non ci sono; oppure facciamo finta che sia stata creata una nuova entità, quando in realtà non è così. Forse l’intenzionalità umana non può creare fatti o oggetti nuovi, ma solo rendere vero che — nel nostro fare finta o, come forse è più appropriato dire riguardo al sociale, nel nostro stare in qualche misura alle regole del gioco — noi accettiamo certe assunzioni.
L. Allora tutto il discorso sulla realtà sociale potrebbe essere inteso come uno stare alle regole del gioco e la vera soluzione al problema relativo alla costruzione e costituzione degli oggetti sociali sarebbe quella di negare che abbiamo bisogno di un resoconto relativo a come queste entità vengono create, dal momento che di fatto non ci sarebbero entità di tal sorta; pertanto non avremmo assolutamente bisogno di una ontologia sociale, poiché ci basterebbe un resoconto frizionale—e quindi ontologicamente non impegnato — del sociale.
T. Proprio questo intendevo dire.
L. E lo si potrebbe addirittura vedere come un ottimo risultato che porta a una ontologia leggera e maneggevole. D’altra parte il grande merito della famosa teoria del fare finta è stato proprio questo, come molti studiosi hanno rilevato, cioè quello di non costringere ad assumere imbarazzanti impegni ontologici verso strane entità.
T. E non sarebbe utile assumere un atteggiamento analogo (quindi molto parsimonioso) anche nel delineare una teoria degli oggetti sociali?
L. In tutta franchezza, Termidoro, ti dico che penso sarebbe una mossa sbagliata, perché c’è una differenza fondamentale tra il caso dei giochi di fare finta e quello della realtà sociale. Rifletti un attimo. Se dei bambini (in un gioco di fare finta) sono tutti d’accordo che i ceppi d’albero contano come orsi e anche se è vero (nel loro gioco di finzione) che un particolare ceppo sia un orso, questo soltanto non rende vero di per sé che il ceppo sia un orso: il termine “orso” ha infatti anche degli usi fuori dal gioco di fare finta, e tali usi hanno specifiche condizioni di applicazione. Queste condizioni si possono riassumere, ad esempio, dicendo che la cosa designata dal termine “orso” deve essere della stessa specie di tutte le cose appartenenti al gruppo di entità che indichiamo come orsi. Ovviamente tali condizioni non sono soddisfatte dai ceppi e pertanto non è vero che il ceppo è un orso. Credi forse ancora che si potrebbe fare un discorso analogo per gli oggetti sociali?
T. No, in effetti mi sembra che le cose vadano in maniera diversa per gli oggetti sociali. Se, per esempio, due tribù sono d’accordo riguardo all’accettare un determinato fiume x come il confine tra i loro territori, allora quel fiume è il confine, perché questo è tutto quello che serve per essere un confine. Se accettiamo che ci sia una regola costitutiva collettivamente accettata e stabiliamo quali sono le condizioni che devono verificarsi, poi non possiamo negare che ci sia l’oggetto sociale corrispondente.
L. Precisamente, infatti se lo negassimo, allora significherebbe che non avremmo capito bene quali sono le condizioni per avere un oggetto sociale, insomma ci sarebbe qualcosa che non va. Allora Termidoro, ti pongo nuovamente la domanda e ti invito a riflettere bene prima di rispondere (ne va della tua rispettabilità di studioso, dopo tutto). Come è possibile che con l’intenzionalità collettiva e un determinato contesto di verifica e applicazione si creino oggetti, fatti ed eventi sociali a partire da semplici fatti bruti?
4Termidoro rimane a bocca aperta. La domanda postagli dall’amico in effetti è molto diretta e lo mette personalmente in questione. Ricomincia a giocare con le monete che ha in tasca e strizza un poco gli occhi, come un miope che cerchi di mettere a fuoco oggetti in lontananza. Lafcadio, per alleggerire la situazione, tiene gli occhi all’insù, come a rimirare qualcosa nel cielo di particolarmente bello e interessante, e questo innervosisce molto Termidoro, che cerca di concentrarsi e di trovare una risposta soddisfacente. Passano alcuni istanti, poi Termidoro posa le monete, respira profondamente e guarda l’amico dritto negli occhi.
T. Si creano oggetti, fatti ed eventi sociali perché certe regole costitutive sono collettivamente accettate, e (nel caso delle regole individuali) sono applicate a un oggetto che esiste già, o (nel caso delle regole universali o esistenziali) sono soddisfatte le condizioni sufficienti stabilite affinché una cosa sia di tipo sociale. Posto ciò, l’esistenza di un’entità di tipo sociale è logicamente assicurata, non ce bisogno di nient’altro.
L. Benissimo. Innanzitutto ti faccio i complimenti per la bella risposta e poi ne approfitto per farti un’altra domanda. Non ci converrebbe forse ammettere, per risolvere il lato epistemico della questione, semplicemente una gerarchia di oggetti sociali?
T. Qui però la domanda non la fai a me, ma a te stesso! Tu sei il maggiore esperto dell’Isola Che Non C’è in fatto di gerarchie di oggetti e sono certo che se mi poni una simile domanda è perché hai già in tasca la risposta.
L. In effetti...
T. Allora non farti pregare e spiegami perché sarebbe utile inserire delle gerarchie in una teoria della realtà sociale.
L. Va bene, farò del mio meglio. Partiamo dai fatti (o oggetti o eventi) sociali più basilari — chiamiamoli i fatti sociali primari - che implicano semplicemente credenze e intenzioni collettive. Questi fatti primari possono generare dei fatti sociali secondari, di tipo non intenzionale, che possono esistere di principio senza che nessuno li riconosca. Adesso ti faccio un esempio per farti capire che cosa voglio dire. Il fatto che ci sia la credenza condivisa che, poniamo, le persone di un’altra razza siano inferiori, e pratiche comuni che sistematicamente negano a persone di altre razze un lavoro, una casa e altri benefici, è sufficiente per stabilire che quella società ha la caratteristica sociale aggiuntiva di essere razzista, senza bisogno che nessuno accetti le regole costitutive concernenti il razzismo o “che cosa conta come razzismo”.
T. Ho capito, vuoi dire che la semplice esistenza delle intenzioni collettive, nel contesto di pertinenza, è logicamente sufficiente per assicurare il verificarsi del fatto sociale di tipo S, senza bisogno che qualcuno abbia qualche pensiero riguardo al fatto di tipo S. Quindi alcuni fatti sociali epistemicamente e concettualmente opachi possono essere generati semplicemente in questo modo.
L. Esatto. Comunque ci sono, chiaramente, molti altri modi: una volta che il mondo sociale è costruito, si instaurano vari tipi di schemi e di relazioni causali - cicli economici, modalità di stanziamento, gestione della proprietà, tipi di comportamento, distribuzione dei beni — molti dei quali sono pressoché sconosciuti ai partecipanti della società che non hanno, di conseguenza, credenze o concetti al riguardo. Mentre questi schemi e queste relazioni non potrebbero esistere senza il mondo sociale e l’intenzionalità collettiva che ne è alla base, i cicli economici e le modalità di stanziamento umano possono esistere — e di fatto esistono - anche se nessuno ci pensa e anche se nessuno li riconosce in quanto tali.
T. Ecco, questo è quello che possono scoprire gli scienziati sociali! Loro scoprono caratteristiche, fatti, oggetti o eventi sociali che sono effetti o conseguenze dei fatti sociali primari, e poi creano le etichette appropriate. Queste caratteristiche, oggetti e fatti possono in ogni caso esistere indipendentemente dalle credenze degli scienziati sociali, e contano come scoperte genuine, nonostante la loro dipendenza (a un certo livello) dagli stati intenzionali dei membri della società partecipante.
L. Vedi Termidoro come ti è utile inserire nella tua teoria una gerarchia di oggetti?
T. Hai perfettamente ragione.
L. Allora con gli strumenti in tuo possesso, spiegami adesso che cosa sono le deflazioni. Non ti puoi tirare indietro, me lo devi.
T. Certamente, amico mio. Prendiamo in considerazione il denaro. Il denaro esiste come tipo sociale primario, costruito e concettualmente trasparente, così come le compagnie economiche, le transazioni finanziarie e molte altre cose che contribuiscono all’economia. Una volta stabilito ciò, ci sono tuttavia molte caratteristiche interessanti del sistema economico che ne risulta che possono essere studiate, scoperte, definite. Se un economista che studia i cicli economici definisce come “deflazione” la diminuzione della moneta circolante con conseguente aumento del potere d’acquisto della moneta e ribasso dei prezzi, allora l’esistenza delle deflazioni sicuramente dipende dall’intenzionalità collettiva (perché non ci potrebbe essere nessuna economia senza il sistema monetario e le transazioni commerciali, che richiedono entrambe l’intenzionalità collettiva), ma non ha assolutamente bisogno che ci siano delle credenze di qualche tipo circa il fatto o l’evento in cui le deflazioni consistono, dal momento che, secondo le condizioni stabilite, c’è una deflazione quando c’è una diminuzione della moneta circolante con conseguente aumento del potere d’acquisto della moneta e ribasso dei prezzi, a prescindere che qualsiasi economista abbia usato il termine “deflazione”.
L. Accidenti Termidoro, la tua lucidità espositiva mi stupisce.
T. Non farmi i complimenti quando sei tu che li meriti. Grazie a te ho finalmente capito quali vantaggi comporta accettare che i fatti e gli oggetti sociali possano essere generati come sottoprodotti o effetti collaterali dell’intenzionalità collettiva stessa e di una molteplicità di fatti sociali costruiti. Adesso posso accettare la dipendenza del mondo sociale dall’intenzionalità collettiva e dalla realtà fisica bruta senza essere costretto a rinunciare all’idea che molti fatti, oggetti e tipi sociali possano non essere conosciuti e nemmeno concepiti dai partecipanti, ma rimangano in attesa di essere scoperti dalle scienze sociali.
L. Molto bene amico mio. Quando ti ho incontrato, stamattina, avevi urgenza di spiegare due cose: in primo luogo come fosse possibile che ci fossero fatti e oggetti sociali costruiti — grazie all’intenzionalità collettiva — sulla sola base del mondo fisico e in secondo luogo come fosse possibile che il mondo sociale fosse oggetto di ricerche e di scoperte da parte delle scienze sociali. Siamo riusciti, mi sembra, a fornire una risposta a entrambe le questioni.
T. Sì, Lafcadio, e se abbiamo fatto un buon lavoro il merito è soprattutto tuo. Mi hai fatto imparare molte cose spiegandomi quella famosa teoria del fare finta: mi è stata utile per capire importanti caratteristiche degli oggetti sociali. Ma dimmi, a te è stata utile quella teoria per capire gli oggetti fittizi?
Lafcadio si mette a ridere di gusto. Ride tanto che gli lacrimano gli occhi e non riesce più a fermarsi. Agita le mani come a volersi tappare la bocca, senza alcun risultato. Termidoro lo scruta preoccupato, teme che il suo amico sia improvvisamente impazzito.
T. Ma che cosa c’è di così divertente? La vuoi smettere di ridere? Fino a cinque minuti fa sembravi una persona normale, adesso cosa ti prende?
L. Oh caro Termidoro scusami, ma proprio non sono riuscito a trattenermi. Come puoi pensare che io abbia tratto qualche utilità da una teoria come quella del fare finta? Proprio io, che sono quello che sono, Lafcadio Wluiki un personaggio del romanzo Les Caves du Vatican, e che purtuttavia esisto? Ti sembra forse che io faccia finta di esistere?
Termidoro non capisce la replica dell’amico, ma si rende conto che dopotutto non è molto importante. Gli è grato per averlo aiutato e poi gli piace tanto discutere con lui. D’altra parte non ha molta scelta, in realtà, perché se non ci fosse Lafcadio, Termidoro sarebbe solo sull’Isola Che Non C’è e allora non soltanto non avrebbe con chi parlare, ma non ci sarebbero nemmeno gli oggetti sociali, il suo argomento di ricerca da una vita. Termidoro prende l’amico sotto braccio e, avviandosi verso casa, gli sussurra piano all’orecchio:
T. Senti Lafcadio, tu sei quello che sei, ma a me non importa. Vieni, andiamo a casa. Domani è un altro giorno.