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HomeNumeriN° 9, 1II. Socialdemocratici e laburistiGuardare lontano

II. Socialdemocratici e laburisti
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Guardare lontano

Modelli, esplorazioni e collaborazioni internazionali del movimento di Unità Popolare (1953-1957)
Roberto Colozza

Abstract

Movimento politico-culturale ispirato al Partito d’Azione, Unità Popolare (UP) mirava ad essere il fulcro della “terza forza” italiana, di fatto schiacciata dal bipolarismo ideologico della guerra fredda. UP cercò fuori dai confini nazionali i contenuti di un’idea di democrazia a metà strada tra il pragmatismo socialdemocratico e il socialismo illiberale sovietico. Questa terza via tra i blocchi prese le sembianze di diversi ed eterogenei modelli, definibili secondo due filoni ideali: il “progressismo riformatore” – laburismo britannico e “deuxième gauche” francese – e il “progressismo rivoluzionario” – Jugoslavia e Cina. Gli uomini di UP esplorarono queste realtà, stabilendo contatti e collaborazioni che compongono un quadro delle sfaccettate matrici ideali del socialismo liberale postbellico.

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  • 1 MERCURI, Lamberto (a cura di), Il movimento di Unità Popolare, Carecas, Roma 1978. Cfr. anche RISSO(...)

1Unità Popolare (UP) fu una formazione politica di ascendenza azionista, sorta in prossimità delle elezioni generali del 1953 dalla scissione delle ali sinistre del PSDI e del PRI e dal contributo del movimento di Giustizia e Libertà, ricreato per l’occasione da Carlo Cassola nel grossetano. Oppostasi all’introduzione della legge di riforma elettorale nota come “legge truffa”, UP si eresse a difesa dell’ordinamento costituzionale repubblicano e dei valori della Resistenza, apparentemente messi in pericolo dall’iniziativa del governo centrista. Una volta terminate le operazioni elettorali, UP sopravvisse all’evento per cui era sorta, organizzandosi come federazione dei suoi due maggiori elementi costitutivi: il Movimento di Autonomia Socialista (MAS o AS), che raggruppava gli ex socialdemocratici e socialisti – Tristano Codignola, Paolo Vittorelli, Antonio Greppi, etc. – e l’Unione di Rinascita Repubblicana (URR), comprendente gli ex repubblicani ed un gruppo di indipendenti laici, tra cui Ferruccio Parri, Arturo Carlo Jemolo, Leo Valiani1.

  • 2 Una breve sintesi circa i caratteri della “terza forza” è in MERCURI, Lamberto, La “terza forza”, i (...)

2UP costituì per il tempo di una legislatura un laboratorio di dibattiti e idee intorno al concetto di “terza forza” ed ai modi per renderlo operativo nel contesto della guerra fredda2. Composta da intellettuali, giornalisti, scrittori, oltreché da politici e sindacalisti, UP vantava un’elevatissima caratura intellettuale, inversamente proporzionale all’esigua consistenza numerica degli iscritti. Liberi da fedeltà di partito e ricchi di una curiosità culturale che li rendeva attenti osservatori dei fenomeni del proprio tempo, gli uomini di UP furono originali analisti della scena politica globale. Fautori di un neutralismo geopolitico senza sbocchi pratici per via della logica cogente dei blocchi, essi cercarono fuori dai confini d’Italia quei soggetti – partiti, Stati, uomini politici – che sembravano loro esprimere, con modalità e stile variabili, i contenuti della “terza forza”. Le divisioni ideologiche tra repubblicani e socialisti, che determinarono non poche frizioni dentro UP in relazione alla vicende della cronaca politica nazionale, tendevano a stemperarsi quando il dibattito si allargava al panorama internazionale.

3Figlia dell’eclettismo azionista, UP si sentiva liberale ma non era anticomunista; rifuggiva il frontismo delle sinistre “operaie” italiane, ma operava per uno smarcamento del PSI dal PCI e per la costruzione di una forza riformista di respiro europeo in Italia; stigmatizzava la crudezza del socialismo reale sovietico, ma guardava con interesse ad alcune esperienze socialiste eterodosse nel mondo. Questa versatilità era acuita dalla libertà di movimento degli affiliati di UP, che, sottratti alla disciplina di gruppo, erano ognuno espressione personale di un’idea di “terza forza”. Pur decisamente europeista e federalista, UP si schierò, salvo poche eccezioni, contro la Comunità Europea di Difesa (CED) e l’Unione Europea Occidentale (UEO), che lesse come strumenti di dominazione atlantista sull’Europa; allo stesso tempo, alcuni esponenti di UP oppostisi alla CED erano membri dell’Associazione italiana per la libertà della cultura (AILC), sezione italiana del Congress for Cultural Freedom (CCF), che fu l’arma di propaganda statunitense nella guerra fredda. Una così disinvolta interpretazione del neutralismo nasceva dall’idea che lo scontro tra blocchi fosse una lotta tra sistemi di pensiero incompatibili tra loro, ma rispettabili, ancorché migliorabili, se studiati nei rispettivi contesti. L’incomunicabilità tra est e ovest non era dunque una fatale necessità dei tempi, ma l’esito contingente di un’incapacità di conoscersi e confrontarsi, di una «guerra di cervelli», come la chiamò Max Salvadori in una sua lettera da New York apparsa sul periodico di UP, «Nuova Repubblica»:

  • 3 SALVADORI, Max, «Lettere dall’America. Guerra di cervelli», in Nuova Repubblica, 4, 25 febbraio 195 (...)

Quando i cervelli se ne sono andati per vie diverse, manca la possibilità di dialogo. […] quelli che sinceramente credono di essere au dessus de la mélée e che ambiscono a rappresentare la terza forza, farebbero bene a lavorare su quello che più conta: i cervelli. Se si riesce a ragionare, e per ragionare si usa lo stesso metodo, si troveranno delle soluzioni; se non ci si riesce, le cose possono mettersi male.3

  • 4 Quando Nuova Repubblica passò dalla cadenza quindicinale a quella settimanale, nel maggio 1955, la (...)
  • 5 VITTORELLI, Paolo, «Liberalizzare lo Stato per socializzare l’economia», in Nuova Repubblica, 7, 5 (...)

4Il “ragionamento”, la curiosità intellettuale e l’assenza di pregiudizi ideologici sono alla base dell’ampio spettro di modelli internazionali che UP studiò o a cui si ispirò. Lo sguardo oltre confine fu una costante di UP, dimostrata, tra l’altro, dalla frequenza di articoli di politica internazionale sulla stampa di riferimento e dall’esistenza di una rubrica come “15 giorni nel mondo” curata per «Nuova Repubblica» da Paolo Vittorelli4. È possibile individuare due poli dominanti nella mappa ideale di UP: uno legato agli esempi di “progressismo riformatore” di stampo liberale; l’altro connesso ai casi di “progressismo rivoluzionario” presenti in alcuni paesi socialisti. Del primo gruppo facevano parte le forze politiche che meglio incarnavano gli obiettivi generali del programma di riforma immaginato da UP. Al centro della proposta di programma vi erano tre elementi-chiave: la riforma dello Stato attraverso lo snellimento degli apparati ministeriali, il potenziamento degli enti locali e delle collettività territoriali, la soppressione dei prefetti; la riforma della burocrazia, così da attribuire a quattro grandi settori – IRI, Cassa del Mezzogiorno, enti di riforma agraria, assicurazioni sociali – il profilo di un «moderno consorzio industriale»; infine la riforma dell’economia, col passaggio allo Stato della gestione dell’energia elettrica, della rete telefonica e della marina mercantile5.

  • 6 VITTORELLI, Paolo, «Laburismo bifronte», in Nuova Repubblica, 13, 5 giugno 1955.

5I laburisti britannici furono un punto di riferimento naturale, in quanto modello per le riflessioni che avevano portato Carlo Rosselli a formulare la teoria del socialismo liberale, a sua volta componente ideologica della corrente socialista di UP e patrimonio ideale dell’intero movimento. Nella percezione di UP, il Labour era un esempio insuperato di come si potessero unire gli interessi del proletariato e del ceto medio in un progetto politico di respiro nazionale. Ciò non lo rendeva immune, tuttavia, dal rischio di perdere la propria specificità. La crisi recente dei laburisti, all’opposizione dal 1951, era il segno di un’involuzione che li faceva assomigliare agli incompiuti partiti socialisti del continente, vittime del «giuoco frazionistico» e della cronica divisione tra «massimalisti e riformisti». La sfida del laburismo come dell’intero movimento dei lavoratori occidentale consisteva nel dimostrare la compatibilità tra riformismo socio-economico e libertà politica. «È una dimostrazione difficile», puntualizzava Vittorelli in un suo articolo di commento alle recenti elezioni britanniche, «ma finché la dimostrazione non sarà fatta – in Inghilterra come altrove – un individualismo liberistico a sfondo reazionario ma di parvenza liberale continuerà a trionfare»6.

  • 7 VITTORELLI, Paolo, «Il congresso dei laburisti», in Nuova Repubblica, 33, 23 ottobre 1955.

6Più di ogni altro partito socialista occidentale, il Labour aveva l’autorevolezza per poter indicare la via del socialismo moderno. La posta in palio era alta, tale da porre in gioco il destino stesso del socialismo come visione del mondo. Sul tappeto, tre alternative: o ridurre il socialismo a tecnica empirica, a pratica gestionale; o sublimarlo in un’utopia volta a creare una «società ideale statica»; o, come auspicato dai socialisti di UP, renderlo «un processo di rinnovamento permanente della società e degli uomini» finalizzato al «perfezionamento umano»7. Emblema di questo socialismo armonico a metà strada tra la gestione e la rivoluzione era Clement Attlee, il leader laburista che aveva condotto il partito alla vittoria nelle prime elezioni postbelliche ed aveva poi governato fino al 1951, attuando una serie di riforme che furono la base dello Stato sociale britannico per alcuni decenni. Nel recensire le memorie di Attlee, pubblicate da Garzanti in edizione italiana, Vittorelli tracciò un profilo encomiastico dell’uomo, sottolineandone, più ancora che le virtù politiche, i pregi morali. La sobrietà, l’onestà, la coscienziosità di Attlee divenivano così la sintesi di un modello di statista ben lontano dalle consuetudini italiane ma quanto mai auspicabile ai vertici della cosa pubblica:

  • 8 Recensione di ATTLEE, Clement, La mia vita, Milano, Garzanti, 1955 curata da VITTORELLI, Paolo, in (...)

In un paese come il nostro, dove ogni individuo si sente un deus ex machina, senza il cui concorso il paese andrebbe alla perdizione sicura, dove non v’è uomo politico democratico o socialista che non commetta il peccato d’orgoglio di difendere la libertà individuale in generale solo per potere con prepotenza affermare in modo anarchico la propria libertà, in un paese dove sotto l’individualismo democratico o socialista di ciascuno rischia di palpitare il cuore di un Mussolini in potenza, non si riesce a capire che un capopartito o che un capo di governo socialista sia semplicemente l’espressione […] degli ideali e delle masse che rappresenta.8

  • 9 Per una definizione della “deuxième gauche” cfr. DUCLERT, Vincent, La ‘deuxième gauche’, in BECKER, (...)

7Se il Labour fu il partito-bussola di UP, la Francia rappresentò il paese maggiormente studiato, tanto che ad essa fu consacrata per lungo tempo un’apposita rubrica su «Nuova Repubblica» chiamata, per l’appunto, «Cose di Francia». Più che la Francia in quanto Stato, ciò che interessava a UP erano i fermenti politici della scena transalpina. In particolare, l’attenzione di UP fu catturata dalla cosiddetta deuxième gauche, formula coniata a posteriori da Michel Rocard che ne fu a sua volta uno dei protagonisti. Per “deuxième gauche” si intende quella costellazione di movimenti, club, associazioni, riviste che nel corso degli anni Cinquanta si pose come terza via della sinistra francese tra il socialismo governativo della SFIO ed il comunismo filosovietico del PCF9. Nell’ambito della “deuxième gauche”, il personaggio più amato da UP fu di gran lunga Pierre Mendès France, leader radicale cresciuto politicamente durante la Terza Repubblica e assurto sotto la Quarta Repubblica al ruolo di mentore del più avanzato progressismo liberale.

  • 10 Su Mendès France, si vedano ROUSSEL, Eric, Pierre Mendès France, Paris, Gallimard, 2007 e BEDARIDA, (...)
  • 11 Si veda il discorso di Mendès France, Siamo nel 1789, in Nuova Repubblica, 19, 5 ottobre 1953; ANDR (...)
  • 12 VITTORELLI, Paolo, «La via dell’Europa», in Nuova Repubblica, 26, 4 settembre 1955. Sulla posizione (...)

8Durante il suo breve ma carismatico mandato di Presidente del Consiglio, protrattosi dal giugno 1954 al febbraio 1955, Mendès France condusse in porto gli accordi di Ginevra del luglio 1954 che misero termine alla guerra francese in Indocina e si oppose ad alcuni contenuti del progetto CED, favorendone la bocciatura da parte dell’Assemblée Nationale nell’agosto 195410. Questi eventi di rilevanza internazionale, sommati alla forte connotazione perequativa della politica economica e sociale di Mendès France, resero il leader francese un esempio di buongoverno per UP, che gli dedicò un’attenzione partecipe e costante11. Va da sé che la fredda accoglienza mostrata da Mendès France per la CED fu motivo di aspre critiche da parte di quel settore della “terza forza” che anteponeva le ragioni dell’Europa federata a quelle della distensione internazionale e dell’equidistanza tra i blocchi. Aldo Garosci, il periodico «Il Mondo» ed il Movimento federalista europeo (MFE), che pure contava al proprio interno vari iscritti di UP tra cui lo stesso Parri, attaccarono il primo ministro francese con la stessa veemenza con cui questi venne sostenuto da UP12.

  • 13 FAGIUOLI, Andrea, «Un governo di sinistra liberale in Francia», in Nuova Repubblica, 2, 25 gennaio (...)

9Nei mesi in cui Mendès France fu al governo, i ragguagli circa il suo operato costellarono la stampa periodica di UP. Intorno a sé ed al proprio periodico, «L’Express», Mendès France aveva creato una singolare coalizione di sostenitori, che andava dai radicali ai movimenti della “deuxième gauche”, ai gollisti di sinistra come André Malraux o Jacques Soustelle fino ai cattolici progressisti come François Mauriac, il noto scrittore e giornalista insignito del premio Nobel nel 1952. UP apprezzava le virtù d’ibridatore politico mostrate da Mendès France, capace di compiere oltralpe quel che i neoazionisti avrebbero voluto realizzare in Italia. Il governo Mendès France sembrava aver dato vita ad una sinistra liberale che, indipendentemente dagli steccati ideologici, recuperava la tradizione rivoluzionaria del 1789, la combinava con l’umanesimo socialista sviluppato da Jean Jaurès e Léon Blum, per farla sfociare in un new deal del tutto originale nel panorama francese e foriero di novità suscettibili di mutare forse l’andamento della politica europea13.

  • 14 FUBINI, Guido, «Mendès France ha vinto», in Nuova Repubblica, 3, 10 febbraio 1955, pp. 4-5.
  • 15 VITTORELLI, Paolo, «Un’esperienza duratura», in Nuova Repubblica, 3, 10 febbraio 1955, p. 5. Si ved (...)

10Quando il governo Mendès France cadde sul voto circa alcune riforme in tema di amministrazione coloniale in Nord Africa, Guido Fubini tessé le lodi del presidente uscente, celebrandone la “vittoria morale”. Una volta “usato” come frontman per far passare misure scomode agli occhi dell’opinione pubblica – tra queste l’UEO, che implicò la ricostituzione dell’esercito tedesco – Mendès France, secondo Fubini, era stato vittima di un’Assemblée Nationale lontana dall’apprezzarne lo stile innovatore e deciso14. Sulla stessa lunghezza d’onda si pose Vittorelli, secondo il quale l’esperienza di governo prematuramente interrotta aveva lasciato comunque un segno forte sulle istituzioni della Quarta Repubblica e su un’opinione pubblica logorata dal grigiore parlamentare. Conciliando un alto stile di governo con il fascino del comunicatore, Mendès France era stato l’unico primo ministro francese del dopoguerra ad incontrare i favori dell’elettorato mostrando stoffa di statista15.

  • 16 ALADINO [Umberto Segre], «Un radicale moderno», in Nuova Repubblica, 9, 8 maggio 1955, p.2.
  • 17 ALADINO [Umberto Segre], «Itinerario d’obbligo», in Nuova Repubblica, 17, 3 luglio 1955.
  • 18 LUZZATTO, Gino, recensione di MENDÈS FRANCE, Pierre, ARDANT, Gabriel, Teoria economica e azione pol (...)

11Le speranze di UP in una vittoria del loro beniamino in occasione delle elezioni politiche del 1956 furono tradite. Di lì a poco, la Quarta Repubblica sarebbe crollata sotto i colpi della guerra in Algeria, aprendo la strada al ritorno di De Gaulle ai vertici istituzionali. Per qualche tempo, Mendès France ed il mendésisme furono le unità di misura del buongoverno per UP, che ne cercò i possibili eredi a sud delle Alpi. Colui che più di altri parve avvicinarsi al profilo dello statista francese fu Giovanni Gronchi, descritto a poche settimane dall’elezione a presidente della Repubblica come l’uomo politico italiano che, con Nenni, meglio incarnava la figura del «radicale moderno»16. Al contrario, era prematuro pensare che Antonio Segni, intento ad assumere le funzioni di presidente del Consiglio, avesse l’intenzione di avviare un «tentativo di mendesismo italiano»: troppo vago era ancora il profilo del protagonista, poco chiara la sua statura di riformatore17. Studiato anche nella sua produzione tecnico-teorica18, Mendès France fu evocato nelle settimane che precedettero la nascita del Partito radicale. Al nuovo partito, sorto dall’iniziativa della rivista «Il Mondo» e dalla scissione dell’ala sinistra del PLI, aderirono vari esponenti dell’ala laico-repubblicana di UP, tra cui Piccardi, Valiani e Vindice Cavallera. Il loro distacco da UP suscitò ampi dibattiti intorno alle sorti del socialismo liberale ed ai rapporti tra la stessa UP ed il PR. Il mendésisme fu evocato da Umberto Segre come caso virtuoso di un radicalismo aperto alle ragioni del socialismo, laddove il radicalismo italiano pareva trovare la propria ragion d’essere proprio nell’antagonismo col socialismo, fosse anche quello liberale propugnato dal MAS:

  • 19 ALADINO [Umberto Segre], «Lo specchio francese», in Nuova Repubblica, n. 40 (88), 11 dicembre 1955.

Quale che sia il successo (maggiore o minore un successo non mancherà) del mendesismo, esso darà fiato alle forme e alle voci del radicalismo italiano; ed è sperabile che l’esempio mendesiano lo sospinga a chiarire le sue posizioni verso il socialismo, che, presso i nostri neoradicali, resta il punto meno esplorato e più sospeso.19

  • 20 GEORGI Frank, L’invention de la CFDT, 1957-1970, Paris, Les Editions de l’Atelier/CNRS éd., 1995; R (...)
  • 21 Istituto Storico della Resistenza in Toscana (d’ora in poi ISRT), Tristano Codignola, corrispondenz (...)
  • 22 GONIN, Marcel, «Il congresso della CFTC. Aperture a sinistra», in Nuova Repubblica, 17, 3 luglio 19 (...)
  • 23 CESA, Claudio, Apostolato cattolico e condizione operaia. Testimonianze e documenti sui preti opera (...)

12Mendès France non fu l’unico esponente della “deuxième gauche” a destare l’interesse di UP, alimentato dalle proprie teste di ponte oltralpe. Il filosofo Claudio Cesa, per tre mesi a Parigi nel 1954 grazie ad una borsa ministeriale, ed il giornalista Andrea Fagiuoli, nella capitale francese tra il 1955 ed il 1956, furono assidui corrispondenti di Codignola. Essi inviavano in Italia impressioni e articoli, e tessevano rapporti con il mondo della sinistra critica francese, in particolar modo con esponenti del sindacalismo cristiano, che viveva allora in Francia un processo di laicizzazione e radicalizzazione ideologica destinato a sfociare nel 1964 nella trasformazione della Confédération française des travailleurs chrétiens (CFTC) in Confédération française démocratique du travail (CFDT)20. La corrente “Reconstruction” in seno alla CFTC, il periodico «La Nef», il movimento Jeune République, a sua volta erede del Sillon di Marc Sangnier, furono altrettanti interlocutori di UP21, desiderosa d’importare in Italia l’ibridazione cattolico-socialista già così avanzata in Francia. Un dirigente di “Reconstruction”, Marcel Gonin, si recò a Firenze per incontrare Codignola e fu poi ospitato da «Nuova Repubblica» proprio per illustrare l’apertura a sinistra che si stava verificando nel mondo sindacale cattolico francese22. L’intenzione di UP, e soprattutto del MAS, era quella di favorire la formazione di un polo cattolico-sociale alternativo alla DC e disponibile ad appoggiare un PSI riformista. Ciò giustifica la curiosità verso esperienze estreme di apostolato cattolico. Durante il suo soggiorno parigino e grazie anche alle sue frequentazioni in loco, Cesa raccolse il materiale sufficiente per la stesura di un libro sui preti operai, che fu tra le prime analisi in italiano di uno dei più importanti fenomeni del cattolicesimo preconciliare23.

  • 24 «L’Italie bouge», in Esprit, 9, septembre 1955. Secondo l’ordine della «table des matières», gli ar (...)

13Lo scambio tra UP e la scena politico-culturale parigina non fu univoco. «Esprit», la rivista fondata dall’esponente del personalismo cristiano Emmanuel Mounier e divenuta negli anni Cinquanta uno dei più prestigiosi periodici francesi, pubblicò nel settembre 1955 un numero monografico dedicato all’Italia, dal titolo «L’Italie bouge» (l’Italia si muove). Aperto da una breve introduzione di Jean-Marie Domenach, allora redattore capo di «Esprit», il numero raccoglie le firme di vari esponenti e fiancheggiatori di UP: Riccardo Bauer, Umberto Segre, Tristano Codignola, Enzo Enriques Agnoletti, Arturo Carlo Jemolo24. A parte l’articolo di Bauer, dedicato al tema dell’emigrazione come filo rosso della storia dell’Italia unita, gli interventi degli altri esponenti sono di analisi politica. Segre tracciò un profilo del PSI; Codignola scrisse delle «chances d’avenir» del socialismo italiano; mentre ad Enriques Agnoletti fu affidato il saggio sul Pci. L’intervento più importante sul piano programmatico fu quello di Jemolo su «Les Catholiques non-conformistes», particolarmente attinente al profilo ideologico della stessa «Esprit» e rappresentativo di una categoria politica a cui UP e gli autonomisti del PSI guardavano come ad un possibile bacino di consenso.

  • 25 Tracce documentali dell’attività di UP nell’ISSS sono rinvenibili presso gli archivi dell’ISRT, Tri (...)

14UP riuscì poi ad inserirsi nelle operazioni per la creazione dell’International Society for Socialist Studies (ISSS), un organismo politico-culturale creato nel 1957 dopo circa due anni di riunioni preparatorie. Si trattava di una sorta di società fabiana internazionale, alla cui fondazione contribuirono soprattutto lo storico francese Ernest Labrousse, in rotta di collisione con la SFIO, e lo storico britannico G.D.H. Cole, a sua volta spostatosi su posizioni a sinistra del Labour. La ISSS, presente sia a Parigi che a Londra, costituì per qualche tempo il luogo d’interazione per alcuni dei maggiori esponenti del socialismo di sinistra in Europa, tra cui Lelio Basso. In seno all’ISSS, UP fu rappresentata da Carlo Doglio, ex azionista, notevole figura di urbanista e sociologo. Residente a Londra dal 1955 come collaboratore della BBC, Doglio divenne il rappresentante italiano presso l’ISSS e mantenne contatti prevalentemente epistolari con la direzione nazionale di UP25.

  • 26 DREYFUS, Michel, L’Europe des socialistes, Bruxelles, Complexe, 1991, p. 234.
  • 27 VITTORELLI, Paolo, «Autonomia jugoslava», in Nuova Repubblica, 14, 12 giugno 1955, p. 5.

15Il socialismo britannico e francese rientrano in quel che abbiamo definito “progressismo riformatore”, un tipo di socialismo liberale che UP auspicava per l’Italia e che appariva adatto a democrazie pluraliste di avanzata tradizione. Ad esso erano speculari, nella visione di UP, quelle forme di “progressismo rivoluzionario” che si andavano realizzando nell’Europa ad est della cortina di ferro ed in Asia. Ciò che UP negava al comunismo occidentale, cioè il diritto a governare, essa concedeva a partiti omologhi al PCI o al PCF ma operanti in ambiti geopolitici “arretrati”. Il paese non filoamericano cui UP si legò di più fu la Jugoslavia. Dopo la rottura con l’URSS di Stalin, la Jugoslavia di Tito era divenuta un esempio virtuoso per molti socialisti democratici occidentali, ostili al comunismo filosovietico ed al socialismo “prosaico” della risorta Internazionale socialista (ex COMISCO)26. La Jugoslavia apparve allora il simbolo di una possibile terza via tra i blocchi del bipolarismo mondiale, la dimostrazione di un’indipendenza coraggiosa e sperimentale basata sulla contaminazione tra modelli economico-sociali, sulla disciplina civile, sulla testimonianza del recente passato partigiano. Anche dopo la morte di Stalin, quando ripresero le relazioni tra Jugoslavia ed URSS, lo Stato balcanico raccolse i consensi degli uomini di UP in quanto appariva capace di mantenere la propria autonomia dal colosso sovietico27.

  • 28 Si veda in merito WÖRSDÖRFER, Rolf, Il confine orientale. Italia e Jugoslavia dal 1915 al 1955, Bol (...)
  • 29 Il Ponte: Jugoslavia d’oggi, 8-9, agosto-settembre 1955. Sul ruolo de «Il Ponte» fino alla morte di (...)
  • 30 PARRI, Ferruccio, Saluto alla nuova Jugoslavia, in Il Ponte, 8-9, agosto-settembre 1949, pp. 1177-1 (...)
  • 31 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Leo Valiani, corrispondenza (ordine cronologico), 1954, 1.2.2, (...)

16I rapporti di UP con la Jugoslavia si intensificarono a partire dalla soluzione della questione triestina, che fino al 1954 rappresentò un nodo politico-diplomatico di notevole tensione tra Roma e Belgrado28. Da allora in poi, UP tessé relazioni strette con le autorità jugoslave: fu dato spazio a pubblicazioni ed iniziative culturali della federazione jugoslava sui mezzi di stampa di UP ed «Il Ponte», pubblicato da La Nuova Italia di Codignola ed alleato di UP, dedicò un numero speciale alla Jugoslavia. All’interno del fascicolo, si trovano le firme di varie personalità politiche dello Stato balcanico, tra cui Edvard Kardelj, e di intellettuali tra i quali il futuro premio Nobel Ivo Andrić29. Per sottolineare il carattere amichevole dell’iniziativa, il numero fu aperto da un editoriale di Parri, personaggio molto amato in Jugoslavia per via dei suoi trascorsi di capo partigiano30. Conoscitore diretto della Jugoslavia titina ed autore di vari articoli in merito apparsi su «Il Ponte», Leo Valiani curò i contatti tra la redazione del periodico fiorentino ed i collaboratori italiani e jugoslavi del numero speciale, questi ultimi coordinati a loro volta dalla legazione diplomatica jugoslava a Roma31.

17Tra le ragioni d’interesse nutrite da «Il Ponte» verso la Jugoslavia, Piero Calamandrei annoverò il desiderio di esplorare un sistema sociale ed economico che, con metodo diverso dall’Occidente liberale, tendeva al medesimo fine, quello di accrescere il benessere spirituale e materiale dei propri cittadini. Di fronte ai successi economici mietuti dal regime jugoslavo nei pochi anni trascorsi dalla fine della guerra, il regime parlamentare classico appariva un sistema istituzionale di relativa efficacia, adatto senza dubbio a garantire stabilità e progresso in determinati contesti come quello britannico, probabilmente non in altri. Tra questi ultimi c’era forse l’Italia:

  • 32 CALAMANDREI, Piero, «Franco colloquio», in Il Ponte, 8-9, agosto-settembre 1949, p. 1187.

la democrazia jugoslava non è la nostra democrazia: il nostro concetto di libertà politica è certamente diverso; noi non sappiamo concepire democrazia senza opposizione, né durevoli trasformazioni sociali senza pluralità di partiti. Il regime jugoslavo è certo in contrasto con queste premesse; ma è anche certo che il ritmo delle trasformazioni sociali è stato in Jugoslavia, in questo decennio, incomparabilmente più rapido e conclusivo che da noi. Di fronte a questi raffronti, i fedeli alla libertà e alla democrazia parlamentare, come siamo noi, passano talvolta momenti di perplessità. Per arrivare a un fondamentale rinnovamento economico della società e spezzare il monopolio della ricchezza (come si propone anche la Costituzione della Repubblica italiana) è strumento sufficiente il regime parlamentare?32

  • 33 ISRT, Piero Calamandrei, b. 22, fasc. 1, IV, lettera di Tristano Codignola a Piero Calamandrei, 13 (...)
  • 34 ISRT, Unità Popolare, b. 37, lettera di Luka Soldić alla direzione di «Nuova Repubblica», 11 novemb (...)
  • 35 ISRT, Unità Popolare, b. 13, fasc. 13; b. 18, fasc. 4.

18Prendendo spunto dal viaggio imminente di Piero Calamandrei in Jugoslavia finalizzato a raccogliere informazioni per la stesura del numero de «Il Ponte», Codignola chiese all’amico se non fosse possibile organizzare un’analoga visita per alcuni giovani di UP33. Prese corpo così l’idea di allestire una vera e propria trasferta-studio, col supporto delle autorità jugoslave e della rappresentanza diplomatica jugoslava a Roma34. Durante il mese di agosto 1955 otto giovani di UP parteciparono ad un viaggio di scambio in Jugoslavia, sotto il patrocinio della “Gioventù popolare jugoslava”, l’organizzazione giovanile del partito comunista. Dapprima i partecipanti furono ospitati in campeggio per due settimane a Zara per seguire dei corsi teorici e compiere attività sportive. Trascorsero la seconda metà del mese a visitare il paese. Nei loro spostamenti, essi ebbero modo di visitare le principali industrie locali, d’incontrare rappresentative di operai, di ricevere approfondimenti intorno all’organizzazione sociale ed economica del lavoro35.

  • 36 La citazione è in MORGANTI, Franco, «Viaggio in Jugoslavia. Pianeta sconosciuto (1a parte)», in Nuo (...)
  • 37 KRULIC, Joseph, Histoire de la Yougoslavie de 1945 à nos jours, Bruxelles, Complexe, 1993, pp. 41-1 (...)

19Durante il mese di settembre, apparvero su «Nuova Repubblica» i resoconti di uno dei giovani di UP partecipanti al viaggio-studio. Pur non sfociando in un’aperta apologia dello Stato balcanico, il racconto testimonia dell’infatuazione per un modello politico-sociale cui si attribuivano pressoché tutte le virtù dell’economia pianificata e del laissez faire liberista, della razionalizzazione dirigista e del decentramento autonomistico. Se da una parte si ammettevano alcune pecche strutturali del sistema, quali l’arretratezza dei mezzi di produzione agricola, d’altro canto si sottolineava il totale «rispetto delle libertà civili e politiche» garantito dallo Stato e la completa assenza di «costrizione» nell’opera di trasformazione cooperativistica delle proprietà fondiarie36. In realtà, lo sviluppo della Jugoslavia socialista, calcato fino alla fine degli anni Quaranta sul modello sovietico, fu fortemente condizionato dal persistente leninismo di Tito ed è lecito dubitare che la trasformazione socio-economica del paese si conciliasse con il pieno rispetto degli standard liberaldemocratici. Pochi mesi prima che UP iniziasse ad organizzare la propria visita in Jugoslavia, Milovan Djilas, ex leader partigiano e fautore dell’autogestione, veniva emarginato bruscamente dal partito e successivamente processato e condannato a causa del suo “sinistrismo” e delle accuse d’involuzione burocratica rivolte agli stessi dirigenti jugoslavi37.

20Altro esempio di rivoluzione socialista cui UP guardò con favore fu quello cinese. Fu proprio dalle file di UP che venivano alcuni dei membri della spedizione partita per la Cina nel settembre 1955 su invito dell’Associazione cinese per le relazioni culturali con l’estero. Composta da vari professori universitari, letterati, giornalisti ed artisti, la delegazione fu allestita dal Centro per le relazioni economiche e culturali con la Cina, un’istituzione sorta nel 1954 e presieduta da Parri. Del gruppo, guidato da Calamandrei, entrarono a far parte, tra gli altri, Norberto Bobbio, Cesare Musatti, Carlo Cassola, Franco Antonicelli, Franco Fortini, Antonello Trombadori ed Ernesto Treccani. Essi rimasero un mese in Cina visitando Pechino, vari centri industriali della Manciuria e le grandi città del sud – Shanghai, Hangzhou e Canton – ed ebbero la possibilità di interagire attraverso inchieste ed interviste con uomini politici e rappresentanti del mondo economico.

  • 38 HOLLANDER, Paul, Political Pilgrims. Travels of Western Intellectuals to the Soviet Union, China an (...)

21Questi viaggi rientrano a pieno titolo in quel singolare fenomeno che, tra politica e turismo, coinvolse durante il Novecento tanti militanti delle sinistre occidentali, desiderosi di visitare i paesi dove si era affermata la rivoluzione socialista. Propensi a valutare con favore le realtà sociali oggetto dell’esplorazione, questi «pellegrini politici» erano a loro volta accompagnati nella loro inchiesta da funzionari locali e seguivano un itinerario che consentiva di avere soltanto una visione parziale, a tratti oleografica, del paese ospitante38. Oltre che testimonianza di viaggio, i racconti e le impressioni dei protagonisti di queste esperienze sono anche la prova di un’idea di democrazia che travalicava i confini formali del liberalismo occidentale e cercava in un altrove geografico e ideale le radici di una possibile, nuova e più compiuta democrazia.

  • 39 «La Cina d’oggi», in Il Ponte, supplemento al fascicolo 4, aprile 1956, pp. 552-558.
  • 40 ROUX, Alain, La Chine contemporaine, Paris, Colin, 2010, p. 91.
  • 41 POLESE REMAGGI, Luca, «Pechino 1955. Intellettuali e politici europei alla scoperta della Cina di M (...)
  • 42 Il libro in questione è TUMIATI, Gaetano, Buongiorno Cina, Roma, Edizioni Avanti!, 1954. Cfr. la re (...)
  • 43 LAGORIO, Lelio, «Lenin a Pechino», in Nuova Repubblica, 24, 25 dicembre 1954.

22I giudizi sull’esperienza cinese, poi raccolti in gran parte in resoconti di viaggio, interventi autobiografici ed in un numero monografico de «Il Ponte»39, sono il sintomo di un’autentica fascinazione verso lo Stato asiatico. Sebbene a metà degli anni Cinquanta la Cina fosse ancora legata al modello sovietico per quanto riguarda la costruzione del proprio sistema socialista40, agli occhi di molti contemporanei essa sembrava aver realizzato la democrazia perfetta, immune sia dalla prosaicità della democrazia senza rivoluzione vigente in Occidente, sia dall’incompiuta rivoluzione senza democrazia presente nei paesi del cosiddetto «socialismo reale». Momento epocale nella storia del Novecento, la rivoluzione maoista pareva infondere nuova linfa al mito rivoluzionario otto-novecentesco, ormai logorato dallo stalinismo41. Indizi dell’interesse di UP per la nuova Cina sono testimoniati anche dall’attenzione per i primi testi d’analisi della situazione cinese, come ad esempio Buongiorno Cina di Gaetano Tumiati42; e da articoli di commento, come quello scritto da Lelio Lagorio a margine dell’approvazione della Costituzione cinese. Mao, secondo Lagorio, era il nuovo Lenin, la guida di un processo storico che ereditava il lascito della Rivoluzione d’ottobre e, anteponendo la fase «borghese» a quella socialista, realizzava la «Nuova Democrazia»: un compendio di valori socialisti e di «quegli ideali» – lo sviluppo della nazione, la riforma agraria, l’accesso al potere delle classi meno agiate – «che nel mondo occidentale sono (o dovrebbero essere) il retaggio del liberalismo»43.

23Movimento politico di notevole levatura intellettuale, UP fu tanto attenta alla politica internazionale quanto ampi furono gli orizzonti culturali dei suoi principali membri e fiancheggiatori. Spinta da un’onnivora curiosità di marcata impronta azionista, UP fu sensibile alle diverse declinazioni della “rivoluzione democratica”. L’osservatorio-UP recepì molte delle novità politiche del suo tempo e cercò di renderle visibili. Non sempre ne sviscerò i caratteri con cognizione di causa e talora cavalcò con sorprendente entusiasmo esperienze e circostanze meritevoli di giudizi più ponderati. La destalinizzazione chiarì, in un certo senso, i confini ideologici di UP perché contribuì al superamento del mito sovietico, cui UP peraltro non era mai stata sensibile, ed alla riaffermazione del socialismo autonomista come strumento di trasformazione sociale. In ambito italiano, la corrente nenniana nel PSI attirò le simpatie sempre più esplicite di UP, che a sua volta fu un sostegno esterno all’embrionale processo di emancipazione dei socialisti dal PCI. L’avvicinamento tra UP e PSI si compì sul finire del 1957, quando il piccolo movimento neo-azionista confluì nel partito socialista. Alcuni degli ex affiliati di UP, è il caso di Enzo Enriques Agnoletti e del suo impegno per la pace in Vietnam, avrebbero continuato a coltivare lo studio del socialismo extraeuropeo come possibile risposta all’omologazione politica dell’Occidente e come fonte per una cultura dei diritti civili che ampliasse il concetto di cittadinanza proprio della tradizione liberaldemocratica.

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Note

1 MERCURI, Lamberto (a cura di), Il movimento di Unità Popolare, Carecas, Roma 1978. Cfr. anche RISSO, Linda, «Una piccola casa libera. Gli azionisti di Unità Popolare», in Quaderno di storia contemporanea, 35, 2004. Sull’URR, cfr. TURBANTI, Adolfo, «Come la sinistra repubblicana contribuì al fallimento della “legge truffa”. Dall’Unione di rinascita repubblicana a Unità popolare», in Italia contemporanea, 252-253, settembre-dicembre 2008, pp. 453-465.

2 Una breve sintesi circa i caratteri della “terza forza” è in MERCURI, Lamberto, La “terza forza”, in DE LUCIA, Franco et al. (a cura di), L’Italia negli anni del centrismo 1947-1958, Roma, Acropoli, 1990, pp. 131-153. Per la diffusione della “terza forza”, importante fu l’omonimo convegno tenutosi a Milano pochi giorni prima delle elezioni del 18 aprile 1948. Gli atti dell’incontro sono pubblicati in versione pressoché integrale in MERCURI, Lamberto (a cura di), Sulla “Terza Forza”, Roma, Bonacci, 1985.

3 SALVADORI, Max, «Lettere dall’America. Guerra di cervelli», in Nuova Repubblica, 4, 25 febbraio 1955, p. 2.

4 Quando Nuova Repubblica passò dalla cadenza quindicinale a quella settimanale, nel maggio 1955, la rubrica fu ribattezzata “Sette giorni nel mondo”.

5 VITTORELLI, Paolo, «Liberalizzare lo Stato per socializzare l’economia», in Nuova Repubblica, 7, 5 aprile 1953.

6 VITTORELLI, Paolo, «Laburismo bifronte», in Nuova Repubblica, 13, 5 giugno 1955.

7 VITTORELLI, Paolo, «Il congresso dei laburisti», in Nuova Repubblica, 33, 23 ottobre 1955.

8 Recensione di ATTLEE, Clement, La mia vita, Milano, Garzanti, 1955 curata da VITTORELLI, Paolo, in Nuova Repubblica, 21 (69), 31 luglio 1955.

9 Per una definizione della “deuxième gauche” cfr. DUCLERT, Vincent, La ‘deuxième gauche’, in BECKER, Jean-Jacques, CANDAR, Gilles (dir.), Histoire des gauches en France, vol. 2, Paris, La Découverte, 2005, pp. 175-189; SIRINELLI, Jean-François, Dictionnaire historique de la vie politique française au XXe siècle, Paris, PUF, 1995, s.v. «Deuxième gauche», a cura di SADOUN, Marc, pp. 355-356. Cenni sui contatti tra l’intellettualità francese ed UP sono in FORLIN, Olivier, Les intellectuels français et l’Italie, 1945-1955. Médiation culturelle, engagements et représentations, Paris, L’Harmattan, 2006, p. 273 et seq.

10 Su Mendès France, si vedano ROUSSEL, Eric, Pierre Mendès France, Paris, Gallimard, 2007 e BEDARIDA, François, RIOUX, Jean-Pierre (dir.), Pierre Mendès France et le mendésisme. L’expérience gouvernementale, 1954-1955, et sa postérité, Paris, Fayard, 1985.

11 Si veda il discorso di Mendès France, Siamo nel 1789, in Nuova Repubblica, 19, 5 ottobre 1953; ANDRICH, Giuseppe, Tutto su Mendès France, in Nuova Repubblica, 13, 5 luglio 1954; ID., Mendès France fra gli scogli; VITTORELLI, Paolo, Mendesismo, Gollismo e Fanfanismo, in Nuova Repubblica, 22, 25 novembre 1954; FUBINI, Guido, Mendès France ha vinto, in Nuova Repubblica, 3, 10 febbraio 1955.

12 VITTORELLI, Paolo, «La via dell’Europa», in Nuova Repubblica, 26, 4 settembre 1955. Sulla posizione di Mendès France in politica estera cfr. BOSSUAT, Gérard, L’Europe des Français, 1943-1959. La IVe République aux sources de l’Europe communautaire, Paris, Publications de la Sorbonne, 1996, pp. 223-258.

13 FAGIUOLI, Andrea, «Un governo di sinistra liberale in Francia», in Nuova Repubblica, 2, 25 gennaio 1955.

14 FUBINI, Guido, «Mendès France ha vinto», in Nuova Repubblica, 3, 10 febbraio 1955, pp. 4-5.

15 VITTORELLI, Paolo, «Un’esperienza duratura», in Nuova Repubblica, 3, 10 febbraio 1955, p. 5. Si veda anche ANDRICH, Giuseppe, «Ordinaria amministrazione», in Nuova Repubblica, 4, 25 febbraio 1955, p. 4.

16 ALADINO [Umberto Segre], «Un radicale moderno», in Nuova Repubblica, 9, 8 maggio 1955, p.2.

17 ALADINO [Umberto Segre], «Itinerario d’obbligo», in Nuova Repubblica, 17, 3 luglio 1955.

18 LUZZATTO, Gino, recensione di MENDÈS FRANCE, Pierre, ARDANT, Gabriel, Teoria economica e azione politica, Firenze, Unesco Sansoni, 1955, in Nuova Repubblica, 7, 10 aprile 1955, p. 8.

19 ALADINO [Umberto Segre], «Lo specchio francese», in Nuova Repubblica, n. 40 (88), 11 dicembre 1955.

20 GEORGI Frank, L’invention de la CFDT, 1957-1970, Paris, Les Editions de l’Atelier/CNRS éd., 1995; ROTMAN Patrick, HAMON Hervé, La Deuxième gauche. Histoire politique et intellectuelle de la CFDT, Paris, Seuil, 1984.

21 Istituto Storico della Resistenza in Toscana (d’ora in poi ISRT), Tristano Codignola, corrispondenza (categorie annuali), lettere di Tristano Codignola a Claudio Cesa, 6 marzo 1954 e 12 aprile 1954; lettere di Claudio Cesa a Tristano Codignola, 7 marzo 1954, 13 marzo 1954 e 27 marzo 1954.

22 GONIN, Marcel, «Il congresso della CFTC. Aperture a sinistra», in Nuova Repubblica, 17, 3 luglio 1955.

23 CESA, Claudio, Apostolato cattolico e condizione operaia. Testimonianze e documenti sui preti operai, Firenze, De Silva-La Nuova Italia, 1955. Si vedano anche ANDRICH, Giuseppe, «Fine dei preti-operai», in Nuova Repubblica, 3, 5 febbraio 1954; SCALIA, Gianni, «Preti in tuta. Fede e realtà operaia (1a parte)», in Nuova Repubblica, 23-24, 14 agosto 1955 e ID., «Preti in tuta. Esperienza positiva (2a parte)», in Nuova Repubblica, 25, 28 agosto 1955, p. 3.

24 «L’Italie bouge», in Esprit, 9, septembre 1955. Secondo l’ordine della «table des matières», gli articoli in questione sono: BAUER, Riccardo, «Emigration italienne»; SEGRE, Umberto, «Le parti socialiste italien»; CODIGNOLA, Tristano, «Les chances d’avenir du mouvement socialiste italien»; ENRIQUES AGNOLETTI, Enzo, «Forces et faiblesses du communisme italien»; JEMOLO, Arturo Carlo, «Les catholiques non-conformistes». È presente anche il saggio SERINI, Paolo, «Aspects de la presse italienne». Liberale di sinistra, Serini fu tra i fondatori de La Consulta di Torino, circolo politico-culturale sorto nel 1952 e vicino agli ambienti di UP.

25 Tracce documentali dell’attività di UP nell’ISSS sono rinvenibili presso gli archivi dell’ISRT, Tristano Codignola, corrispondenza (categorie annuali), lettera di Guido Fubini a Tristano Codignola, 14 maggio 1957; lettera di Carlo Doglio a Tristano Codignola, 3 agosto 1957. Su Doglio, si veda MAZZOLENI, Chiara (a cura di), Carlo Doglio. Selezione di scritti, 1950-1984, Venezia, IUAV, 1992.

26 DREYFUS, Michel, L’Europe des socialistes, Bruxelles, Complexe, 1991, p. 234.

27 VITTORELLI, Paolo, «Autonomia jugoslava», in Nuova Repubblica, 14, 12 giugno 1955, p. 5.

28 Si veda in merito WÖRSDÖRFER, Rolf, Il confine orientale. Italia e Jugoslavia dal 1915 al 1955, Bologna, Il Mulino, 2009 [Ed. originale: Krisenherd Adria, 1915-1955, Paderborn, Schöningh, 2004].

29 Il Ponte: Jugoslavia d’oggi, 8-9, agosto-settembre 1955. Sul ruolo de «Il Ponte» fino alla morte di Calamandrei, cfr. POLESE REMAGGI, Luca, “Il Ponte” di Calamandrei, 1945-1956, Firenze, Olschki, 2001.

30 PARRI, Ferruccio, Saluto alla nuova Jugoslavia, in Il Ponte, 8-9, agosto-settembre 1949, pp. 1177-1183.

31 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Leo Valiani, corrispondenza (ordine cronologico), 1954, 1.2.2, fasc. 235, lettera di Giuseppe Pera a Leo Valiani, 26 dicembre 1954; 1954, 1.2.2, fasc. 236, lettera di Luka Soldić (addetto culturale della rappresentanza diplomatica jugoslava in Italia) a Leo Valiani, 15 novembre 1954 e di Marija Vilfan a Leo Valiani, 6 dicembre, 20 dicembre e 21 dicembre 1954.

32 CALAMANDREI, Piero, «Franco colloquio», in Il Ponte, 8-9, agosto-settembre 1949, p. 1187.

33 ISRT, Piero Calamandrei, b. 22, fasc. 1, IV, lettera di Tristano Codignola a Piero Calamandrei, 13 gennaio 1955.

34 ISRT, Unità Popolare, b. 37, lettera di Luka Soldić alla direzione di «Nuova Repubblica», 11 novembre 1954; la direzione di «Nuova Repubblica» a Luka Soldić, 18 novembre 1954; Luka Soldić a Tristano Codignola, 29 aprile 1954.

35 ISRT, Unità Popolare, b. 13, fasc. 13; b. 18, fasc. 4.

36 La citazione è in MORGANTI, Franco, «Viaggio in Jugoslavia. Pianeta sconosciuto (1a parte)», in Nuova Repubblica, 27, 11 settembre 1955, p. 3; ID., «Viaggio in Jugoslavia. Scoperta del liberismo (2a parte)», in Nuova Repubblica, 28, 18 settembre 1955. Cfr. anche FAGIUOLI, Andrea, «Lettera da Belgrado. Giovani nella politica», in Nuova Repubblica, 31, 9 ottobre 1955.

37 KRULIC, Joseph, Histoire de la Yougoslavie de 1945 à nos jours, Bruxelles, Complexe, 1993, pp. 41-102.

38 HOLLANDER, Paul, Political Pilgrims. Travels of Western Intellectuals to the Soviet Union, China and Cuba. 1928-1978, Oxford, Oxford University Press, 1981; HOURMANT, François, Au pays de l’avenir radieux. Voyages des intellectuels français en URSS, à Cuba et en Chine populaire, Paris, Aubier, 2000.

39 «La Cina d’oggi», in Il Ponte, supplemento al fascicolo 4, aprile 1956, pp. 552-558.

40 ROUX, Alain, La Chine contemporaine, Paris, Colin, 2010, p. 91.

41 POLESE REMAGGI, Luca, «Pechino 1955. Intellettuali e politici europei alla scoperta della Cina di Mao», in Mondo contemporaneo, 3, 2010, pp. 55-89.

42 Il libro in questione è TUMIATI, Gaetano, Buongiorno Cina, Roma, Edizioni Avanti!, 1954. Cfr. la recensione che ne fa Aurelio Penna in Nuova Repubblica, 23, 10 dicembre 1954.

43 LAGORIO, Lelio, «Lenin a Pechino», in Nuova Repubblica, 24, 25 dicembre 1954.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica digitale

Roberto Colozza, «Guardare lontano»Diacronie [Online], N° 9, 1 | 2012, documento 6, online dal 29 janvier 2012, consultato il 09 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/2968; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/diacronie.2968

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Autore

Roberto Colozza

Roberto Colozza è ricercatore post-doc presso il Centre d’Histoire de Sciences Po di Parigi nell’ambito di una borsa Marie Curie dell’UE (7° PQ). Tra le sue principali pubblicazioni: Repubbliche rosse. I simboli nazionali del Pci e del Pcf (1944-1953), Bologna, CLUEB, 2009 e Lelio Basso. Una biografia politica (1948-1958), Roma, Ediesse, 2010.
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