1Tre tesi generali ispirano il presente lavoro. (1) La complessità del mondo e la varietà degli enti sono tali da esigere un’ontologia pluralistica, è necessario cioè sviluppare un’ontologia a più modelli, rispondenti a diverse situazioni epistemiche. Per “modello” intendo una struttura teorica isomorfa al mondo al quale si riferisce; pertanto, la corrispondenza fra teoria e mondo è una corrispondenza di strutture. (2) Il mondo è dato, ma spesso il soggetto agisce sul mondo andando a ritagliare l’oggetto, non crea l’oggetto, ma ne può stabilire i confini. (3) Ciò che chiamiamo “oggetto” è una figura che si staglia su uno sfondo.
2Consideriamo due immagini, due modi sensibilmente diversi di rappresentare una donna. La prima è quella di M.lle Blanche, presentataci da Dostoevskij nel romanzo Il giocatore:
M.lle Blanche è bella. Ma io non so se mi capiranno, quando dirò che ha uno di quei volti che possono sgomentare. Per lo meno, ho sempre temuto simili donne. Ha di sicuro un venticinque anni. È alta e con spalle larghe e rotonde; il suo petto e il collo sono magnifici; la carnagione è di colore olivastro, i capelli son neri come inchiostro di China, e di capelli ne ha una massa enorme, ce ne sarebbe per due acconciature. Occhi neri, il bianco gialliccio, lo sguardo insolente, i denti bianchissimi, le labbra sempre dipinte; odora di muschio. Si veste in modo vistoso, ricco, ricercato, ma con gran gusto. Piedi e mani meravigliosi. La sua voce è un contralto un po’ rauco. A volte scoppia a ridere e in quella mostra tutti i suoi denti, ma di solito ha un aspetto silenzioso e insolente, almeno in presenza di Polina e di Mar’ja Filìppovna1.
3È un ritratto abbastanza dettagliato: M.lle Blanche è descritta mediante proprietà, anche se non tutte quelle menzionate da Dostoevskij sono descrittive, come le proprietà di essere bella, avere un collo e un petto magnifici, o piedi e mani meravigliosi. Vediamo ora come viene descritta la Jole del San Giorgio in casa Brocchi di Carlo Emilio Gadda:
«Ma è una ragazza troppo… troppo… appariscente…» insisté la contessa; «credilo, Agamennone, finirà col darti… col darci a tutti… dei nuovi dispiaceri…» La contessa ricordava esasperata le occhiate avide del panettiere galoppar dietro le proterve emimorfìe della Jole, quasi per azzannarle: la vedeva, orrore!, così «impettita» e così «sconsiderata», cioè così salda nell’essere e a un tempo così molle nel procedere, da costituire un vero scandalo vivente ai ragazzi di tante famiglie per bene! – poveri ragazzi! a quell’età si è dei perfetti incoscienti! – che ritornavano già tanto affaticati dal liceo e l’avevano battezzata l’«andalusa libidinosa»; nel mentre tutti i giovani garzoni si voltavano e rivoltavano, sbilanciati dalla cesta sull’anca, «vacca miseria!» dicendo, presi così alla sprovvista. E finivano contro un palo2.
4Qui non si dice l’età della Jole, anche se immaginiamo che sia giovane; non si dice – né qui né in altro luogo del racconto – nulla della sua altezza, del colore della carnagione; non si dà nessuna descrizione dei suoi capelli, occhi, denti, labbra, piedi e mani, non si dice come è vestita. Sono descritti invece gli sguardi degli altri, i loro pensieri, le loro reazioni. La Jole non viene ritratta, ma appunto presentata mediante le reazioni che suscita in chi la incontra o viene a contatto con lei; possiede senz’altro delle qualità, ed è mediante queste che entra in relazione con il panettiere, i liceali, i garzoni, gli studenti del politecnico, perfino con la contessa Brocchi, ma queste qualità vengono semmai date a intendere; in ogni caso, sono concepite da Gadda come proprietà relazionali.
5In sintesi, M.lle Blanche è descritta mediante proprietà, la Jole mediante relazioni, o reazioni. Qualcuno potrà obiettare che, in entrambi i casi, non viene descritto nulla, trattandosi di figure di romanzo. In questa sede, non intendo però discutere degli oggetti finzionali. Consideriamo i due brani appena letti come possibili descrizioni di individui. Delle due, quella che più mi interessa è la seconda, e infatti proseguo con Gadda, più precisamente con la sua Meditazione milanese.
- 3 Gadda 1928: 631.
- 4 Gadda ha scritto la Meditazione milanese dal 2 maggio al 28 giugno 1928; successivamente, dal 13 lu (...)
- 5 Gadda 1928: 866.
6Gadda prende le mosse dal concetto di sostanza, che definisce in relazione al divenire e al perdurare. L’esperienza ci mostra che ci sono cose che mutano e altre che permangono. Il persistere è «un permanere inalterato di alcuni elementi di un sistema, mentre altri si deformano»3; nella seconda stesura della Meditazione milanese4 si legge: «un permanere, quasi privo d’alterazioni, d’alcuni elementi d’un sistema, mentre altri si deformano più intensamente»5. Gli elementi inalterati ci permettono di vedere una continuità, un’unità e una consecuzione temporale. Il pensiero richiede infatti la fissazione, almeno parziale, di oggetti, forme e figure; diversamente, nulla di definito sarebbe pensabile. La sostanza è allora ciò che appare immutabile rispetto alla variazione di un suo elemento.
- 6 Ivi: 633. La seconda stesura non presenta modifiche di rilievo (cfr. ibidem 868).
La mia grama sostanza – scrive Gadda – esiste in quanto soltanto esistono dei mutamenti e corrompimenti: essa è, per esprimermi con una grossa immagine, la parte ancora dura e coriacea di un pollo qua e là putrescente6.
7La permanenza è concepibile solo in relazione al mutamento: qualcosa permane inalterato, perché qualcos’altro si deforma. Corrispondentemente, il divenire esige il permanere.
- 7 Ivi: 633. La seconda stesura presenta leggere modifiche (cfr. ibidem 869).
Non può una figura cangiare se non resulti da molteplici rapporti di elementi, di cui alcuni permangono attualmente non alterati. […] La deformazione del sistema implica deformazione degli elementi interessati; che io non concepisco se non quali grovigli o nuclei o gomitoli di rapporti privi d’un contorno polito7.
- 8 Sul senso del termine “sistema” cfr. ivi: 861 n. 1: «la parola sistema è usata, sia pure con la più (...)
- 9 Ivi: 645.
8Anche quello di elemento è un concetto relazionale: un elemento è tale relativamente a un sistema8, ma può essere complesso. Il muro è un elemento della casa, ed è a sua volta un conglomerato di mattoni, i quali sono un impasto di granuli; ma la casa non è un mero impasto di granuli. Nell’ultimo brano compare il tema dell’indeterminatezza: sia gli elementi che la figura sono nuclei di rapporti «privi d’un contorno polito»; inoltre, la grama sostanza cede il passo al nucleo o grumo di relazioni: «Non è possibile pensare un grumo di relazioni come finito, come un gnocco distaccato da altri nella pentola. I filamenti di questo grumo ci portano ad altro, ad altro, infinitamente ad altro»9.
9Per illustrare il punto di vista di Gadda, ricorrerò a degli esempi addotti da lui stesso. Se sono scelti bene, gli esempi servono non soltanto a illustrare una teoria, ma anche a indicarne il campo di applicazione.
10Si prenda una centrale elettrica. Se la si pensa staccata dal resto del mondo, essa – dice Gadda – «è un puro nulla». Volgarmente, la si intende come costituita dall’edificio e dalle macchine (turbine e alternatori), in realtà la centrale è un complesso sistema macchine-uomini, in cui questi ultimi lavorano ai comandi degli strumenti di misurazione e regolazione. Non solo, la centrale «“sente”, “avverte” il carico richiesto dai fusi dei cotonifici lontani: ma questi sono perché gli uomini hanno necessità di fazzoletti e tovaglie»10, e anche gli uomini sono a loro volta parti di un tutto, e così via. Si parte dalla centrale elettrica, questa genera poi mille vie, e ciascuna di esse altre mille. Gadda formula quindi il Teorema della necessità della ricostruzione del coesistente, del quale dice «che potrà parere paradossale, ma che è vero»:
La considerazione di un oggetto finito costringe la nostra mente a riconoscere l’esistenza di tutto il noto, di tutto il pensabile ed altro ancora11.
- 12 Ivi: 647. Cfr. anche Benedetti 2004: 27-28.
11Da qui, il passo allo scetticismo è breve, perché non potrò mai conoscere l’infinita varietà delle relazioni che si producono. Gadda ha previsto l’obiezione: egli – precisa – non intende affatto sostenere che un’unica mente debba comprendere tutti i rapporti, vuole solo mettere in guardia dall’errore «di veder limiti e barriere, dove vi sono legami e aggrovigliamenti»12.
12Le relazioni alle quali Gadda pensa non sono quelle – per così dire – statiche di identità, somiglianza, comparazione, ma le relazioni dinamiche di causa e effetto. Quest’ultimo è una mutata relazione, che ci riconduce al sistema totale, fermo restando che vi è una gradazione tra gli effetti, in quanto non tutti agiscono allo stesso modo sul sistema considerato, e all’infuori di esso l’effetto diventa infinitesimo. Un sistema ha quindi dei limiti, «determinabili in base al grado di approssimazione dell’analisi che ci interessa di istituire»13. Analogamente, nell’indagine visiva possiamo procedere a occhio nudo, con la lente o con un microscopio con più o meno ingrandimenti. Il mondo è dato, ma il soggetto ritaglia l’oggetto; a seconda della situazione epistemica, abbiamo pertanto una figura che emerge su uno sfondo.
13Non soltanto l’effetto, ma anche la causa non può essere pensata da sola, come un individuo, bensì come «una sinfonia di relazioni intervenenti»14. Più che di una catena di cause, dobbiamo però parlare di una maglia o rete
ma non di una maglia a due dimensioni (superficie) o a tre dimensioni (spazio-maglia, catena spaziale, catena a tre dimensioni), sì di una maglia o rete a dimensioni infinite. Ogni anello o grumo o groviglio di relazioni è legato da infiniti filamenti a grumi o grovigli infiniti15.
14Tutto ciò pone la domanda: se e a quali condizioni sia ancora possibile conservare il concetto di individualità per i grumi o nuclei di relazioni.
15Come già anticipato, Gadda va oltre la definizione dell’identità di un oggetto mediante proprietà, e sostiene che un oggetto si definisce mediante relazioni e reazioni con altri oggetti:
- 16 Ivi: 655; cfr. anche ibidem: 887.
Ritengo cosa puerile, e degna di una mentalità pleistocenica, il pensare una automobile come un nucleo di relazioni definitivo in sé ed avulso dal mondo; come un gnocco, come pacco postale. Ho già affermato che tutti gli gnocchi sono unti agglutinati filamentosi per il formaggio e la salsa, e non detersi e politi. Sono impastati gli uni con gli altri da innumeri filamenti: e un gnocco tira cento altri, e ognuno dei cento altri mille, e ognuno dei mille un milione, e così in infinito16.
- 17 Cfr. ivi: 662-664, 667 e n. 1.
16Che un elemento è tale rispetto a un sistema, non significa che l’elemento sia semplice. Un complesso di relazioni diviene individuo in relazione ad altro, a un complesso di relazioni o sistema più ampio e generale, del quale è elemento; il muro, che è un complesso di mattoni, è un elemento della casa, così come la turbina lo è della centrale elettrica. Perché un complesso di relazioni (o un complesso di complessi di relazioni) divenga individuo, è necessario che i suoi componenti mostrino una o più relazioni comuni, che lo identificano rispetto ad altro, ai complessi esterni. Se dunque si intende l’individuo come un grumo di relazioni, non lo si può concepire se non come appartenente ad altro; si è cioè costretti a pensare una pluralità di altri individui o grumi di relazioni coesistenti, sia subordinati che soprastanti. Gadda non vede né il fondo dell’abisso né l’assoluto cielo, ma parte dal livello intermedio della nostra esistenza storica e procede nelle due direzioni (ascendente e discendente), anche se – tiene a precisare – non si tratta tanto di un procedere in due direzioni quanto di un estendersi17.
- 18 Ivi: 712.
- 19 Ivi: 715.
17Se prima si poneva la questione epistemologica dello scetticismo, ora si pone quella ontologica di un relativismo assoluto. «La spezzettatura – spiega Gadda – è stata resa necessaria dal dover spiegare un numero sempre crescente di relazioni»18. Il punto è che, se ci collochiamo tra l’infimo e il supremo, al livello della nostra esperienza storica, difficilmente perverremo all’atomo, il termine logico «che permane integro o vergine e non ulteriormente decomposto rispetto al sistema di relazioni costituente la realtà nota»19. L’atomo, o «particella supposta infima», è ciò oltre il quale non possiamo andare per giustificare la realtà, ma esso riguarda il micromondo, non il mondo della nostra esperienza storica.
18E che la riflessione di Gadda si situi non tanto al livello del mondo fisico, ma, più in generale, degli oggetti reali e concreti del mondo storico, inclusi i suoi «aspetti immateriali», risulta chiaramente da altri due esempi, la casa e il generale:
La casa non è una casa (pacco postale): ma è grumo o convergenza di complessi di relazioni volute dall’abitare, dal riposare, dal ripararsi, dallo scrivere – dalla possibilità economica di costruirla (nodo di relazioni economiche) – dal non terremoto – dalle relazioni della calce che indurisce, dalle relazioni ferro, mattoni, tecnica ecc. ecc. (Milioni di miliardi di relazioni convergenti.) Soltanto il cervello pleistocenico della borghesuccia pensa la casa come un oggetto (pacco postale), avulso dalla coesistenza infinita20.
19Di nuovo, a definire l’identità della casa concorrono non soltanto le sue proprietà, specifiche e accidentali, ma anche quelle condizioni e relazioni con altre entità che ne rendono possibile l’esistenza. Pertanto, un oggetto A si dice che è in relazione a un oggetto B, e tale relazione non è estrinseca, come quella di “essere il doppio di…” o “essere simile a…”, se l’esistenza e la natura di B, ossia quel che B è, concorrono a che A sia e sia quel che è. Ritornerò più avanti, parlando di Aristotele, sull’esempio della casa, intanto passo all’ultimo esempio:
Nelle stanche albe, al risveglio, in quei pochi attimi di intuizione che precedono il risveglio, e che Dante e S. Caterina dicono propizî alla recezione della luce, quando l’anima alle sue visïon quasi è divina, quante volte, in guerra, i comandanti, i generali ecc. mi apparvero non come persone, ma come non-persone. In essi la realtà lavorava, per essi si esprimeva. Ed esprimeva il suo pulsante palpito, il suo aggrovigliato vivere; e tale espressione era difforme da quello che i grossi e bovini occhî imbambolati dalla luce del giorno e dalla sua falsa dialettica, soglion vedere.
Non vedevo il generale tale o il generale tal altro – ma relazioni logistiche, tattiche, ferroviarie, dinamiche, chimiche (esplosivi) ecc. e carrieristiche (promozioni-siluramenti) e politiche e sociali e culturali e storiche e vanità e sciocchezze e piccinerie (cioè infiniti complessi di relazioni) e testardaggini e ambizioni e valore e scemenza confluire, convergere come i pesci mille centripeti attorno a un boccone. – Il generale non era quel fantoccio, con quel berretto, ma un nucleo o groviglio di relazioni attuali, un organo, non differente dall’occhio, buono o gramo21.
20Il generale è tale all’interno di un sistema ed è a sua volta un sistema. Egli è non soltanto un individuo vivente, ma a tutti gli effetti un oggetto sociale, le cui proprietà e funzioni si determinano in relazione ad altri oggetti sociali: all’esercito, allo stato, alla gerarchia militare. Pertanto, una centrale elettrica attiva, una casa realmente abitata, un generale con esercito, «sono la stessa cosa cioè sistemi di relazioni attuali, (viventi vita storica) e fondati su preesistenze logiche»22.
- 23 Cfr. gli assiomi, lemmi e postulati collocati fra P 13 S e P 14 della seconda parte dell’Etica.
21Dietro queste considerazioni ci sono due autori, che Gadda cita qua e là: Spinoza e Leibniz; soprattutto il primo, e in particolare, anche se non viene esplicitamente menzionato, il trattatello di fisica, in cui Spinoza parla delle relazioni fra i corpi, dell’affettare e dell’essere affetto di corpi semplici e composti23. I corpi semplici «si distinguono l’uno dall’altro in ragione del movimento e della quiete, della velocità e della lentezza» (Lem. 1), ciascuno di essi è stato «determinato alla quiete o al movimento da un altro corpo, che a sua volta è stato determinato da un altro, e questo a sua volta da un altro, e così all’infinito» (Lem. 3); i modi in cui un corpo semplice è affetto (mediante urto), ossia modificato o mosso, da un altro corpo, dipendono dalla natura di entrambi i corpi (Ass. I e II). I corpi composti da più corpi semplici che comunicano fra loro sono gli individui, i quali si distinguono l’uno dall’altro per mezzo della diversa unione dei corpi (Def.). Un individuo può essere affetto in molti modi, e tuttavia conservare la propria natura: ciò avviene se da un individuo composto si separano alcuni corpi, ma simultaneamente gliene si aggiungono altri della stessa natura; oppure le parti che lo costituiscono aumentano o diminuiscono, ma conservano la stessa proporzione dei rapporti di quiete e movimento; o ancora volgono il loro moto verso un’altra parte, ma continuano a comunicarsi fra loro i movimenti nel medesimo rapporto; infine, qualora l’intero individuo si muova o resti fermo in maniera che ciascuna parte comunichi alle altre il proprio movimento come prima (Lemm. IV, V, VI e VII). Per Spinoza gli individui sono dunque “grovigli” di corpi semplici comunicanti fra loro, molto simili ai grumi di relazioni di Gadda. Anche per Spinoza vi sono individui composti da più individui di natura diversa: un individuo del primo tipo diventa un elemento in un individuo del secondo tipo; e v’è anche un terzo genere di individui, composti da individui del secondo tipo. Ciascuno di questi due tipi di individui può essere affetto in molti altri modi, e tuttavia conservare la propria natura. Possiamo procedere così all’infinito, fino a riconoscere un unico individuo, le cui parti variano in infiniti modi, pur conservando l’individuo totale la propria natura (Lem. VII S). Il teorema gaddiano della necessità della ricostruzione del coesistente si ispira chiaramente alla teoria fisica spinoziana. Anche il corpo umano è, secondo Spinoza, «composto di moltissimi individui (di diversa natura), ciascuno dei quali è assai composto» (Post. 1). Per conservarsi, ossia per persistere, ma potremmo anche dire: per esistere, «il corpo umano ha bisogno di moltissimi altri corpi dai quali viene continuamente quasi rigenerato» (Post. IV); ciò significa che ciascun corpo umano è in relazione con altri corpi e che tale relazionalità non è estrinseca, ma necessaria, costituente la natura stessa di quegli individui che sono gli uomini. La struttura degli individui è pertanto relazionale ed è inserita in un sistema di relazioni con altri individui – concepiti non come indipendenti e autonomi, ma come continui in relazione, che reagiscono l’uno nei confronti dell’altro. E anche Gadda – abbiamo visto – concepisce l’individuo come un insieme di sistemi, a sua volta relazionato con altri sistemi.
22Come mostra il breve richiamo a Spinoza, la prospettiva gaddiana – secondo cui il mondo è costituito di entità in rapporti reciproci, rapporti che non sempre sono estrinseci, anzi spesso sono costitutivi della loro identità – non è nuova nella storia della filosofia. Tuttavia, affinché quando parliamo di una totalità questa non sia qualcosa come la celebre notte in cui tutte le vacche sono nere, occorre dare ragione della molteplicità di cui è costituita; esaminiamo allora più attentamente i concetti di individuo e continuo. Nel prosieguo mi riferirò principalmente a Charles S. Peirce. In comune con Gadda ha la conoscenza della geodesia, e anche qualche pensiero. Mi propongo di mostrare non che non ci sono individui, ma che la nozione di individuo è relativa a un certo livello epistemico, e che se ne danno altri in cui essa va sostituita con altre nozioni, in primo luogo con quella di continuo. Ne risulterà, anche in tal caso, una concezione fondamentalmente relazionale della realtà.
23Innanzi tutto definiamo gli individui, riservandoci di esaminare meglio fra breve le ragioni di tale definizione: essi sono entità esistenti, complete e non-contraddittorie, ovvero entità per le quali valgono sia il principio di contraddizione sia il principio del terzo escluso, e sono quindi assolutamente determinati. Caratteristiche degli individui sono, tradizionalmente, l’indivisibilità (conformemente all’etimo del termine); la singolarità (ovvero l’unicità), nel senso che non se ne danno due identici; l’esistenza separata e indipendente.
- 24 Cfr. Met. Z 1, 1028a 28-31; 3, 1029a 28; cfr. anche Phys. I 2, 185a 31-32.
- 25 Cfr. Cat. 5, 3b 10; Met. Z 3, 1029a 27-28.
- 26 Cfr. Met. Γ 4, 1007b 18-1008a 2.
- 27 Sulla problematicità del concetto di sostanza in Aristotele si era già espresso Zeller (19214: II.2 (...)
- 28 De an. I 1, 403b 3-5.
24Si suole far risalire una simile concezione ad Aristotele, che parla della sostanza individuale come di un ente separato sia in Cat. 5 che in Met. Z24; sempre Aristotele intende la sostanza individuale come qualcosa di determinato, un τόδε τι25; inoltre, in Metaph. Γ 4 sostiene esplicitamente che il principio di contraddizione vale per le sostanze individuali e che, negando tale principio, ogni cosa, in quanto non più determinata, verrebbe a confondersi con le altre, e tutte insieme costituirebbero un’unità indistinta26. Non intendo tuttavia entrare nel merito della complessa questione concernente il significato della nozione di sostanza in Aristotele, né tanto meno identificare tout court la sostanza con la sostanza individuale27. Si osservi, tra l’altro, che una delle tre definizioni di casa fornite da Aristotele in De an. I 1, «riparo che difende contro la distruzione causata da venti, piogge e caldo»28, va in una certa misura nel senso dell’esempio gaddiano, non soltanto perché introduce qualcos’altro accanto alla materia («pietre, mattoni e legno»), e cioè la forma (in termini aristotelici), ma perché la casa – anche se ciò non viene esplicitato – è considerata in un contesto e in relazione ad altro (gli agenti atmosferici). Mi limito solo a rilevare che la concezione della sostanza individuale come ente determinato, separato e autonomo, è propriamente aristotelica e che come tale è stata assunta da molti filosofi nel corso della storia della filosofia.
25L’assoluta determinatezza dell’individuo pone dei problemi di carattere gnoseologico. Stando a Kant, la determinabilità di un concetto, vale a dire l’appartenenza possibile di una determinazione a un concetto,
- 29 KrV A 571 = B 599 (tr. it. 454).
sottostà al principio della determinabilità: che solo uno di ogni due predicati opposti contraddittorii gli può convenire; il quale principio si fonda sul principio di contraddizione, e quindi è un semplice principio logico, che astrae da ogni contenuto della conoscenza, e non bada se non alla sola forma logica di essa29.
- 30 Ivi: A 571-572 = B 599-600 (tr. it. 454).
- 31 Ivi: A 573 = B 601 (tr. it. 455).
- 32 Cfr ivi: A 576 = B 604 (tr. it. 457).
26La determinazione di una cosa, invece, poiché concerne non soltanto la forma, ma anche il contenuto, sottostà, oltre che al principio di contraddizione, al «principio della determinazione completa, in forza del quale di tutti i possibili predicati delle cose, in quanto essi sono paragonati coi loro opposti, gliene dee convenire uno»30. Che «ogni esistente è completamente determinato» significa che di qualsiasi coppia di predicati opposti, siano essi dati o possibili, uno dei due gli appartiene sempre. Conoscere completamente un oggetto significa quindi determinarlo, sia positivamente che negativamente, in relazione alla totalità di tutti i possibili predicati. «La determinazione completa è conseguentemente un concetto, che noi non possiamo rappresentare mai in concreto nella sua totalità»31. E se un concetto, in quanto completamente determinato, rappresenta un individuo32, ne deriva che l’individuo non è mai rappresentabile completamente per concetti.
- 33 Peirce 1870.
- 34 Peirce 1870: CP 3.93; W 2, 389 (tr. it. 78). Per maggiori dettagli sui temi trattati in questa e ne (...)
27Nell’analisi della nozione di individuo Peirce intreccia motivi aristotelici e kantiani, ontologici e gnoseologici. In Description of a Notation for the Logic of Relatives, Resulting from an Amplification of the Conceptions of Boole’s Calculus of Logic33 l’individuo è inteso come atomo logico, ossia come elemento indecomponibile: «L’atomo logico, ovvero il termine non suscettibile di divisione logica, deve essere tale che di esso ogni predicato possa venire universalmente negato o affermato»34. Esso è quindi assolutamente determinato. Tale definizione – come abbiamo anticipato parlando di Kant – non è esente da difficoltà di carattere gnoseologico.
- 35 Cfr. Peirce 1868: CP 5.299-306; W 2, 233-236 (tr. it. 132-137); 1870: CP 3.93; W 2, 390 (tr. it. 79 (...)
28Così compreso, l’individuo non si dà nella sensazione. Innanzi tutto, perché i nostri sensi sono specifici: la vista, ad esempio, ci fornisce informazioni sulla forma e i colori degli oggetti, non sul loro sapore; inoltre, perché l’oggetto è sempre percepito con un margine di indeterminatezza: anche riguardo ai colori permane una certa indeterminatezza, dovuta alle variazioni della luminosità, alle caratteristiche del nostro organo visivo, o all’impossibilità effettiva di classificare determinate tonalità. Se dunque non è possibile avere un’immagine di un oggetto in tutti i suoi dettagli, non si potrà mai avere un’immagine vera di nessuna cosa35.
29In secondo luogo, l’individuo non si dà nel pensiero. E qui Peirce ripete sostanzialmente l’argomentazione di Kant:
- 36 Ivi: CP 3.93; W 2, 390 (tr. it. 79).
Nel pensiero, un termine assolutamente determinato non si può concepire, poiché, non essendo dato dai sensi, tale concetto sarebbe formato per sintesi, e non vi sarebbe termine alla sintesi in quanto non vi è limite al numero dei predicati possibili. Un atomo logico, allora, come un punto nello spazio, implicherebbe per la sua precisa determinazione un processo senza fine. Possiamo solamente dire in modo generale, che un termine per quanto determinato, può venir reso ancora più determinato, ma non che esso possa essere reso assolutamente determinato36.
- 37 Cfr. ivi: CP 3.93 n. 1; W 2, 390-391 n. 8 (tr. it. 80 n. 58).
30In una nota, Peirce rileva anche una difficoltà di carattere ontologico, da cui comincia a emergere la necessità della nozione di continuo37:
L’assolutamente individuale non solo non può essere realizzato nel pensiero o nel senso ma non può nemmeno esistere, parlando propriamente. Infatti ciò che dura per un certo tempo, per quanto piccolo, è suscettibile di divisione logica, in quanto in quel certo tempo subirà qualche mutamento nelle sue relazioni.
- 38 Cfr. Peirce 1902: CP 6.173.
31Ma per la definizione data sopra, se qualcosa è divisibile, non è un individuo. D’altra parte, se è vero che «ciò che non esiste per un certo tempo, per quanto piccolo, non esiste affatto», è anche vero che «[t]utto ciò che esiste però è infinitamente determinato e l’infinitamente determinato è assolutamente individuale», vale a dire che tutto ciò che esiste è individuale. Da questa contraddizione si esce distinguendo il piano ontologico da quello gnoseologico: ciò che esiste (e può essere oggetto di un concetto vero) è assolutamente determinato, ma non lo è il concetto, il quale può essere reso più determinato di qualsiasi altro concetto, ma «mai così determinato da non essere suscettibile di ulteriore determinazione». Se però le nostre conoscenze non sono assolutamente determinate, allora l’oggetto dei nostri pensieri e delle nostre percezioni non è individuale, ma generale. E se questo è vero, non si possono assumere gli individui, intesi quali elementi ultimi, come esplicativi dei fenomeni, perché assumere come esplicativo ciò che è inesplicabile significa non spiegare nulla38.
- 39 Peirce 1870: CP 3.93; W 2, 390 (tr. it. 80).
- 40 Cfr. ivi: CP 3.92; W 2, 389 (tr. it. 78).
32Tali difficoltà sorgono se si trascura che «l’assoluta individualità è meramente ideale»39. Peirce non rinuncia del tutto agli individui intesi come atomi, di cui mostra il ruolo che essi possono svolgere nelle dimostrazioni matematiche. Gli individui sono facili da manovrare, in virtù della loro caratteristica di essere o identici o mutuamente escludentisi, e di non intersecarsi o includersi l’un l’altro, come avviene invece per le classi con un numero di individui superiori all’unità. Ne è una riprova il fatto che il matematico opera con casi individuali, ma sulla base di ipotesi generali; non considera le proprietà del caso singolo, ma solo quelle che appartengono a ciascun caso dello stesso tipo40.
- 41 Cfr. ivi: CP 3.93; W 2, 390 (tr. it. 80); Peirce 1901: CP 3.611.
33Dall’individuo come assolutamente indivisibile, individuale (τὸ ἄτομον), va distinto l’individuo come uno di numero, singolare (τὸ καθ΄ ἔκαστον); una distinzione richiamata anche nella voce Individual (in logic), redatta per il Dictionary of Philosophy and Psychology41. Peirce vi esamina altre due difficoltà in cui incorrerebbe la concezione secondo cui l’individuo è completo, ossia assolutamente determinato, e non-contraddittorio. Il punto di partenza è costituito da una definizione più articolata della precedente:
Un individuo non soltanto è un oggetto (o termine) effettivamente determinato quanto al fatto di possedere o non possedere ciascun carattere generale e non, allo stesso tempo, di possederne e non possederne alcuno, ma è necessitato dal suo modo di essere ad essere così determinato42.
34Questa definizione – osserva Peirce – non implica il principio leibniziano degli indiscernibili: in base ad essa, due distinti individui possono anche essere precisamente simili. Inoltre, in considerazione di quanto si è detto da ultimo sull’inconoscibilità degli individui, ovvero sull’impossibilità di determinarli completamente, non sembra essere una necessità del pensiero la tesi secondo cui «tutto ciò che esiste consiste di individui»43.
- 44 KrV A 654 = B 682 (tr. it. 511).
35Di nuovo, Peirce si richiama alla Critica della ragion pura, in particolare alla prima parte dell’“Appendice alla dialettica trascendentale”, “Dell’uso regolativo delle idee della ragion pura”. Qui Kant sostiene che al principio logico che esige l’unità sistematica delle conoscenze dell’intelletto, e che concorre quindi affinché queste siano fra loro coerenti, va accostato un principio trascendentale, il quale presuppone come necessaria a priori una corrispondente unità sistematica nella natura e negli oggetti stessi; in caso contrario, l’unità sistematica varrebbe solo dal punto di vista soggettivo, non anche da quello oggettivo. Pertanto, alla legge logica che ordina sotto generi gli oggetti dell’esperienza (i fenomeni) deve corrispondere quella trascendentale, secondo la quale «nel molteplice di una esperienza possibile è necessariamente presupposta una omogeneità»44 (legge della omogeneità).
36Se si danno i generi, si danno anche le specie che cadono sotto ciascuno di essi: mentre il principio logico dei generi postula un’identità, il principio delle specie richiede invece una molteplicità. Ma nel processo di divisione dei generi in specie e di queste in sottospecie non è possibile scorgere un punto terminale, poiché ogni sottospecie è ulteriormente divisibile;
- 45 Ivi: A 655-656 = B 683-684 (tr. it. 512).
così la ragione in tutto il suo svolgimento richiede che nessuna specie venga considerata in se stessa come l’infima, in quanto che, essendo essa sempre un concetto contenente in sé soltanto ciò che è comune a diverse cose, questo non può essere interamente determinato, e però né anche può essere riferito, senz’altro, a un individuo; e, per conseguenza, deve sempre comprendere sotto di sé altri concetti o sottospecie. Questa legge della specificazione, si potrebbe formulare così: entium varietates non temere esse minuendas45.
- 46 Ivi: A 656 = B 684 (tr. it. 512).
37Viene sostanzialmente riaffermata l’idea, già espressa da Kant (e poi ripresa da Peirce), secondo cui il concetto di ogni singolo oggetto non è mai completamente determinato e quindi non può riferirsi a un individuo, come a ciò che è indivisibile e assolutamente determinato; tale concetto può essere reso più determinato per il pensiero, ma mai in maniera assoluta. Naturalmente, accanto alla legge logica troviamo anche una trascendentale legge della specificazione, che «impone all’intelletto di cercare sotto ogni specie che ci viene innanzi, un certo numero di sottospecie, e per ogni differenza un certo numero di differenze minori»46.
38Unendo le leggi dell’omogeneità e della specificazione, si ottiene la legge della continuità delle forme, secondo la quale fra tutti i concetti possibili non si dà un vuoto. Così riassume Kant il proprio punto di vista:
- 47 Ivi: A 658-659 = B 686-687 (tr. it. 514).
Si può considerare ogni concetto come un punto, che abbia, come il punto di vista di uno spettatore, il suo orizzonte, ossia un insieme di cose che da esso possono esser rappresentate e quasi abbracciate con lo sguardo. Dentro a quest’orizzonte deve poter esser fissato, all’infinito, un insieme di punti ciascuno dei quali, a sua volta, ha una sua visuale più stretta; cioè ogni specie comprende secondo il principio della specificazione, un certo numero di sottospecie, e l’orizzonte logico consta soltanto di orizzonti più piccoli (sottospecie), ma non di punti non aventi nessuna estensione (individui)47.
- 48 Cfr. ivi: A 660 = B 688 (tr. it. 515), A 663 = B 691 (tr. it. 517).
- 49 Ivi: A 169 = B 211 (tr. it. 186).
39La legge della continuità delle forme afferma che non si danno generi isolati e separati l’uno dall’altro, così come non si danno salti da una specie all’altra, ma solo passaggi graduali: non vi sono cioè specie che sono le più prossime fra loro, bensì specie intermedie possibili, le cui reciproche differenze sono sempre minori. Parimenti, a questa legge logica della continuità delle forme fa da corrispettivo quella trascendentale (lex continui in natura), che ha, insieme alle altre due, una validità oggettiva, ma indeterminata, e serve da regola dell’esperienza possibile48. Tutto ciò concorda con la tesi, sostenuta nell’Analitica, secondo cui la continuità è «[l]a proprietà delle quantità, per la quale in esse non c’è parte che sia la più piccola possibile (cioè una parte semplice)»49, e ogni fenomeno, quindi ogni oggetto dell’esperienza, è una quantità continua. È questo un punto fondamentale, sul quale avremo modo di ritornare.
40Qui non ci interessa valutare come Kant risolve il rapporto con il reale, e cioè mediante postulazione; ci interessa, invece, che l’idea emersa dal discorso kantiano – che ogni specie è ulteriormente divisibile, che non si danno individui intesi come punti, giacché non sono oggetti possibili d’esperienza, e che questi ultimi sono quantità continue ulteriormente divisibili in parti – costituisce, secondo Peirce,
- 50 Peirce 1901: CP 3.612.
un forte argomento in favore della concepibilità di un mondo senza individui. Inoltre, poiché non è nella natura dei concetti definire adeguatamente gli individui, sembrerebbe che un mondo dal quale questi fossero eliminati sarebbe solo il più intelligibile50.
- 51 Ivi: CP 3.613.
- 52 Cfr. SVF I, 89-90.
- 53 SVF II, 140, 387; III, ArT, 6.
41A questo punto, è necessaria una nuova definizione di individuo, che eviti le difficoltà finora incontrate: «un individuo è qualcosa che reagisce. Vale a dire, che reagisce contro certe cose, ed è di una tale natura che potrebbe reagire, o aver reagito, contro la mia volontà»51. Questa accezione di individuo è profondamente diversa da quella iniziale. Peirce fa propria la definizione stoica di realtà. Secondo Zenone di Cizio, tutto ciò che è reale è corpo, e solo ciò che è corporeo può essere causa e produrre effetti52. Inoltre – ed è questa molto probabilmente la definizione alla quale si riferisce Peirce, e che le testimonianze attribuiscono a Crisippo e ad Archedemo di Tarso – gli stoici sostenevano che «tutto ciò che agisce è corpo»53; anche la voce, quando giunge agli ascoltatori, agisce su costoro, e quindi è corpo.
42Le due espressioni “reagisce contro la mia volontà” e “reagisce contro certe cose” indicano le caratteristiche principali di ciò a cui Peirce ascrive l’esistenza: il sussistere indipendentemente dal soggetto conoscente e l’agire su questi e sul mondo circostante.
- 54 Peirce 1905a: CP 5.429 (tr. it. 266).
Qualsiasi cosa esiste, ex-sistit, agisce cioè realmente su altri esistenti, ottiene così una autoidentità, ed è certamente individuale54.
- 55 Peirce 1905b: CP 5.503.
[R]ealtà significa un certo tipo di non-dipendenza dal pensiero, ed è quindi un carattere cognitivo, mentre esistenza significa reazione con l’ambiente, ed è quindi un carattere dinamico55.
43La continuità delle reazioni che un individuo esercita fa sì che questo sia un tutt’uno, un’unità, e che sia conoscibile. Resta fermo che non si conosce l’oggetto immediato, quello stesso che esercita specifiche reazioni sul soggetto conoscente; ciò che viene conosciuto è invece sempre generale. La reazione di un oggetto può essere esperita, ma non è presente (con il suo carattere di reazione) in un’idea generale dell’oggetto. Possiamo ora precisare la seconda definizione di individuo data sopra:
- 56 Peirce 1901: CP 3.613.
Ogni cosa la cui identità consiste in una continuità di reazioni sarà un singolo individuo logico. Così qualsiasi porzione di spazio, in quanto può essere considerata come reagente, è per la logica un singolo individuo; la sua estensione spaziale non costituisce un’obiezione56.
- 57 Ibidem. Sulla distinzione fra realtà ed esistenza, e sulla concezione epistemologica secondo cui la (...)
44Con questa definizione ben si accorda – dice Peirce – la concezione secondo cui tutto ciò che esiste è individuale; infatti, in quanto sono determinate dalle medesime caratteristiche, «l’esistenza (non la realtà) e l’individualità sono essenzialmente la stessa cosa»57. Inoltre, ciò che soddisfa tale definizione soddisfa anche quella precedente che si basava sui principi di contraddizione e del terzo escluso. Infine, essa risolve la difficoltà sorta riguardo al principio degli indiscernibili: infatti, anche se due cose sono esattamente simili sotto ogni altro rispetto, esse devono però distinguersi per le loro relazioni spaziali, dal momento che lo spazio non è altro che la rappresentazione intuitiva delle condizioni di reazione; per il resto, due cose possono essere esattamente simili sotto ogni altro rispetto. È importante rilevare che il criterio di distinzione non è dato dalla mera collocazione nello spazio, ma dalle relazioni spaziali.
- 58 Sulle fasi evolutive del pensiero di Peirce sul continuo cfr. Potter e Shields 1981; Lane 1999: 296 (...)
45In sintesi, un singolo esistente si dà indipendentemente dal fatto di essere pensato da qualcuno e in virtù della continuità di reazioni che esercita, oltre che sull’ambiente e su altri enti, sul soggetto conoscente. Grazie a questa continuità di reazioni, una certa cosa può essere considerata come un’unità ed è conoscibile. Tuttavia, tale conoscenza è sempre approssimativa: può essere resa più determinata, ma mai a tal punto da non essere passibile di ulteriore determinazione. Vediamo emergere una comprensione sostanzialmente relazionale della realtà, che trova un deciso approfondimento nella concezione del continuo, ma è più corretto dire nelle concezioni del continuo elaborate da Peirce nel corso degli anni58.
- 59 Peirce 1897: CP 1.172.
- 60 Cfr. Peirce 1898/1992: 160 (tr. it. 294): «il continuo è una collezione dalla moltitudine così vast (...)
- 61 Peirce 1902: CP 6.170.
46Peirce chiama “synechismo” la dottrina secondo cui «tutto ciò che esiste è continuo»59. E se tutto ciò che esiste è continuo, va riconsiderato quanto abbiamo detto finora dell’individuo. Cos’è il continuo? In un manoscritto del 1898, Detached Ideas Continued and the Dispute between Nominalists and Realists (Ms 439), Peirce sostiene che un continuo non è un individuo né è costituito di individui; questi, infatti, perdono in un continuo la loro identità, in quanto si fondono gli uni con gli altri60. Qualche anno più tardi, nella voce Synechism del Dictionary of Philosophy and Psychology, scrive: «Un vero continuo è qualcosa le cui possibilità di determinazione nessuna moltitudine di individui può esaurire»61.
- 62 Cfr. Peirce 1898/1992: 261 (tr. it. 416).
- 63 Questa tesi è sostenuta da Locke 2000: 134; cfr. anche Dauben 1981: 93, 94, 97-98.
- 64 Cfr. Peirce 1881: CP 3.257; W 4, 300; 1892b: CP 6.116 (tr. it. 213-214); Peirce 1893: CP 4.100, 117 (...)
- 65 Cfr. Peirce 1881: CP 3.288; W 4, 309; Peirce 1892b: CP 6.114 (tr. it. 213-214); Peirce 1893: CP 4.1 (...)
- 66 Cfr. Peirce 1881: CP 3.258-259; W 4, 300-301; Peirce 1892b: CP 6.116, 125 (tr. it. 214, 219); NEM I (...)
- 67 Cfr. Peirce 1892b: CP 6.115 (tr. it. 214); 1893: Peirce CP 4.104.
- 68 Peirce 1892b: CP 6.116 (tr. it. 215).
- 69 Cfr. ivi: CP 6.118 (tr. it. 216).
47Come giunge Peirce a fare simili affermazioni? Egli denomina “synechismo” la propria concezione metafisica62. Ed è per fornire questa di una base solida che esamina il continuo matematico63. Col concetto di continuo sono infatti connesse le nozioni di insieme, quantità e infinito. In particolare, Peirce distingue tre tipi di insieme: l’insieme finito, l’insieme infinito numerabile e quello infinito non-numerabile. Questi si differenziano l’uno dall’altro in base all’applicabilità o meno, a ciascuno di essi, di determinati modi di ragionamento64. Un insieme finito si distingue da uno infinito per l’applicabilità al primo, ma non al secondo, del cosiddetto “sillogismo della quantità trasposta”, come è stato denominato dal suo scopritore Augustus De Morgan65. Un insieme infinito numerabile si distingue da uno infinito non-numerabile per l’applicabilità al primo, ma non al secondo, dell’inferenza di Fermat, o induzione matematica66. Un insieme finito è un insieme in cui non può essere rinvenuta nessuna corrispondenza biunivoca fra quell’insieme e un suo sottoinsieme proprio. Che il tutto è maggiore delle sue parti vale solo per gli insiemi finiti, non per quelli infiniti; per questi, infatti, può accadere che vi sia una corrispondenza biunivoca fra l’insieme e un suo sottoinsieme proprio. Ad esempio, a ogni numero intero corrisponde un quadrato, il che significa che i quadrati sono tanti quanti gli interi, benché essi siano un sottoinsieme della classe dei numeri interi67. Un insieme infinito numerabile è un insieme equipotente alla serie dei numeri naturali, vale a dire che, anche se contiene infiniti elementi, l’intera serie di questi «potrà essere numerata in modo che ciascun membro riceva un numero integrale definito»68. Una collezione di questo tipo è, ad esempio, quella dei numeri interi (Z), oppure quella dei numeri razionali (Q). Una collezione non-numerabile è, invece, quella dei numeri irrazionali (I); ma anche una linea o un intervallo di tempo, in quanto contengono tanti punti quanti sono i numeri reali (R = Q ∪ I), sono insiemi non-numerabili69.
- 70 Cfr. Peirce 1881: CP 3.256; W 4, 300.
- 71 Su ciò cfr. Mangione e Bozzi 1993: 276-278, 284-286.
48In On the Logic of Number (1881), in linea con Kant, Peirce sostiene che la continuità consiste nell’infinita divisibilità, o densità70: continua è una serie tale che fra due suoi membri qualsiasi sussiste sempre un terzo membro. Questa proprietà del continuo è denominata da Peirce “kanticità”. Essa è uno dei caratteri del continuo così come era stato definito da Dedekind, il quale aveva definito continua una serie che possiede le seguenti caratteristiche: (i) è ordinata, nel senso che, data una retta L, due punti qualsiasi A e B presi su L o coincidono, oppure sono tali che A segue B o, viceversa, che A precede B; (ii) è densa, vale a dire che, presi due punti qualsiasi A e B su una data retta L, esiste sempre almeno un punto C fra di essi; (iii) è sezionabile, nel senso che, comunque si prenda un punto su una retta, questa risulta divisa in due parti, P1 e P2, entrambe infinite e tali che ogni punto di P1 precede ogni punto di P2. Quello così definito è un continuo “senza lacune”, e cioè una nozione di continuo valida per un insieme infinito non-numerabile, come è la serie dei numeri reali R (che comprende anche I), ma non per il solo Q, poiché nessuna successione di razionali, pur avvicinandosi infinitamente, ad esempio, a √2, riesce a raggiungerla71.
- 72 Cfr. Peirce 1892b: CP 6.120 (tr. it. 217); Peirce 1893: CP 4.121.
- 73 Peirce 1892b: CP 6.122 (tr. it. 218); cfr. anche Peirce 1893: CP 4.121-122.
49In The Law of Mind (1892) e nella Grand Logic (1893), la kanticità non è più ritenuta sufficiente a dar ragione da sola del continuo. In base ad essa, la serie dei numeri razionali, infinita e numerabile, se ordinata secondo la grandezza, è continua, mentre di fatto non lo è. Inoltre, sempre secondo la definizione kantiana, tale serie resterebbe continua, anche se da essa togliessimo due frazioni qualsiasi, con tutto quel che sta fra queste, e persino se operassimo più di un’asportazione. Anche in tal caso, la serie non perderebbe la proprietà dell’infinita divisibilità72. Che un continuo è infinitamente divisibile significa che esso non ha parti ultime. La definizione kantiana permette però interruzioni nella serie. Ma allora, come si può considerare continua una serie di punti, poniamo da A a D, che ammette un’interruzione da B a C? Peirce risponde che, per completare la definizione di continuo, occorre un’altra proprietà, che egli chiama “aristotelicità”, secondo la quale, «se una serie di punti fino ad un certo limite è inclusa in un continuum, anche il limite è incluso»73.
- 74 Phys. V 3, 227a 11-12.
- 75 Cfr. Phys. V 4, 228a 29-30; VI 1, 231a 22.
- 76 Cfr. Phys. I 2, 185b 10-11.
- 77 Cfr. Phys. VI 1, 231a 24 ss.
50Nella Fisica, il problema del continuo riguarda i corpi che stanno assieme e il significato di questo stare assieme. Aristotele vi sostiene che il continuo si ha «quando il limite di ciascuna delle due cose che si toccano divenga il medesimo e uno»74, vale a dire quando gli estremi costituiscono un’unità75. Non solo un continuo è divisibile all’infinito76, ma può essere diviso all’infinito in elementi omogenei, che però non sono mai punti o atomi indivisibili77. Questa concezione ben si accorda con quella di Peirce, che così traduce l’idea aristotelica del continuo (qui molto sommariamente esposta):
- 78 Peirce 1892b: CP 6.123 (tr. it. 219).
Un continuum contiene il punto terminale appartenente ad ogni serie interminabile di punti che esso contiene. Un corollario ovvio è che ogni continuum contiene i suoi limiti. Ma, usando questo principio, è necessario osservare che una serie può essere continua anche se omette uno dei, od entrambi i, suoi limiti78.
- 79 Cfr. Peirce 1893: CP 4.126.
51Tale definizione implica che in un continuo i punti sono connessi in maniera tale che ogni parte, indipendentemente dalla sua ampiezza, contiene innumerevoli punti79. È così definitivamente assodato che in un vero continuo non si danno elementi ultimi.
- 80 Peirce 1902: CP 6.169. Cfr. anche Peirce 1892b: CP 6.103 (tr. it. 209).
52Poiché il synechismo è, secondo Peirce, «quella tendenza del pensiero filosofico che insiste sull’idea di continuità come un’idea di primaria importanza in filosofia»80, egli esamina le implicazioni del continuo matematico riguardo allo spazio, al tempo, al pensiero, all’esperienza in generale.
- 81 Cfr. Peirce 1893: CP 4.127. Esempi analoghi si trovano in Peirce 1869: CP 5.336; W 2, 256-257 (tr. (...)
53Una prima importante implicazione riguarda i casi al bordo. Si consideri una goccia di inchiostro che è caduta su un foglio bianco ed è stata circoscritta, così che ogni punto della superficie circoscritta è o nero o bianco, e nessuno di essi è sia nero che bianco. Essendo il nero tutto raccolto in una macchia, esso ha dei limiti e una linea di demarcazione lo separa dal bianco. Ma i punti della linea di demarcazione sono bianchi o sono neri? Sono sia neri che bianchi, oppure né neri né bianchi? Per il principio del terzo escluso, ogni punto è o nero o bianco; per il principio di contraddizione, nessun punto è sia nero sia bianco; ma è anche vero che i punti del bordo non sono più neri che bianchi, né più bianchi che neri. La logica conclusione di queste tre proposizioni è che i punti del bordo non esistono; o, meglio, non esistono come punti dai caratteri completamente determinati, in quanto hanno dato origine alla situazione descritta. Questo ci induce a ritenere che i punti sono colorati soltanto in quanto sono connessi insieme in una superficie continua, ma non se vengono presi isolatamente. In tal caso, essi non sono né neri né bianchi. Se infatti sostituiamo i punti con le “parti all’intorno”, abbiamo di nuovo la stessa situazione: ogni parte della superficie è o nera o bianca; nessuna parte è sia nera sia bianca; le parti sul bordo non sono più nere che bianche, né più bianche che nere. Ma la conclusione questa volta è che le parti vicine al bordo sono metà nere e metà bianche; più precisamente, ciò vale per le parti nell’immediato intorno (immediate neighborhood) del bordo. Queste vanno prese in considerazione nel caso in cui si intenda determinare le proprietà in punti precisi della superficie, punti che vanno compresi in una connessione di continuità81.
54In sintesi, se la superficie è fatta di punti, un punto può trovarsi o dentro la zona nera, o fuori di essa (quindi nella zona bianca), oppure sul bordo. Ciò implica che, nell’esempio considerato, fra l’essere nero e l’essere bianco si dà uno stato intermedio, nel quale cadono i punti per i quali non è possibile dire se sono neri oppure bianchi, e che possono anche essere sia neri che bianchi. Com’è possibile questo? Qui va introdotta un’altra caratteristica del continuo peirceano connessa alla proprietà dell’aristotelicità, e cioè quella proprietà per cui un continuo o non è fatto di punti, oppure questi sono tali che perdono la loro determinatezza.
- 82 Vedi supra, n. 61. NEM III/I: 748 afferma la stessa tesi anche in relazione alla concezione kantian (...)
- 83 Cfr. Peirce 1902: CP 6.170.
- 84 Peirce 1900: CP 3.568.
- 85 Cfr. NEM III/1, 61. Cfr. anche Eisele 1979: 211.
- 86 Cfr. Peirce 1900: CP 3.568.
55In precedenza abbiamo detto che un continuo non può essere esaurito da nessuna moltitudine di individui82. Pertanto, nessuna collezione di punti, messi su una linea continua, può riempire questa a tal punto che non ci sia più spazio per altri punti83. «Il fatto che vi sia spazio per qualche moltitudine in ogni parte della linea rende questa continua»84. Ciò ripropone una questione emersa già negli scritti del 1892/93: come possono le parti di un continuo stare assieme? Peirce suggerisce un tipo di soluzione “non-metrica”: se un continuo è fatto di punti, allora questi sono «saldati insieme [welded together]» in maniera tale che le loro proprietà non sono chiaramente distinguibili ed essi perdono in determinatezza. È quanto accade sia per i punti di una linea che per gli istanti di tempo85. Secondo questo punto di vista, né gli uni né gli altri costituiscono propriamente un insieme, perché i loro elementi non sono più nettamente determinati, e perché, di conseguenza, per essi non vale più il principio del terzo escluso, che, definendo l’individualità, si applica soltanto agli individui. Se all’inizio il continuo era inteso come un insieme infinito non-numerabile, ma tuttavia come un insieme; è ora chiaro che nessun insieme, per quanto infinito, può costituire un continuo, anche se – precisa Peirce – quanto più è ampio, tanto più un insieme si avvicina alla continuità86.
- 87 Cfr. Peirce 1892b: CP 6.126 ss. (tr. it. 220 ss.).
56Quanto detto del continuo riguardo allo spazio vale non soltanto per il tempo, ma si applica anche alla vita psichica, alla coscienza, alle sensazioni, alle idee, alle relazioni che collegano le idee l’una con l’altra e permettono che queste si influenzino reciprocamente87. In ciascun caso sono implicate, conformemente alle proprietà dell’aristotelicità e della kanticità, relazioni di continuità fra elementi omogenei, infinitamente divisibili, e quindi non costituiti di parti ultime.
57Un aspetto interessante delle teorie peirceane del continuo, e conseguentemente dei casi al bordo, concerne le loro implicazioni logiche. Dalle poche cose dette emerge una prospettiva logica opposta a quella che in quegli anni andava sviluppando Frege. Questi immagina un mondo di individui, proprietà e relazioni, i cui rapporti sono analizzabili estensionalmente in termini di insiemi e appartenenza. Gli insiemi hanno per definizione confini netti, nel senso che un dato elemento appartiene, oppure non appartiene, a un insieme. Un posto centrale in questo sistema spetta al principio di completezza:
- 88 Frege 1893-1903: II, 69 (tr. it. 501).
Una definizione di un concetto (cioè di un possibile predicato) deve essere completa, ossia deve determinare univocamente, per ogni oggetto, se esso cade sotto quel concetto (cioè se quel predicato può venire affermato con verità di tale oggetto) oppure no88.
- 89 Ibidem.
- 90 Frege 1879.
- 91 Cfr. Frege 1879: 64 (tr. it. 179).
- 92 Cfr. Frege 1976: 182-183 (tr. it. 150-151).
- 93 Cfr. Frege 1969: 193-195 (tr. it. 298-300).
58Il pendant della completezza è il principio del terzo escluso, il quale «esprime appunto, sia pure in forma diversa, l’esigenza che il concetto sia rigorosamente determinato»89. L’esigenza di completezza e decidibilità ricorre in diversi scritti fregeani. Già nella Begriffsschrift90 Frege mette in guardia dall’usare in logica predicati vaghi; l’esempio di cui si avvale è il paradosso del mucchio91. In una lettera a Peano del 29 settembre 1896, egli ribadisce la necessità che i concetti in logica siano delimitati con precisione92; l’uso di concetti non esatti è lecito nei linguaggi quotidiani, ma non è ammissibile in logica. Tale esigenza è espressa con ancora maggior forza nella recensione (pubblicata postuma) di Die logischen Paradoxien der Mengenlehre di A. Schoenflies93.
59Da parte sua, Peirce non nega che l’indeterminatezza sia un fenomeno proprio del linguaggio ordinario, usato comunemente come veicolo di comunicazione; tuttavia, come abbiamo visto esaminando le sue idee sul continuo, egli ritiene che l’indeterminatezza non sia soltanto una caratteristica del linguaggio, ma che tragga origine dalla realtà stessa. La logica ordinaria prende in considerazione o individui o classi di individui dai confini ben delimitati, così che è sempre possibile dire se un individuo appartiene a una certa classe oppure no. La relazione vero-falso è sancita dai principi di contraddizione e del terzo escluso: nessuna proposizione è sia vera che falsa, e ogni proposizione è o vera o falsa; ulteriori distinzioni non sono ammesse. Se ci atteniamo alla logica ordinaria, non possiamo allora trattare quei soggetti che non sono individui o non sono costituiti di individui. In questi casi, abbiamo bisogno di una logica più sottile. Peirce propone due modi di trattare l’indeterminatezza.
- 94 Cfr. NEM III/1: 742-750.
- 95 Cfr. ivi: 747.
60Il primo riguarda l’ipotesi di un sistema a più valori di verità. Nel Ms 1147, intitolato da Carolyn Eisele Mathematical Logic94, Peirce sostiene che diversi sistemi di valori, a seconda se sono finiti, infiniti numerabili o non-numerabili, richiedono altrettante logiche diverse. Per ogni numero finito di valori di cui un sistema di valori può consistere, vi sarebbe una logica speciale che differisce dalle logiche di più piccoli sistemi di valori, in quanto non ammette certe forme di inferenza che in quelle sono valide; e, inoltre, differisce dalle logiche di sistemi più grandi, in quanto in essa valgono certe forme di inferenza che non sono invece valide in quelle. Peirce fornisce vari esempi, in base ai quali mostra che un sistema con un numero finito di valori differisce da un sistema di valori infinito numerabile, e questo da uno infinito non numerabile, fino a giungere a uno in cui cade il principio, riconosciuto nei sistemi precedenti, secondo il quale tutti i valori sono indipendenti l’uno dall’altro. Ciò accade con il continuo, che – come sappiamo – non può essere descritto in termini di individui, in quanto questi sono saldati insieme e perdono la loro identità. L’esempio addotto è, ancora una volta, quello del bordo. Si consideri una palla da biliardo che rotola su un tavolo verde, si muove fino a un certo istante e resta ferma negli istanti successivi. Non è possibile che essa passi dal movimento assoluto alla quiete assoluta senza che, in un certo istante, non sia in uno stato che non è né di assoluto movimento né di assoluta quiete. Infatti, essendo il tempo continuo, nessun istante ha un’identità assolutamente indipendente. In questo e in altri casi analoghi viene violato il principio di contraddizione o quello del terzo escluso; oppure v’è una limitazione all’applicabilità della relazione di negazione che i due principi definiscono95. La proposizione che esprime un simile stato di cose può essere sia vera che falsa, oppure né vera né falsa.
61Richiamandoci a un esempio precedente, consideriamone uno in cui l’idea di continuo è applicata alle proposizioni. La proposizione “Il punto a è bianco” è vera se a è nella zona bianca ed è falsa se a è nella zona nera, ma cosa accade se a è sul bordo? Poiché i punti di un continuo sono tali da non poter essere perfettamente individuabili, in maniera cioè da distinguere nettamente le loro proprietà e determinazioni, ecco che in questa zona non vale il principio di contraddizione o quello del terzo escluso: la proposizione “Il punto a è bianco” può essere sia vera che falsa, oppure né vera né falsa. Dal fatto che un continuo ammette, a differenza dell’insieme, delle zone di bordo dai confini non precisamente definiti e netti emerge un terzo tipo di possibilità, o modo di essere, uno stato intermedio al quale corrisponde un valore di verità intermedio fra il vero e il falso.
- 96 Cfr. ivi: 751-754.
- 97 Ivi: 751; cfr. anche Peirce 1885: CP 3.365; W 5, 166 (tr. it. 173).
62La seconda maniera di trattare l’indeterminatezza consiste nell’eliminare il bordo, introducendo al suo posto la misurazione. La tesi è abbozzata nel Ms 748, intitolato The modus ponens96, che propone di assumere una concezione metrica dei valori di verità, mentre la concezione secondo la quale una proposizione è o vera o falsa è descrittiva e non metrica. «Noi potremmo considerare che una proposizione non è mai, o quasi mai, perfettamente vera, e potremmo ottenere alcuni modi di misurare la proporzione di verità che una proposizione contiene»97. Senz’altro, non è possibile argomentare prescindendo totalmente dalla distinzione fra vero e falso, vale a dire che una proposizione non può essere nello stesso senso assolutamente vera e falsa contemporaneamente; possiamo però eseguire alcuni tipi elementari di ragionamento (considerati dalla logica tradizionale) senza escludere la possibilità di uno stato intermedio fra il vero e il falso, uno stato al quale corrisponde una proposizione che non è né vera né falsa. Il principio di contraddizione resta valido, mentre non vale il terzo escluso. A ogni proposizione deve spettare un unico valore di verità, anche se non necessariamente il vero o il falso.
63Dai testi peirceani esaminati risulta un complesso intreccio di questioni di ordine logico, epistemologico e ontologico, e una concezione fondamentalmente relazionale della realtà. Peirce ha sostenuto che tutto ciò che esiste è individuale e anche che tutto ciò che esiste è continuo. Questo non significa che individui e continui siano la stessa cosa, perché abbiamo visto che, mentre per l’individuo valgono i principi di contraddizione e del terzo escluso, il continuo presenta situazioni in cui tali principi non valgono. Si tratta invece di due diversi modelli teorici, che richiedono persino logiche diverse. L’esistenza – si è detto – è reazione con l’ambiente. Un continuo non esiste separatamente, ma sempre in un contesto spazio-temporale e in relazione. Anche gli individui erano stati definiti come ciò che reagisce. Ora, ciò che reagisce, attraverso le sue reazioni, identifica una rete di altri enti, i quali tutti costituiscono una porzione di mondo. (L’affinità con le maglie o reti di relazioni di Gadda appare evidente). Di qui si può sviluppare un terzo modello, riguardo al quale mi limito ad accennare come ritengo che potrebbe essere sviluppato.
64Abbiamo visto che le relazioni che un oggetto ha con altri oggetti non sempre gli sono estrinseche, ma spesso sono costitutive della sua identità, nel senso che sono la condizione necessaria perché l’oggetto sia e sia quel che effettivamente è. Tali relazioni richiedono il darsi di una pluralità di altri oggetti, e questa pluralità può darsi a sua volta solo all’interno di un contesto, o, meglio, determina un contesto. Il contesto spazio-temporale in cui un oggetto si trova a esistere è il “contesto fenomenologico”, ossia lo sfondo da cui si stacca la figura, l’oggetto. Ma accanto a questo si dà un altro contesto, che pure risulta dalle relazioni che l’oggetto, in base alle sue proprietà, pone in essere: il “contesto dialettico”, ovvero l’insieme di quegli oggetti, non sempre appartenenti al contesto fenomenologico, con cui un certo oggetto è in relazione, e la cui esistenza è necessaria perché esso ci sia. Pertanto, a oggetti diversi (ad esempio, a un uomo e al suo telefono cellulare), collocati nel medesimo contesto fenomenologico, possono corrispondere diversi contesti dialettici. Il contesto e l’oggetto costituiscono insieme una “porzione di mondo”, per cui ogni oggetto, in base alle sue proprietà, entra in relazione con altri oggetti e individua una porzione di mondo.
65Ho davanti a me un foglio di carta bianco su cui è scritto un testo. Lo posso considerare un semplice oggetto fisico che gode di certe proprietà, oppure un prodotto dell’attività umana: il foglio è pervenuto a me attraverso il rivenditore, al quale è giunto, dopo diversi passaggi intermedi, dalla cartiera, in cui lavorano uomini che trasformano pasta di legno in carta. Lo posso considerare dal punto di vista della storia genetica: esaminarne la filigrana, scoprire da dove proviene, quando è stato prodotto, e così provare a datare il testo che vi è scritto sopra. Inoltre, lo posso considerare come la registrazione di un atto, che ha avuto luogo fra due (o più) individui e ha prodotto un oggetto sociale: la fondazione di un’associazione, un accordo commerciale, un matrimonio, o quant’altro. Nel primo caso, esamino un mero oggetto percettivo, un individuo. Nel secondo e nel terzo, lo stesso oggetto è considerato dal punto di vista delle sue relazioni di carattere economico e genetico: ricostruisco una rete di relazioni che c’è, indipendentemente da me che la ripercorro e la faccio emergere ritagliandola. In quanto è qualcosa che reagisce, posso – e ciò è palese nell’ultimo caso – partire dall’oggetto in questione e individuare altri oggetti, che insieme costituiscono una porzione di mondo.