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Arte e società nell’estetica dell’idealismo italiano

Paolo D’Angelo
p. 93-105

Abstract

The theme of the relationship between art and society is certainly not a central topic in the aesthetic reflection of Italian neo-idealism. Neither in Croce nor in Gentile it is ever discussed at length, and the few writings in which it is addressed are brief and polemically oriented. This essay, however, proposes to discuss the few hints present in Croce and Gentile on this subject. First, the debate on the materialistic interpretation of history will be examined, to which both Croce and Gentile made important contributions at the end of the 19th century.
Secondly, Croce’s own way of doing the history of literature will be discussed, showing the differences that distance him from the Desanctisian model and also from the model derived from the Hegelian Aesthetics. Croce’s way of making history of literature, indeed, aroused harsh criticism after World War II and provoked a request for a “return to De Sanctis”.
Finally, but the theme will be only hinted at in the essay, a brief reference will be proposed to the opinions of Antonio Gramsci and his reading of Croce.

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Termini di indicizzazione

Keywords:

art, society, neo-idealism

Parole chiave:

arte, neo-idealismo, società
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Testo integrale

1. Un tema marginale?

1Come sono stati teorizzati i rapporti tra arte e società nell’Idealismo italiano del Novecento? Ecco una domanda alla quale sembra si possa rispondere in poche parole, un tema suscettibile di una rapida liquidazione piuttosto che di un’analisi articolata.

2È del tutto evidente, infatti, che né nell’estetica di Benedetto Croce, né in quella di Giovanni Gentile, cioè nei due principali esponenti della rinascita italiana dell’idealismo, è presente una trattazione dei nessi tra arte e società. Anzi, il tema non è neppure sfiorato, non riesce propriamente a trovare spazio all’interno delle loro filosofie. Per Croce, e anche per Gentile, l’arte è un momento dell’attività dello spirito, appartiene al ritmo delle attività spirituali, che a loro volta sono autonome, plasmano il mondo e non ne sono plasmate. In Croce è il momento aurorale della conoscenza, la conoscenza intuitiva; per Gentile è dapprima una delle tre “forme assolute dello spirito”, assieme alla religione e alla filosofia, come momento della soggettività (Arte) di contro a quello della oggettività (Religione) e alla sintesi delle due (Filosofia) (nel saggio Le forme assolute dello spirito: Gentile 1909); successivamente, nella Filosofia dell’Arte (Gentile 1931, su cui Garelli 2016), appartiene all’unica attività rappresentata dal pensiero pensante, di nuovo come momento soggettivo, come sentimento. Ancor meno il nesso tra arte e società si può trovare tematizzato nella critica letteraria, che entrambi esercitarono, sia pure in modi diversi. Croce si applicò sia alla letteratura a lui contemporanea (sulle pagine della rivista da lui fondata, “La Critica”, e alla quale Gentile collaborò a lungo, prima della rottura che si produsse tra i due, dapprima sul piano filosofico, poi su quello politico), sia, in un secondo tempo, alla grande letteratura europea; Gentile esercitò la critica letteraria molto più saltuariamente, e solo su poeti e scrittori italiani. Il tono della loro critica letteraria è molto diverso: Croce ama gli artisti ‘puri’, non cerca il pensiero nei poeti, persino nei più ‘filosofi’, come Dante; in qualche modo, il suo ideale di poesia è l’Orlando Furioso di Ariosto. Gentile invece si trova a suo agio solo con poeti che sono anche pensatori, come Leopardi, Dante, Manzoni. Ma in nessuno dei due la critica si affida a considerazioni sull’ambiente storico in cui lavorano gli artisti o sui contesti sociali che essi rappresentano. Nulla di più lontano da entrambi di una lettura “sociologica” dell’arte, niente di più estraneo a tutti e due del considerare decisivo l’influsso delle condizioni economiche dell’artista sulla sua creazione, o essenziale all’arte un’opera di testimonianza o di denuncia delle condizioni sociali del tempo in cui nasce.

3Oltre che dalla lettura diretta delle loro opere teoriche e della loro critica letteraria, la tesi dell’assenza del tema “arte e società” nei protagonisti del Neo-idealismo italiano può essere rafforzata anche da un altro ordine di considerazioni.

4È noto che l’influenza di Gentile e di Croce tramontò abbastanza rapidamente negli anni successivi alla seconda guerra mondiale. Gentile si era schierato apertamente con il fascismo, aveva avuto incarichi di responsabilità sotto il regime, aveva aderito alla Repubblica Sociale dopo l’armistizio del settembre 1943, ed era stato ucciso da un gruppo di partigiani nel 1944. Per Croce, apertamente schierato contro la dittatura, e anzi protagonista anche sul piano politico della ripresa della vita democratica nel dopoguerra queste ragioni non valgono, ma anche la sua presenza nel dibattito letterario e artistico perse molto terreno negli anni postbellici. A partire dal 1945, e poi ancora più nettamente dopo la sua morte, avvenuta nel 1952, la sua estetica e la sua critica letteraria furono oggetto di molte critiche, anche violente, e il suo metodo di lettura venne radicalmente contestato. In questa reazione, che si concentrò principalmente su Croce, l’argomento fondamentale riguardava proprio l’impossibilità di conciliare la visione crociana della autonomia dell’arte con l’idea di un’arte impegnata, militante (l’engagement teorizzato proprio in quegli anni da Sartre), volta a suscitare una presa di coscienza politica e a farsi mezzo di denuncia e di lotta sociale. Impegno e realismo diventarono le nuove bandiere, e non si trattò solo di diversi orientamenti teorici, ma di attiva lotta politica. Ad attaccare Croce per il suo confinare l’arte in una torre d’avorio furono infatti critici marxisti, per lo più aderenti al Partito Comunista Italiano, come Carlo Salinari, Mario Alicata, Antonello Trombadori. Vennero pubblicati i quaderni redatti da Antonio Gramsci in carcere, organizzati tematicamente, e particolarmente rilevante risultò la raccolta intitolata Letteratura e vita nazionale, nel 1950, mentre più o meno negli stessi anni venivano tradotte le opere del ‘secondo’ Lukács, come i Saggi sul realismo e Il marxismo e la critica letteraria soprattutto grazie all’opera del germanista Cesare Cases. Può dare un’idea della polemica, e insieme servire a ribadire la posizione del neoidealismo su arte e società qualche passo tratto dalla recensione che Croce pubblicò nel 1949 alla edizione tedesca di Goethe und seine Zeit di Lukács:

il signor Lukács, naturalmente, da insigne ripetitore, qual è, del Marx, riconduce [la tragedia di Margherita nel Faust] alla polemica e critica ‘sociale’, non passandogli neppure per la mente che, oltre le faccende e i contatti sociali, c’è qualcosa al mondo che si chiama poesia

e ancora:

Con meccanica industria i neoscolari da Marx ed Engels e Lafargue nelle cose e nella critica dell’arte e della poesia, che si sono ora annunziati ora in Italia, si accingono a gettarsi pesantemente sulla storia della poesia e dell’arte e a farne governo a lor modo (Croce 1949: 111-112)

5Anche un filosofo convertitosi al marxismo durante la guerra, Antonio Banfi, quando dovette scegliere il terreno su cui attaccare l’estetica idealistica scelse proprio il rapporto tra arte e società, e in un saggio del 1956 intitolato appunto Arte e socialità criticò l’idealismo proprio per avere del tutto eliminato dal proprio orizzonte la relazione tra arte e vita sociale:

l’insorgere oggi con tanta vivezza […] del problema relativo alla socialità dell’arte, mentre corrisponde all’esaurimento della tradizione dell’arte bella, e della sua canonizzazione nell’estetica dell’idealismo, rispecchia la coscienza della complessa struttura dell’arte, dell’articolazione del mondo della artistcità e dei suoi valori, inseriti nella vita sociale (Banfi 1956).

6Ma davvero un discorso su arte e società nell’Idealismo italiano non può far altro che registrare questo fin de non recevoir, questo rifiuto radicale di stabilire un nesso tra struttura sociale e produzione artistica?

7In realtà, proprio il riferimento così insistito da parte dei critici di Croce nel secondo dopoguerra alla tradizione marxista, e alla discussione dei nessi tra arte e società a partire dalle dottrine del materialismo storico, dunque in termini di Struttura e Sovrastruttura, ci consente forse di riaprire la questione, non certo per rovesciare la constatazione da cui siamo partiti, ma per mostrare che lo stesso rifiuto di discutere il tema arte e società non avviene affatto a priori nel Neo-idealismo italiano. Tanto Croce quanto Gentile, infatti, negli ultimi anni dell’Ottocento si confrontarono radicalmente col pensiero marxiano, e discussero dettagliatamente proprio le tesi del materialismo storico, al quale dedicarono una specifica analisi (Cfr. Musté 2018).

8Un altro punto di aggancio per rendere più complessa la questione ci è fornito poi dal fatto che proprio nelle discussioni sulla critica letteraria nel secondo dopoguerra risuonarono spesso, in opposizione al rifiuto neoidealistico di tematizzare le basi sociali dell’arte, due nomi importanti, quello dello storico italiano della letteratura Francesco De Sanctis e quello del filosofo Hegel. In entrambi questi autori gli studiosi marxisti, e in generale coloro i quali ritenevano fondamentale insistere sui legami sociali dell’arte in opposizione al Neo-idealismo pensarono di rintracciare gli spunti per una considerazione dei rapporti tra arte e società diversa da quella offerta da Croce e Gentile. Ma si dà il caso che proprio De Sanctis ed Hegel non siano affatto due nomi qualsiasi, bensì due autori decisivi per la formazione sia di Croce sia di Gentile. Ecco aprirsi allora una seconda complicazione: quella dei rapporti tra le teorie dell’arte dell’Idealismo italiano e l’opera di De Sanctis e di Hegel dall’altro (Cfr. Garin 1955).

9Infine, ancora un nome per complicare il quadro: quello di Antonio Gramsci. Anche Gramsci fu uno degli autori a cui più si richiamarono gli attacchi all’estetica neo-idealistica del dopoguerra, in funzione anti-crociana. Ma anche in questo caso, sia pure per motivi diversi, è possibile introdurre qualche distinguo, motivato dal fatto che i rapporti tra Croce e Gramsci non si possono ridurre alla semplice opposizione, dato che Croce ha contato molto nella formazione, soprattutto letteraria, di Gramsci, e quest’ultimo non ha mai ritenuto possibile una semplice “liquidazione” del pensiero di Croce.

10Procederemo dunque così: dapprima esamineremo la discussione del materialismo storico negli scritti giovanili di Croce e di Gentile per vedere se da essi si può ricavare qualcosa che riguardi specificamente la letteratura e le arti; in un secondo momento discuteremo il modo di fare storia della letteratura proprio di Croce, mostrando le diversità che lo allontanano dal modello desanctisiano e anche da quello ricavabile dalla Estetica hegeliana. Infine vedremo molto rapidamente la collocazione di Gramsci in questo ordine di problemi.

2. Croce, Gentile e il materialismo storico

11Tanto Croce quanto Gentile si confrontarono col pensiero di Marx nell’ultimo scorcio del diciannovesimo secolo, entrando con competenza in un dibattito europeo. Croce individuò quasi subito nel pensiero economico di Marx il terreno decisivo, e, dopo un breve periodo di appassionamento anche politico al marxismo, elaborò alcune critiche molto pertinenti ai caposaldi dell’economia marxiana, quali la teoria del valore e la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, in una serie di scritti che poi raccolse nel volume Materialismo storico ed economia marxistica, apparso nel 1900 (Cfr. Craveri 2020). Gentile, invece, si concentrò sul contenuto filosofico delle teorie marxiane, interpretate come una filosofia della prassi che annuncia il superamento della distinzione tra teoria e pratica, e anche lui raccolse i saggi scritti nell’arco di un quadriennio in un volume pubblicato nel 1899 col titolo La filosofia di Marx. Gli scritti dell’uno e dell’altro ebbero risonanza anche all’estero, e se Croce ebbe un ruolo nel revisionismo di fine secolo, attraverso George Sorel e Eduard Bernstein, il libro di Gentile venne citato anche da Lenin (cfr. Turi 1995).

12Se l’orientamento di Croce e Gentile nei confronti del marxismo fu subito divergente, puntando il primo sulla economia e il secondo sulla filosofia, c’è almeno un tratto che li unisce, ed è l’attenzione che entrambi dedicano proprio alla questione del materialismo storico, che è anzi quella da cui prese avvio, in entrambi, il confronto col marxismo. Croce scrisse nel 1896 una memoria dal titolo Sulla concezione materialistica della storia (titolo che poi venne mutato in Sulla forma scientifica del materialismo storico quando il saggio fu inserito nel volume prima citato); Gentile l’anno seguente pubblicò un lungo saggio Per la critica del materialismo storico. Sia l’uno che l’altro erano stati sollecitati a interessarsi del tema da Antonio Labriola, un filosofo herbartiano che fu tra i primi in Italia ad accostarsi seriamente al pensiero di Marx, e che aveva scritto un lungo saggio Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare che sarà pubblicato per iniziativa di Croce.

13Verrebbe naturale, allora, trovare nel confronto del nascente idealismo italiano sul tema del materialismo storico il luogo per una messa a tema, da parte sia di Croce sia di Gentile, del nesso tra arte e società e delle basi sociali della produzione artistica. Non c’è dubbio, infatti, che all’interno del pensiero marxista, che come è noto non tocca se non molto sporadicamente questioni estetiche, se c’è una teoria che può essere utilizzata per l’interpretazione dei fenomeni artistici è proprio la concezione materialistica della storia, in quanto riconduce i fenomeni culturali in genere, e quindi anche l’arte e la poesia, alla base sociale e in questo modo ai rapporti sociali di produzione, secondo la celebre formula marxiana:

Die Produktionsweise des materiellen Lebens bedingt den sozialen, politischen und geistigen Lebensprozeß überhaupt. Es ist nicht das Bewußtsein der Menschen, das ihr Sein, sondern umgekehrt ihr gesellschaftliches Sein, das ihr Bewußtsein bestimmt [Il modo di produzione della vita materiale condiziona in generale il processo della vita sociale, politica e spirituale. Non è la coscienza dell’essere umano che determina il suo essere ma al contrario il suo essere sociale che determina la sua coscienza] (Marx 1859, Vorwort, trad. mia).

14Così è accaduto, per esempio, in quasi tutte le teorie estetiche che si sono volute ricondurre al marxismo, da Plechanov a Lukács ai critici letterari italiani del dopoguerra che ho citato in apertura.

  • 1 Più determinatamente nella Prolusione del novembre 1896 su L’università e la libertà della scienza (...)

15Senonché, se si guarda al contenuto dei saggi di Croce e di Gentile, si vede che il rapporto tra arte e base sociale, l’applicazione del materialismo storico alla sfera artistica non è affatto rilevante nella loro argomentazione, dove l’arte e la poesia ricorrono al massimo come esempi di produzione ‘spirituale’ che la dottrina del materialismo storico riconduce alla base materiale, come la politica, il diritto, la filosofia, senza alcuna particolarità e senza che le modalità di tale rapporto vengano discusse nello specifico. Così era già, del resto, nel saggio di Antonio Labriola, in cui di arte e di estetica si parla solo en passant, in frasi di tenore genericissimo (“si comincia dai motivi, poniamo, religiosi politici estetici passionali”; “scienze arti filosofia sono […] prodotti secondari e riflessi della civiltà”, Labriola 1896: 70, 79). Persino quando Labriola opera la distinzione tra produzioni di primo e di secondo livello della struttura economica, includendo nelle prime, più strettamente legate alla base sociale, il diritto e la politica, e nelle seconde, relativamente più svincolate dai rapporti di produzione, la morale la scienza e, appunto, l’arte, mancano riferimenti di qualche precisone e consistenza a quest’ultima1.

16Niente di diverso accade nel saggio di Croce, dove il termine “arte” non ricorre che una volta soltanto, in questa enumerazione generica:

Secondo questa teoria (come è stato detto in un brano, tante volte trascritto, del Marx), sostrato della storia sono i rapporti della produzione ossia le condizioni economiche, che danno luogo alla divisione delle classi, alla formazione dello Stato e del diritto, e alle ideologie delle costumanze e dei sentimenti socali e morali, il cui riflesso si trova poi nell’arte, nella scienza, nella religione (Croce 1896: 10).

17La stessa cosa nel saggio di Gentile, dove pure il termine ‘arte’ viene usato in una sola pagina, in sede di riformulazione della teoria, e solo per notare che “le condizioni politiche, religiose, morali, scientifiche ed artistiche sono costruzioni ulteriori dell’uomo rispetto alle condizioni economiche” (Gentile 1897).

  • 2 La sostanziale estraneità dei problemi artistici al materialismo storico verrà ribadita in modo anc (...)

18Il problema dell’arte e del suo rapporto con le condizioni sociali, insomma, non entra mai veramente nel campo di interesse di Croce e Gentile quando pure discutono di materialismo storico2. Quelli che li sollecitano sono tutt’altri problemi, questi sì a lungo dibattuti. In primo luogo, la questione del termine ‘materialismo’, che tutti e due giudicano impiegato impropriamente, facendo supporre un legame col materialismuo come dottrina metafisica che non sussiste affatto; poi la domanda, se il materialismo storico sia o no una filosofia della storia (e qui Gentile è incline a rispondere affermativamente, mentre Croce è propenso a ridurre il materialismo storico a semplice metodo di interpretazione storica); infine, il peso che sulla teoria esercita la matrice hegeliana: peso ancora una volta accentuato da Gentile e sottostimato da Croce.

3. “Torniamo a De Sanctis!”

19A riprova dello scarso o nullo interesse per il problema della relazione tra arte e società che Croce e Gentile rivelano proprio quando il tema trattato potrebbe offre loro occasione di affrontare la questione, possiamo citare due saggi scritti dall’uno e dall’altro in anni vicini a quelli in cui si occupano di marxismo, e nei quali il tema dei legami che uniscono l’arte alla vita sociale viene affrontato direttamente, ma sostanzialmente per dissolverlo e per mostrarne l’inconsistenza.

20Il primo è un breve scritto giovanile di Gentile, intitolate Arte sociale, pubblicato sulla rivista siciliana “Helios” nel 1896. La domanda alla quale si sforza di rispondere, “può la questione sociale essere argomento d’arte?” aveva certamente, all’epoca, il carattere dell’attualità, sia per la diffusione di orientamenti naturalistici e realistici nella letteratura e nelle arti visive (come il Verismo italiano di Verga e Capuana o il naturalismo di Zola), sia per l’affermarsi nella vita politica del momento dei primi movimenti socialisti (al punto che Gentile sostiene che arte sociale e arte socialistica sostanzialmente coincidano). Ma è significativo che Gentile risponda alla questione in nessun altro modo che dissolvendola, ossia negandole la legittimità. La determinazione di ‘sociale’ riferita all’arte non può che riguardare i contenuti dell’arte (un’arte, ad esempio, che presenti le condizioni di vita di determinate classi sociali, di solito quelle più disagiate). Ma, dal punto di vista di principio, non si può parlare di un contenuto artistico indipendente dalla forma artistica, e tanto meno si può discutere di contenuti che sarebbero più adatti di altri ad essere trattati artisticamente.

21Poiché l’opera d’arte è un fatto, e non un complesso di precetti e di teorie, non c’è contenuto, di cui si possa disputare prima che esso sia divenuto effettivamente contenuto, cioè prima che sia innalzato a opera d’arte (Gentile 1896: 211).

22Quella di ‘arte sociale’ è quindi una determinazione puramente contenutistica, e non ha propriamente rilevanza estetica:

non si dovrebbe più ignorare che l’estetica di un’opera non è nel contenuto, più o meno interessante, ma nella forma bella, cioè nella espressione viva ed efficace (Gentile 1896: 258).

23La scelta di un argomento sociale, o l’orientamento dell’artista verso il socialismo, non hanno alcuna rilevanza quando si tratta di esprimere un giudizio estetico sulla sua opera.

24Croce, che negli scambi epistolari con Gentile aveva subito condiviso questa posizione relativamente al carattere sociale dell’arte (Croce, Gentile, 1896-1900:11-12), arriverà alla medesima conclusione nella sua prima grande opera teorica, l’Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale del 1900-1902, dove per altro il tema specifico dell’arte sociale non è neppure toccato.

25Croce ne tratta, invece, in un breve scritto del 1904, la noterella La letteratura come ‘espressione della società’ poi raccolto nei Problemi di estetica. Leggendo questa nota, è difficile non pensare che Croce voglia concedersi un po’ di ironia e prendersi gioco degli zelanti apostoli della letteratura sociale, tutti politicamente orientati, al suo tempo, verso il socialismo. Infatti Croce esordisce notando che la tesi “la letteratura è espressione della società”, che va sulla bocca di tutti i rivoluzionari e i progressisti, si deve in realtà a due fierissimi reazionari, il visconte De Bonald e il barone De Barante. Il primo, all’inizio dell’Ottocento, affermava che “on peu regarder la littérature comme expression de la société”, metre il secondo nel Tableau de la littérature française au xvii siècle osservava: “Au lieu de disposer des moeurs et des opinions d’un peuple, le lettres en sont bien plutôt le résultat”. La formula sarebbe poi passata in M.me de Staël, nel Sismondi e sarebbe infine approdata a quello che a torto viene ritenuto il suo vero teorizzatore, Hyppolite Taine. Ma non solo sull’origine storica, anche sul significato della formula Croce esprimeva i suoi dubbi. Se con essa si vuol dire che la letteratura non è filosofia o azione, ma solo ‘espressione’ (come aveva fatto Croce nella sua Estetica), allora si dà risalto proprio al contrario di quello che avevano inteso i creatori della formula, ossia si sottolinea l’indipendenza, l’autonomia dell’arte dalla scienza e dalla moralità. Se invece si intende nel modo corrente, cioè che la struttura della società influenzi e condizioni l’arte, allora ci si avvia secondo Croce verso un vero e proprio errore, quello che culmina in Taine e nei naturalisti, “di considerare la letteratura deterministicamente, non come coscienza che la società acquisti di sé medesima, ma quasi ripercussione meccanica della vita sociale, priva d’intrinseca e peculiare virtù” (Croce 1904: 56-59).

26Ma, al di là di queste prese di posizione occasionali, estemporanee, ci si potrebbe chiedere come i teorici dell’idealismo italiano affrontino il problema del rapporto tra arte e società là dove esso appare non aggirabile, e sembra imporsi da sé stesso, ossia quando si tratta di fare storia dell’arte. A questo proposito, poco si ricava da Gentile, che non ebbe mai pratica di storiografia artistico-letteraria (mentre fu un eccellente storico della filosofia). Viceversa in Croce troviamo sia numerosissimi saggi storico-letterari, sia interi volumi dedicati alla storia della poesia (del Rinascimento, del Seicento, del Settecento e dell’Ottocento), sia una riflessione teorica esplicita sui modelli della storiografia letteraria.

  • 3 Su questo argomento vedi De Caprariis 1955.

27Quando i critici letterari influenzati dal marxismo, nel secondo dopoguerra, accusarono Croce di scarsa o nulla attenzione per i radicamenti sociali dell’arte e della letteratura, gli opposero decisamente il modello rappresentato dalla Storia della Letteratura Italiana di Francesco De Sanctis, un capolavoro insuperato di storia letteraria, apparso in due volumi nel 1870 e 1871. Chi conosce un poco l’opera di De Sanctis non fatica a comprendere le ragioni del “ritorno a De Sanctis” che divenne la bandiera di molti, negli anni’40 e ’503. La Storia di De Sanctis non è solo o tanto una storia letteraria, ma una storia, se non ancora ‘sociale’, certo civile e ‘politica’ della società italiana. Essa è tutta giocata, drammaticamente, in funzione della grandezza originaria dell’Italia di Dante, della decadenza dei secoli sedicesimo e diciassettesimo, della ‘resurrezione’ settecentescea e poi, definitivamente, risorgimentale. È, insomma, una storia che lega la produzione letteraria agli avvenimenti storici, in modo profondo, che, anche se appare teoricamente pregiudicato, è comunque narrativamente efficacissimo. Se ne poteva facilmente, quindi, fare un anti-Croce, perché il modo di fare storia letteraria di Croce è del tutto diverso (Per un inquadramento dei rapporti complessi tra De Sanctis e Croce si veda Tessitore 2012).

28Croce scriverà nel 1917 un saggio esemplare, nel quale la sua idea di Storia della letteratura e dell’arte è lucidamente argomentata. Il saggio si intitola La riforma della storia artistica e letteraria ed è ora raccolto nel volume Nuovi saggi di Estetica. Il saggio comincia dichiarando necessaria la critica e l’abbandono di un modello di storia letteraria che ha fatto il suo tempo. Non si tratta, come si potrebbe immaginare, della storia erudita o biografica o accademica, che ormai è morta e sepolta e con la quale non avrebbe senso polemizzare. Il modello di storia letteraria e artistica contro il quale vale la pena di lottare, perché è ancora ben viva, quella che Croce definisce “la storiografia sociologica, o altrimenti extraestetica, della letteratura e dell’arte” (Croce 1917: 150)

29Questa storiografia si formò tra la fine del Settecento e l’inzio del secolo seguente, e suoi modelli restano la Geschichte der alten und neuen Literatur di Friedrich Schlegel, il libro di M.me de Stäel De la littérature considerée dans ses rapports avec les institutions sociales e, appunto, la Storia della letteratura italiana di De Sanctis. Contro tale tipo di storia Croce propone un paradigma completamente diverso: quello di una storiografia individualizzante, che proceda a fornire solo saggi sui singoli autori (o, al limite, sulle singole opere), rinunciando del tutto alla pretesa di legare avvenimenti storici e strutture sociali alle opere d’arte: “la forma spontanea e legittima della storiografia letteraria ed artistica è la caratteristica del singolo poeta ed artista, e non già la storia generale ed astratta della letteratura e dell’arte”. Quest’ultima perderebbe di vista appunto l’artisticità, inseguendo al suo posto la storia e la società. “L’ideale romantico della storia generale, nazionale o universale sopravvive ormai come un ideale astratto […] i più famosi critici dell’ultimo secolo sono stati quasi tutti famosi scrittori di saggi”. In luogo delle storie generali (che saranno ancora accettabili solo per destinazione didattica) subentra una storia fatta di singole monografie, di caratterizzazioni del singolo artista. Di fatto, Croce non darà mai delle Storie letterarie, ma solo raccolte di saggi; e quando sembrerà produrre qualcosa di simile a una storia letteraria, come accade nella Storia dell’età barocca in Italia, ciò accadrà perché non sta dando, almeno nelle sue intenzioni, una storia della poesia o dell’arte, ma una storia della cultura. Allo stesso modo, Croce non dimenticherà affatto la lezione del materialisomo storico, quando scriverà opere di storiografia, e per esempio nella Storia d’Italia del 1871 al 1915 non tascurerà affatto l’elemento economico, neppure nei suoi riflessi sulla vita culturale e intellettuale, ma appunto perché quella è un’opera di storiografia in senso pieno. La storia letteraria e artistica, invece, agli occhi di Croce resta stretta nel dilemma: o tenta di mettere in rilievo gli aspetti sociali e materiali, e allora non è più storia dell’arte, oppure punta soltanto all’elemento estetico, anche a costo di perdere il carattere di storia vera e propria.

30Ma Croce – si obietterà – non è stato discepolo (sia pure indiretto) di De Sanctis, e ammiratore e dffusore della sua opera? Non è stato proprio grazie a Croce che la Storia della letteratura italiana di De Sanctis è assurta al rango di opera irrinunciabile nella formazione dell’italiano colto? (Quondam 2018) Certamente, ma questo è avvenuto perché Croce ha visto in De Sanctis non solo lo storico pronto a legare avvenimenti storico-sociali e produzioni artistiche, ma anche il critico capace di dare caratteristiche impareggiabili dei singoli artisti.

31Ecco perché Croce potè continuare a dichiararsi debitore di De Sanctis, come afferma di essere anche nello scritto autobiografico Contributo alla critica di me stesso (Croce 1915: 45-50). Ed ecco perché, invece, i fautori del metodo sociologico nello studio della letteratura poterono ricollegarsi, senza contraddizione, all’insegnamento di De Sanctis in funzione anti-crociana.

32Sempre nel Contributo alla critica di me stesso Croce riconosce il debito contratto con Hegel, e anche questo riconoscimento può sembrare in contrasto con l’antipatia nutrita da Croce per le storie sociali dell’arte. Non c’è dubbio, infatti, che le Lezioni di Estetica di Hegel siano il modello al quale si sono ispirati, tra l’altro, proprio gli estensori novecenteschi di storie dell’arte attente ai legami con la storia e la società, da Arnold Hauser a Giulio Carlo Argan. E basti pensare alle pagine in cui Hegel mette in rapporto l’epica omerica con lo “allgemeine Weltzustand” dell’epoca eroica, o la pittura olandese con l’industriosità della borghesia dei Paesi Bassi, per capire come si sia potuto costituire tale legame. Senonché, l’influsso di Hegel su Croce non riguarda, o riguarda solo molto marginalmente, l’estetica. Di fatto, l’estetica di Croce è già pienamente formata ed esposta (nel volume del 1902) prima che Croce approfondisca lo studio di Hegel, negli anni 1904-1906, con la traduzione della Enziklopädie der philosophischen Wissenschaften e il volume Ciò che è vivo e ciò che è morto nella filosofia di Hegel. All’estetica di Hegel, del resto, Croce non ha mai risparimiato le sue critche, che sono, partcolarmente nella Parte Storica dell’Estetica, veramente aspre. L’estetica di Croce è nata su basi herbartiane e kantiane, non hegeliane, e tale è sostanzialmente rimasta (Cfr. D’Angelo 1982).

4. Coda

33Anche Antonio Gramsci ebbe a parlare di un “ritorno a De Sanctis”. Il ‘ritorno’ a cui si riferisce il pensatore sardo non può essere ovviamente quello propugnato dalla critica marxista del secondo dopoguerra, ma quello agitato strumentalmente da Gentile in funzione anti-crociana negli anni Trenta, quando ormai il distacco tra i due era incolmabile. È interssante, però, notare che Gramsci lega subito il nome di De Sanctis ad una critica attenta al significato sociale e politico della letteratura:

  • 4 ?????

Il De Sanctis, nell’ultima fase della sua vita, rivolse la sua attenzione al romanzo naturalista o verista, e questa forma di romanzo nell’Europa Occidentale fu l’espressione […] di un populismo di alcuni gruppi intellettuali sullo scorcio del secolo scorso, dopo il tramonto della democrazia quarantottesca e l’avvento di grandi masse operaie per lo sviluppo della grande industria urbana” (Gramsci 1975: 19)4.

34In tutta la critica letteraria di Gramsci la preoccupazione per la ‘popolarità’ della letteratura è centrale, a partire dalla nozione di “nazional-popolare” e dalla constatazione della mancanza, in Italia, di una cultura condivisible da più larghi strati della società rispetto alla ristretta cerchia degli intellettuali. Ma in lui si comincia a intravedere, oltre a una applicazione non meccanica del nesso tra Struttura e Sovrastruttura, una sensibilità per i fenomeni moderni della cultura di massa, e una comprensione della funzione della letteratura e dell’arte come forze capaci non solo di esprimere dei contenuti sociali ma anche di organizzare e plasmare gli atteggiamenti di una società. Non per nulla la critica letteraria e la teoria della cultura di Gramsci, rapidamente marginalizzate in Italia con l’avvento dei nuovi metodi critici a partire dagli anni Sessanta, troveranno una applicazione inaspettata nei paesi anglosassoni all’interno dei Cultural Studies, come è noto fortemente interessati ai contenuti e agli effetti sociali delle arti. In Gramsci è tutt’altro che trascurabile l’influsso del pensiero di Croce; ma è evidente che con lui siamo propriamente fuori dalla tradizione Neo-idealistica e che queste applicazioni e riattualizzazioni del suo pensiero sono – in tutti i sensi – un’altra storia da quella che abbamo cercato di ricostruire.

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Bibliografia

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Note

1 Più determinatamente nella Prolusione del novembre 1896 su L’università e la libertà della scienza (Roma, Manifestolibri, 1996: 21) Labriola scrive:”ad intendere le letterature occorre ora considerarle come riflessi ideologici di determinate condizioni e situazioni sociali”.

2 La sostanziale estraneità dei problemi artistici al materialismo storico verrà ribadita in modo ancora più netto nella rievocazione che Croce scriverà nel 1937, Come nacque e come morì il marxismo teorico in Italia 1895-1900: “Nel 1930, nel congresso filosofico di Oxford, mi accadde di udire il bolscevico ed ex ministro dell’istruzione sovietica Lunaciarscki, che presentò una relazione assai sprezzante sull’estetica borghese […] e celebrante in cambio quella marxistica e del proletariato; e io, levandomi a parlare dopo il suo discorso [gli feci notare] che “estetica marxistica” è una contraddizione in termini, ammettendo il marxismo un’economia e non mai un’estetica” (Croce 1937: 275-76).

3 Su questo argomento vedi De Caprariis 1955.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica

Paolo D’Angelo, «Arte e società nell’estetica dell’idealismo italiano»Rivista di estetica, 81 | 2022, 93-105.

Notizia bibliografica digitale

Paolo D’Angelo, «Arte e società nell’estetica dell’idealismo italiano»Rivista di estetica [Online], 81 | 2022, online dal 01 février 2024, consultato il 28 avril 2025. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/estetica/12384; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/estetica.12384

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