Frammenti di dolore: violenza razziale-etnica nel cinema brasiliano durante la fase finale della dittatura militare (1979-1985)
Abstract
Questo articolo intende affrontare il tema della circolazione delle memorie della violenza razziale ed etnica attuate dalla dittatura civile-militare, che cominciarono a essere diffuse durante la fase di distensione della dittatura. Con l’allentamento parziale delle istituzioni deputate al controllo e alla repressione politica, varie memorie dei gruppi oggetto di persecuzione poterono ottenere spazio pubblico. L’analisi sarà incentrata su tre pellicole: O Homem que virou suco (João Batista de Andrade, 1980), Mato eles? (Sérgio Bianchi, 1982) e O Dia em que Dorival encarou a guarda (Jorge Furtado e José Pedro Goulart, 1985). Le questioni che orientano questo articolo sono: in che modo la memoria collettiva viene stimolata dalle narrazioni di questi film, che rappresentano episodi di dolore? In che modo le istituzioni statali avallarono queste pellicole?
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1. Introduzione
- 1 GINZBURG, Natalia, Il figlio dell’uomo in ID., Le piccole virtù, Torino, Einaudi, 1998, pp. 61-64, (...)
1«È inutile credere che potremo guarire di vent’anni come quelli che abbiamo passato. Chi di noi è stato un perseguitato non ritroverà mai più la pace». Così Natalia Ginzburg inizia Il figlio dell’uomo1 il ricordo del periodo della persecuzione degli ebrei imposta dal fascismo italiano, in ossequio alle politiche della Germania nazista volte a preservare la purezza della razza. Nel racconto la cura impossibile dal trauma è accompagnata dalla necessità di ricordare e, in un momento successivo, di rendere pubblica la memoria spezzata e che difficilmente potrà essere rimarginata dopo essere stati testimoni dell’orrore.
- 2 HUYSSEN, Andreas, Culturas do passado-presente: modernismos, artes visuais, políticas da memória, R (...)
2L’esempio limite delle memorie dello sterminio degli ebrei da parte dei regimi totalitari europei negli anni Trenta e Quaranta si è rivelato fondamentale per il dibattito sugli episodi di violenza razziale o etnica portati avanti dagli Stati nazionali2 ed echeggia a più riprese, ogni qualvolta fatti relativi alla persecuzione per motivi etnico-razziali, avvenuti in luoghi e tempi differenti, divengono di dominio pubblico.
- 3 GUIMARÃES, Antônio Sérgio, Classes, raças e democracia, São Paulo, Ed. 34, 2002.
- 4 NORA, Pierre, Les lieux de mémoire, Paris, Gallimard, 1984.
3Nel caso brasiliano, il regime uscito vittorioso dal golpe civile-militare portò avanti una vera e propria persecuzione in campo politico, economico e sociale per eliminare gli oppositori dalla scena pubblica. In questo contesto, la dottrina dello sviluppo nazionale giustificò un coacervo di politiche pubbliche orientate allo sviluppo del sentimento nazionalista e verso il progresso della nazione brasiliana3, trascurando aspetti legati alle identità di gruppi specifici. I luoghi della memoria4 a cui si ancorava questa dottrina venivano rafforzati da una visione circoscritta della nazione brasiliana e delimitati da una burocrazia sempre più attenta alle azioni degli individui e dei gruppi sociali, soprattutto quelli politicamente opposti.
4Durante la fase di “apertura”, proposta dal generale Ernesto Geisel e ribadita dal suo successore, il generale João Figueiredo, nella misura in cui si avvicinava la fine della dittatura militare e, di conseguenza, si indeboliva una delle sue istituzioni fondamentali – la censura –, varie pellicole brasiliane degli anni Ottanta iniziarono ad affrontare episodi decisamente scomodi per questo regime e alcuni di essi si soffermarono specificamente sulla violenza materiale e simbolica di stampo etnico-razziale.
- 5 De ANDRADE, João Batista, O Homem que virou suco, Raíz Produções Cinematográficas, Brasil, 1980, 97 (...)
- 6 BIANCHI, Sérgio, Mato eles?, Sérgio Bianchi Produções Cinematográficas, Brasil, 1982, 34’.
- 7 FURTADO, Jorge, GOULART, José Pedro, O Dia em que Dorival encarou a guarda, Luz produçoes, Brasil, (...)
5In questo articolo intendiamo analizzare tre film: O Homem que virou suco5, Mato eles?6 e O Dia em que Dorival encarou a guarda7 (Jorge Furtado & José Pedro Goulart, 1985). O homem que virou suco racconta i soprusi subiti da un poeta improvvisatore nordestino, che viene scambiato per un operaio che aveva ucciso il proprietario della sua fabbrica durante una cerimonia nel giorno della Festa del lavoro. Mato eles? ricorda il genocidio subito dagli indios a causa della costruzione di una segheria all’interno di una riserva indigena nel Paraná. O Dia em que Dorival encarou a guarda, invece, si sofferma sulla violenza a cui i neri erano – e sono – sottoposti nel sistema carcerario brasiliano.
6Le questioni intorno alle quali si orienta questo articolo sono: in che modo la memoria collettiva viene stimolata dalla narrazione di questi film che rappresentano episodi di dolore? In che modo le istituzioni statali (censura e EMBRAFILME, impresa statale che finanziò e distribuì i film qui analizzati) avallarono queste opere? Questi problemi si inseriscono nel dibattito sulla memoria dei gruppi razziali ed etnici perseguitati dalla dittatura civile-militare e su come episodi traumatici che li riguardarono cominciarono a riemergere nella fase finale del regime.
- 8 HALBWACHS, Maurice, La mémoire collective, Paris, PUF, 1950.
- 9 POLLAK, Michael, «Memória, Esquecimento, Silêncio» in Estudos Históricos, 2, 3/1989, pp. 3-15.
7L’ipotesi su cui lavoreremo può essere spiegata con il fatto che alcuni aspetti della memoria collettiva8 cominciarono a essere messi in discussione dalla presenza di memorie traumatiche legate agli episodi di violenza e/o di sterminio vissuti da questi gruppi subalterni. È importante sottolineare che considereremo tanto i film quanto la loro valutazione, la burocrazia statale e la ricezione critica nel contesto del lavoro di inquadramento della memoria9 di questi gruppi.
- 10 APPADURAI, Arjun, «The past as a scarce resource» in Man. New Series, 16, 2/1981, pp. 201-219.
8Nel periodo finale della dittatura sorsero dispute all’interno della sfera pubblica brasiliana – nei termini formulati da Appadurai10 – circa l’autorità nel narrare il passato e intorno all’interdipendenza tra il passato di questi gruppi perseguitati e il passato della nazione; queste produssero conseguenze tanto nelle modalità con cui vennero denunciati gli abusi del regime che andava eclissandosi, quanto nell’immagine pubblica dei gruppi subalterni.
2. Manifestazione e definizione della memoria dei gruppi subalterni nello spazio pubblico brasiliano degli anni Ottanta
9Prima di passare all’analisi dei film è necessario sottolineare che il nostro articolo si inserisce nel solco – tracciato da Michael Pollak – degli studi rivolti alla comprensione delle forme attraverso cui le memorie dei gruppi subalterni si relazionano con le narrazioni nazionali e con il controllo esercitato sulla produzione culturale dallo Stato brasiliano. Secondo l’autore:
- 11 POLLAK, Michael, op. cit., p. 5.
Questa memoria “repressa” e pertanto “clandestina” occupa tutta la scena culturale, il settore editoriale, i mezzi di comunicazione, il cinema e la pittura, dimostrando, nel caso in cui fosse necessario, l’esistenza di un fosso che di fatto separa la società civile dall’ideologia ufficiale di un partito o di uno Stato che pretendono di esercitare un dominio egemonico. Una volta rotto il tabù, una volta che le memorie sotterranee riescono ad invadere lo spazio pubblico, rivendicazioni molteplici e difficilmente prevedibili si combinano con questa disputa della memoria [...]11.
10Nel caso del cinema brasiliano, la costruzione di una marginalità comparabile a quella della segregazione etnica e la letteratura di cordel – intesa come forma espressiva privilegiata per accostare i protagonisti di una trama ai costi di modernizzazione imposta dalla dittatura civile-militare – sono i plots della narrazione proposta dal lungometraggio O Homem que virou suco, di João Batista de Andrade. Girato nel 1979 e presentato al pubblico nell’anno seguente; il film sviluppa la sua trama intorno a due personaggi nordestini interpretati dallo stesso attore (José Dumont): Severino e Deraldo.
- 12 Il premio Operário-Padrão nacque nel 1955 per iniziativa del giornale «O Globo» L’intento era quell (...)
- 13 Il repente è un genere artistico in cui due cantanti si alternano nel declamare versi improvvisati (...)
11Il primo protagonista, dopo aver vinto il premio “operário-padrão”12, accoltella il proprietario della sua fabbrica di fronte ad una sala gremita. Il secondo, poeta-repentista13, non trova lavoro e incontra difficoltà di adattamento a San Paolo. Non appena la foto di Severino inizia a circolare sui giornali di San Paolo, Deraldo viene confuso con l’assassino e ricercato dalla polizia e si trova così costretto a darsi alla fuga.
12Proponendo un repertorio culturale con il quale ha familiarità, il protagonista disegna un proprio percorso in questo scenario inospitale. Mentre cerca di vendere i libretti con i suoi poemi di cordel in un angolo movimentato di San Paolo, Deraldo viene interpellato da un ispettore del fisco circa l’autorizzazione da parte della prefettura a stare lì. Di fronte alla risposta negativa, l’ispettore del fisco gli confisca il materiale proferendo diverse volte la frase «Questa è San Paolo, non è il Nordeste!», opponendo implicitamente il regime di leggi e di burocrazia (San Paolo) a un’idea di “terra senza legge” che, almeno nelle sue parole, rappresenta il Nordeste. Si genera quindi uno shock tra la memoria delle pratiche culturali nordestine e l’etnocentrismo di regime, razionale e burocratico, rappresentato dal discorso autoritario e razzista dell’ispettore del fisco.
- 14 Il pau-de-arara è un camion adattato per il trasporto di persone; nel Nordeste viene ancora impiega (...)
- 15 BARTH, Fredrik, Grupos étnicos e suas fronteiras, in POUTIGNAT, Philippe, STREIFF-FENART, Jocelyne (...)
- 16 L’idea di analizzare la segregazione dei nordestini in comparazione con il pregiudizio sperimentato (...)
13Nella sequenza successiva, quando Deraldo viene rintracciato dalla polizia a casa sua, i poliziotti lo disprezzano reiteratamente per la sua condizione di nordestino. Al tentativo di argomentare che il nome dell’assassino è differente dal suo, gli viene risposto con spregio «Questi paus-de-arara14 si chiamano tutti Silva» e, dal momento che non ha documenti, la polizia persiste nel volerlo arrestare. Non rispettando gli obblighi di legge, Deraldo si trova in una contesto in cui il giudizio arbitrario di un agente dello Stato è in grado di peggiorare ulteriormente la sua condizione. In questa situazione, l’indigenza sociale può rapidamente trasformarsi in incarceramento legale. E, di nuovo, il poliziotto lo deride «pau-de-arara e senza documento, sei un farabutto!». Si assiste quindi all’utilizzo di un confine regionale per toccare un aspetto etnico15 facendo ironia attraverso un certo repertorio (l’ispettore del fisco), ma anche attraverso un tropos razziale, per ricollegarsi all’aspetto della carcerazione (la polizia)16.
- 17 RAMOS, Luciano, «Suco nacional, direto e bem-humorado», in Folha de São Paulo, 16 dicembre 1980, p. (...)
14L’ordine di cattura viene ribadito dal poliziotto, ma Deraldo approfitta di un momento di distrazione e fugge. Se l’identificazione degli individui è una caratteristica del discorso razzista ed etnocentrico – nella misura in cui questa è il presupposto per il controllo della popolazione – il suo contraltare – l’anonimato – viene impiegato da Deraldo nel suo percorso di reinserimento nello spazio urbano dopo la fuga. I posti tradizionalmente occupati dai nordestini nel loro processo di integrazione nella città di San Paolo – lavori manuali come quelli dell’operaio, del portuale, dello scaricatore o i lavori domestici – vengono poco a poco a trovarsi sul suo percorso e così «il poeta veste i panni di un lavoratore immigrato comune, divenendo del tutto anonimo e impossibile da trovare. In un edificio, come distinguere un lavoratore dall’altro? Come ricordare il volto del portiere che è venuto a lavorare nel palazzo?»17.
15Il rifiuto della posizione di subalterno da parte di Deraldo passa per il non adattarsi a questi posti e, principalmente, attraverso la contestazione dei capi. In tutti gli impieghi si ritrova coinvolto in situazioni di conflitto per questo rifiuto: discute con il capo degli scaricatori nel mercato municipale; umilia il capocantiere tiranno e disonesto reo di sfruttare gli operai che lavorano alla costruzione di un edificio. Assunto come collaboratore domestico, interviene nel bel mezzo di una festa di giovani dell’alta società; qui viene umiliato dalla padrona di casa che reagisce alla violazione della tacita regola sociale secondo cui datori di lavoro e dipendenti non possono avere le stesse reti di sociabilità. In risposta, Deraldo si dimette e ruba la bistecca del «cane frocio», una parodia del trattamento subumano a cui è sottoposto. La memoria della segregazione imposta ai migranti nordestini appare, tuttavia, nell’inadeguatezza del protagonista in questi posti di lavoro e nella negoziazione con i propri capi, che spesso innesca conflitti.
16L’apice dell’oppressione per quel che riguarda il repertorio della cultura nordestina si verifica nel momento in cui Deraldo viene assunto come operaio della metropolitana di San Paolo. Assieme ad altri neoassunti viene costretto ad assistere ad un video in cui si manifesta tutto il disprezzo per i nordestini, a partire dal protagonista dello stesso, che è presentato come un ibrido tra il mandriano e il brigante.
17Attraverso il discorso del funzionario responsabile delle risorse umane della metropolitana che introduce la proiezione, viene messa in scena la parodia del discorso favorevole allo sviluppo economico: «come voi sapete, l’opera è della massima importanza per San Paolo e per il paese». E questa parodia è completata dall’inquadramento dell’operaio nordestino proposto nel video, che è complementare all’esplicitazione dell’etnocentrismo e della volontà di mantenere una segregazione di impronta regionale/etnica.
- 18 “Cabra macho” – ovvero, letteralmente, “caprone” – è un’espressione nordestina che indica un uomo v (...)
- 19 ELIAS, Norbert, O Processo Civilizador, Rio de Janeiro, Jorge Zahar, 1994.
- 20 HALL, Stuart, The work of representation, in ID., (org). Representation: Cultural Representations a (...)
18In questo “film dentro il film”, nel quale è l’oppressione a essere messa in scena, si succedono le diapositive di alcuni acquerelli che vengono accompagnati da una voce fuori campo: «Questo è Antônio Virgulino da Silva. Un macho18. Valoroso. Campione di tutti i rodei, veniva sempre rispettato». L’uomo nordestino è identificato come dotato di una mascolinità primitiva, che necessità di essere “raffinata” dalla grande città, attraverso un vero processo civilizzatore19. Successivamente, il lavoro di rappresentazione20 del video nasconde le condizioni di sfruttamento rurale dei nordestini, mostrando il viaggio del protagonista verso la città solamente come un mero «desiderio di domare un cobra gigante» – metafora dello spazio urbano nella sua crescita incontrollata – mentre sono assenti i conflitti per la terra generati dalla concentrazione fondiaria e gli arbitri a cui i nordestini poveri venivano sottoposti dai capi locali.
19Virgulino è impiegato nei lavori della metropolitana e, presentando il suo tentativo di adattamento, il film presenta vari stereotipi dei nordestini. Mostra Virgulino che beve in servizio, che manca di rispetto ai professori e alle norme di sicurezza sul lavoro, violento («minacciava sempre il capo con il suo coltello») e poco socievole con i colleghi. Quale drammatica punizione, nel film Virgulino viene licenziato e umiliato dai colleghi, che gli sputano addosso.
20La resistenza al ruolo di subalterno e allo sfruttamento del lavoro manuale – qualcosa che viene rilevato da Deraldo – viene ridicolizzata nella proiezione. La memoria degli immigrati nordestini viene inquadrata dal video in modo conservatore, nell’intento di mantenere le disuguaglianze e giustificando moralmente lo sfruttamento del lavoro manuale. Pur essendo visibile il fastidio degli operai durante il film, solamente Deraldo si ribella, calciando una sedia. Successivamente, durante un pranzo in mensa, il protagonista trova uno scarafaggio nel cibo e si rivolta di fronte ai colleghi, ma viene trattenuto dai poliziotti presenti nell’area.
- 21 La Divisão de Censura de Diversões Públicas era responsabile per la valutazione dei film brasiliani (...)
21I censori della DCDP (Divisão de Censura de Diversões Públicas)21, già all’epoca, con la distensione politica in corso, evidenziarono le conseguenze dei cambiamenti in atto nel mondo rurale per la vita dei nordestini:
- 22 Valutazione 4721/80, disponibile all’URL: < http://www.memoriacinebr.com.br [Consultato il 2 febbr (...)
dramma urbano che si concentra sulle difficoltà di un poeta paraibano di fronte alle costrizioni di una società ingiusta. Nel suo sviluppo, vengono affrontati i motivi che portano il nordestino ad andarsene dalla sua terra, seguendo il miraggio della grande città. [Il film] Si costituisce come una critica dell’andamento socioeconomico, mostrando come la frantumazione dell'uomo nei grandi centri urbani sia il risultato dell’immigrazione incontrollata22.
- 23 CAPUZZO, Heitor, «O Homem que virou suco: cinema popular legítimo» in Diário do Grande ABC, 8 genna (...)
22La critica cinematografica non rimase indifferente allo scambio messo in scena tra un poeta e un operário-padrão che era riuscito ad assassinare un industriale. E ribadì il cambiamento di posizione dell’intellettuale di sinistra riguardo al carattere dei personaggi provenienti dalla cultura popolare: «O homem que virou suco, realizza il puro cinema popolare, inoltre conferisce al personaggio centrale quella vita propria necessaria perché possa da se stesso solamente innescare i conflitti e divenire cosciente, attraverso la sua interazione, dei meccanismi che lo opprimono»23.
23Il linguaggio verbale violento presente nel film non passò inosservato alla censura che, approfittando di questo, tentò di giustificare il veto nei confronti della trasmissione in televisione:
- 24 Valutazione 2733/82, disponibile all’URL: < http://www.memoriacinebr.com.br [Consultato il 2 febbr (...)
Linguaggio: la ragione principale alla base del ricorso alla censura risiede nei dialoghi contenuti nel film. Nell’intento di conferire maggior realismo, i realizzatori utilizzano il linguaggio dei segmenti marginalizzati della popolazione. Questo, nella pellicola, è pieno di parolacce, che non ci sembrano offensive per due ragioni: in primo luogo non sono parole pesanti ed espressioni indecenti dette in maniera gratuita; inoltre, [in ragione] dall’attaccamento dei dialoghi al realismo della narrativa [...] Ma l’autorità censoria deve prendere in considerazione la realtà del mezzo televisivo. Per questa ragione suggeriamo che il film non sia diffuso in base alla legislazione summenzionata24.
24Malgrado ciò, dopo una contesa burocratica, fu permesso che il film venisse trasmesso in televisione, ma con l’obbligo di mettere in onda la pellicola dopo le 23:00.
- 25 BARTH, Fredrik, op. cit.
25Questo linguaggio violento non impedisce che la letteratura di cordel assuma una posizione autorevole come forma narrativa, soprattutto quando il protagonista compone il poema O Homem que virou suco, “l’uomo che divenne succo”, su di un nordestino “triturato” dalla macchina della città. La letteratura di cordel agisce come la memoria di una cartografia emotiva strappata dalle aspettative frustrate nella vita della metropoli e l’identità attribuita ai nordestini traspare per il suo aspetto negativo, di privazione di beni materiali e simbolici, oltre che dei diritti e delle garanzie fondamentali. Il Nordeste immaginato attraverso la memoria viene attaccato da diversi personaggi che articolano pratiche di segregazione discorsive e sociali che, combinando la territorialità, il richiamo alle caratteristiche evidenti, ai repertori culturali e alla struttura del mercato del lavoro, risultano equiparabili al mantenimento di una frontiera etnica25.
- 26 FREIRE, Mariana Baltar, Realidade lacrimosa: diálogos entre o universo do documentário e a imaginaç (...)
26L’uso della musica per il coinvolgimento emotivo dello spettatore nel film26 è evidente nella scena immediatamente successiva alla scena del tentativo di arresto di Deraldo. I lampeggianti dell’auto della polizia evidenziano i volti e i corpi dei nordestini che abitano nella stessa favela del protagonista sulle note della musica Bate com pé xaxado, di Vital Farias. La cartografia emotiva del Nordeste presente nella messa in scena del repertorio musicale è mostrata come alterata negativamente, come se si trattasse di un lutto.
27Questa dimensione luttuosa, messa in moto dalla memoria collettiva, sarà accentuata dalla messa in scena delle due modalità di contatto culturale rappresentate da Deraldo e da Severino – resistenza e assimilazione forzata – che sono descritti in questo modo dalle parole del regista:
- 27 Intervista di João Batista de Andrade a Orlando Fassoni. Jornal da Tarde, 15 dicembre 1980.
Non ci sono bravi ragazzi, i personaggi non sono ingenui. Il legame culturale che portano con loro dal Nordeste qui, nella casa del capitalismo, è preso di mira perché non è utile alla città industriale. Il poeta, ad esempio, è quello che viene qui pensando di guadagnarsi da vivere con agio. Ma la cosa non è così facile e dopo poco viene liquidato come tutti i migranti. [...] L’altro, Severino, è colui che ha agito in modo contrario, ossia credeva nel sistema e ha scoperto che, per averne ragione, doveva integrarsi, spogliarsi dei sui legami culturali [...] Egli è entrato totalmente nel sistema e, per andare avanti nella vita, permette che il sistema elimini le sue origini. Diviene un guscio vuoto, non ha nulla che lo sostenga. Il processo è molto più complesso di quel che lui può immaginare e, consegnandosi al sistema, spogliandosi della sua unica difesa che è il portato culturale, diviene una marionetta, cosa che gli è fatale27.
28Il sottosviluppo viene quindi mostrato a partire dalla razzializzazione dei suoi aspetti etnici e regionali, una chiara strategia di dominio che spersonalizza gli individui del gruppo subalterno e, al contempo, riafferma la dimensione economica di questo processo. La messa in scena di una memoria sotto traccia appare qui come una forma di resistenza alla “macchina trituratrice” paulista e, contemporaneamente, una forma di denuncia dei costi del progetto di sviluppo nazionale portato avanti dalla dittatura, mostrando quali fossero i principali gruppi a sfruttarlo.
- 28 La FUNAI (Fundação Nacional do Índio) è l’organismo responsabile per l’amministrazione delle riserv (...)
29Ricorda allo stesso modo i costi di questo progetto, ma affrontando il caso delle popolazioni indigene, il documentario mediometraggio Mato eles?,diretto da Sérgio Bianchi, che fu girato nel 1982 nella riserva indigena di Mangueirinha, nell’interno del Paraná (nel sud del Brasile). Con una sceneggiatura basata sulla tesi dell’antropologo Jacó Piccoli, la narrazione di Mato eles? prende spunto dalla memoria del genocidio delle popolazioni indigene a partire da un fatto insolito: la costruzione di una segheria all’interno di una riserva indigena amministrata dalla FUNAI (Fundação Nacional do Índio)28.
30Il film si avvale del procedimento retorico della reiterazione delle domande intorno ad una questione, che viene rivolta agli intervistati, agli spettatori e al regista stesso: fino a che punto è moralmente possibile documentare e ricordare il genocidio?
31All’inizio del documentario si trova la testimonianza di un vescovo cattolico – Don Albano Cavallin – sollecitato dal regista riguardo al ruolo della Chiesa in questo genocidio. A questa domanda, il vescovo risponde: «La Chiesa è una madre. Io penso che se tutti i genitori prendessero in esame l’educazione che impartiscono, riscontrerebbero alcuni problemi». La sequenza si conclude con il vescovo che si inchina in avanti e l’inserimento dell’audio di uno scroscio di applausi. Con il suo montaggio Mato eles? ironiza sul ruolo educativo e civilizzatore che la Chiesa avoca a sé, ponendolo come uno dei punti critici che riguardano la memoria traumatica del genocidio indigeno e come sia all’origine delle travagliate relazioni interetniche tra bianchi e indios.
32Mano a mano che si procede, il ruolo del montaggio nel film si rivela fondamentale per la costruzione di un approccio ironico nei confronti dei responsabili del genocidio e, soprattutto, delle loro istituzioni e delle loro argomentazioni. Grazie a un montaggio parallelo, si crea una relazione tra una classe di studenti dell’antropologo Jacó Piccoli, un documentario sugli indios xetás del 1957 e il filmato dell’unico indio xetá ancora in vita, realizzata da Bianchi. In classe l’ antropologo racconta che sopravvive un solo indio xetá in Paraná e, successivamente, appaiono sullo schermo i titoli di testa (inseriti ironicamente) “Sérgio Bianchi presenta”, “L’ultimo Xetá” in apertura dell’opera O Guarani, di Carlos Gomes. Sequenze di un documentario realizzato da una spedizione scientifica nel 1957 vengono inserite come “prima parte” per parlare del contatto con gli xetás. In queste sequenze, gli indios vengono mostrati nella loro vita nella Serra dos Dourados; poi vengono mostrate quattro sequenze di un indio xetá ancora vivente: questo viene ripreso da differenti angolazioni (di fronte di lato e di profilo) e compare il regista mentre dà istruzioni per riprenderlo in parallelo al discorso del professore che spiega che «no, ti stai sbagliando. Esistono ancora da cinque a sei Xetás». La sequenza viene interrotta da una domanda che interpella lo spettatore: «Individua l’opzione corretta: sapendo che esistono solo pochi individui della tribù degli Xetás, che cosa è avvenuto agli altri? a) Si sono mescolati con la popolazione bianca e vivono nelle grandi città; b) Sono morti tutti a causa delle malattie infettive e delle dispute per il possesso della terra; c) Stanno trascorrendo le ferie all’estero; d) Gli indios Xetás non sono mai esistiti. Il documentario è falso; e) Tutte le opzioni sono corrette».
- 29 SOMMER, Doris, Ficções de fundação: os romances nacionais da América Latina, Belo Horizonte, UFMG, (...)
33Nella sequenza sopra descritta, l’ironia impiegata nel montaggio di Mato eles? è rivolta nei confronti dell’ambiente accademico attivo nella documentazione del genocidio degli indigeni. Facendo ricorso ad una personalità importante della narrativa di fondazione, che tratta della nascita della nazione29, Bianchi si rifà ad un’opera del XIX secolo (quella di Carlos Gomes) – che fa ricorso all’ideale nativista nei confronti gli indios – per potenziare la sua messa in scena parodistica dello sterminio e approfondire il rapporto tra lo spettatore e il genere documentaristico. È il genere in sé a divenire testimone del genocidio attraverso le immagini del documentario realizzato nel 1957 e reimpiegato in Mato eles?
34Il metodo viene utilizzato anche nella sequenza successiva, nella quale la stessa opera è utilizzata per inserire i titoli “Sérgio Bianchi presenta” e “I guaranì”. In contrasto con il tono epico della musica, diverse donne e bambini vengono mostrati in abiti poveri e alcuni risultano visibilmente denutriti. Vengono inquadrate dalla telecamera anche le palafitte e una tenda improvvisata sul ciglio della strada, mettendo in luce la situazione di miseria e di accattonaggio in cui gli indios sono ridotti. In questo modo viene messa a confronto la memoria nazionale – il cui riferimento è l’opera di Carlos Gomez – esaltata dal regime militare, con la memoria sul genocidio indigeno e le sue conseguenze attuali.
35Lo stacco tra la colonna sonora e le immagini conferisce al film un aspetto farsesco che è amplificato nelle sequenze successive, dove si parla di una segheria all’interno della riserva indigena. Diverse riprese panoramiche mostrano il paesaggio della riserva devastata per poi passare all’intervista del regista ad un funzionario del FUNAI. Alle domande di Bianchi il funzionario risponde che la riserva è amministrata dagli indios e che l’abbattimento degli alberi è un’attività lucrativa per la comunità indigena.
36Durante l’intervista con il funzionario, aumentando la dimensione farsesca della narrazione, si sentono effetti sonori con il rumore del registratore di cassa e appaiono sullo schermo delle cifre, a sottolineare il profitto derivante dallo sfruttamento degli indios. Successivamente un attore interpreta un dirigente e domanda: «Ma voi, potete dirmi che cos’è un indio? Qual è il concetto di indio? È quella banda di meticci!». La continuità tra personaggi reali e di finzione è utilizzata per evidenziare la falsità e l’illegittimità delle argomentazioni di chi sfrutta e uccide le popolazioni indigene. Le critiche al FUNAI (e, per estensione, allo Stato) al sapere accademico, al retaggio culturale che rese legittimo lo sterminio degli indios, agli imprenditori bianchi e ai limiti del documentario sono sintetizzati nell’ultima sequenza di Mato eles?. Un indios fa riferimento alla memoria collettiva del gruppo e racconta che la terra fu conquistata dagli indios a seguito di un negoziato con l’imperatore Dom Pedro II e, successivamente, interpella il regista: «Il signore non è venuto qui per guadagnare denaro, per prendere un caffè sulle spalle dell’indios? E noi siamo qui, divenuti ormai gli asini dei bianchi!» e termina domandando: «Chi è lei? Quanto guadagna?».
37La EMBRAFILME (Empresa Brasileira de Filmes), coerentemente con il periodo di distensione politica che gradualmente si stava diffondendo nel paese, presentò la sinossi Mato eles? tra i materiali da divulgare in questo modo: «Il film si occupa di vari problemi affrontati da questi indios e delle loro relazioni con il FUNAI [...] che ha installato nella riserva un’azienda del legno e cerca di far adattare gli indios a questa situazione, obbligandoli ad abbandonare i loro mezzi di sostentamento tradizionali in favore delle nuove condizioni di vita». La EMBRAFILME, dunque, non solo sostenne la retorica di denuncia presente nel film, ma agì direttamente in favore della diffusione della memoria e delle pratiche che riguardavano il genocidio delle comunità indigene.
- 30 L’Archivio della DCDP è custodito dall’Arquivo Nacional, a Brasilia.
38Tuttavia il mediometraggio di critica non passò indenne attraverso un altro ente statale. La DCDP proibì Mato eles? in tutti i circuiti di proiezione (dei festival, commerciali e televisivi), adottando una posizione insolita in quel periodo. La valutazione 1687/83, del 7 aprile198330, contenuta nel procedimento relativo al film – utilizzata come giustificazione per l’interdizione da parte della direttrice della Divisão de Censura de Diversões Públicas (DCDP), Solange Hernandez – lo analizza in questi termini:
Valutazione:
Messaggio – Negativo e di protesta
[...]
Prospettiva di censura – il film ha il sigillo della protesta: oltre all’irriverenza nei confronti delle autorità responsabili per questo ente, nel finale il regista della produzione cinematografica, in tono beffardo, dice sostiene che è “conveniente” fare film di questo genere.
Grado di persuasione – Si riscontra un grado molto elevato; anche nello spettatore benintenzionato emerge un giusto senso di rivolta nei confronti di questa situazione. Al contrario, al pubblico avido di sensazionalismo torna utile per i propri propositi tendenziosi.
Conclusione:
In virtù di quanto esposto, riteniamo che l’obiettivo dell’opera, basata sulla realtà o meno, sia quello di protestare e non di documentare, oltre a incitare contro le autorità e ferire quello che è il loro interesse nazionale, cioè proteggere gli indigeni; suggeriamo l’interdizione della pellicola basandoci sui punti “d” e “g” dell’art. 41 del Decreto 20493/46.
- 31 SIMÕES, Inimá, Roteiro da intolerância: censura cinematográfica no Brasil, São Paulo: SENAC, 2004.
39Nella valutazione è evidente come la censura temesse le ripercussioni che si sarebbero potute verificare se il film fosse stato diffuso (seppure con tagli). Riguardo al ruolo politico della censura nel governo Figueiredo, ossia durante il periodo di distensione della dittatura civile-militare, Simões31 chiarisce che essa operò in direzione opposta rispetto al regime. Questo significa affermare che, mentre il regime si ammorbidiva, la censura si faceva più rigida, fino a farsi una sorta di “ultimo bastione” a cadere.
- 32 POLLAK, Michael, op. cit.
40Secondo questa logica, la memoria del genocidio subito dalla popolazione indigena, rafforzata dallo sfruttamento – che avveniva all’interno del progetto di sviluppo nazionale portato avanti dai militari che detenevano il potere – venne visto dalla censura come un qualcosa di pericoloso da diffondere, percepito come uno sfregio alla narrazione della nazione brasiliana e una minaccia al lavoro di inquadramento della memoria nazionale32 operato dalla dittatura. Meritavano di essere punite «l’irriverenza nei confronti delle autorità responsabili» e «il tono irriverente» presenti nel film. La valutazione 1688/83, dell’8 aprile 1983, esplicita ancor più la questione e dà la stessa indicazione di interdizione del film: «Grado di persuasione: in grado di inasprire gli animi contro un sistema. [...] Prospettiva di censura: ancora un’opera che finisce per denigrare l’azione dell’amministrazione pubblica».
41Forte di quattro pareri che caldeggiavano l’interdizione di Mato eles?, la direttrice della DCDP lo proibì con un dispaccio interno manoscritto, comunicando al produttore di Bianchi l’interdizione attraverso un telegramma il 18 aprile 1983, data della commemorazione ufficiale del giorno dell’indio in Brasile. Iniziava così la battaglia per la diffusione libera del film, giocata fra la burocrazia la stampa, che si occupò ampiamente del caso.
- 33 Nella collezione della Biblioteca della FUNARTE troviamo nove reportages giornalistici apparsi su g (...)
42Sui giornali che si occuparono della censura del film, più che il fatto in sé, ciò che fece rumore furono i motivi dell’interdizione. Le lettere “d” e “g” dell’art. 41 del decreto 20493/46, a cui tutte le valutazioni alludevano, facevano riferimento a opere che «avrebbero potuto provocare istigazione contro il regime vigente, l’ordine pubblico, le autorità costituite o i loro agenti» e che «avrebbero potuto ledere in qualche modo la dignità e l’interesse nazionale». Era chiaramente percepibile, da parte della stampa che seguì il caso, un certo stupore33.
43Questo stupore è il risultato di una percezione collettiva di ambiguità nel ruolo giocato dalla censura. Evidenziando la posizione contraddittoria dell’organismo di fronte alla situazione politica del paese, due testimonianze riportate dal giornale «O Estado de São Paulo» esponevano queste considerazioni:
- 34 O Estado de São Paulo, 21 aprile 1983, p. 20 [corsivo nostro].
Un tecnico della censura ha commentato, ieri, che probabilmente i disordini che hanno avuto luogo a San Paolo hanno influenzato il giudizio sul film di Bianchi e che, anche senza un ordine formale, ma per un’abitudine invalsa in chi ha anni di esperienza nella censura, l’orientamento attuale è quello di aumentare il rigore riguardo ai film, alla musica o alle canzoni con connotazioni politiche.
L’osservazione coincide con l’opinione del rappresentante della Associazione Brasiliana della Stampa per il Consiglio Superiore del Cinema, Pompeu de Souza, per cui la direttrice della Censura, nei suoi giudizi, ha applicato criteri di censura politica, il che contrasta con le promesse di aperture di apertura democratica fatte dal governo34.
- 35 Decissione numero 78/83, che compare a p. 24 del procedimento relativo al film nell’archivio della (...)
44Appoggiati dalla stampa e dagli intellettuali legati al cinema e allo studio delle comunità indigene, il regista e il produttore chiamarono il capo della Polizia Federale, che tuttavia mantenne la decisione di proibire la proiezione del film. Insoddisfatti, fecero ricorso al Consiglio superiore del cinema per tentare di rendere libera la diffusione del film, ottenendo quel che auspicavano. Nel corso di una riunione tenutasi il 13 maggio 1983, il Consigliò deliberò all’unanimità in favore della libera proiezione a fini commerciali nei cinema35.
45Il grande clamore del caso di Mato eles? sui media in diverse capitali brasiliane e, successivamente, la proiezione commerciale e nel circuito dei festival furono fondamentali per la legittimazione della memoria del genocidio e della contestazione delle pratiche delle istituzioni ufficiali nei confronti degli indios, contestando così, di conseguenza, una memoria nazionale veicolata dalla dittatura che esaltava il ruolo di eroe dell’indio.
46La veicolazione di una memoria traumatica in relazione alla dittatura si verificò anche nel cortometraggio O Dia em que Dorival encarou a guarda (1985). Diretto da José Pedro Goulart e Jorge Furtado, è un adattamento cinematografico di un episodio del libro O amor de Pedro por João, di Tabajara Ruas. Ambientato in una prigione militare, il conflitto all’interno della sua trama nasce dalla volontà di Dorival (João Acaíbe) – un prigioniero nero – di fare una doccia in una notte molto calda e il rifiuto da parte dei militari di acconsentire alla doccia a causa di un ordine contrario.
47Il corto ha inizio con una sequenza decisamente tetra, nella quale viene mostrata una panoramica del carcere e il corridoio della prigione, scarsamente illuminato; subito dopo si presenta il conflitto all’origine dell’intreccio del film. Un prigioniero chiuso all’interno di una cella, chiama una recluta e, durante il dialogo, chiede di fare una doccia reclamando: «sono più di dieci giorni che non faccio un bagno. Io sto soffocando. Mi faccio una doccia in un istante. Non vi costa nulla». Di fronte al rifiuto della recluta, il prigioniero si fa aggressivo e minaccia: «ascolta bene […] pancia verde, scarafaggio pelato, polacco mangiatore di sapone! Vai a chiamare il caporale perché altrimenti io comincio a gridare a seminare il panico qui dentro! Sto per fare un caos talmente grande che sveglierò il caporale, la madre del caporale e perfino il generale di questa merda di posto! E non pensare che io stia scherzando, no […]!», mentre il monologo del prigioniero viene alternato a fotogrammi tratti dalla prima versione cinematografica di King Kong, del 1927.
48Associando il punto di vista della recluta di fronte alla protesta del prigioniero, il film presenta metaforicamente il razzismo istituzionale da cui è oppressa la popolazione nera sottoposta al regime carcerario. Questo razzismo viene poco a poco esplicitato e rievocato nell’interazione con altri personaggi, soprattutto il caporale e il tenente. Chiedendo aiuto al caporale, la recluta si riferisce al prigioniero come ad «un negraccio di questa stazza, sembra King Kong», esternando lo stereotipo razzista che utilizza per definire il prigioniero.
49Oltre ai fotogrammi della prima versione di King Kong, fu ironicamente inserito nel film un repertorio associato a una cultura razzista: le sequenze di un film western in cui un indiano appare come il malvagio rapitore di una ragazza bianca che viene salvata da un eroe bianco e le sequenze di un film di Hollywood degli anni Cinquanta in cui personaggi neri appaiono come camerieri che servono personaggi bianchi.
50Con un’interpretazione leggermente differente dalla nostra, una parte della critica riconobbe l’utilizzo di stereotipi razzisti nel cortometraggio:
- 36 ARAÚJO, Rubens, «Dorival vive num filme antológico», in Jornal de Brasília, 12 ottobre 1988.
I registi lavorano sugli stereotipi e le doppiezze più profonde. Per illustrare le reazioni del carcerato Dorival, Goulart e Furtado abusano delle immagini della prima versione di King Kong realizzata per il cinema. Dorival sarebbe il gorilla, che è una delle immagini più stupide e razziste per riferirsi a un nero alto e forte. L’intenzione dei registi non è, tuttavia, razzista. Quelli che hanno la sensibilità per capire queste sottili sfumature del cortometraggio, comprenderanno la critica feroce di questo stereotipo36.
51Il linguaggio razzista diventa molto più esplicito quando il caporale va a parlare con Dorival. Mentre il prigioniero ripete la richiesta, il caporale si limita a dire bruscamente: «succede che sei in galera, creolo, da furfante che sei, e il furfante strilla, ma non va in giro». Dorival risponde gridando che «caporale e merda per me sono la stessa cosa! Ora apri questa porta che voglio fare una doccia!», il dialogo viene caricato di offese razziste da parte del caporale, che chiama il prigioniero «macaco», «creolo» e «negraccio». La memoria dell’oppressione razziale nei confronti della popolazione nera appare nel doppio riferimento del linguaggio razzista e della diminuzione morale derivante dalla condizione di prigioniero che rende Dorival ostaggio di una struttura dispotica.
52Quest’ultimo fa sempre la stessa domanda: in definitiva, da chi è partito l’ordine per cui non avrebbe potuto fare la doccia? Il cortometraggio si sviluppa attraverso i dialoghi con il sergente e il tenente. È interessante notare che anche il sergente è nero e, nella sequenza in cui il caporale gli riporta l’accaduto, descrive Dorival come «il creolo della cella 4», marcando l’ipocrisia delle interazioni all’interno della gerarchia militare.
53Il razzismo istituzionale rivela tutto il suo peso nel dialogo tra Dorival e il tenente. Dopo essersi sentito dire nuovamente che non avrebbe potuto fare la doccia, Dorival si arrabbia. Il tenente risponde con offese razziste e si prende uno sputo in faccia dal prigioniero. Per questa ragione il tenente decide di picchiarlo. In questa sequenza, Dorival compare in un angolo della cella mentre grida: «Militare e merda per me sono la stessa cosa!». Al che il tenente risponde: «Tenete questo miserabile negro!». Durante il pestaggio si alternano inquadrature di Dorival mentre viene messo spalle al muro dai militari con immagini di King Kong, di un cow-boy che picchia un indiano e di un tamburo. La sequenza si conclude con l’ordine del tenente: «pulite il sangue».
54Bisogna evidenziare che nel cortometraggio di Furtado e Goulart, la vittoria morale è di Dorival: per quanto malmenato, ottiene infine il suo bagno. Per pulire il sangue, i soldati lo mettono sotto la doccia, sotto lo sguardo del sergente, a cui sorride sarcastico. Il film si conclude con il sergente che offre una sigaretta a Dorival, che la accetta.
55Mentre in O Homem que virou suco e in Mato eles?, la memoria della violenza razziale/etnica viene riscattata parallelamente al fallimento del progetto di sviluppo nazionale caro alla dittatura con le sue conseguenze disastrose per i nordestini immigrati a San Paolo e per le comunità indigene, nel caso di O Dia em que Dorival encarou a guarda, la memoria cammina pari passu con la repressione politica durante il regime stesso, attraverso carcerazioni arbitrarie operate senza fondamento giuridico e con la pratica indiscriminata della tortura.
56Alcuni dettagli devono essere estrapolati dalla trama del cortometraggio. La repulsione di Dorival nei confronti della gerarchia militare si traduce in frasi come «caporale e merda per me sono la stessa cosa», «il sottomesso non ha parola» che, oltre a configurare una resistenza, sono anche indizio della memoria politica della sollevazione contro i militari durante la dittatura.
57Ed è sempre riguardo al rapporto tra i militari e il momento politico che si verifica la reiterazione della domanda «di chi è stato l’ordine?» e il contrappunto della non rivelazione dell’autore possono essere interpretati come un sintomo della situazione politica del periodo della fine della dittatura, quando si cercavano risposte per le barbarie commesse dal regime che stava cadendo, che si proteggeva dalle accuse facendosi scudo di ordini militari non riconducibili con precisione a nessuno e di agenti della repressione che rifiutavano di essere ritenuti responsabili per ordini dati arbitrariamente.
58Un altro aspetto rilevante del cortometraggio è l’inserimento del samba come di un repertorio legato alla cultura nera. Il samba è utilizzato come colonna sonora nella prima sequenza del film, prima del dialogo tra Dorival e la recluta e, in un’altra sequenza, in una telefonata tra il sergente e sua moglie, quando questa appare ad un telefono pubblico all’interno di una scuola di samba. Oltre a rievocare la memoria delle pratiche culturali della popolazione nera, il samba agisce come riferimento ironico alla dottrina luso-tropicalista cara alla dittatura.
- 37 GUIMARÃES, Antônio Sérgio Alfredo, Classes, raças e democracia, São Paulo, Ed. 34, 2002.
59Costituita da un congiunto di idee elaborate da Gilberto Freyre e sostenute dal regime post-196437, questa dottrina difendeva la tesi in base alla quale l’integrazione razziale in Brasile era una realtà a prescindere dalle differenze socioeconomiche. Facendo una parodia del discorso ufficiale sull’integrazione, nel cortometraggio il samba è inserito durante l’umiliazione del prigioniero da parte dei militari e, in questo modo, è utile ad esplicitare l’umiliazione istituzionale a cui quest’ultimo è sottoposto. Invece di essere utilizzato per il coinvolgimento emotivo dello spettatore nella narrazione, il samba aiuta a potenziare il conflitto tra Dorival e la gerarchia militare.
60L’aspetto istituzionale del razzismo è accentuato dal fatto che il nome di Dorival viene rivelato quasi nel finale del film, durante il dialogo tra il sergente e il tenente. Per la recluta, il caporale e il sergente, quest’ultimo era solamente il «prigioniero della cella 4». Si tratta della stessa strategia presente in O Homem que virou suco e in Mato eles? di spersonalizzare e considerare in termini quantitativi gli individui dei gruppi subalterni.
61La censura legittimò la rivolta di Dorival, anche se nessuna valutazione fa riferimento alla dimensione razziale del conflitto, limitandosi alla critica della gerarchia militare. La valutazione 1941/86, base per la decisione parzialmente favorevole della DCDP, fa riferimento al film in questi termini:
Il linguaggio orale si rivela aspro e, particolarmente nel carcerato, giunge ad essere volgare con termini come: “cazzo”, “minchia”, “fottio”, “merda”, “frocio”, “vaffanculo”.
Conclusione: In base a quanto esposto, siamo per la diffusione dell’opera ad un pubblico maggiore di 14 anni, presumibilmente capace di non lasciarsi influenzare dal linguaggio impiegato, ma di ricondurlo al mondo dei personaggi rappresentati.
62Stranamente nessuna valutazione menziona le offese razziste dirette verso il protagonista. Queste offese non vengono neppure elencate come esempi. Nel documento che autorizzava la proiezione del film nei festival e nelle università (la proiezione commerciale in un primo momento fu vietata) si fa menzione solamente delle espressioni considerate nella valutazione 1941/86. Lo stesso avvenne l’anno seguente quando il film ottenne l’autorizzazione per la messa in onda televisiva dopo le ore 22 (a causa della restrizione per i minori di 14 anni) e con una censura delle espressioni colorite, benché le offese razziste siano state mantenute integralmente nella versione del cortometraggio che avrebbe dovuto essere trasmessa in televisione.
3. Considerazioni finali
63A prescindere dallo scenario di apertura politica che andava consolidandosi con l’ascesa al potere del generale João Figueiredo, nel 1979, permanevano ancora tensioni in merito al tema della circolazione delle memorie dei gruppi marginalizzati durante la dittatura civile-militare.
64Contraddicendo le aspettative create dalle promesse di libertà politica e di pensiero formulate in questo periodo, la censura continuò a operare la valutazione dei film in modo tale da rendere difficoltoso che le memorie della violenza razziale ed etnica circolassero pubblicamente. Dal momento che andavano contro le direttive del regime dittatoriale, soprattutto contro le dottrine dello sviluppo nazionale e del luso-tropicalismo, i film in questione furono oggetto di tagli, di divieto per una parte del pubblico (le limitazioni riguardarono l’età e il tipo di proiezione) e, nel caso estremo di Mato eles?, del tentativo deliberato di interdizione da parte della DCDP.
65Malgrado ciò, le opere riuscirono a diffondere la memoria di questi gruppi e a metterla a confronto con la memoria nazionale, all’epoca decisamente conservatrice. L’intento di evocare memorie vive sottotraccia realizzato dai film fu raggiunto narrando i traumi prodotti dalle conseguenze del regime post-1964, che dovevano essere messi in scena perché fossero resi noti al pubblico. O, ritornando al discorso della Ginzburg, resero evidente che anche noi avevamo avuto i nostri vent’anni di espiazione.
Note
1 GINZBURG, Natalia, Il figlio dell’uomo in ID., Le piccole virtù, Torino, Einaudi, 1998, pp. 61-64, p. 61.
2 HUYSSEN, Andreas, Culturas do passado-presente: modernismos, artes visuais, políticas da memória, Rio de Janeiro, Contraponto, 2014.
3 GUIMARÃES, Antônio Sérgio, Classes, raças e democracia, São Paulo, Ed. 34, 2002.
4 NORA, Pierre, Les lieux de mémoire, Paris, Gallimard, 1984.
5 De ANDRADE, João Batista, O Homem que virou suco, Raíz Produções Cinematográficas, Brasil, 1980, 97’.
6 BIANCHI, Sérgio, Mato eles?, Sérgio Bianchi Produções Cinematográficas, Brasil, 1982, 34’.
7 FURTADO, Jorge, GOULART, José Pedro, O Dia em que Dorival encarou a guarda, Luz produçoes, Brasil, 1985, 14’.
8 HALBWACHS, Maurice, La mémoire collective, Paris, PUF, 1950.
9 POLLAK, Michael, «Memória, Esquecimento, Silêncio» in Estudos Históricos, 2, 3/1989, pp. 3-15.
10 APPADURAI, Arjun, «The past as a scarce resource» in Man. New Series, 16, 2/1981, pp. 201-219.
11 POLLAK, Michael, op. cit., p. 5.
12 Il premio Operário-Padrão nacque nel 1955 per iniziativa del giornale «O Globo» L’intento era quello di esaltare la disciplina, la devozione e la competenza dimostrate sul posto di lavoro e la scelta avrebbe dovuto premiare un lavoratore che avesse ottenuto tanto l’ammirazione dei colleghi quanto il riconoscimento del suo impegno da parte della impresa. Inizialmente il concorso era limitato al solo Stato di Rio de Janeiro, ma venne esteso, dall’anno successivo anche ad altri Stati. Come premio, l’Operário Padrão riceveva un distintivo d’oro e un diploma rilasciato dal giornale e dalla Federazione degli Industriali. Il concorso cambiò nome solamente nel 1987, quando divenne “operário Brasil”, e, successivamente, nel 1996 quando venne ribattezzato come “Prêmio Sesi de Qualidade no Trabalho” [N.d.T.].
13 Il repente è un genere artistico in cui due cantanti si alternano nel declamare versi improvvisati accompagnandosi con il pandeiro (un tamburello) o con la chitarra [N.d.T.].
14 Il pau-de-arara è un camion adattato per il trasporto di persone; nel Nordeste viene ancora impiegato per il trasporto illegale dei lavoratori. Il termine originariamente designava un bastone utilizzato per portare pappagalli e altri uccelli [N.d.T.].
15 BARTH, Fredrik, Grupos étnicos e suas fronteiras, in POUTIGNAT, Philippe, STREIFF-FENART, Jocelyne (Orgs.), Teorias da Etnicidade seguido de grupos étnicos e suas fronteiras de Fredrik Barth, São Paulo, Fundação Editora da UNESP, 1998, pp. 185-227.
16 L’idea di analizzare la segregazione dei nordestini in comparazione con il pregiudizio sperimentato quotidianamente dalla popolazione nera ci è stata fornita da GUIMARÃES, Antônio Sérgio Alfredo, O mito anverso: o insulto racial in ID., Classes, raças e democracia, São Paulo, Editora 34, 2002, pp. 169-195.
17 RAMOS, Luciano, «Suco nacional, direto e bem-humorado», in Folha de São Paulo, 16 dicembre 1980, p. 31.
18 “Cabra macho” – ovvero, letteralmente, “caprone” – è un’espressione nordestina che indica un uomo valoroso e battagliero [N.d.T].
19 ELIAS, Norbert, O Processo Civilizador, Rio de Janeiro, Jorge Zahar, 1994.
20 HALL, Stuart, The work of representation, in ID., (org). Representation: Cultural Representations and Signifying Practices, London, Sage, 1997, pp. 1-47.
21 La Divisão de Censura de Diversões Públicas era responsabile per la valutazione dei film brasiliani prima della loro diffusione e dei film stranieri prima che venissero proiettati in Brasile. Durante la ditadura civile-militare, la DCDP fu un dipartimento interno della Polizia Federale. Menzioneremo questo organismo nel corso del testo con la sigla DCDP.
22 Valutazione 4721/80, disponibile all’URL: < http://www.memoriacinebr.com.br > [Consultato il 2 febbraio 2012].
23 CAPUZZO, Heitor, «O Homem que virou suco: cinema popular legítimo» in Diário do Grande ABC, 8 gennaio 1981.
24 Valutazione 2733/82, disponibile all’URL: < http://www.memoriacinebr.com.br > [Consultato il 2 febbraio 2012].
25 BARTH, Fredrik, op. cit.
26 FREIRE, Mariana Baltar, Realidade lacrimosa: diálogos entre o universo do documentário e a imaginação melodramática, Tesi di Laurea magistrale di Scienze della comunicazione della Universidade Federal Fluminense, 2007.
27 Intervista di João Batista de Andrade a Orlando Fassoni. Jornal da Tarde, 15 dicembre 1980.
28 La FUNAI (Fundação Nacional do Índio) è l’organismo responsabile per l’amministrazione delle riserve indigene brasiliane.
29 SOMMER, Doris, Ficções de fundação: os romances nacionais da América Latina, Belo Horizonte, UFMG, 2004.
30 L’Archivio della DCDP è custodito dall’Arquivo Nacional, a Brasilia.
31 SIMÕES, Inimá, Roteiro da intolerância: censura cinematográfica no Brasil, São Paulo: SENAC, 2004.
32 POLLAK, Michael, op. cit.
33 Nella collezione della Biblioteca della FUNARTE troviamo nove reportages giornalistici apparsi su giornali molto diffusi nelle capitali, sulla censura nei confronti del film. Cfr: PEREIRA, Edmar, «O documentário sobre os índios, interditado pela censura», in Jornal da Tarde, 20 aprile 1983; «Outra Proibição», in Painel da Ilustrada, Folha de São Paulo, 20 aprile 1983; «Censura Federal proíbe o filme “Mato Eles?”», in O Estado de São Paulo, 21 aprile 1983; «Censura aumenta arrocho e proíbe “Mato eles”», in O Dia, 21 aprile 1983; «Diretora da Censura proíbe “Mato Eles”», in Correio do Povo, 21 aprile 1983; «Censura proíbe filme Mato Eles», in Última Hora, 21 aprile 1983; «“Mato Eles?” proibido, surpresa para Bianchi», in Folha de São Paulo, 22 aprile 1983; «Anacronismo», in Painel da Ilustrada, Folha de São Paulo, 26 aprile 1983; «A subversão indígena», in Isto é, 27 aprile 1983.
34 O Estado de São Paulo, 21 aprile 1983, p. 20 [corsivo nostro].
35 Decissione numero 78/83, che compare a p. 24 del procedimento relativo al film nell’archivio della DCDP.
36 ARAÚJO, Rubens, «Dorival vive num filme antológico», in Jornal de Brasília, 12 ottobre 1988.
37 GUIMARÃES, Antônio Sérgio Alfredo, Classes, raças e democracia, São Paulo, Ed. 34, 2002.
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Notizia bibliografica digitale
Pedro Vinicius Asterito Lapera, «Frammenti di dolore: violenza razziale-etnica nel cinema brasiliano durante la fase finale della dittatura militare (1979-1985)», Diacronie [Online], N° 24, 4 | 2015, documento 10, online dal 29 décembre 2015, consultato il 10 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/3745; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/diacronie.3745
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