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Le regole del gioco. Perché la realtà sociale non è un sistema normativo.

Ivan Mosca
p. 247-266

Abstract

Why the social ontology uses the game as paradigmatic example of social object? Is social reality a game? In this short essay, shared characteristics and differences of ludic and social acts are explored to explode the myth of the normative structure of social reality. In order to explain and demonstrate their theories, major authors of our research sector as Searle and Smith appeal to ludic phenomenons as unmistakable evidences of regulated social activities. Nevertheless well valued theorists don’t recognize that there are tens of different typologies of games, about which it should be appropriate to draw up a regional ontology, as much there are tons of rule types, not always prescriptive and not always descriptive. The instant article demonstrates that social reality is not explainable by appealing to regulated behaviors, opening in this way a research context that involves the Interactive Fiction of play. Therefore the ludic phenomenon rests the base of social reality, however disconnecting it from the concept of rule, which too much influenced the research on mind, language and culture.

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Testo integrale

Non osservare, ma gioca!

1. Il gioco e gli oggetti sociali

  • 1  In nota Searle tiene a precisare che questa risposta a Wittgenstein non è stata formulata da lui m (...)

1Tra gli esempi paradigmatici di fatto istituzionale Searle inserisce, oltre a denaro e matrimoni, giochi come scacchi, tennis e football. Secondo Searle i giochi sono costituiti da status imposti da una intenzionalità collettiva su determinati oggetti fisici attraverso delle regole. Gli esempi di giochi cui Searle si riferisce sono esclusivamente giochi competitivi di tipo regolato, ed è per questo che egli sostiene che ogni gioco sia una serie di tentativi di oltrepassare ostacoli creati all’uopo. Egli arriva a controbattere la nota tesi di Wittgenstein secondo cui non sia possibile trovare l’essenza del concetto di gioco1 ritenendo al contrario che gli sport competitivi possano considerarsi il paradigma del gioco, del linguaggio e persino dell’intera realtà sociale.

2Searle non prende però in considerazione giochi non competitivi come i cooperativi, che costituirebbero una ulteriore prova della coordinazione sociale derivante dall’intenzionalità collettiva, o gli interpretativi: i giocattoli costituiscono un modello esemplare di imposizione di funzione di status. Essi non vengono citati forse a causa del fatto che possono mettere in crisi alcuni nodi teorici della sua teoria: giocare con i giocattoli infatti è un’attività che è possibile fare da soli e in modo del tutto non regolamentato.

3Seguendo lo schema di Searle, i giochi solitari non sono fatti istituzionali in quanto, non essendo coordinazioni delle azioni di più soggetti, non sono nemmeno fatti sociali. Eppure, se osservati da vicino, i giochi solitari presentano gran parte delle caratteristiche dei fatti istituzionali: la normatività (per esempio nei solitari di carte), la funzione di status (si pensi a giocattoli come il manico di scopa che vale come un cavallo) e la costitutività.

4Esistono quindi dei fatti istituzionali che non coincidono con un fenomeno sociale, e sono i giochi che si fanno da soli, come i solitari di carte e le attività ludiche legate a bambole di pezza, orsacchiotti, soldatini e costruzioni di legno. Per non sfaldarsi, la teoria searliana dovrebbe estendersi a ritenere che anche l’attività ludica solitaria derivi dall’intenzionalità collettiva: il gioco collettivo e regolato originario verrebbe applicato a un contesto in cui il collettivo e le regole mancano.

5Della funzione «X vale come Y in C» pertanto ciò che verrebbe mantenuto sarebbe solo l’atteggiamento Y del soggetto giocante rispetto a degli oggetti X, nonostante il contesto collettivo C muti in un contesto solitario S:

X vale come Y in C

Z vale come Y in S

  • 2  Verghese 2003.
  • 3  Piaget 1945; Vygotskij 1966.
  • 4  Grillo 2004; Xaiz 2001; Zacchini 2006.

6Eppure confrontando tale teoria searliana estesa con l’osservazione empirica dei fenomeni ludici si nota che il gioco solitario non può derivare da quello collettivo. Nel decorso della malattia, gli affetti da morbo di Alzheimer2 perdono progressivamente le capacità ludiche, partendo da quelle collettive e regolate. È quindi possibile giocare in solitario senza essere più in grado di giocare collettivamente. La fenomenologia ludica dello sviluppo cognitivo infantile3 indica inoltre che i giochi solitari precedono quelli collettivi e quelli senza regole precedono quelli regolati. Infine gli studi sui pazienti affetti da autismo4 mostrano una precisa corrispondenza tra capacità cognitive e capacità ludiche: gli autistici gravi non sono in grado di giocare con altre persone, ma riescono benissimo a giocare da soli. A ciò si aggiunga che la maggior parte dei giochi senza struttura evidente (per esempio rincorrersi in un bosco, girare su se stessi fino a cadere, giocherellare con la penna), come anche quelli imitativi o interpretativi («facciamo che io ero il mago e tu il drago»), possono essere svolti da soli e non sono governati da regole.

7Le regole sono propriamente quegli enti atti a prescrivere comportamenti che il soggetto non attuerebbe senza la conoscenza delle stesse: le regole che governano un comportamento e sono rilevanti per la sua generazione non sono quelle descrittive, ma quelle prescrittive. La validità deontica di una regola dipende dalla percezione che di essa ha il soggetto e pertanto i soggetti coinvolti nelle tipologie di gioco menzionate non seguono delle regole che non sanno di seguire, ma semplicemente non ne seguono.

  • 5  Piaget 1945.

8Non è possibile far derivare i giochi non regolati da quelli regolati (come comporterebbe la teoria searliana estesa), ma anzi il contrario: le regole si formano a partire da contesti e fenomeni del tutto non regolati. Le teorie psicologiche di Vygotskij sulla formazione della facoltà che permette di concepire una norma deontica portano a ritenere che essa sia un derivato dello scarto tra oggetto desiderato e realtà che non corrisponde al desiderio. L’osservazione del comportamento infantile mostra che prima vengono i giochi non regolati e solo in seguito quelli con regole, l’insorgenza dei quali viene associata al tentativo di dirimere i conflitti. Piaget5 dimostra che a partire dalla nascita la successione delle modalità di gioco è la seguente:

1) Giochi di manipolazione;

2) Giochi simbolici solitari;

3) Giochi simbolici collettivi, nei quali i singoli mondi fantastici vengono fatti collidere e si forma la necessità di trovare delle regole a partire dalla contrattazione degli immaginari da collettivizzare;

4) Giochi regolati, le cui regole vengono dapprima rispettate in modo quasi sacrale, per poi venire mutate o direttamente create dal bambino.

  • 6  Paglieri 2003.

9Secondo Piaget la regola si rende necessaria in seguito a quelle che Paglieri chiama catastrofi comunicative6, ossia le difficoltà di rinegoziazione dell’immaginario fantastico individuale in giochi collettivi, che essendo tali richiedono un unico immaginario da dover condividere.

10Non sono comunque solo i dati sperimentali a indicare che le regole non governano ogni fenomeno ludico. Un conto è descrivere in modo utile un fenomeno, un altro è comprendere il modo in cui tale fenomeno viene vissuto e si genera dal punto di vista del soggetto attivo, e nel caso degli oggetti sociali la prospettiva del soggetto è fondamentale.

  • 7  I giochi Ilinx riguardano la variazione della percezione. Cfr. Caillois 1958. Altre tipologie di g (...)

11Il gioco del girare su se stessi fino a perdere l’equilibrio, paradigma dei giochi Ilinx7, può di certo essere descritto come il gioco in cui la regola da rispettare è “girare su se stessi fino a perdere l’equilibrio”, ma tale descrizione è del tutto inadeguata alla comprensione del punto di vista di chi gioca. Non dice nulla in relazione al perché si faccia né al come, in quanto colui che gioca a questo gioco non pensa affatto di stare obbedendo a una regola. Non è nemmeno necessario che qualcuno gli abbia insegnato a giocare a tale gioco, essendo questa un’attività che il soggetto può facilmente scoprire da sé. Bisogna mantenere distinte le regole descrittive (che descrivono una regolarità) da quelle prescrittive (che impongono un comando). Confondere regolarità (necessità modale) e regola (necessità deontica) equivale a confondere essere e dover essere. Bisogna distinguere ciò che sussiste in un modo descrivibile attraverso delle regole da ciò che sussiste in quanto realmente dipendente da delle regole.

12Sistemi normativi di tipo giuridico, morale o ludico fanno parte della realtà sociale e intendono le regole in modi diversi, ma in ognuno di essi la validità deontica è il quid necessario all’esistenza della regola, cosa che invece non riguarda le regole descrittive come “le spade devono essere fatte col bronzo” o “i gravi devono cadere”. Le regole descrittive infatti non possiedono validità deontica, in quanto non prescrivono alcunché. Esse utilizzano una forma apparentemente normativa per descrivere un processo o uno stato di cose che con il dover essere non ha nulla a che fare. Nascendo per la trasmissione del sapere, formalizzano attività non regolate in regole da dover seguire: produrre un effetto desiderato (regole tecniche come le ricette o regole strategiche come quelle per vincere a scacchi) e fenomeni naturali (leggi scientifiche) sono descrivibili attraverso regole ma non ne dipendono.

13Nessuna regola descrittiva può realmente prevedere il comportamento di un ente che invece obbedisca a delle regole in senso deontico, in quanto tale ente è del tutto libero di obbedirvi come di non obbedirvi.

2. La relazione tra il gioco e le regole

  • 8  Mutuo queste espressioni da Franchi 2005.
  • 9  Fondatore della logica deontica: Conte 1985; Conte 1995.

14Ci sono due teorie principali circa la relazione tra gioco e regole: il formalismo aprioristico8, il cui maggior esponente è Conte9, secondo cui il gioco è costituito dalla somma delle sue regole; e il prassismo comunitarista, il cui nume tutelare è Wittgenstein, per cui il gioco è ciò che viene nominato tale da una comunità.

15Entrambi gli approcci difettano nel non differenziare il gioco dalle altre attività sociali: Conte si concentra sulla natura formale delle regole e sul rapporto gerarchico tra regole costitutive e regolative, senza specificare perché i giochi siano definibili come giochi, mentre Wittgenstein ritiene che non sia possibile definire cosa sia un gioco, in quanto le somiglianze di famiglia portano ad assegnare al termine gioco usi e significati anche opposti tra loro, ma uniti da una catena di somiglianze.

16Nel formalismo l’oggetto sociale alfiere viene fatto coincidere con la regola “l’alfiere è il pezzo che va mosso solo in diagonale”. Ridurre il gioco alla somma delle sue regole, oltre a non trovare somiglianze tra giochi regolati e giochi non regolati, non spiega nemmeno in cosa le attività regolate ludiche si differenzino da quelle regolate ma non ludiche.

  • 10  Ross 1958.
  • 11  La teoria dei giochi nel corso della guerra fredda fu infatti utilizzata a scopi militari. Essa no (...)

17Il giusrealista A. Ross porta l’esempio di colui che per la prima volta assiste a una partita di scacchi10: se costui conosce altri giochi può capire che gli scacchi sono un gioco senza però capirne l’esatto funzionamento; se invece non sa cosa significhi giocare non può nemmeno capire che gli scacchi siano un gioco. Non basta comprendere le regole di un gioco per giocarvi, ma bisogna riconoscerlo in quanto gioco. Sulla base delle stesse identiche regole è infatti possibile sia giocare che far scatenare conflitti nucleari11.

  • 12  Carcaterra 1974.

18Secondo il formalista Carcaterra12 le regole degli scacchi, in quanto norme costitutive:

a) non sono prescrittive;

b) non hanno destinatari;

c) producono immediatamente un effetto (senza la mediazione di un agente);

d) producono effetti di natura ideale (effetti non-materiali);

e) non sono violabili.

  • 13  Fittipaldi 2003.
  • 14  Żełaniec a differenza dei formalisti ritiene che violare una regola costitutiva di un gioco non cr (...)

19A differenza di Carcaterra, Fittipaldi13 sostiene che ogni regola per essere considerata tale richiede qualcuno che la metta in pratica: se si abrogasse una legge, ma nessuno lo sapesse o ne tenesse conto, essa non avrebbe validità. Una norma costitutiva senza destinatario (punto b), come quella “il manico della scopa è un cavallo” (ponendo che tale assegnazione di status dipenda da una norma), affinché il gioco sussista richiede l’assenso di qualcuno, anche solo della persona che l’ha formulata (contro il punto c). Nel gioco del calcio, oltrepassare la linea del fallo laterale senza considerarlo come bordo del campo è un atto che viola la regola costitutiva del bordo-campo (contro il punto e). È possibile quindi violare qualsiasi regola costitutiva, o non sarebbe una regola14.

  • 15  Di Lucia 2003.

20Di Lucia nota15 che alcune attività, pur dipendendo da regole, non ne vengono governate. Ad esempio, barare è un’azione che dipende da un sistema di regole, sebbene nessuna regola di tale sistema riguardi o governi l’attività del barare. Infatti si bara non semplicemente quando non ci si attiene alle regole, ma quando si finge di farlo. Il baro, come scrive Caillois, è più tollerabile per i giocatori di quanto invece non sia il guastafeste, ossia colui che non sta alle regole ma in modo manifesto, impedendo così agli altri di giocare.

21Le regole dei giochi, laddove siano presenti, sono sempre e comunque sia prescrittive (quindi possiedono un destinatario) che costitutive: il baro viola la prescrittività di una regola, mentre il guastafeste ne viola la costitutività. Ogni regola svolge, come ritiene Żełaniec, una doppia funzione: prescrittiva e al contempo costitutiva.

22I giochi competitivi espongono nel dettaglio come si fa a ottenere la vittoria, ma nessuno di essi spiega cosa essa sia. Per i formalisti la vittoria è solo ciò che le regole indicano essere le condizioni per vincere: nel calcio essa coinciderebbe con l’aver fatto più gol della squadra avversaria al termine della gara. Eppure la vittoria non coincide con i mezzi per conseguirla, altrimenti nessuno barerebbe pur di ottenerla: le cause di un fenomeno non coincidono con il fenomeno.

23L’attività del barare è presente solo nei giochi competitivi regolati. È possibile barare e contemporaneamente vincere? Secondo il formalismo il baro, non rispettando le regole del gioco (ed essendo il gioco costituito dalle sue regole) si mette immediatamente al fuori di esso, senza avere quindi la possibilità di vincere. Eppure è un fatto che se un baro non viene scoperto, tutti, compreso lui stesso, considerano che egli abbia vinto.

24Searle ritiene che ci sia una differenza tra vincere e credere di vincere. La vittoria non viene descritta nei regolamenti, ma essi si riferiscono a essa come all’elemento cardine del gioco. Secondo Searle la vittoria è regolamentata da regole non scritte e colui che gioca “a perdere” è considerabile una sorta di baro che non rispetta la regola essenziale del gioco. In accordo col formalismo, per Searle chi vince al di fuori delle regole in realtà non vince, ma è solo creduto il vincitore.

25Se però si dimostrasse che la vittoria non è determinata da delle regole bisognerebbe ritenere che la determinazione di chi ha vinto dipenda solamente dalle credenze di chi ha giocato o ha osservato il gioco. Ross distingue le regole degli scacchi dalle regole strategiche che è bene seguire per vincere a scacchi, come per esempio “non aprire mai le tue difese e occupa il centro della scacchiera”. Quando non si gioca con il fine di vincere le regole strategiche non hanno nessun valore: violandole (per esempio esponendo il re a eventuali attacchi) si suscitano ilarità o meraviglia, ma non proteste.

  • 16  «Normalmente si ritiene che un giocatore [di scacchi] giochi per vincere. Ma esistono anche altre (...)

26Ma secondo Searle l’obbligo di giocare per vincere fa parte delle regole non scritte di ogni gioco, ed è la regola essenziale. Se ciò fosse vero, le regole strategiche di cui parla Ross sarebbero anch’esse essenziali e non rispettarle implicherebbe andare contro la regola non scritta che bisogna cercare di vincere. In questo caso gli atleti dopati o coloro che nascondono un asso nella manica, paradossalmente, cercando di vincere rispetterebbero la regola essenziale dei giochi, mentre un professionista di scacchi che giochi solo per sperimentare alcune mosse o un padre che giochi a pallone con suo figlio cercando di perdere non starebbero, per Searle, realmente giocando16.

  • 17  Lorini 2003.

27Lorini ritiene che la vittoria non sia un fatto legato a delle regole17. Ci sono regole costitutive, scrive Lorini, che si basano sulla vittoria («chi fa scaccomatto vince»), ma non regole che la costituiscano. Colui che vince giocando contro un avversario scarso (o non intenzionato a vincere) ottiene ugualmente la vittoria, esattamente come colui che giochi contro un baro. Il baro stesso, che è tale anche se nessuno lo sa, conquistando la vittoria al di fuori delle regole continua a essere il vincitore finché non venga scoperto e tale vittoria non gli venga revocata. La vittoria e la ludicità sono quindi caratteristiche non determinate da regole. Colui che fa scaccomatto viene nominato “vincitore” e tale nomina, come ogni status dipende dalla sola credenza: eliminata la credenza, si elimina lo status corrispondente.

  • 18  Searle 1969: 65.

28La questione è cruciale in quanto sta alla base del modello dominante in ontologia sociale. L’ipotesi da cui parte Searle è che parlare una lingua o agire entro un’istituzione siano attività che corrispondono a «eseguire degli atti secondo delle regole»18, come in un gioco. Per Searle i giochi, e in particolare i giochi regolati competitivi, sono infatti il paradigma del funzionamento del linguaggio e della realtà sociale tutta.

  • 19  Hart 1961: 108.

29Hart differenzia regole primarie da regole secondarie19: le regole primarie riguardano le azioni degli individui, le regole secondarie riguardano invece le regole primarie stesse, specificando i modi in cui si possono accertare, introdurre, eliminare o variare le regole primarie. Sono quindi le secondarie a trasformare le primarie da coercizioni in regole. La più importante delle regole secondarie è quella che sancisce l’autorità delle regole primarie, ossia il fatto che si debba obbedire a esse e al loro contenuto (rule of recognition). Le regole secondarie costituiscono non solo i criteri della validità delle regole, ma lo stesso concetto di validità.

  • 20  Kelsen 1934: 13, 105.
  • 21  Come già in Schwyzer 1969.

30I giochi che non possiedono regole secondarie, quindi i giochi per cui nessuno protesterà di fronte a un eventuale comportamento altrui in quanto “invalido”, non hanno nemmeno regole primarie (se infatti possedessero solo regole primarie non sarebbero sistemi normativi, ma semplici sistemi di atti coercitivi nell’ambito dei fatti bruti). L’esclamazione “non vale!” non è presente in tutti i giochi e pertanto non in tutti i giochi c’è una distinzione tra azione valida e azione non valida. Ad esempio giocare da soli con un giocattolo non presenta azioni invalide: in un tal gioco si può fare tutto ciò che si vuole, compreso rompere il giocattolo per gioco. Secondo Kelsen se in un gioco o in un altro fatto istituzionale non sono presenti i concetti di lecito e illecito, atto valido e atto nullo, allora esso chiaramente non è regolato da norme20. Così come la giuridicità di un intero ordinamento non è decidibile sulla base delle sue singole norme, la ludicità di un gioco non è deducibile, per Lorini, dalle sue regole21.

31I giochi in cui non sia presente il concetto di atto valido sono semplicemente sistemi di atti non soggiacenti a norme. Il gioco è quindi certamente descrivibile attraverso un insieme di regole, ma ciò non significa che esso sia sempre governato da regole. Perciò o il gioco non può essere considerato il paradigma del funzionamento del linguaggio, oppure alla base del linguaggio non stanno delle regole.

32Far derivare la prescrizione dalla descrizione significa scambiare una regolarità ontologica per una regola deontica: la regola è solo un artificio epistemologico necessario alla descrizione della regolarità. In molti autori si riscontra uno slittamento tra le nozioni di regola e di regolarità, come se si implicassero necessariamente a vicenda. Se da un lato è vero che la regola tenta di creare una regolarità di comportamento (una regola è la prescrizione di un modello sempre identico cui rifarsi) dall’altro lato va rimarcato che non necessariamente una regolarità in atto presuppone una regola come sua causa. Le regole descrittive traspongono sul piano epistemico le regolarità osservate sul piano ontologico, ma spiegare la genesi delle attività non regolate con le regole attraverso le quali è possibile descriverne lo svolgimento è una forma di riduzionismo.

  • 22  Searle 1969: 72.

33La descrizione di una regolarità non coincide quindi con la scoperta di una regola a valore deontico, altrimenti anche la regolarità delle stagioni sarebbe esplicabile attraverso l’appello a delle leggi fisiche cui gli elementi naturali possano aderire come non farlo. Lo stesso Searle, in parte in accordo con Kelsen, reputa possibile verificare se un determinato comportamento sia governato da regole o sia invece semplicemente regolare attestando la presenza di deviazioni dal comportamento considerate dal soggetto come invalide o sbagliate. Inoltre, scrive Searle, il soggetto che agisce secondo regola, messo di fronte a un caso che non abbia mai incontrato prima, saprebbe cosa fare, a differenza del soggetto che ha un semplice comportamento regolare22.

  • 23  Weinberger 1988.

34In questo senso Weinberger, esponente del neoistituzionalismo giuridico, ritiene che le norme abbiano quattro caratteristiche essenziali23:

a) la norma non è un oggetto materiale (a differenza di una affordance);

b) la norma non è un oggetto empirico, ossia non è oggetto d’esperienza sensibile:

c) la norma non coincide con la regolarità di un comportamento;

d) la norma ha una propria oggettività: è un oggetto reale in quanto è un oggetto temporale.

  • 24  Ross 1958: 211. Il corsivo è mio.

35Le semplici descrizioni di regolarità non possono venire considerate delle regole, in quanto non prescrivono nulla, né i comportamenti umani che possiedono regolarità devono necessariamente essere descritti come governati da regole. Ross ritiene che limitarsi «a quanto può essere accertato mediante l’osservazione esterna delle azioni e rilevando poi certe regolarità» non permette di «avere una conoscenza completa delle regole degli scacchi». «Non sarebbe mai possibile distinguere certe abitudini, o anche certe regolarità condizionate dalla teoria del gioco [composta da regole strategiche], dalle regole vere e proprie degli scacchi. Anche dopo essere stati a guardare mille partite si potrebbe ancora credere che sia contro le regole aprire muovendo il pedone che si trova di fronte alla torre nella casella A2» semplicemente perché tale mossa è sconveniente ai fini della vittoria e pertanto nessuno la mette in atto. «Per decidere se le regole che sono osservate siano qualcosa di più di un’abitudine o di una azione motivata da ragioni tecniche, è necessario chiedere ai giocatori da quali norme si sentano vincolati»24.

36Secondo Ross, una norma è tale solo se è effettivamente seguita in quanto i giocatori si sentono vincolati dalla prescrizione contenuta nella norma. Il gioco non è quindi riducibile, in antitesi al formalismo, a un sistema di regole. Ciò è dimostrato anche dal fatto che non tutti i sistemi di regole sono giochi: i sistemi etici e i sistemi giuridici sono chiari esempi di sistemi normativi non ludici.

  • 25  Benoist 2003.

37Il riduzionismo ontologico del formalismo appiattisce e reifica il gioco e le istituzioni sociali a una somma di regole, presentandole come degli oggetti dai confini netti e inemendabili. Secondo Benoist25 la reificazione rischia di presentare la realtà sociale come qualcosa cui aderire o meno senza possibilità di modificarla dall’interno, rendendo impossibile comprendere il lento mutamento delle istituzioni.

38Di Lucia ritiene che Searle applichi agli oggetti sociali ciò che egli chiama dovere eidetico. È possibile comprendere cosa esso sia attraverso l’esempio della promessa:

1) L’azione promessa deve essere un’azione che il promittente è in grado di compiere

2) L’oggetto della promessa deve rappresentare un interesse per il promissario

39Searle include nella promessa un dover essere che invece è del tutto eliminabile. Secondo Benoist il senso della promessa può essere espresso senza presupporre doveri né regole:

a) Se qualcuno promette di fare un’azione, allora si crea qualcosa che è possibile denominare “promessa”

40La nozione di dovere è superflua, infatti si possono promettere cose impossibili: chi è che decide se le promesse impossibili sono o non sono promesse? Giustificare l’esistente attraverso la sostituzione della descrizione dell’essere con la formulazione di un dovere è scorretto e pericoloso. Searle di certo non è un conservatore, ma la sua teoria, nella misura in cui si avvicina al formalismo, tende a ipostatizzare il dover essere nell’essere stesso.

  • 26  Barbero ritiene che il fenomeno della “deflazione” esista anche prima di essere scoperto, e che si (...)
  • 27  Żełaniec 2003: 172.

41Smith ritiene che la teoria di Searle faccia coincidere l’istituzionalizzazione con la sussunzione di un’attività in una classe: nominare coinciderebbe quindi con il creare una regola costitutiva26. Senza il riconoscimento da parte di un soggetto, un fatto bruto non potrebbe essere considerato come istituzionale e anche Żełaniec associa l’operatore counts as di Searle alla copula della sussunzione logica27, apparentando le regole costitutive alle verità analitiche piuttosto che ai doveri.

3. Come non fare cose con le regole

  • 28  Rawls 1955.

42Searle deriva il paradigma regole costitutive vs regole regolative da una divisione operata da Rawls tra summary rule e practice rule28. La summary rule è una guida per l’azione formulata sulle basi dell’esperienza, ed è induttiva. Essa è la descrizione sotto forma di regola di una serie di fatti e di metodi per ottenere qualcosa. Ad esempio le ricette sono una serie di summary rule: «[per ottenere] la maionese devi versare lentamente dell’olio d’oliva…».

43La practice rule invece precede le azioni che regola, è realmente normativa e non usa solo la normatività a fini descrittivi: le azioni che la seguono esistono solo se essa le prescrive. Ad esempio nessuno muoverebbe l’alfiere in diagonale se non conoscesse le regole degli scacchi.

44Le regole regolative di Searle regolano forme di comportamento già esistenti indipendentemente da esse: l’esempio è quello del codice della strada. Le regole costitutive invece creano nuove forme di comportamento: il gioco degli scacchi non esiste prima di queste regole.

45Rawls ritiene che abitudini e abilità, formalizzate in una summary rule, vengano disciplinate per essere trasmesse e apprese. Riconoscere una regolarità e descriverla non significa intenderla come regola e prescriverla. Le summary rule di cui parla Rawls non coincidono pertanto con le regole regolative di Searle, e non a caso Searle usa un termine diverso. Nelle regole regolative è presente una normatività in senso forte che non è presente nelle summary rule. Le regole regolative assomigliano quindi alle costitutive molto più di quanto le summary e le practice rule si assomiglino tra loro. Una prescrizione (regolativa o costitutiva che sia) istituisce infatti un nuovo comportamento, e non descrive semplicemente una regolarità: chi guida a destra senza un codice della strada che lo prescriva?

46Le regole regolative, come le costitutive, precedono dei comportamenti che esse stesse fondano, mentre la summary rule ha un valore conoscitivo e quasi nessun potere deontico, ed è piuttosto una regola descrittiva che non una prescrittiva. Dire: “le spade devono essere fatte con il bronzo” ha un senso piuttosto rawlsiano che non searliano, in quanto appena si scopre che il ferro è meglio del bronzo si usa il ferro, in barba alla summary rule, che non ha quindi nessun valore deontico. La summary rule non viene rispettata in quanto tale, anzi non viene proprio rispettata: ciò cui ci si adegua sono le affordance oggettive dell’oggetto da essa descritto, e non una prescrizione che in essa non è presente.

47Nella teoria searliana le regole regolative si applicano a fenomeni già esistenti mentre quelle costitutive a fenomeni che esse stesse creano. Se però le regolative possono anch’esse istituire nuovi fenomeni e comportamenti, anche le regole costitutive non si applicano al nulla bensì a fenomeni fisici le cui affordance ne influenzano la struttura. Se così non fosse, ogni oggetto fisico esistente (Z, P, R…) sarebbe perfetto per una qualsiasi funzione di status (Y, Z, Q…):

X:Y = P:Y = R:Y …

X:Y = X:Z = X:Q …

48Il modo in cui Searle individua se una regola debba considerarsi regolativa o costitutiva non prende in considerazione la regola in se stessa, bensì la sua relazione con l’attività regolata: se le regole vengono cronicamente prima dell’attività regolata sono costitutive, se invece vengono dopo sono regolative. Far discendere, come fa Searle, una qualche proprietà intrinseca di tipo logico da questa caratteristica relazionale (perciò estrinseca) è del tutto fuori luogo, così come pensare che basti una regola a creare ontologicamente qualcosa come un’attività o un ente istituzionale.

49Come sottolinea Żełaniec, una regola regolativa searliana quale “si deve guidare a destra” ha al contempo, oltre che un valore regolativo, anche un valore costitutivo in quanto, avendo un potere deontico, costituisce un oggetto sociale: l’obbligo di guidare a destra. E viceversa una regola costitutiva searliana come “l’alfiere si muove solo in diagonale” prescrive un comportamento regolando un’attività ludica generica preesistente allo stesso gioco degli scacchi: la sfida competitiva.

  • 29  Searle 2003.

50Perciò ogni regola prescrittiva è sia regolativa che costitutiva: sono solo le regole descrittive a non costituire alcuno status di obbligo. Lo stesso Searle ammette che i fatti istituzionali generati da regole costitutive non solo dipendono sempre dall’assenso soggettivo, ma anzi in esso trovano la loro oggettività concreta: il potere deontico29 (ossia l’insieme di vincoli per l’azione posti da un fatto istituzionale cui il soggetto sente di dover obbedire).

  • 30  Żełaniec 2003: 159.

51Una regola di per sé non può creare nulla “indipendentemente dal fatto che essa sia una regola costitutiva, regolativa o di qualunque altro tipo”30. La legalità stabilita dalla regola regolativa è quindi un’istituzione di tipo costitutivo. Questo è un punto decisivo:

Doppia proprietà delle regole: Ogni regola, sia essa costitutiva o regolativa, prescrive un comportamento e inoltre assegna uno status (quello di comportamento valido o invalido)

Doppia proprietà dei giochi regolati: Ogni gioco regolato possiede sia regole regolative (regole che seguono il comportamento da regolare) che regole costitutive (regole che precedono il comportamento da regolare)

52La doppia proprietà delle regole mette in crisi il modello di Searle: le regole costitutive vanno ora pensate come regole regolative che prescrivono dei comportamenti sotto forma di status. Dire che l’alfiere degli scacchi si muove in diagonale in virtù di una norma costitutiva che ne definisce lo status, significa dire che le regole che definiscono lo status di alfiere prescrivono (ai giocatori) che una certa pedina va mossa in diagonale. Pertanto:

Doppio valore delle regole: Ogni regola costitutiva è anche regolativa in quanto regola qualcosa di esistente (le regole degli scacchi regolano il desiderio di competere); e ogni regola regolativa è anche costitutiva in quanto istituisce qualcosa di nuovo, un’attività o un obbligo (nessuno guida a destra senza la regola che costituisce il divieto di guidare a sinistra).

53Attraverso le regole regolative si producono, in modo costitutivo, nuove attività. In accordo con Żełaniec, non è possibile distinguere in modo netto regole costitutive da regole regolative, ma solo valore costitutivo da valore regolativo della stessa identica regola.

4. Deregolativi, decostitutivi, artefatti, transitività e finzione interattiva

54Gli studi sulla realtà sociale hanno finora analizzato i giochi solo in senso costitutivo. Al massimo viene riconosciuto che alcuni giochi e sport pur basandosi su norme costitutive possiedono anche norme regolative, per esempio quelle relative all’infrazione delle norme costitutive: “fallo!”. Eppure molti giochi si fondano sulla regolazione di un’attività preesistente: per esempio il regolamento di una gara ciclistica regola un’attività che gli preesiste (l’andare in bicicletta).

55I giochi quindi non sono tutti costitutivi, ossia direttamente dipendenti da un’imposizione di funzione di status che determini il senso e il valore degli oggetti in gioco («questo pezzo di legno vale come alfiere»). Esistono infatti quattro tipi fondamentali di attività ludiche legate alle regole: giochi costitutivi, regolativi, deregolativi e decostitutivi.

  • 31  Ciò che Paglieri 2005 definisce fare per gioco, distinguendolo dal fare un gioco.

56I giochi costitutivi sono quelli che impongono funzioni di status, come gli scacchi («quel pezzo di legno è un alfiere e va mosso così»). I giochi regolativi sono quelli che regolano delle attività già esistenti, come il calcio da strada («l’oggetto sferico che già, per delle sue affordance particolari, ci lanciamo a vicenda ora possiamo lanciarcelo solo colpendolo con i piedi»). I deregolativi sono trasgressioni ludiche e non sistematiche alle regole («giochiamo a prendere la marmellata», attività che viene intesa come ludica in quanto si intende trasgredire senza mettere in discussione la regola stessa). I decostitutivi infine decostruiscono le regole mostrandone i limiti, come la satira e lo scherzo31.

57I giochi deregolativi non possiedono la metaregola negativa “non rispettare le regole”, in quanto tale regola non è presente a nessun livello, né in un regolamento né nella mente di chi sta giocando. Costui, se interrogato non risponderebbe infatti di stare intenzionalmente seguendo una regola, bensì di non starne intenzionalmente seguendone una.

58I decostitutivi invece non vanno contro le regole, ma consistono in azioni a valore semantico che implicano una messa in discussione delle regole stesse. Attraverso i giochi decostitutivi gli oggetti e le regole che per abitudine vengono intese come naturalmente fattuali vengono messe in prospettiva e ne viene mostrata la costitutività, ossia la dipendenza da assegnazioni di funzioni di status. Nella fiaba di Andersen ciò di cui è vestito l’imperatore è un oggetto sociale, e solo il bambino vede e ha il coraggio di enunciarlo pubblicamente: “il re è nudo!”. Lo sghignazzo che ne segue è un gioco decostitutivo spettatoriale e la fiaba stessa, nel suo insieme, è il gioco decostitutivo di un moderno giullare che si occupa di decostruire gli oggetti sociali, svelando la natura convenzionale delle istituzioni culturali (la seconda natura).

59Chiarito che la relazione tra giochi è regole non è necessaria, bisogna guardare alla relazione tra gioco e assegnazione di status. La facoltà di credere in uno status non dipende da delle regole ma dalla transizione da una finzione a un ambito serio, nel quale il soggetto è escluso dal controllo sugli oggetti che egli stesso ha creato.

60Si prenda l’uso ludico di una scopa “come se fosse un cavallo”. Una scopa possiede delle affordance per cui può esser trattata come se fosse un cavallo o una spada o proprio per raccogliere la polvere, ma la stessa scopa non può esser trattata come se fosse una palla. Contrariamente a quanto invece si può fare con le arance con cui Pelé imparò a giocare: le affordance determinano la costituzione dei giocattoli e l’imposizione di funzione di status.

61La funzione svolta dalle arance di Pelé è la stessa svolta dai palloni di cuoio (Searle le chiama funzioni agentive) eppure la loro costituzione è diversa. Nel caso delle arance, Pelé assegnò una funzione a un oggetto esistente, mentre nel caso del pallone di cuoio la funzione precede l’esistenza dell’oggetto stesso. Si possono denominare questi due generi di oggetti:

Artefatti regolativi: Oggetti con affordance specifiche che precedono l’assegnazione di funzione agentiva (arance di Pelè)

Artefatti costitutivi: L’assegnazione di funzione precede l’oggetto dotato delle affordance previste (pallone di cuoio)

  • 32  La scommessa mentale sul risultato di un calcolo mentale richiede un atto performativo ed una veri (...)

62I giochi possono dipendere da affordance fisiche, come l’uso di costruzioni giocattolo o della palla, da affordance sociali, come i giochi d’azzardo, che si basano sulla promessa e la scommessa, oppure da affordance logiche, come gli enigmi32. Le affordance però non possiedono validità deontica, a differenza delle regole. Se si volesse creare un gioco in cui la palla non venga colpita con i piedi, si avrebbero due opzioni disponibili: si potrebbe far usare una palla difficilmente calciabile (come nel rugby) oppure si potrebbe vietare tale pratica (come nella pallamano). Fruendo delle affordance offerte da una palla rotonda si possono fare molti giochi diversi, attraverso regolamenti diversi. Le regole di tali giochi hanno, come si è visto, un valore sia costitutivo (linea di bordo campo, punteggio) che regolativo (senza le affordance della palla nessun gioco con la palla sarebbe possibile).

63Di uno stesso oggetto, a parità di affordance, esistono diverse possibilità funzionali:

X vale come Y in C e come Z in D

64Non basta che un oggetto abbia determinate proprietà per far sì che con esso si giochi: praticamente ogni oggetto o situazione presenta affordance tali da permettere di farne un uso sia ludico che serio. Ogni gioco può essere snaturato, come ogni attività seria può essere svolta per gioco. Il gioco non è quindi un oggetto, ma un modo che si lega al contesto, e pertanto non si possono né trovare oggetti che siano solo giocattoli né oggetti che possano più facilmente di altri essere usati per giocare (sebbene ogni oggetto possa essere usato solo per alcuni giochi e non per altri, a seconda delle sue affordance).

65Il gioco è il mezzo con cui le persone sviluppano la capacità di costituire sistemi di credenze a valore deontico: la facoltà di assegnare status reali (o seri) a oggetti fisici X dipende da quella di assegnare status fittizi (o ludici). Se il soggetto è cosciente della dipendenza degli status dall’assegnazione costante che egli svolge, allora li considera fittizi, altrimenti li considera reali.

66Nella psiche del soggetto si opera una transizione dal soggetto all’oggetto circa la dipendenza dello status. La transitività istitutiva consiste nell’assegnazione di uno status a un oggetto cui segue la perdita di coscienza della sua dipendenza dal soggetto. Gli oggetti sociali reali sono il frutto di una transitività istitutiva, a differenza di quelli fittizi. La transitività causale è invece la produzione di effetti da parte di un’attività.

67I giochi dipendono dall’intenzionalità (come gli oggetti sociali seri) ma anche da una doppia intransitività (a differenza degli oggetti sociali seri): sia in senso istitutivo che in senso causale.

68La intransitività istitutiva è essenziale al gioco e, laddove venga violata, lo status ludico si trasforma in status non ludico: si pensi all’uso ludico oppure serio del denaro. La intransitività causale invece è violabile, sebbene nei giochi normalmente venga supposta dai giocatori come inviolabile (se così non fosse i giocatori d’azzardo ricercherebbero direttamente gli effetti desiderati, magari lavorando o rapinando una banca, senza passare dal gioco).

69Alla luce di tale doppia intransitività, l’ipotesi meno riduttiva sulla natura del gioco lo identifica con una finzione interattiva, all’interno della quale il soggetto mantiene coscienza della sua interazione con gli status fittizi di cui si compone il gioco.

70L’interazione tra giocatore e giocatore (o tra giocatore e gioco) è costante e al centro del sistema ludico: interazione materiale e interazione simbolica sono nel gioco sullo stesso piano, a differenza di quanto avviene nella visione di un film, nella recitazione, o in qualsiasi altra forma d’arte.

71Lo status è la proprietà di un oggetto che viene assegnata da un atto intenzionale del soggetto: la finzione si configura così come un’assegnazione di status in cui la presenza e la necessità di colui che assegna lo status rimangono nella coscienza del soggetto stesso. Lo status fittizio non è transitivo, a differenza dello status reale. I giocatori sanno sempre che il gioco dipende da loro, mentre i cittadini che hanno votato il loro presidente assegnano alla sua persona una proprietà in modo del tutto transitivo: solo smettendo di colpo e tutti insieme di assegnare lo status di presidente a colui che hanno eletto, potrebbero farlo tornare immediatamente a essere soltanto un uomo. Ma questo non lo si fa mai, in parte perché la transitività delle azioni degli elettori è causale (essi subiscono degli effetti a causa delle loro scelte, cosa che per le scelte ludiche non avviene), in parte perché è istitutiva (gli elettori credono totalmente all’oggettività degli status elettorali, a differenza di quelli fittizi).

5. Conclusioni. La realtà sociale non è governata da regole

72All’interno del dibattito sull’ontologia sociale le regole vengono perlopiù concepite come causa degli oggetti sociali, in accordo al formalismo. Eppure esistono fatti istituzionali che non dipendono da regole, pertanto esse andrebbero considerate non come loro causa bensì come fatti istituzionali a loro volta. Una regola non è un ente fisico in quanto è immateriale (va quindi distinta dalle affordance o proprietà di un oggetto) e non è un ente ideale in quanto ha una durata temporale: la sua validità deontica inizia e finisce nel tempo e la sua consistenza ontologica è contingente, dipendendo dall’imposizione di un comando che un soggetto fa su di un altro soggetto (o su se stesso). L’esistenza ontologica di una regola coincide perciò con la sua validità deontica: per esempio la regola “l’alfiere va mosso solo in diagonale” esiste solo finché un soggetto se ne senta in qualche modo vincolato.

73Si è visto che il gioco non è riducibile a un sistema di regole, sebbene possa conviverci. Ciò è dimostrato dal fatto che non tutti i sistemi di regole sono giochi e che alcuni di tali sistemi non solo non vengono concepiti come ludici, ma sono anzi propriamente opposti a essi: i sistemi etici, i sistemi giuridici e le abitudini invalse nel costume.

  • 33  Cfr. nota precedente.

74Se è chiaro che non tutti i giochi dipendono da regole, ancor più chiaro è che non tutti i giochi dipendono dal linguaggio (come per esempio lanciare ripetutamente un palla contro un muro). Inoltre, non tutti i giochi che dipendono dal linguaggio dipendono anche da regole (per esempio i rappresentativi come il “facciamo che io ero”), né tutti i giochi regolati dipendono dal linguaggio (per esempio una scommessa mentale solitaria)33.

75Il linguaggio per Searle è un fenomeno costitutivo, nel senso che il significato è deciso dal soggetto (o meglio da un’intenzionalità collettiva), che applica a delle tracce grafiche o sonore una funzione di status di tipo transitivo, rendendole così dei segni. Ma se la costitutività sta nell’assegnazione di funzioni di status, e la regolatività invece implica la gestione di un materiale esistente, il fatto che i giochi siano dei fenomeni sia costitutivi che regolativi dovrebbe costringere Searle, che eleva il gioco a modello linguistico, a considerare anche il linguaggio come un fenomeno non solo costitutivo bensì anche regolativo.

76L’ontologia sociale contemporanea sovrappone di continuo regolarità e regole, portando a ritenere che semplici affordance linguistiche siano invece regole seguite dai soggetti. Eppure la grammatica, in quanto insieme di regole linguistiche, può essere intesa come studio descrittivo o come insegnamento prescrittivo. In una lingua che non abbia sviluppato una grammatica descrittiva non sarebbe possibile rilevare una prescrittività linguistica generale: solo alcuni ambiti codificati la possiederebbero, come la liturgia o il canto (le cui regole tra l’altro si basano su precise affordance sonore). È molto strano che un’attività sociale come quella del parlare sia governata da regole mentre altre attività eminentemente sociali, come quelle del danzare e dell’amoreggiare, non ne abbiano.

  • 34  Searle divide nettamente l’uso descrittivo delle regole da quello che governa un comportamento, e (...)

77Sebbene possa essere descritta come un’attività regolata («far succedere un passo all’altro»), il camminare, al di fuori di una parata militare, non lo è affatto34. Il linguaggio è fondamentalmente un’invenzione e non una scoperta, a differenza di quanto sostiene la linguistica che confonde regole apprese con affordance innate riassumendole in “competenze”. Le regole inconsce di cui parla Searle nel 1969 semplicemente non sono regole, ma abitudini, come egli stesso vi si riferisce nel 1995.

78Si potrebbe pensare che esistano delle regole alle quali un soggetto obbedisce senza esserne cosciente. Ma l’appello all’inconscio è sterile soprattutto per la realtà sociale, in cui l’aderenza a un comportamento indotto da un oggetto sociale non può essere descritta attraverso l’inconscio, se si intendono gli stessi oggetti sociali come dipendenti da credenze soggettive.

  • 35  Searle 1995: 162.

79Un conto è sostenere che esistano delle regole implicite, ossia non formulate di continuo, un conto è sostenere che esistano regole inconsce. Nel caso di una regola implicita, un soggetto cui si chieda di rendere conto di un comportamento potrebbe rispondere di seguire una regola che in precedenza non aveva esplicitato. Nel caso della regola inconscia invece non potrebbe farlo (in quanto nemmeno lui saprebbe di aderirvi): il suo comportamento quindi non potrebbe discendere da un potere deontico, in quanto esso è un vincolo per l’azione determinato dall’accordo soggettivo a un ente cui egli riconosca un valore normativo. L’obbedienza inconscia a una regola escluderebbe la possibilità da parte del soggetto di non obbedirvi (almeno finché tale “regola” rimanesse inconscia). Interiorizzare una regola non significa obbedirvi inconsciamente: al contrario significa trasformare tale regola in un meccanismo che non è più considerabile come normativo, bensì necessitante. Lo sanno bene i giocatori professionisti di baseball: lo stesso Searle ritiene che essi non seguano regole, ma che il loro comportamento sia dettato da abitudini che a loro volta generano abilità35.

  • 36  Hare 1952.

80La normatività di un atto o di un fatto, ossia la qualità a partire dalla quale è possibile considerarlo una norma o meno, dipende dal soggetto: è l’assegnazione di uno status operata dal soggetto che trasforma un atto o un fatto in una norma. Il soggetto in questione può in seguito obbedire alla norma o ritenere che siano altri a doverle obbedire, ma non c’è nulla di oggettivamente intrinseco a una norma che la renda tale. Hare ha distinto nei comandi del discorso normativo una parte frastica (comune alle asserzioni non normative) e una neustica (propria solo delle prescrizioni)36. Perciò “John sta dicendo una bugia” e “John deve dire una bugia” hanno lo stesso frastico (“John dire bugia”) ma un neustico diverso (“sta-deve”). La confusione tra frastico e neustico è evidente nella morale del senso comune: il dibattito contemporaneo su aborto, fecondazione assistita e modificazione genetica verte in gran parte sul fatto che molte persone ritengono che il semplice status quo naturale o sociale sia in se stesso normativo: quante volte capita di sentir giustificare moralmente alcune azioni in quanto “naturali”? Dal punto di vista della morale del senso comune l’essere molto spesso coincide con il dover essere in un modo che non è contingente, ma necessario: tutto ciò che (già) è, allora deve (continuare a) essere.

81Come sottolinea Conte, è però sempre bene distinguere una necessità modale da una necessità deontica (quella che impone il dovere all’azione): la necessità deontica riposa su una contingenza modale, ossia sul fatto che è sempre possibile trasgredire il dovere. Bisogna pertanto differenziare nettamente le regole dalle affordance: le affordance degli oggetti non sono regole, in quanto il soggetto che si relaziona a esse non sente nessun dovere, nessuna necessità deontica né alcun valore in esse. Altrimenti si dovrebbe pensare che la struttura dell’essere imponga all’uomo, senza soluzione di continuità, la struttura del dover essere. Se si accettasse questo punto di vista bisognerebbe fondare la morale sulla metafisica.

82Posto quindi che:

1) Regola vs Regolarità,

2) Regole prescrittive vs Regole descrittive,

3) Regole vs Affordance,

4) Necessità deontica vs Necessità modale,

5) Funzioni (sia agentive che di status) vs Affordance,

6) Non tutti i giochi dipendono da regole,

7) I giochi dipendenti da regole non sono governati solo da regole costitutive,

8) Le regole sono sempre sia regolative che costitutive,

9) Le regole sono sempre violabili e necessitano di un soggetto che le metta in pratica,

 

si deve quindi concludere che:

a) I giochi non sono in se stessi governati da regole;

b) Il linguaggio non è in se stesso governato da regole;

c) La realtà sociale non è in se stessa governata da regole;

d) Giochi, linguaggio e realtà sociale possono coesistere con delle regole, ma non coincidono con esse.

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Note

1  In nota Searle tiene a precisare che questa risposta a Wittgenstein non è stata formulata da lui ma, nonostante ammetta di non sapere chi sia stato ad averla pensata per primo, la ritiene comunque valida e «parte della tradizione orale». Searle 1995: 119. Cfr. Wittgenstein 1953.

2  Verghese 2003.

3  Piaget 1945; Vygotskij 1966.

4  Grillo 2004; Xaiz 2001; Zacchini 2006.

5  Piaget 1945.

6  Paglieri 2003.

7  I giochi Ilinx riguardano la variazione della percezione. Cfr. Caillois 1958. Altre tipologie di gioco sono quella Agon (competitivi), Alea (azzardo) e Mimicry (rappresentazione).

8  Mutuo queste espressioni da Franchi 2005.

9  Fondatore della logica deontica: Conte 1985; Conte 1995.

10  Ross 1958.

11  La teoria dei giochi nel corso della guerra fredda fu infatti utilizzata a scopi militari. Essa non va però considerata una teoria del gioco in quanto tale, essendo «una trattazione matematica che si riferisce a sequenze di comportamento governate da regole», in cui il termine gioco «non ha mai una connotazione ludica», Watzlavick 1967: 38.

12  Carcaterra 1974.

13  Fittipaldi 2003.

14  Żełaniec a differenza dei formalisti ritiene che violare una regola costitutiva di un gioco non crei un altro gioco, ma al massimo distrugga il primo. Żełaniec 2003: 160.

15  Di Lucia 2003.

16  «Normalmente si ritiene che un giocatore [di scacchi] giochi per vincere. Ma esistono anche altre possibilità (per esempio far vincere l’avversario, oppure sperimentare o saggiare il valore di una certa mossa)». Ross 1958: 207.

17  Lorini 2003.

18  Searle 1969: 65.

19  Hart 1961: 108.

20  Kelsen 1934: 13, 105.

21  Come già in Schwyzer 1969.

22  Searle 1969: 72.

23  Weinberger 1988.

24  Ross 1958: 211. Il corsivo è mio.

25  Benoist 2003.

26  Barbero ritiene che il fenomeno della “deflazione” esista anche prima di essere scoperto, e che sia un fatto istituzionale. Eppure prima della definizione degli economisti non esisteva la deflazione in quanto ente istituzionale, ma solo in quanto insieme di eventi, in accordo all’analisi di Smith secondo cui la sussunzione è istituzionalizzazione. Cfr. Smith 2003; Barbero 2007.

27  Żełaniec 2003: 172.

28  Rawls 1955.

29  Searle 2003.

30  Żełaniec 2003: 159.

31  Ciò che Paglieri 2005 definisce fare per gioco, distinguendolo dal fare un gioco.

32  La scommessa mentale sul risultato di un calcolo mentale richiede un atto performativo ed una verifica “empirica” (a posteriori del calcolo) del risultato della scommessa.

33  Cfr. nota precedente.

34  Searle divide nettamente l’uso descrittivo delle regole da quello che governa un comportamento, e porta propriamente l’esempio del camminare.

35  Searle 1995: 162.

36  Hare 1952.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Ivan Mosca, «Le regole del gioco. Perché la realtà sociale non è un sistema normativo.»Rivista di estetica, 43 | 2010, 247-266.

Notizia bibliografica digitale

Ivan Mosca, «Le regole del gioco. Perché la realtà sociale non è un sistema normativo.»Rivista di estetica [Online], 43 | 2010, online dal 30 novembre 2015, consultato il 18 mai 2025. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/estetica/1816; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/estetica.1816

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Ivan Mosca

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