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I. Articoli
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Il Concilio Vaticano II nel contesto internazionale della Guerra Fredda

Romina De Carli

Abstract

Il concilio Vaticano II rappresentò per la Santa Sede il momento per rivedere la propria presenza internazionale. La coscienza di aver abbandonato l’eurocentrismo, in favore di una dimensione realmente universale, la portò a considerare l’importanza dell’unità tra i cristiani e il diritto civile alla libertà religiosa come gli strumenti per proporsi come un’istituzione spirituale in grado di affiancare le Nazioni Unite.

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Credits: by Mariano Mantel on Flickr (CC BY-NC 2.0)

1L’8 dicembre 1965, nella sessione di chiusura del Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica spezzava una lancia in favore della democrazia approvando la dichiarazione Dignitatis humanæ sul diritto civile alla libertà religiosa. Durante le quattro sessioni conciliari, la riflessione sul pluralismo religioso di cui Giovanni XXIII aveva incaricato al Segretariato per l’Unità dei Cristiani dovette superare vari ostacoli e essere difesa da duri attacchi. Tre scuole teologiche si erano affrontate sul terreno di una verità religiosa di cui la Chiesa cattolica sosteneva essere l’esclusiva depositaria: quella curiale (impermeabile e resistente a qualsiasi cambio che alterasse la superiorità della Chiesa cattolica sulle altre Chiese cristiane, e la superiorità della religione cristiana di confessione cattolica sulle altre religioni monoteiste), quella francofona (la più progressista perché provò a giustificare biblicamente – sub luce revelationis – il concetto di libertà religiosa che la Chiesa era disposta ad accettare) e quella statunitense (più pragmatica e, proprio per questo, capace di proporre quei distinguo che erano necessari a far convergere l’aula conciliare verso l’approvazione di un documento che poteva avere importanti ripercussioni politiche, tanto a livello nazionale quanto a livello internazionale). In un mondo in cui il sistema democratico si stava consolidando, il diritto civile alla libertà religiosa finì per convertirsi nello spiraglio attraverso il quale la democrazia poteva aprire una breccia nel muro difensivo dei regimi totalitari, di destra o di sinistra, ancora esistenti.

2Nonostante la sua breve durata – o, chissà, proprio per questo –, il pontificato di Giovanni XXIII sortì l’effetto di una ventata d’aria fresca all’interno della Santa Sede, poiché contribuì alla transizione vaticana da un atteggiamento difensivo a un altro propositivo. Durante il regno di Pio XII, la Chiesa si era ulteriormente chiusa in se stessa: per proteggere l’universo cattolico dagli effetti disgregativi della modernità e del comunismo, si era barricata dietro l’autorità e l’autoritarismo dei pontefici. Giovanni XXIII, al contrario, colse l’utilità che il ralliement con il mondo moderno poteva avere, non solo per la diffusione del messaggio cristiano, ma anche per il riconoscimento di un maggior peso internazionale della Santa Sede. Gli anni che aveva trascorso ai confini dell’Europa cristiana come rappresentante diplomatico del Vaticano avevano lasciato un segno profondo nella sua percezione del mondo e dell’universalismo cattolico. Sembravano avergli fatto capire – o quanto meno intuire – che l’anticomunismo non poteva più essere sostenuto dalla Chiesa cattolica con la stessa intensità e foga con cui lo aveva fatto negli anni tra le due guerre mondiali. La Guerra fredda e il consolidarsi di regimi democratici nell’Europa occidentale avevano contribuito a ridurre considerevolmente non solo la quantità delle relazioni diplomatiche intrattenute dalla Santa Sede, ma la loro stessa qualità.

  • 1 MELLONI, Alberto, L’altra Roma. Politica e S. Sede durante il Concilio Vaticano II (1959-1965), Bol (...)

3Tanto durante il pontificato di Pio XI, quanto durante quello di Pio XII, all’interno della Curia romana erano circolate voci circa la possibilità di convocare un concilio, ma questo proposito non si era mai convertito in una volontà determinata a celebrarlo realmente. Per questo, il progetto conciliare che Giovanni XXIII espose il 25 gennaio 1959 – quando non erano passati ancora tre mesi dalla sua elezione – spiazzò i presenti, soprattutto quelli che avevano pensato al cardinal Roncalli come al candidato perfetto per la normalizzazione della Chiesa dopo la lunga e complessa esperienza di governo pacelliana1. Fin dalla fase preparatoria di quello che passerà alla storia come Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII aveva posto l’accento sull’importanza della libertà religiosa e dell’ecumenismo, considerando questi due temi come le porte che la Chiesa doveva aprire per poter espandere il messaggio cristiano nel mondo moderno. Il modello di cristianità sostenuto da Pio XII e dal cardinal Ottaviani si stava dimostrando non più all’altezza delle circostanze, nemmeno nella cattolica Spagna di Franco. Allo stesso modo, tanto la rigida superiorità che la Santa Sede aveva mantenuto nei confronti delle altre confessioni cristiane, quanto l’intransigenza che aveva dimostrato nei confronti delle altre due grandi religioni monoteiste con le quali la cultura occidentale si era confrontata (l’Islam e il Giudaismo), stavano limitando l’azione internazionale che la Santa Sede avrebbe potuto svolgere in un contesto sempre più globale e pluralista. Il fatto che l’azione diplomatica della Santa Sede fosse comunque portatrice di un messaggio religioso non poteva lasciare indifferente i Paesi dell’orbita sovietica. E se il corpo diplomatico dei Paesi occidentali non sembrò cogliere subito la portata dell’annuncio di Giovanni XXIII, il PCUS non poté non percepire la minaccia antisovietica che poteva nascondersi dietro una collaborazione ecumenica tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica.

  • 2 ALBERIGO, Giuseppe (org.), Historia del Concilio Vaticano II. La formación de la conciencia concili (...)
  • 3 MELLONI, Alberto, op. cit., p. 136.

4Gli anni dell’annuncio, preparazione e celebrazione del Concilio Vaticano II furono caratterizzati da una crescente tensione nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, che raggiunse il punto più alto nell’autunno del 1962. Questo clima di tensione e, soprattutto, il grave stato di salute del Pontefice potevano far presagire il tentativo del settore più intransigente della Curia Romana di insabbiare il progetto di un rinnovamento della Chiesa cattolica; la trasmissione in diretta televisiva dell’apertura della prima sessione – che non solo aveva reso l’idea dell’universalità della Chiesa cattolica ma aveva creato grande impressione nell’opinione pubblica mondiale2 – e la cruciale importanza che ebbe l’intervento mediatore di Giovanni XXIII nella crisi dei missili, garantirono senz’ombra di dubbio la continuità del progetto conciliare anche sotto il pontificato di Paolo VI. La minaccia di una guerra nucleare aveva portata la Santa Sede a relativizzare il pericolo comunista e a «pensare Est e Ovest in modo unitario»3, cioè ugualmente responsabili della stabilità o instabilità dell’ordine internazionale. Un timido voto di fiducia che si era immediatamente tradotto nell’avvio tanto di negoziati concordatari con i Paesi cattolici dell’orbita sovietica quanto in un progressivo avvicinamento tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse.

5L’enciclica Pacem in terris, pubblicata l’11 aprile 1963, rappresentò il testamento di Giovanni XXIII. Pochi mesi prima di morire, il Papa tracciava le linee guida che avrebbero dovuto fare della Chiesa cattolica il perno della pace universale. Un progetto che non solo ruotava attorno alla necessità di creare un clima di reciproca fiducia tra gli Stati e le Nazioni ma puntava pure alla necessità di individuare nella Chiesa cattolica quell’autorità spirituale, riconosciuta internazionalmente, che era la unica a essere realmente capace di occuparsi del bene comune universale perché imparziale ed estranea a qualsiasi particolarismo politico4. Un’auto-percezione che lo portava a vedere nell’Organizzazione delle Nazioni Unite l’omologo temporale della Chiesa cattolica o – come avrebbe dichiarato Paolo VI due anni e mezzo più tardi, in un discorso pronunciato nel Palazzo di vetro di New York – la meta di quel lungo e faticoso pellegrinaggio che la stessa Chiesa cattolica stava percorrendo da secoli con l’obiettivo di portare il Vangelo a tutte le genti. Ragione per cui invitava i rappresentanti dei Paesi membri a fondare l’edificio della pace mondiale in quella «coscienza morale dell’uomo»5 che era patrimonio comune dell’umanità e riflesso della fede in Dio.

  • 6 MELLONI, Alberto, op. cit., pp. 163, 169-176.
  • 7 MELLONI, Alberto, op. cit., p. 214.
  • 8 ALBERIGO, Giuseppe (org.), Historia del Concilio Vaticano II. El Concilio Maduro. El segundo períod (...)

6La prima sessione del Concilio Vaticano II aveva scoperto non solo la dimensione internazionale della Chiesa cattolica, ma aveva pure fatto intravvedere le sue possibili ripercussioni politiche6. Si trattava di contenere i rischi interni di un malinteso circa la portata dell’apertura cattolica verso il comunismo. La possibilità di collaborare puntualmente con partiti e governi comunisti – che Giovanni XXIII aveva segnalato nella Pacem in terris – non metteva affatto in dubbio la validità della condanna cattolica dell’ideologia sulla quale si sosteneva lo schieramento sovietico: quella collaborazione doveva comunque realizzarsi dentro i canoni del diritto naturale e della dottrina sociale della Chiesa, così come nell’obbedienza alle disposizioni emananti dall’autorità ecclesiastica. Precisamente per questo è possibile sostenere che la seconda sessione segnò il passo dal concilio di Giovanni XXIII a quello di Paolo VI. Per questo, non deve stupire che il tema ecclesiologico – tanto nella sua dimensione intra ecclesiale quanto in quella extra ecclesiale – divenne il nucleo della preoccupazione conciliare del nuovo Pontefice7. Tanto che, già nell’allocuzione inaugurale della seconda sessione, Paolo VI manifestava la sua volontà di arrivare a quell’ampio compromesso necessario all’aggiornamento politico e dottrinale della Chiesa che definirà nei dettagli nell’enciclica Ecclesiam suam dell’agosto 1964. Riallacciandosi al discorso che Giovanni XXIII aveva pronunciato alla chiusura della prima sessione, Paolo VI sottolineava che l’allineamento della Chiesa con il mondo moderno avrebbe seguito obbligatoriamente la tradizione dottrinale e il principio cristologico. Il Pontefice faceva riferimento – in modo puntuale e preciso – anche all’ecumenismo, mettendo l’accento sul fatto che la Chiesa cattolica doveva puntare all’unità cristiana, ma nel rispetto della diversità8.

  • 9 Ibidem, pp. 229-230, 253-254.

7Paolo VI era cosciente che la Chiesa cattolica doveva appropriarsi dell’iniziativa ecumenica che era sorta in seno alle Chiese protestanti e Chiese ortodosse. Per questo si era preoccupato di informare il Patriarca di Costantinopoli della sua elezione a pontefice della Chiesa cattolica. I frutti di questa decisione non si erano fatti aspettare a lungo: in settembre del 1963, la Seconda Conferenza Interortodossa di Rodi manifestava la sua volontà di intraprendere un dialogo cattolico-ortodosso9. Purtroppo, differenti fattori frenarono bruscamente la possibilità di questa storica conciliazione. Senza dubbio, il più importante era fu l’esame dello schema De Ecclesia.

  • 10 GONZÁLEZ MONTES, Adolfo (ed.), Las Iglesias orientales, Madrid, BAC, 2000, pp. 61-62.
  • 11 Si veda Unitatis redintegratio, all’URL: < http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_c (...)
  • 12 La principale resistenza a un dialogo con la Chiesa cattolica proveniva dalla Chiesa greco-ortodoss (...)
  • 13 PAOLO VI, Allocutio ad Exc.mum D. Athenagoras, Patriarcha Œcumenicum Constantinopolitanum, all’URL: (...)

8Non è secondario ricordare che il dibattito su questo schema fu particolarmente complesso non solo durante la sessione dell’autunno 1963, ma anche durante la seguente intersessione. Il tema della collegialità episcopale e del grado di autorità del Pontefice, era stato uno dei punti più delicati e controversi, tanto che Paolo VI era dovuto intervenire in più di un’occasione. Si trattava di un punto la cui eco si sarebbe fatto sentire chiaramente nel dibattito attorno all’ecumenismo, dal momento che una maggiore autonomia dottrinale dei vescovi in questa materia poteva rompere l’unità interna della Chiesa. Riconoscendo la superiorità del Pontefice sui vescovi, l’enciclica Ecclesiam suam – che era stata pubblicata per dirigere verso la meta il dibattito sul De Ecclesia durante la terza sessione – chiudeva definitivamente le porte a un dialogo paritario tra le differenti confessioni cristiane. Infatti, nonostante Paolo VI insistesse sulla disponibilità della Chiesa cattolica ad abbandonare l’antico metodo della polemica10, ribadiva come l’unità tra i cristiani non dovesse intaccare in alcun modo l’integrità della verità di fede di cui la Chiesa cattolica era depositaria. La riaffermazione del primato dottrinale e giuridico del Pontefice romano e, soprattutto, l’approvazione dei decreti Unitatis redintegratio e Orientalium Ecclesiarum frustrarono il progetto di un dialogo paritetico di carattere teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. Se il primo decreto riconfermava la superiorità della Chiesa cattolica e del Pontefice romano nella direzione del movimento ecumenico, il secondo imponeva la sottomissione dottrinale a Roma della Chiese cattoliche orientali11. Non deve quindi stupire che, nel corso della loro Terza Conferenza di Rodi (1-15 novembre 1964), le Chiese ortodosse decidessero posporre sine die il dialogo con la Chiesa cattolica12. Alla fine del 1964, l’unico spiraglio che rimaneva aperto per l’azione ecumenica della Santa Sede era il rapporto che Paolo VI poteva intrattenere con il Patriarca ortodosso di Costantinopoli, che aveva incontrato di persona durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa all’inizio di quello stesso anno13.

  • 14 ALBERIGO, Giuseppe (org.), op. cit., pp. 229-270.
  • 15 Ibidem, pp. 437-440.

9Addentrandoci nel dibattito conciliare sul De œcumenismo, è necessario ricordare che nella sessione autunnale del 1963 lo schema avrebbe dovuto constare di cinque capitoli: tre dedicati all’ecumenismo e altri due vertenti rispettivamente sulle relazioni della Chiesa cattolica con il Giudaismo e sul diritto civile alla libertà religiosa. L’opposizione della Commissione Teologica al fatto che questo secondo tema fosse stato assegnato al Segretariato per l’Unità dei Cristiani, da una parte, e la preoccupazione della Segreteria di Stato circa le reazioni che avrebbe potuto provocare nel mondo arabo il documento sul Giudaismo, dall’altra, avevano fatto sì che entrambi i capitoli fossero scorporati dal testo principale sull’ecumenismo e sottoposti a una sostanziale modificazione durante la prima intersessione del concilio. L’idea di presentare questa versione ridotta dello schema sull’ecumenismo alla seconda sessione conciliare rispondeva molto probabilmente alle intenzioni del settore più intransigente della Curia Romana di impedire – o, quando meno, contenere – la revisione dell’antisemitismo cattolico e della dottrina sulla libertà religiosa14. Si trattava comunque di una vittoria di Pirro para il Cœtus internationalis patrum, dal momento che l’aspettativa dell’opinione pubblica era tale che la Chiesa non avrebbe potuto non pronunciarsi su quelle delicate materie15.

  • 16 Il primo capitolo era passato con 2068 placet e 47 non placet; il secondo con 2021 contro 85; e il (...)
  • 17 ALBERIGO, Giuseppe (org.), Historia del Concilio Vaticano II. La Iglesia como comunión, pp. 374-378 (...)
  • 18 Dispaccio 270/EU (Atene, 25 novembre 1964), Archives Diplomatiques Française-Nântes, 576/PO1-1428; (...)

10I primi tre capitoli dello schema De œcumenismo, si convertirono così nel nucleo del decreto Unitatis redintegratio che l’aula approvò agilmente già alla fine della seconda sessione del Concilio Vaticano II. Nonostante i risultati positivi della votazione16, desta certa curiosità il fatto che sia stato il proprio Pontefice a opporsi alla sua approvazione. A metà novembre del 1963, infatti, questi suggeriva al Segretario del Concilio l’opportunità di promulgare il suddetto decreto nella successiva sessione. È molto probabile che Paolo VI agisse in questo modo mosso dalle decisioni che la Terza Conferenza Panortodossa di Rodi aveva preso a proposito del dialogo interreligioso con la Chiesa cattolica17. A questo terzo incontro avevano partecipato quattordici delegazioni (tra le quali conviene sottolineare quella dei Patriarcati di Costantinopoli, Mosca, Gerusalemme, Grecia e Cipro) oltre a cinque preti cattolici che, in qualità d’inviati stampa, erano stati invitati personalmente dal Patriarcato ecumenico. Il cambio di orientazione della Chiesa greco-ortodossa a proposito del dialogo cattolico-ortodosso aveva alimentato i migliori auspici, dal momento che quella poteva giocare una funzione essenziale nella conciliazione con il Medio Oriente e con i Paesi al di là della cortina di ferro. Purtroppo, l’atteggiamento della delegazione moscovita non solo aveva posto la chiusura dei lavori conciliari come condizione per l’avvio di un eventuale dialogo con la Chiesa cattolica, ma – facendo così – aveva pure spostato questo problema dalla sfera eminentemente religiosa a quella strettamente politica. Il duro attacco sferrato contemporaneamente allo schema sulla libertà religiosa e la cattiva immagine che avrebbe circondato la Chiesa cattolica nel caso in cui non avesse preso posizione su questioni che avevano una chiara ripercussione internazionale, erano riusciti a far cedere il Papa. In un’intervista questi si era dimostrato molto preoccupato per la reazione della Terza Conferenza Panortodossa di Rodi. Al contrario, era dell’opinione che il dialogo già avviato tra la Chiesa anglicana e quella ortodossa potesse spianare il cammino al dialogo di questa con la Chiesa cattolica18.

  • 19 ALBERIGO, Giuseppe (org.), Historia del Concilio Vaticano II. La Iglesia como comunión, pp. 134-149
  • 20 Ibidem, p. 151.
  • 21 Ibidem, pp. 152-154.
  • 22 Ibidem, pp. 157-158.

11Diversa era stata la sorte degli schemi sul Giudaismo e il diritto civile alla libertà religiosa. Il De iudæis, che il cardinale Bea aveva presentato all’aula il 25 settembre 1964, durante la terza sessione del Concilio, era molto differente dal testo che era stato proposto l’anno precedente. La memoria della persecuzione antisemita nella Germania nazionalsocialista e la questione arabo-israeliana avevano lasciato la loro impronta nella rielaborazione dello schema. La prima avrebbe potuto risvegliare le polemiche – che Paolo VI voleva a tutti i costi evitare – riguardo ai silenzi di Pio XII e le responsabilità cattolica nella Shoah; la seconda metteva in guardia i redattori dello schema circa la possibile reazione araba nei confronti delle Chiese cattoliche orientali sebbene, allo stesso tempo, fornisse l’argomento per creare un clima di consenso maggioritario nell’aula19. Nonostante il cardinale Bea avesse fatto presente che la finalità dello schema era quella di rinnovare la Chiesa attraverso l’imitazione di Cristo e degli apostoli e non quella di difendere un punto di vista strettamente politico20, il settore intransigente del Concilio si era preparato ad attaccarlo facendo leva precisamente sugli argomenti propri dell’antisemitismo cattolico di fine Ottocento e inizi Novecento21. Un attacco che il cardinale Lercaro era riuscito a frenare nell’aula sostenendo che quella dichiarazione rispondeva alle esigenze di una Chiesa matura22.

  • 23 SCATENA, Silvia, La fatica della libertà. L’elaborazione della dichiarazione “Dignitiatis humanæ” s (...)
  • 24 Ibidem, p. 90.
  • 25 Pietro Pavan era stato chiamato a partecipare, in qualità di perito, alle riunioni che il Segretari (...)
  • 26 Ibidem, p. 158.

12Per quanto riguarda il De libertate, fondamentale era stata, nel 1963, l’incorporazione nel Segretariato per l’unità dei Cristiani di John Courtney Murray. L’attentato a John Fitzgerald Kennedy, il 22 novembre 1963, riuscì a modificare notevolmente l’atteggiamento dei vescovi statunitensi nei confronti dello schema sulla libertà religiosa. Memori dei timori che la campagna elettorale di tre anni prima aveva risvegliato nell’opinione pubblica nordamericana circa la fedeltà dei cattolici statunitensi al primo emendamento della Costituzione, l’episcopato statunitense aveva fatto il possibile perché il De libertate venisse sottoposto a votazione già nel corso della seconda sessione conciliare23. Cosciente che era comunque imprescindibile la necessità di chiarire il concetto di libertà religiosa che si voleva sostenere con quel documento, alla fine di quella seconda sessione i vescovi statunitensi avevano optato per Murray, nominandolo loro esperto nella materia24. Il fatto che il suo punto di vista coincidesse con quello di Pietro Pavan – entrambi erano dell’idea che si dovesse limitare la libertà religiosa alla sfera delle libertà civili – fece sì che Murray prendesse parte finalmente ai lavori di revisione dello schema25. Per quanto gravi problemi di salute ritardassero la sua collaborazione con il Segretariato per l’Unità dei Cristiani, il suo contributo divenne subito chiave per l’approvazione della futura dichiarazione: considerando la giustificazione teologica della libertà religiosa come ideale non avrebbe favorito la creazione di un consenso nell’aula; spinse quindi la riflessione verso la ricerca delle ragioni teologiche che potessero sostenere la validità del concetto costituzionale di diritto alla libertà religiosa. Concetto che – dal suo punto di vista – era funzionale all’economia della salvezza nella misura in cui avesse agito da anello di congiunzione tra la libertà interna e quella esterna26.

  • 27 ALBERIGO, Giuseppe (org.), op. cit., pp. 107-134; SCATENA, Silvia, op. cit., pp. 189-199; MELLONI, (...)

13Alla fine di aprile del 1964, la versione del De libertate – destinata a essere presentata all’aula, assieme al De iudæis, durante la terza sessione del Concilio – venne inviata ai padri conciliari. La prudenza era stata la nota dominante del discorso, pronunciato il 25 settembre del 1964, per iniziare il dibattito dello schema in aula: speciale enfasi era stata posta sul fatto che il documento poteva e doveva essere ancora perfezionato. Ciò che si voleva mettere in evidenza era, da una parte che la questione della libertà religiosa non era nuova e, dall’altra, che era necessario avvicinare le posizioni adottate dalla Chiesa nel passato con quelle che avrebbe dovuto prendere nel futuro. Nei tre giorni successivi, l’opposizione aveva fatto sentire in modo più che sufficiente il suo punto di vista sulla materia, reiterando il concetto della superiorità della verità cattolica sulle altre verità religiose e sottolineando i pericoli che avrebbe comportato abbandonare il magistero cattolico. A questo proposito, l’episcopato spagnolo si era schierato unanimemente contro il De libertate. L’intervento di Monsignor Carlo Colombo – il teologo di fiducia di Paolo VI – metteva il punto finale al dibattito: avallando il lavoro del Segretariato per l’Unità dei Cristiani, non solo consigliava una revisione profonda dello schema, ma ne segnalava pure le coordinate. Il gesuita statunitense si mise allora all’opera: oltre a seguire le indicazioni sorte durante il dibattito in aula, aggiunse ex novo un’introduzione sulle ragioni storiche che avevano portato la Chiesa cattolica a pronunciarsi sulla libertà religiosa. Per essere sicuro che quella revisione rispondesse ai desiderata del Pontefice, il Segretariato per l’Unità dei Cristiani consegnò una copia del testo corretto a monsignor Colombo pensando che, così facendo, sarebbe stato possibile studiare lo schema nella prossima riunione del 9 ottobre 196427.

  • 28 ALBERIGO, Giuseppe (org.), Historia del Concilio Vaticano II. La Iglesia como comunión, pp. 171-173
  • 29 Ibidem, pp. 161-185.
  • 30 Ibidem, pp. 365-374; si veda anche SCATENA, Silvia, ob. cit., pp. 290-324 e PAOLO VI, Conclusione d (...)

14Nella settimana a cavallo tra settembre e ottobre, l’opposizione al rinnovamento conciliare – che considerava sufficiente menzionare le due questioni nello schema sulla Chiesa cattolica – fece l’impossibile per impedire la votazione del De libertate e del De iudæis28. Proprio sottolineando il fatto che – secondo la volontà del Papa – il tema della libertà religiosa e dei rapporti della Chiesa cattolica con il Giudaismo erano di stretta competenza della Commissione teologica il cardinal Felici si era rivolto per iscritto al cardinale Bea, il 9 ottobre. Il porporato tedesco non si era fatto cogliere alla sprovvista e, nonostante avesse accettato di incorporare il De iudæis nello schema sulla Chiesa, si era dimostrato irremovibile sull’autonomia del De libertate e la competenza del Segretariato in materia di libertà religiosa. A metà ottobre la crisi sembrava essere rientrata: tanto il Segretariato per l’Unità dei Cristiani quanto i testi che erano stati il bersaglio dell’opposizione conservatrice ne uscirono indenni29. Ma – nonostante l’intervento autoritario di Paolo VI affinché il documento sulla libertà religiosa venisse accettato dall’aula già nella terza sessione – la prima votazione del De libertate slittò ancora una volta alla sessione successiva. Quarta sessione che, come annunciava il Pontefice nel discorso del 21 novembre 1964, sarebbe stata pure l’ultima30.

  • 31 Il 15 settembre 1964, la Santa Sede firmava un documento d’intesa con il governo dell’Ungheria attr (...)

15Le dimissioni di Chruščёv – il 14 ottobre 1964 – dovettero generare una certa preoccupazione nell’animo del Papa per le ripercussioni negative che avrebbe potuto creare tanto sui negoziati concordatari che monsignor Casaroli stava pazientemente conducendo con i Paesi cattolici dell’orbita sovietica31, quanto sul clima di distensione tra USA e URSS che si era creato dopo la crisi dei missili di Cuba. Poteva insomma compromettere l’influenza, discreta però incisiva, che la Chiesa cattolica aveva iniziato a esercitare in ambito internazionale durante il pontificato di Giovanni XXIII. Pronunciarsi sulla libertà religiosa o sull’ecumenismo divenne allora una priorità politica, poiché attraverso quei due documenti la Chiesa cattolica non solo poteva difendere i diritti delle comunità cattoliche nei Paesi dell’orbita sovietica, ma attirare a sé la Chiesa ortodossa e, soprattutto, svincolare quella russa dalla sottomissione al governo sovietico. Paolo VI non sembrava darsi troppo pensiero per le reazioni che quegli stessi documenti avrebbero potuto suscitare nell’episcopato spagnolo, che si era dimostrato particolarmente ottuso nella sua difesa della confessionalità dello Stato: l’età avanzata del dittatore spagnolo era un fattore che giocava a vantaggio della Santa Sede, abituata alle corse di resistenza. Non meno importante, per ultimo, era la necessità per la Chiesa cattolica di pronunciarsi in merito alle religione non cristiane in modo sufficientemente obiettivo per favorire la libertà d’accesso ai Luoghi Santi proprio quando la tensione arabo-israeliana stava arrivando al suo climax.

  • 32 ALBERIGO, Giuseppe (org.), Historia del Concilio Vaticano II. Un Concilio de Transición. El cuarto (...)

16Ma se la Nostra ætate venne approvata già a metà ottobre del 1965 per essere pubblicata definitivamente il 28 di quello stesso mese, più arduo fu il cammino che dovette percorrere il De libertate. Quando mancava poco più di un mese alla fine del Concilio Vaticano II, il documento sulla libertà religiosa non aveva ancora passato il varco della votazione preliminare, necessaria per convertirla nel testo base di una futura dichiarazione conciliare. Anche se nessuno dubitava più della predisposizione favorevole di Paolo VI, il Pontefice dovette intervenire con cautela e soprattutto con abilità seguendo la corrente – impetuosa, in certi momenti – del dibattito conciliare. La decisione che prese affinché venisse ribadita la superiorità della rivelazione cristiana cattolica rispetto a quella delle altre religioni permise al De libertate di giungere in prossimità della dirittura d’arrivo nella settimana a cavallo tra novembre e dicembre del 1965. Per raggiungere questa meta, determinante era stato il viaggio che il Pontefice realizzato il 5 ottobre a New York per assistere alla celebrazione dell’anniversario della fondazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Il ruolo che la Santa Sede voleva giocare in ambito internazionale come alter ego dell’ONU non sarebbe stato credibile se il Concilio Vaticano II non si fosse pronunciato favorevolmente sul diritto civile alla libertà religiosa. Intervenne quindi nella redazione del testo con il quale, il 21 settembre, il De libertate doveva essere presentato all’aula per la sua prima votazione. Il risultato – 2.222 voti a favore contro 224 contrari – metteva finalmente a salvo il questionato testo. Ma se è vero che questo poteva rappresentare uno dei più grandi passi in avanti compiuti dalla Santa Sede, lo è altrettanto che la sua revisione finale ne limitò la portata32.

17Va comunque detto che l’invito a partecipare alla conferenza internazionale sulla pace e la collaborazione in Europa – che le era stato rivolto dai Paesi del Patto di Varsavia alla fine degli anni Sessanta – fu il segnale evidente del ruolo che avrebbe giocato la Santa Sede nel processo di disgregazione interna dell’Unione Sovietica. È impossibile sapere se, riconfermando la superiorità della Chiesa e della verità cattolica, il concilio di Paolo VI distorse quello pensato e avviato da Giovanni XXIII. Quello che si può dire con maggior facilità è che la soluzione di compromesso seguita da Paolo VI permise al settore conservatore di riprendere in mano le redini all’occorrenza, quando la situazione internazionale lo avrebbe richiesto. Questa occasione si presentò nel 1979 quando il profilarsi di una grave crisi interna all’Unione Sovietica consigliò l’elezione al soglio pontificio di un cardinale Polacco. Nei quattordici anni intercorsi tra la fine del Concilio e la morte del cardinale Montini, il Mediterraneo si era convertito in uno degli scenari caldi per la fine della Guerra fredda: accanto alla fine delle dittature militari in Portogallo, Grecia e Spagna, lo scontro arabo-israeliano poneva la Santa Sede nel mirino del terrorismo internazionale.

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Note

1 MELLONI, Alberto, L’altra Roma. Politica e S. Sede durante il Concilio Vaticano II (1959-1965), Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 26-30; ALBERIGO, Giuseppe (org.), Historia del Concilio Vaticano II. El catolicismo hacia una nueva era. El anuncio y la preparación, Salamanca, Ediciones Sígueme, 1999, pp. 17-29.

2 ALBERIGO, Giuseppe (org.), Historia del Concilio Vaticano II. La formación de la conciencia conciliar. El primer período y la primera intercesión, Salamanca, Sígueme, 2002, p. 27.

3 MELLONI, Alberto, op. cit., p. 136.

4 GIOVANNI XXIII, Pacem in terris, URL: < http://w2.vatican.va/content/john-xxiii/it/encyclicals/documents/hf_j-xxiii_enc_11041963_pacem.html > [consultato il 14 aprile 2016].

5 PAOLO VI, Discorso del Santo Padre alle Nazioni Unite, URL: < http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1965/documents/hf_p-vi_spe_19651004_united-nations.html > [consultato il 14 aprile 2016].

6 MELLONI, Alberto, op. cit., pp. 163, 169-176.

7 MELLONI, Alberto, op. cit., p. 214.

8 ALBERIGO, Giuseppe (org.), Historia del Concilio Vaticano II. El Concilio Maduro. El segundo período y la segunda intercesión, Salamanca, Sígueme, 2006, pp. 47-50.

9 Ibidem, pp. 229-230, 253-254.

10 GONZÁLEZ MONTES, Adolfo (ed.), Las Iglesias orientales, Madrid, BAC, 2000, pp. 61-62.

11 Si veda Unitatis redintegratio, all’URL: < http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decree_19641121_unitatis-redintegratio_it.html > [consultato il 15 aprile 2016] e Orientalium Ecclesiarum, in URL: < http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decree_19641121_orientalium-ecclesiarum_it.html > [consultato il 15 aprile 2016].

12 La principale resistenza a un dialogo con la Chiesa cattolica proveniva dalla Chiesa greco-ortodossa.

13 PAOLO VI, Allocutio ad Exc.mum D. Athenagoras, Patriarcha Œcumenicum Constantinopolitanum, all’URL: < http://w2.vatican.va/content/paul-vi/la/speeches/1964/documents/hf_p-vi_spe_19640105_athenagoras.html > [consultato il 15 aprile 2016]. Come sottolinea Alberto Melloni, il viaggio di Paolo VI in Terra Santa doveva avere inizialmente uno scopo meramente religioso. Nonostante ciò a un mese dalla partenza quel pellegrinaggio assunse anche un carattere lato sensu politico non solo per aver accettato lo storico incontro del Papa con il Patriarca di Costantinopoli, ma anche per il tono degli incontri avuti tanto con le autorità arabe, quanto con quelle israeliane. La situazione critica che si era creata in Medio Oriente a causa della creazione dello Stato d’Israele, obbligava lo Stato della Città del Vaticano a muoversi con notevole cautela tanto per evitare la reazione dei Paesi arabi, quanto per difendere il patrimonio religioso della Terra Santa. Si veda pure ALBERIGO, Giuseppe (org.), op. cit., pp. 292-296; MELLONI, Alberto, op. cit., pp. 234-244; in aggiunta anche il documento: Dispaccio 884/EU (Atene, 29 ottobre 1964), Archives Diplomatiques Française-Nântes, 576/PO1-1428.

14 ALBERIGO, Giuseppe (org.), op. cit., pp. 229-270.

15 Ibidem, pp. 437-440.

16 Il primo capitolo era passato con 2068 placet e 47 non placet; il secondo con 2021 contro 85; e il terzo con 1870 contro 82. ALBERIGO, Giuseppe (org.), Historia del Concilio Vaticano II. La Iglesia como comunión. El tercer período y la tercera intercesión, Salamanca, Sígueme, 2007, p. 374.

17 ALBERIGO, Giuseppe (org.), Historia del Concilio Vaticano II. La Iglesia como comunión, pp. 374-378; e anche il documento: Dispaccio 166 (Istanbul, 19 novembre 1964), Archives Diplomatiques Française-Nântes, 576/PO1-1428.

18 Dispaccio 270/EU (Atene, 25 novembre 1964), Archives Diplomatiques Française-Nântes, 576/PO1-1428; e anche:Dispaccio 1783/14/64 (Roma, 7 dicembre 1964), British National Archives, FO371/178051.

19 ALBERIGO, Giuseppe (org.), Historia del Concilio Vaticano II. La Iglesia como comunión, pp. 134-149.

20 Ibidem, p. 151.

21 Ibidem, pp. 152-154.

22 Ibidem, pp. 157-158.

23 SCATENA, Silvia, La fatica della libertà. L’elaborazione della dichiarazione “Dignitiatis humanæ” sulla libertà religiosa del Vaticano II, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 75.

24 Ibidem, p. 90.

25 Pietro Pavan era stato chiamato a partecipare, in qualità di perito, alle riunioni che il Segretariato di Bea aveva in agenda tra febbraio e marzo del 1964 per la revisione del De libertate. A lui si deve l’aver avvicinato lo schema alla sostanza della questione: la funzione dello Stato nei confronti della religione. SCATENA, Silvia, op. cit., p. 131.

26 Ibidem, p. 158.

27 ALBERIGO, Giuseppe (org.), op. cit., pp. 107-134; SCATENA, Silvia, op. cit., pp. 189-199; MELLONI, Alberto, op. cit., pp. 312-313; DE CARLI, Romina, El derecho a la libertad religiosa en la transición democrática de España (1963-1978), Madrid, CEPC, 2009, pp. 15-28.

28 ALBERIGO, Giuseppe (org.), Historia del Concilio Vaticano II. La Iglesia como comunión, pp. 171-173.

29 Ibidem, pp. 161-185.

30 Ibidem, pp. 365-374; si veda anche SCATENA, Silvia, ob. cit., pp. 290-324 e PAOLO VI, Conclusione della III sessione del Concilio Vaticano II. Allocuzione del Santo Padre, in URL: < http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1964/documents/hf_p-vi_spe_19641121_conclusions-iii-sessions.html >, [Consultato il 16 aprile 2016].

31 Il 15 settembre 1964, la Santa Sede firmava un documento d’intesa con il governo dell’Ungheria attraverso il quale entrambe le Parti si compromettevano a proseguire i negoziati per raggiungere un intesa più completa. Si trattava di un importante passo in avanti che il cambio ai vertici del PCUS frenò rapidamente. Lo stesso avvenne con i negoziati in corso in Cecoslovacchia. In entrambi i casi, lo scoglio da superare divenne la nomina dei vescovi. CASAROLI, Agostino, Il martirio della pazienza. La Santa Sede e i paesi comunisti (1963-1989), Torino, Einaudi, 2000, pp. 89-103, 128-135.

32 ALBERIGO, Giuseppe (org.), Historia del Concilio Vaticano II. Un Concilio de Transición. El cuarto período y la conclusión del Concilio, Salamanca, Sígueme, 2008, pp. 71-124, 406-412; SCATENA, Silvia, op. cit., pp. 459-558; DE CARLI, Romina, op. cit., pp. 29-33.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica digitale

Romina De Carli, «Il Concilio Vaticano II nel contesto internazionale della Guerra Fredda»Diacronie [Online], N° 26, 2 | 2016, documento 1, online dal 29 juin 2016, consultato il 12 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/4056; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/diacronie.4056

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Autore

Romina De Carli

Romina De Carli si è laureata in storia presso l’Università degli Studi di Trieste con una tesi sulla storia contemporanea della Spagna; ha conseguito il dottorato di ricerca con menzione europea presso la Universidad Computense de Madrid nel 2007. Nel 2011 è divenuta Profesor Ayudante Doctor presso il dipartimento di Geografia e Storia della Universidad Pública de Navarra. La sua linea di ricerca verte sull’azione internazionale della Santa Sede nel XX secolo e sulle relazioni Stato-Chiesa in Spagna nello stesso periodo.
URL: < http://www.studistorici.com/progett/autori/#DeCarli >

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