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V. Recensioni
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Fabio Fabbri, L’Italia cooperativa. Centocinquant’anni di storia e di memoria. 1861-2011

Giorgio Sacchetti
Notizia bibliografica:

Fabio Fabbri, L’Italia cooperativa. Centocinquant’anni di storia e di memoria. 1861-2011, Roma, Ediesse, 2011, 548 pp.

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Fabio FABBRI, L’Italia cooperativa. Centocinquant’anni di storia e di memoria. 1861-2011, Roma, Ediesse, 2011, 548 pp.Visualizza l'immagine
Credits: Fabio FABBRI, L’Italia cooperativa. Centocinquant’anni di storia e di memoria. 1861-2011, Roma, Ediesse, 2011, 548 pp.

1Sul labaro finemente ricamato in velluto e oro spiccano i cerchi della Triplice del Lavoro – sindacato, mutualità, cooperazione – sormontati dall’arcobaleno della pace, in sette colori. L’antico stendardo della “Lega” racconta un secolo e mezzo di sociabilità italiana, una storia che si giustappone a quella di una Nazione e del suo movimento operaio e contadino. Dalla pedagogia sociale ottocentesca all’impresa del terzo millennio, fra continuità e cambiamento. Fabio Fabbri, ordinario di Storia contemporanea all’Università di Roma Tre, membro scientifico dell’Istituto di studi cooperativi “L. Luzzatti”, studioso prolifico che ha dedicato una vita a queste specifiche tematiche (socialismo, movimento cooperativo, origini del fascismo), aggiorna, amplia e racchiude in questo suo volume alcuni fra i suoi precedenti contributi aggiungendone altri totalmente inediti. È la ricostruzione di un fenomeno socioculturale che ha marcato il lungo arco temporale delle “Tre Italie”, per proseguire poi fino al nuovo millennio. È una storia generale dalle radici profonde, misconosciuta per certi versi, che ha accompagnato l’intero percorso sociale ed economico del nostro paese. Si è trattato di un’evoluzione complessa, punteggiata da cesure traumatiche oppure da progressivi cambiamenti indotti dalle vicende politiche ed economiche, dalla natura dei rapporti fra classi subalterne e ceti dirigenti, cosìcche i caratteri originari e l’ispirazione stessa del movimento hanno subito mutazioni epocali. Risultante di un così lungo cammino è la realtà davvero importante che abbiamo sotto gli occhi. La cooperazione oggi produce il 7% del PIL e vanta nel paese 12 milioni di soci con oltre un milione e centomila occupati.

2Le origini di un’idea partecipativa e sociale dell’economia vanno ricercate nella Gran Bretagna dei primi decenni dell’Ottocento, nella pratica comunitaria sperimentale del lavoro, nella commistione fra predicazione utopistica del socialismo e filantropia dell’epoca proto industriale. Anzi, ci ricorda l’autore, fu proprio sulle pagine del « Cooperative Magazine » che, nel 1827, apparve per la prima volta il termine “socialistico”, appunto per definire l’attività svolta da quei lavoratori associati. Autogestione del lavoro come spontanea attitudine dal basso oppure espediente del controllo istituzionale? Nella ricerca emerge con chiarezza questa dicotomia. C’è un’usanza, quella di lavorare la terra collettivamente, che non è stata inventata a tavolino, ma che scaturisce da antiche pratiche contadine messe in atto da “plebi disperate”. E c’è anche una classe dirigente che, tramite una specifica legislazione che prende atto di tutto questo, si propone di utilizzare quella atavica propensione popolare al far da sé quale “provvisorio palliativo per attutire conflitti di ben più vasta portata”. Elemento ricorrente questo che riaffiorerà con frequenza quasi puntuale, fino alle occupazioni delle terre nel meridione d’Italia dopo il fascismo.

3L’Italia cooperativa è il titolo evocativo e di grande suggestione che Fabbri ha scelto per quest’opera riprendendolo da un articolo di Luigi Einaudi pubblicato sul «Corriere della Sera» (21 ottobre 1903). All’indomani di un importante congresso dei cooperatori l’illustre economista e futuro statista esprimeva il suo compiacimento per «[…] un risultato notevolissimo per un paese appena risorgente a nuova vita come l’Italia […]». In effetti l’età giolittiana, con le sue inusitate aperture volte ad allargare le basi dello Stato e a smussare anche l’ostilità preconcetta e antisistema delle grandi masse socialiste e cattoliche, con il varo di una specifica e avanzata legislazione, segnerà uno sviluppo pressoché inarrestabile di consorzi e cooperative. Fino ad arrivare, una volta superato il trauma terribile della guerra europea, a contarne oltre 15.000 nel 1920 (distribuite fra Lega, Confederazione e casse rurali).

4Il movimento certo vive anche le sue contraddizioni e si trova pienamente inserito nella logica del produttivismo. La vicinanza al mondo operaio e contadino nella stagione delle rivendicazioni e dei grandi sommovimenti popolari ha tuttavia caratterizzato questa forte presenza associativa, specie in determinate aree geografiche del paese. Colpita al cuore dall’assalto squadrista, la Lega delle cooperative sarà sciolta nel 1925 con provvedimento prefettizio del regime. Il nesso tra passato e presente è stabilito attraverso le figure leggendarie dei padri fondatori, ispiratori di un riformismo dai forti connotati proletari e bracciantili, peculiarmente italiano, anzi padano, lombardo, emiliano… In quell’area geografica il movimento svolge la sua funzione trainante, lì prende le mosse un laboratorio sociopolitico che si riverbererà con le sue sperimentazioni pedagogiche sul lungo periodo, lì si forma il corpus teorico di un’idea che ha i suoi profeti: da Giuseppe Massarenti a Camillo Prampolini, dagli organizzatori socialisti Dugoni e Nullo Baldini al sindacalista cattolico Guido Miglioli. Si tratta di autentici miti fondativi che svolgeranno nell’immaginario collettivo un’importante funzione identitaria, almeno fino agli Sessanta.

5A questo richiamo ideale è dedicata la seconda parte del libro, ossia alle realizzazioni pratiche e tangibili del movimento, oltre che al delinearsi dei suoi tratti teorici. E non manca un’interessante visuale di genere, ossia uno spazio dedicato al ruolo fondamentale delle donne nell’ambito del movimento cooperativo. Tale protagonismo è inquadrato quale «prima e decisiva tappa nel processo di emancipazione e di autonomia politica». Una lunga battaglia dunque ostacolata – secondo quanto scriveva (1888) il fondatore del Partito Operaio Italiano, Gnocchi Viani – da uno «spirito maschile politico così autoritario e così intollerante».

6La nuova sociabilità coinvolge i borghi rurali e forgia inedite cittadinanze nella civiltà industriale. Gli elementi di continuità, nonostante le cesure epocali, sono ben individuati dall’autore nei principi che nel tempo vengono comunque salvaguardati: autonomia, libertà di adesione, partecipazione paritaria, condivisione delle finalità sociali e del “ristorno”, istituto giuridico –quest’ultimo – attraverso il quale si realizza in modo compiuto lo stesso concetto di mutualità. È un sistema valoriale talmente connaturato nel movimento che riuscirà ad attraversare in maniera carsica la fascistizzazione (attuata con l’inquadramento corporativo in un apposito Ente nazionale) ed a mantenere indenne la memoria. Così nella fase della Ricostruzione le cooperative assumono, soprattutto nelle aree di antica tradizione, il ruolo centrale di motore dell’economia per la rinascita del paese e per il rinnovamento sociale. Heri dicebamus: l’associazionismo postfascista, se pur raccoglie in pieno l’eredità gloriosa del riformismo, opera anche per ridurre il gap tra la funzione sociale da svolgere per statuto e l’efficienza/efficacia tecnica-amministrativa produttiva da mantenere in quanto soggetto economico.

7Dopo un secondo dopoguerra caratterizzato dall’egemonia del Partito Comunista che durerà fino all’epoca del centro-sinistra, si assiste ad una fase di progressivo affrancamento della cooperazione dai tradizionali partiti di riferimento. L’acquisizione di un’autentica “cultura d’impresa” è la cifra di un rinnovamento che parte proprio dalle cosiddette “isole rosse”. Si chiude così una fase storica mentre ci si orienta verso i consorzi nazionali, con un forte impegno nella costruzione di opere pubbliche, verso una “cooperazione imprenditrice” volta anche ad assumere dimensioni internazionali e globalizzate. Nello snodo cruciale degli anni Ottanta si opta per l’accesso al mercato dei capitali; è una scelta obbligata per le nuove sfide, un cambiamento epocale degli assetti strutturali organizzativi e finanziari soprattutto. Così il profilo delle cooperative, pur mantenendo intatte le ispirazioni di principio delle origini, si trasforma in “moderna impresa” per giungere – superando l’ennesimo trauma che investe la società italiana (il collasso del sistema politico nel 1992) – al “salto nel Duemila” Da sempre Legacoop è considerata dai suoi dirigenti quale reale modello storico definito di “terza via” alternativa all’eterno dualismo Stato-Mercato, auspicio e forma applicata di un rinnovato protagonismo sociale che si dovrebbe realizzare nella imprenditorialità diffusa, ossia mediante il controllo democratico e la partecipazione. Più semplicemente la cooperazione come idea concepita dai padri fondatori, al netto delle sue evoluzioni moderne, potrebbe ancora rappresentare una possibile risposta globale ai bisogni dell’umanità, alla domanda di democrazia economica e di sviluppo sostenibile. Il libro di Fabbri, proprio attraverso la narrazione avvincente di questa straordinaria storia tutta italiana, lascia aperte anche letture “pedagogiche” differenti e interpretazioni non conformi del fenomeno. Alle origini del movimento operaio e socialista “italiano” non c’è il moloch dello Stato ma la sociabilità autonoma e indipendente.

8Vale inoltre la pena segnalare ai lettori, soprattutto studiosi, l’appendice del volume che è vero strumento di ricerca e conoscenza, che include la serie completa dei congressi e dei presidenti della Lega nazionale delle cooperative e Mutue/Legacoop dal 1886 al 2011 e due saggi di spessore, storiograficamente ragionati, sul tema della cooperazione, ricchi di spunti per l’aggiornamento sullo stato dell’arte degli studi e sul dibattito sull’argomento. L’impegno storiografico su tematiche come queste travalica certo le coordinate tradizionali della storia politica ed economica per incrociarsi sempre più, attraverso modalità di approccio interdisciplinari, con la storia sociale e con le culture estranee alle posizioni egemoniche.

9L’autore segnala, a suggello della sua imponente ricerca, una preoccupazione che ci sentiamo di condividere:

All’inizio del terzo millennio, l’affossamento e la perdita di quegli ideali su cui è stato creato l’universo cooperativo può tragicamente spalancare le porte ad una società costruita sempre più sul fatuo edonismo del valore, del profitto, del denaro, e sulla identificazione del bene comune con l’espulsione e la sconfitta delle classi emarginate.

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Notizia bibliografica digitale

Giorgio Sacchetti, «Fabio Fabbri, L’Italia cooperativa. Centocinquant’anni di storia e di memoria. 1861-2011»Diacronie [Online], N° 10, 2 | 2012, documento 14, online dal 29 juin 2012, consultato il 10 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/2777; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/diacronie.2777

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Autore

Giorgio Sacchetti

Giorgio Sacchetti è dottore di ricerca in Storia del movimento sindacale, cultore della materia presso il dipartimento di Scienze politiche, giuridiche e studi internazionali dell’Università degli studi di Padova (insegnamento di Storia delle ideologie del Novecento).
URL: < http://www.studistorici.com/progett/autori/#Sacchetti >

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