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IV. Recensioni tematiche
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Teresa Numerico, Domenico Fiormonte, Francesca Tomasi, L’umanista digitale

Jacopo Bassi
Notizia bibliografica:

Teresa Numerico, Domenico Fiormonte, Francesca Tomasi, L’umanista digitale, Bologna, Il Mulino, 2010, 240 pp.

Testo integrale

Teresa NUMERICO, Domenico FIORMONTE, Francesca TOMASI, L’umanista digitale, Bologna, Il Mulino, 2010, 240 pp.Visualizza l'immagine
Credits: Teresa NUMERICO, Domenico FIORMONTE, Francesca TOMASI, L’umanista digitale, Bologna, Il Mulino, 2010, 240 pp.
  • 1 WITTEN, Ian H., GORI, Marc, NUMERICO, Teresa, Web Dragons. Inside the Myths of Search Engine Techno (...)
  • 2 FIORMONTE, Domenico, Pragmatica digitale. Paratesti, microtesti e <metatesti> nel web in DARDANO, M (...)
  • 3 DATTOLO, Antonina, DUCA, Silvia, TOMASI, Francesca, VITALI, Fabio, Towards disambiguating social ta (...)
  • 4 NUMERICO, Teresa, VESPIGNANI (a cura di), Informatica per le discipline umanistiche, Bologna, Il Mu (...)

1Gli studi sull’applicazione dell’informatica alle scienze umanistiche in Italia, malgrado a livello mondiale l’argomento sia oramai ampiamente sdoganato, risultano ancora, per molti versi, pionieristici. L’umanista digitale va dunque a inserirsi in un filone di studi pressoché inesplorato. Gli autori del libro si sono occupati a più riprese di informatica per le scienze umane e sono stati fra i primi a dedicarsi a questo campo di studi. Teresa Numerico1 è ricercatrice in Logica e Filosofia della scienza all’Università Roma tre, dove insegna Epistemologia dei nuovi media; Domenico Fiormonte2 è ricercatore in Sociologia dei processi culturali presso la stessa università e ha tenuto un corso di Editoria online; Francesca Tomasi3 è ricercatrice all’Università di Bologna e insegna Informatica umanistica. Il volume presentato esce a distanza di sette anni da un libro sull’informatica umanistica4 il cui intento era quello di proporre un testo che potesse introdurre l’informatica nei corsi umanistici al fine di evidenziarne l’accresciuta importanza nelle scienze umane. Per converso L’umanista digitale approfondisce in più punti l’approccio delle digital humanities e delinea gli scenari del prossimo futuro. Il volume si articola in quattro capitoli: il primo capitolo è una sorta di introduzione storica; il secondo, il terzo e il quarto capitolo – Scrivere e produrre, Rappresentare e conservare, Cercare e organizzare – analizzano il modus operandi dell’umanista di fronte alle nuove tecnologie.

2Proprio il primo capitolo fornisce un’introduzione storico-teorica iniziale: vengono prese in esame le influenze esercitate dalle materie umanistiche – e conseguentemente i debiti contratti dalla tecnologia nei confronti di queste – nell’elaborazione teorica del web.

  • 5 LOVINK, Geert, Zero comments, Milano, Bruno Mondadori, 2008.
  • 6 NUMERICO, Teresa, FIORMONTE, Domenico, TOMASI, Francesca, L’umanista digitale, Bologna, Il Mulino, (...)

3Gli autori dedicano qui un paragrafo al web 2.0, etichetta inventata da Tim O’Reilly. Il progetto di O’Reilly mirava ad utilizzare il contenuto prodotto dagli utenti (user generated content) in diverse forme, predisponendolo per il mercato pubblicitario. Il progetto fa ricorso dunque ad una piattaforma – in cui il proprietario non paga i contenuti prodotti dagli utenti – per vendere la pubblicità sfruttando l’attenzione che i contenuti collettivi generano. Il web 2.0 non nasce a partire dalla volontà di condivisione fine a se stessa, ma con l’implicita finalità di veicolare pubblicità. Come sottolineano gli autori – riportando il pensiero Geert Lovink5 – un’altra delle ragioni all’origine dell’adozione di uno sguardo critico nei confronti della condivisione di contenuti è che chi scrive in rete rischia di perdere quella visibilità e quella riconoscibilità necessarie ad acquisire lo status di autore. «Il web 2.0 è considerato il regno dell’amatorialità»6, evidenziano gli autori, e l’idea un po’ utopistica di poter entrare nel circolo mediatico dal nulla deve essere messa da parte.

  • 7 Ibidem, p. 63.

4È dunque necessario approcciarsi senza eccessive aspettative alle prospettive di democratizzazione e condivisione offerte dal web. Un caso a parte è rappresentato dalla folksonomy, la categorizzazione e la condivisione del contenuto online come, ad esempio: «[…] le attività di schedatura o social tagging. Si tratta di applicazioni, come Delicious, LibraryThing o Connotea, che permettono agli utenti dei servizi di stabilire delle descrizioni collettive, anche in forma di etichette di parole chiave (tag) di alcune componenti del web (per esempio le pagine, i libri personali o le risorse digitali)»7.

  • 8 Ibidem, pp. 64-65.

5Il principale aspetto positivo dell’etichetta web 2.0 è, come sostiene Berners-Lee, la condivisione dei dati in rete: «Il movimento dell’open data si propone di rendere disponibili, aperti e non proprietari i dati in tutti i campi in cui essi siano accessibili e utilizzabili»8.

6L’idea prevede di mettere a disposizione di tutti, gratuitamente, contenuti che siano aggiornabili e interrogabili attraverso altri archivi aperti; si giungerebbe così all’auspicato web 3.0:

Questo movimento è collegato al progetto del semantic web che si propone di aggiungere uno strato di logica al web e di identificare ogni singola risorsa online attraverso una serie di tag o metadati di archiviazione che permetta poi anche alle macchine di «leggere e comprendere» lo strato «semantico» descrittivo del web. Ora […] appare chiaro che, una volta realizzato, il web semantico si presenterebbe in una forma totalmente diversa da quell’ipertesto globale, associativo, emergente e distribuito che abbiamo imparato a conoscere e apprezzare. Si tratterebbe di un database di dati strutturati attraverso i cosiddetti «tag semantici», che a ogni modo restano semplici stringhe di lettere, casualmente scritte in inglese, per colmo di standardizzazione.

  • 9 Ibidem, p. 66-69.

7Un ampio spazio nel capitolo è dedicato all’open access e alla sua filosofia, basata sul principio secondo il quale la scienza e la conoscenza devono essere e restare accessibili a tutti, senza restrizioni. Il processo tocca in modo particolare il mondo delle riviste scientifiche che sta rapidamente adeguandosi – pur con differenti sfumature9 – a questa logica.

  • 10 Ibidem, p. 67.

8Gli articoli open access vengono citati di più di quelli pubblicati su riviste a pagamento10: il dato è particolarmente rilevante nella misura in cui si considera che nella letteratura royalty-free l’interesse unico è l’impatto e la diffusione delle ricerche. Si è così creato un canale parallelo a quello delle riviste a pagamento che, tuttavia, non comporta la rinuncia al controllo e alla valutazione degli articoli.

9È proprio intorno a questo duplice utilizzo dei contenuti – da un lato oggetto di sfruttamento commerciale da parte della nuova generazione di mediatori del web, dall’altro grazie alle piattaforme open access miniera di informazioni messe a disposizione della collettività gratuitamente – che si gioca lo sviluppo futuro del web.

  • 11 Ibidem, p. 76.

10Nel secondo capitolo viene presa in esame scrittura come strumento di trasmissione della cultura e costruzione dell’identità; la riflessione tocca successivamente la natura non solo materiale, ma anche cognitiva, dei cambiamenti in atto; il capitolo si apre con una serie di riflessioni sulla «babele di dialetti […] telematici»11.

11È proprio a partire dal concetto di «etnografia digitale» (digital ethnography) coniato da Michael Wesch12 docente di antropologia culturale alla Kansas University, che gli autori riportano l’attenzione sulla messa in crisi dei ruoli, delle funzioni tradizionali docente-allievo e dei relativi sistemi avviati dall’utilizzo della tecnologia: «Il motore di questo rovesciamento, per Wesch […], è la multidirezionalità del flusso informativo della rete, ovvero la possibilità di creare, organizzare e condividere contenuti che vengono reciprocamente e collettivamente manipolati e riscritti»13.

  • 14 Ibidem, p. 102.
  • 15 Ibidem.
  • 16 Ibidem, p. 104.

12Il modello di Wesch affonda le sue radici nell’etnografia postmoderna che, secondo le parole di Tyler, è: «un testo che si evolve cooperativamente [ed] evoca una totalità immaginata a partire da frammenti»14. L’etnografia si prefigge dunque di operare uno svelamento a partire dall’identificazione «dell’instabilità costruttiva dei fenomeni scritturali e dei loro legami con le caratteristiche e le procedure della trasmissione culturale»15: l’«instabilità» è perciò un fenomeno immanente ai processi di trasmissione della conoscenza16.

  • 17 Ibidem.

13Il complesso di queste tendenze, oltre a dare solidità all’approccio etnografico allo studio della testualità digitale (e in particolare delle scritture online), è alla base della approccio adottato nel capitolo, significativamente intitolato etnoscienze della scrittura. Questo «deve essere inteso come un campo di studio che includa i modi di produzione, ricezione e fruizione della comunicazione di rete»17.

  • 18 «Quando parliamo di oggetto digitale ci riferiamo a qualcosa di molto preciso anche se non ancora u (...)
  • 19 Ibidem.

14Il capitolo terzo affronta il problema della conservazione degli oggetti digitali al fine di garantirne l’accessibilità nel tempo. Partendo dal livello della creazione del documento – la sua rappresentazione informatica – gli autori si interrogano su quale sia il modo migliore per preservarlo e sulle trasformazioni che devono essere operate sugli oggetti digitali18 per conservarli. Questi materiali sono generalmente ospitati in repository, cioè in depositi organizzati di contenuti digitali accessibili agli utenti. Gli esempi per eccellenza dei luoghi virtuali per la conservazione, l’archiviazione e l’accesso sono le biblioteche digitali e gli archivi aperti. Come evidenzia Francesca Tomasi, «si tratta dei due modelli di riferimento che si sono imposti come piattaforme per il riversamento di materiali, ma anche come architetture per la conservazione delle memorie digitali e come ambienti per l’accesso lato utente alle risorse informative»19. La nuova frontiera sarà costituire un’interazione fra repositories, che sarebbe facilitata dall’avvento del web 3.0, il già citato web semantico.

15L’ultimo capitolo affronta il tema dell’accesso alle informazioni. Gli attuali meccanismi che governano le ricerche sul web sono dettati dai motori di ricerca, in grado di creare (o negare) le condizioni di accesso alle informazioni. L’umanista, proprio in virtù della sua forma mentis dovrebbe avere “introiettato gli anticorpi” necessari ad approcciarsi con la sufficiente criticità ai risultati delle ricerche online.

16Gli autori stigmatizzano la vulgata che vuole il web come il luogo della democraticità tout-court:

  • 20 Ibidem, p. 169.

Soltanto alcuni dei “continenti” del web sono facili da navigare […] mentre la maggior parte dei nodi (più della metà) rimangono nascosti per l’utente. Uscirebbe quindi ridimensionata la visione un po’ ingenua del web come strumento che garantisce l’accesso totale a tutte le informazioni pubblicate online. […] Le reti sociali […] sarebbero dominate da alcuni nodi iperconnessi, i cosiddetti hubs, che possono essere considerati l’argomento più forte contro la visione utopistica del ciberspazio come un’area più egualitaria rispetto alla società.20

17Il raggiungimento delle prime posizioni nei risultati dell’algoritmo di ranking dei motori di ricerche è conseguibile anche con l’utilizzo delle search engine optimizers (Seo), attività volte all’ottimizzazione del sito per consentirne una migliore individuazione da parte dei motori di ricerca. Attualmente l’attività di “ottimizzazione” dei siti è un lavoro a tutti gli effetti, che impegna veri e propri professionisti. Il penultimo paragrafo, proprio nell’intento di indicare un’altra possibile via per la ricerca sul web, passa in rassegna alcuni motori di ricerca alternativi.

18Il testo si chiude con un’appendice – Il panorama internazionale delle digital humanities – che illustra cosa sia rinvenibile sul web, a livello internazionale, in merito all’attività svolta dagli umanisti attivi nell’informatizzazione delle scienze umane.

19Gli autori pur mantenendo un atteggiamento critico nei confronti degli sviluppi del web, rimarcano la necessità di puntare su una reale condivisione che elimini le condizioni di monopolio.

  • 21 Ibidem, p. 12.

La grande sfida del web del futuro consiste nel non tradire lo spirito di condivisione della conoscenza, considerata come bene pubblico, e nel progredire sempre per aumentare le opportunità di accesso senza creare condizioni di monopolio o meccanismi di sfruttamento a causa della «chiusura» di spazi da parte del più forte. Per affrontare vittoriosamente questa sfida internazionale e politica, sociale e pubblica, è necessario il contributo delle diverse discipline coinvolte nella complessa opera di costruzione e gestione dei contenuti digitali. In questa ottica il ruolo dell’umanista digitale non solo non è marginale per lo sviluppo di servizi per il web, ma offre un insieme indispensabile di competenze e buone pratiche che è necessario valorizzare, riconoscere ed esercitare.21

20Il volume non è un manuale ma si configura come un vademecum per l’umanista per utilizzare al meglio gli strumenti che gli saranno offerti. Il futuro stesso degli studi umanistici sarà legato a quanto gli studiosi riusciranno a interagire con le tecnologie:

  • 22 Ibidem, p. 8.

Gli umanisti, con poche eccezioni, non sembrano più essere al centro dei processi di diffusione della cultura, né come gestori, né come produttori, né come formatori. Certo la crisi degli studia humanitatis viene da lontano e non possiamo qui riassumerla in poche righe, né attribuirne la causa a Google. Sia come sia, questa crisi è anche un’opportunità. L’obiettivo di questo libro è mostrare che i profondi cambiamenti ancora in corso hanno bisogno delle competenze degli umanisti, del loro apporto innovativo, della loro riflessione storico-critica, della loro capacità di andare oltre le soluzioni contigenti. La tecnologia infatti non si muove come l’astuzia della ragione di hegeliana memoria, ma si realizza nelle forme casuali o secondo le richieste momentanee della propria storia. Essa insomma è frutto di scelte. La stessa scelta della rappresentazione digitale dell’informazione può essere ascritta a questi aspetti occasionali.22

21Secondo gli autori saranno proprio le nuove tecnologie, se opportunamente sfruttate, a offrire agli umanisti la possibilità di rilanciare il loro ruolo e la capacità di interpretare il mondo.

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Note

1 WITTEN, Ian H., GORI, Marc, NUMERICO, Teresa, Web Dragons. Inside the Myths of Search Engine Technologies, New York, Morgan Kaufmann, 2007; NUMERICO, Teresa, Alan Turing e l’intelligenza delle macchine, Milano, Franco Angeli, 2004.

2 FIORMONTE, Domenico, Pragmatica digitale. Paratesti, microtesti e <metatesti> nel web in DARDANO, Maurizio, FRENGUELLI, Gianluca, DE ROBERTO, Elisa (a cura di), Testi brevi. Atti del convegno internazionale di Studi. Università di Roma Tre, 8-10 giugno, Roma, Aracne, pp. 65-84; ID., Il testo digitale: traduzione, codifica, modelli culturali, in PIRAS, Pina Rosa, ALESSANDRO, Arianna, FIORMONTE, Domenico, Italianisti in Spagna, ispanisti in Italia: la traduzione. Atti del convegno internazionale. Roma, 30-31 ottobre 2007, Roma, Edizioni Q, pp. 271-284; ID., Scrittura e filologia nell’era digitale, Torino, Bollati Boringhieri, 2003.

3 DATTOLO, Antonina, DUCA, Silvia, TOMASI, Francesca, VITALI, Fabio, Towards disambiguating social tagging systems in MURGESAN, San (edited by), Handbook of Research on Web 2.0, 3.0 and X.0. Technologies, Business and Social Applications, Hersey-IGI Global, New York, 2009, pp. 349-369; TOMASI, Francesca, Metodologie informatiche e discipline umanistiche, Roma, Carocci, 2008.

4 NUMERICO, Teresa, VESPIGNANI (a cura di), Informatica per le discipline umanistiche, Bologna, Il Mulino, 2003.

5 LOVINK, Geert, Zero comments, Milano, Bruno Mondadori, 2008.

6 NUMERICO, Teresa, FIORMONTE, Domenico, TOMASI, Francesca, L’umanista digitale, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 62.

7 Ibidem, p. 63.

8 Ibidem, pp. 64-65.

9 Ibidem, p. 66-69.

10 Ibidem, p. 67.

11 Ibidem, p. 76.

12 URL: < http://mediatedcultures.net > [consultato il 2 giugno 2012].

13 Ibidem, p. 101.

14 Ibidem, p. 102.

15 Ibidem.

16 Ibidem, p. 104.

17 Ibidem.

18 «Quando parliamo di oggetto digitale ci riferiamo a qualcosa di molto preciso anche se non ancora ufficialmente formalizzato e quindi univocamente definito. Principalmente oggetto digitale è associazione del dato, la fonte primaria in versione digitale nelle sue potenzialmente varie manifestazioni, e del metadato, le informazioni su quella fonte finalizzate alla sua descrizione, gestione e reperimento». Ibidem, p. 120.

19 Ibidem.

20 Ibidem, p. 169.

21 Ibidem, p. 12.

22 Ibidem, p. 8.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica digitale

Jacopo Bassi, «Teresa Numerico, Domenico Fiormonte, Francesca Tomasi, L’umanista digitale»Diacronie [Online], N° 10, 2 | 2012, documento 11, online dal 29 juin 2012, consultato il 07 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/2765; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/diacronie.2765

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Autore

Jacopo Bassi

Jacopo Bassi è dottore magistrale in Storia d’Europa. Si è laureato in Storia della Chiesa presso l’Università di Bologna nel 2008 con una tesi sulla comunità ortodossa in Epiro e in Albania meridionale in età contemporanea; attualmente è collaboratore della casa editrice Il Mulino.
URL: < http://www.studistorici.com/2009/02/24/jacopo_bassi >

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