La satira: uno specchio dell’antipolitica nell’Italia giolittiana
Abstract
In Italia la stampa satirica ha sempre potuto contare su un nutrito pubblico di lettori. In sede storica, al contrario, non ha goduto della giusta considerazione, pur essendo una fonte fondamentale per fare una storia della mentalità. Più di ogni altro mezzo espressivo, la satira cerca ed esige la complicità del destinatario. L’autore satirico sia che voglia blandire o turbare i propri lettori, non può fare a meno di confrontarsi con la loro mentalità e partire da essa per elaborare le modalità espressive e il contenuto del suo messaggio.
Nel corso dell’età giolittiana la difficoltà di costruire un felice rapporto tra governo e governati creò le condizioni per la diffusione di un generalizzato malcontento nei confronti della classe dirigente e della politica tout court. In questo contesto, la satira ha giocato un ruolo significativo nel rappresentare l’opinione pubblica offrendo ai sentimenti antipolitici un ambito entro il quale esprimersi.
Prendendo in esame la produzione satirica di un periodico celebre come il «Travaso delle idee» è possibile risalire alla mentalità del ceto piccolo-borghese, al quale il settimanale si rivolgeva, e desumere un paradigma della retorica antipolitica declinata dalla satira.
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1La satira è una fonte storica di primissimo piano per quel che concerne la storia della mentalità. Più di ogni altro mezzo espressivo, la satira cerca ed esige la complicità del destinatario. L’autore satirico, quindi, che voglia blandire o turbare i propri lettori, non può fare a meno di confrontarsi con la loro mentalità e partire da essa per elaborare le modalità espressive e il contenuto del suo messaggio.
2Per queste ragioni la satira diviene il terreno privilegiato per le ricerche che intendono ricostruire gli umori di un dato periodo storico, in particolare se tali umori non sono riconducibili ad una precisa cultura politica.
3Nel corso della storia d’Italia la difficoltà di costruire un felice rapporto tra governo e governati ha dato modo a sentimenti di malcontento e disillusione (che oggi potremmo definire antipolitici) di diffondersi e radicarsi. Spesso, in questi frangenti, la satira ha offerto ai sentimenti antipolitici un ambito entro il quale esprimersi.
4Nell’Italia giolittiana – oggetto specifico di questo saggio – la distanza tra il “paese reale” e il “paese legale” creò le condizioni per la diffusione di un generalizzato malcontento nei confronti della classe dirigente e della politica tout court. In questo contesto la satira giocò un ruolo significativo, insieme ai movimenti antigiolittiani, nell’esprimere il biasimo, le critiche e le istanze di cambiamento dell’opinione pubblica.
5Prendendo in esame la produzione satirica di un giornale di area moderata come il «Travaso delle idee» si comprende, ancor meglio che leggendo le pagine de «La Voce», quale fosse lo stato d’animo del ceto piccolo-borghese e quali gli obiettivi polemici che destavano la maggiore indignazione.
1. Una fonte dimenticata: la satira nella storiografia
- 1 BAUDELAIRE, Charles, «De l’essence du rire et généralement du comique dans les arts plastiques», in (...)
Una storia della caricatura, nel suo rapporto con gli avvenimenti politici e religiosi, drammatici o frivoli, riguardanti la cultura la società, o la moda, espressione di tutto quanto vive o soffre l’umanità: questa sarebbe un’opera gloriosa e fondamentale1.
- 2 Nella sua attività di critico d’arte Baudelaire fu un fervente sostenitore dell’arte caricaturale. (...)
- 3 È con la rivoluzione del 1830 che in Francia esplose la “febbre caricaturale”, come la definì lo st (...)
6Con queste parole Charles Baudelaire2 incoraggiava i suoi contemporanei ad occuparsi di una forma espressiva che aveva caratterizzato il panorama politico-culturale del suo tempo, al punto da far annoverare, tra le tante definizioni dell’Ottocento, quella di “secolo della caricatura”. Malgrado fossero trascorsi pochi decenni da quando la caricatura si era conquistata uno spazio significativo nel dibattito pubblico francese3, Baudelaire già intuiva l’importanza della comunicazione satirica come chiave interpretativa della realtà, individuando come cifra irrinunciabile per un’adeguata comprensione del fenomeno il rapporto con il contesto da cui si originava.
7La natura cangiante e complessa di questa materia, però, non ha favorito studi che tenessero nella giusta considerazione il suggerimento dello scrittore parigino. Muovendosi con disinvoltura su un terreno franco, in un milieu di arte, letteratura, politica e costume, la satira nelle sue varie declinazioni ha finito con l’essere trascurata dagli studiosi delle varie discipline cui afferisce.
- 4 Per citare i contributi più significativi: FRYE, Northrop, Anatomia della critica, Torino, Einaudi, (...)
8Se dal côté letterario possiamo riscontrare, in ambito anglosassone, un discreto interesse per queste tematiche sia nella prima che nella seconda metà del Novecento4, lo stesso non possiamo dire per gli storici dell’arte, che hanno ignorato le espressioni figurative della satira, come ribadito da Federico Zeri in un suo intervento alla Biennale dell’Umorismo di Tolentino nel 1992:
- 5 L’intervento del celebre storico dell’arte è riportato nel volume: SANTILLI, Fabio, MELE, Antonio ( (...)
La caricatura viene studiata oggi solo come “accessorio” alla cosiddetta Grande Arte. Come se Bernini, ad esempio, nei suoi momenti liberi, si dilettasse a fare esercitazioni di caricatura. Non è così! Non sono sfizi che un artista prende a tempo perso: sono, al contrario, parte integrante e sostanziale della sua personalità. E non è possibile capire pienamente l’intera opera di Bernini, e certa sua “aggressività”, se non si tiene conto dell’istintiva facilità che egli aveva nel prendere in giro papi, cardinali, compagni di lavoro, dame, cavalieri, attraverso la satira e la caricatura5.
9Anche nel panorama storiografico italiano la satira incontra resistenze e pregiudizi nell’affermarsi come fonte significativa per ricostruire umori e mentalità di epoche passate.
- 6 A tal proposito FYFE, Gordon, LOW, John, Introduction: On the Invisibility of the visual, in ID., P (...)
10In primo luogo, la satira – che assume spesso la forma di caricatura o vignetta – ha dovuto scontare le riserve, in sede storiografica, ad attribuire pari dignità a fonti scritte e visive. A tal proposito Peter Burke sottolinea come, nonostante l’elaborazione di strumenti iconografici per l’interpretazione delle immagini da parte della storia dell’arte, la storiografia si sia mostrata restia nell’uso di questa tipologia di fonti tanto che si può parlare di «invisibilità del visivo» e, più in generale, della preferenza degli storici ad «avere a che fare con testi e con fatti politici ed economici, e non con i livelli più profondi dell’esperienza che le immagini sondano»6.
- 7 Da testimonianza diretta: Giuseppe Parlato, allievo del celebre storico, racconta che quando compiv (...)
- 8 Anche nell’opera di CASTRONOVO, Valerio, TRANFAGLIA, Nicola, La storia della stampa in Italia, 10 v (...)
11In secondo luogo, molti addetti ai lavori hanno ritenuto la satira materia «poco seria», per riportare le parole di Renzo De Felice al riguardo7, e non degna, per così dire, di essere oggetto di studio approfondito8.
- 9 A tal proposito mutuiamo per la satira le parole di Bergson riguardo l’impossibilità di dare una de (...)
12Infine, dobbiamo tenere in considerazione le difficoltà e i problemi metodologici che sorgono quando prendiamo in esame la comunicazione satirica e che possono aver scoraggiato studi sul tema. Tenendo ben presente l’impossibilità di ridurre ad un preciso paradigma le molteplici manifestazioni della satira9, possiamo affermare che tale linguaggio conserva sempre un quid di ambiguità, un non detto, che lascia al lettore una parte attiva, partecipata, nell’interpretazione del messaggio. Questa peculiarità crea talvolta uno scarto tra ciò che l’autore satirico vuole dire e quello che il pubblico recepisce, che lo storico deve forzatamente ridurre ad una lettura univoca, per trarne un dato utilizzabile, esponendosi così al rischio di un’errata interpretazione.
- 10 Tale esclamazione, ormai entrata a far parte del linguaggio comune, trae origine da una vignetta di (...)
- 11 Le leggi sulla stampa, entrate in vigore nel gennaio del 1926, non lasciarono alla satira uno spazi (...)
- 12 In questi anni le testate che nascono non riscuotono un successo tale da garantirgli la sopravviven (...)
13Per tali ragioni la satira ha latitato nelle pagine della storiografia italiana, pur non latitando affatto in quelle della storia. Il primo giornale satirico italiano, «L’Arlecchino», è nato a Napoli nel 1948, a testimonianza del nuovo spirito, a un tempo edificatore e corrosivo, che si diffondeva con i moti. Da allora, pur non avendo uno sviluppo sempre continuo e fecondo, la satira politica ha seguito le vicende della penisola restituendoci il tono e la temperatura dell’opinione pubblica: ha registrato il malcontento per come si è compiuta l’unità, coniando, tra le altre cose, la celebre espressione «Piove! Governo ladro»10; ha accompagnato la crescita del movimento operaio con la rivista «L’Asino»; ha espresso il biasimo per la classe politica dell’età giolittiana e spronato i fanti della Grande guerra, dipingendo a tinte fosche il nemico austriaco; ha manifestato lo sdegno per il delitto Matteotti e irriso le retoriche di regime fino al ’26, quando il giro di vite imposto alla libertà di espressione ha reso afona ogni voce di dissenso11; è risorta florida nel paese diviso dalla guerra civile e ha continuato la sua attività monitrice nell’Italia repubblicana fino agli anni Sessanta, quando un periodo di relativa pacificazione politico-sociale, unitamente al drenaggio di autori e talenti da parte del cinema e della nascente televisione, hanno fatto entrare in crisi la formula del giornale satirico12.
- 13 Per citare i più importati: «Ca Balà» uscito dal 1971 al 1980; «Linus», nato nel 1965, ma che solo (...)
14In concomitanza con il riaccendersi della conflittualità politica negli anni ‘70, anche la satira vive una nuova stagione, andando ad aggiungere la propria voce alle tante che compongono la contestazione. Nuove testate13, che si distinguono per la forte tensione civile e la chiara connotazione politica, incontrano un notevole successo di pubblico, lanciando una nuova generazione di autori satirici e risvegliando nel dibattito culturale un interesse per la satira, che si traduce in maggiore spazio editoriale alle pubblicazioni che se ne occupano.
- 14 Pubblicazioni sulla satira ci furono anche negli anni Sessanta, tuttavia è solo a partire dal decen (...)
- 15 Unica eccezione lo studio di CARNAZZI, Giulio, La satira politica nell’Italia del Novecento, Milano (...)
15Tali opere, che si susseguono numerose14, non vedono quasi mai degli storici15 fra gli autori, tanto che nel 1985 Attilio Brilli lamenta la mancanza di uno studio sistematico della satira e delle sue forme espressive:
- 16 BRILLI, Attilio, Dalla caricatura alla satira, Bari, Dedalo, 1985, p. 7.
Una notevole pubblicistica che ha per oggetto la satira recente e meno recente, che ha promosso la ristampa di riviste di satira di costume o di quella politica, che ha redatto antologie sulla satira di un dato momento storico e attuato in genere un’ampia rivisitazione documentaria con il limite, tuttavia, di leggere questa produzione al di fuori del mezzo che la esprime e al suo rapporto con l’ideologia che l’ha prodotto.16
- 17 Per citarne alcuni: TEDESCO, Viva, La stampa satirica in Italia 1860-1914, Milano, Franco Angeli, 1 (...)
- 18 BÀRBERI SQUAROTTI, Giorgio, I bersagli della satira: teoria e storia dei generi letterari, Torino, (...)
16Dopo quasi trent’anni queste parole conservano la loro attualità. Fatte salve rare eccezioni17, la satira continua ad essere un terreno poco battuto dalla ricerca storica. Le pubblicazioni, che sono proseguite numerose18, non sono state opera degli allievi di Clio, e ciò è tanto più paradossale se consideriamo quanto la satira possa essere una fonte preziosa dalla quale attingere, non tanto per fare una storia della satira, ma per fare storia attraverso di essa:
- 19 ALOI, Dino, 10, 100, 1000 vignette, in ALOI, Dino, MORETTI, Paolo (a cura di), op. cit., p. 11.
La satira è un modo di raccontare ed interpretare la realtà, il quotidiano, che con il passare degli anni viene consegnato alla storia esattamente come il fatto che rappresenta e ne diviene, suo malgrado, documentazione, testimonianza del fatto stesso contribuendo, spesso in modo determinante, alla miglior comprensione di un personaggio o di un accadimento quando ormai questi sono lontani nel tempo e la memoria non potrebbe più colmare la lacuna19.
17La satira, quindi, è uno specchio che ci restituisce dei tratti che, seppur deformati, contribuiscono a comporre un’immagine già di per sé difficile da ricostruire: la mentalità di un’epoca.
18Più di ogni altro mezzo espressivo, essa cerca ed esige la complicità del destinatario. L’autore satirico, sia che voglia blandire o turbare i propri lettori, non può fare a meno di confrontarsi con la loro mentalità e partire da essa per elaborare le modalità espressive e il contenuto del suo messaggio. Come un artigiano manipola l’argilla per realizzare i suoi manufatti, così l’autore satirico utilizza i luoghi comuni per consolidarli o rovesciarli, raccoglie gli umori, gli atteggiamenti, lo jus murmurandi e li cristallizza in una vignetta o in una pasquinata, dà forma al malcontento e alle aspirazioni del suo tempo raffigurandone i mali e le incongruenze e lasciando intendere come si vorrebbe che le cose fossero.
19Scorrendo le pagine di un giornale satirico o di una raccolta di pasquinate, quindi, possiamo risalire a questa materia prima così sfuggente e informe con la quale entra in contatto l’autore satirico, e cogliere aspetti di un dato periodo storico che difficilmente hanno avuto modo di tramandarsi altrimenti.
2. Il malcontento dell’età giolittiana nelle pagine de «Il Travaso delle idee»
20In ambito storiografico, quando si vuole ricostruire la mentalità di un’epoca, si fa prevalentemente riferimento alla letteratura, ai dibattiti tra gli intellettuali, talvolta all’arte. La satira raramente è presa in considerazione.
- 20 Per citare le più importanti: «Il Regno», «La Voce», «Pagine Libere», «L’Unità», «Lacerba», «Marzoc (...)
21Negli studi che riguardano l’Italia giolittiana, è consuetudine dar conto dello spirito del tempo attraverso l’analisi delle riviste politico-letterarie20, che si fanno portavoce delle critiche alla classe politica. Queste riviste, prima su tutte «La Voce», interpretano bene la deprecatio temporum che distingue la cultura in quegli anni, ma ciò non spiega le ragioni per cui si non faccia ricorso anche ad altre fonti di uguale, se non maggiore, eloquenza.
22Tra il 1900 e il 1914, nel quindicennio che vede Giolitti protagonista incontrastato della scena politica italiana, l’area della rappresentanza allarga sensibilmente i suoi confini. A tale allargamento, però, non corrisponde un conseguente incremento della legittimità della classe dirigente, che non riesce a riguadagnare il terreno che la separa dal “paese reale”. La prosaicità di una politica fatta di compromessi e particolarismi, i continui scandali, e l’immagine di rappresentanti della nazione dediti quasi esclusivamente alla salvaguardia dei propri privilegi, aumentano drasticamente la distanza tra governo e governati. In questo contesto i malumori e la disaffezione che serpeggiano nell’opinione pubblica si coagulano in un atteggiamento che potremmo definire antipolitico. Le critiche nei confronti dell’establishment perdono, via via, il loro legame con la contingenza per tramutarsi in un senso d’insofferenza per la politica tout court.
23La satira, sempre attenta a recepire l’umore della popolazione, si fa interprete del senso di insoddisfazione che caratterizza il proprio tempo. Alcune riviste, come «L’Asino», cercano di dare una direzione a questo malcontento, nel tentativo di sensibilizzare i lettori rispetto a certe tematiche e, nel caso specifico, di avvicinare le masse al socialismo. Altre, invece, si propongono come semplici amplificatori dell’insofferenza verso il sistema vigente, limitandosi al ruolo di pars destruens e divenendo uno dei veicoli con i quali si diffonde una mentalità antipolitica.
24Non sempre gli effetti prodotti dalla satira sono il preludio alla nascita o al radicamento di sentimenti antipolitici nell’animo dei suoi lettori. Al contrario, la satira riveste, molte volte, un ruolo significativo nel formare una coscienza critica nei cittadini e nello stimolarli ad una partecipazione politica attiva. Quando, però, gli autori satirici non riescono a trasmettere, o non hanno, un’idea di società alternativa, all’indignazione che suscitano, mettendo a nudo le storture del sistema politico e sociale, segue un senso di disaffezione e di sfiducia che rende sensibili alle sollecitazione della retorica antipolitica.
25Inoltre, è opportuno considerare che il linguaggio satirico e quello antipolitico condividono alcune modalità espressive. La delegittimazione di cui viene fatto oggetto il bersaglio della satira parla più allo stomaco che alla testa dei suoi lettori, offrendo una lettura semplificata della realtà, in cui le sfumature e le distinzioni, talvolta opportune, si perdono in una netta contrapposizione tra bianco e nero, tra i buoni e i cattivi, tra ciò che dovrebbe essere e ciò che è, proprio come nel discorso antipolitico.
- 21 La nascita del «Il Travaso delle idee» viene descritta da CHIERICI, Aldo, Il quarto potere a Roma, (...)
- 22 Il Travaso delle idee, 1, 25 febbraio 1900, Roma. Capezzatori è una parola mutuata dal lessico di T (...)
26Un caso emblematico ci viene offerto da uno dei fogli satirici più celebri dell’epoca: «Il Travaso delle idee». Il settimanale nasce il 25 febbraio 1900 per iniziativa di un gruppo di artisti e giornalisti, tra i quali annoveriamo Carlo Montani, Filiberto Scarpelli, Giuseppe Martellotti, Pietro Mascagni21, accumunati dal dichiarato e vago proposito di dare «soccorso metafisico e soccorso materiale a chi è sottomesso alle sopercherie dei capezzatori»22.
- 23 Il Travaso delle idee, 32, 1-2 febbraio 1901.
- 24 MOLINARI, Olga, La stampa periodica romana dal 1900 al 1926, vol. II, Roma, Istituto di studi roman (...)
27Sulle pagine del periodico romano la satira concentra la propria attenzione sulle vicende che scandiscono l’attualità politica, cercando in esse occasione per denunciare e schernire il malcostume imputato alla classe dirigente. Nella loro attività satirica i “travasatori” rivendicano un’indipendenza intellettuale definendosi un giornale «non legato né ad uomini, né a partiti, né ad affari»23; come nota anche Olga Molinari, la quale nell’opera La stampa periodica romana dal 1900 al 1926, sostiene che ne «Il Travaso delle idee» vengono «bombardati senza posa tutti gli esponenti politici e accademici, né si risparmiano gli ecclesiastici, i cardinali, i prelati e gli stessi papi, con un atteggiamento di spregiudicata e democratica indipendenza»24. Analizzando la produzione del settimanale nel corso dell’età giolittiana ci si domanda, però, se tale terzietà derivi effettivamente da un’esigenza di libertà di giudizio, o, piuttosto, non sia il frutto di un atteggiamento disilluso nei confronti della politica, che annulla le distinzioni tra i vari attori politici, avvertendoli tutti come membri di una stessa casta.
- 25 Consuetudine dei “travasatori” era quella di scrivere questi componimenti partendo da un noto passo (...)
- 26 «Inno elettorale», Il Travaso delle idee, 14, 27 maggio 1900.
28In occasione delle elezioni nella primavera del 1900, appare su «Il Travaso delle idee» un Inno elettorale25, che risulta essere paradigmatico per comprendere l’orientamento che i redattori adottano nel leggere la realtà politica dell’epoca. In quest’inno26 le consultazioni sono rappresentate come una battaglia, un torneo, e ci si interroga sui motivi che inducono i politici a candidarsi, lasciando intendere che quanti lo fanno non sono spinti dal desiderio di servire la nazione, ma da quello di arricchirsi indebitamente:
Chi son essi? A salvare l’onore
Vanno forse del patrio stendardo?
Chi son essi che han torbido il guardo,
E lo scrigno son pronti ad aprir?
29Il ceto politico viene presentato indiscriminatamente come una blocco omogeneo, in cui tutti sono intenti a cantare la stessa musica e a dispensare promesse ad un paese così disincantato che segue divertito l’evolversi della giostra:
D’una terra son tutti; promessa
Fecer tutti di fare la legge,
Cantar tutti la musica stessa,
Suonar tutti con lo stesso trombon.
Questa terra che tutti li elegge,
Questa terra fu a tutti nutrice,
E al torneo si prepara, felice
Di sentir qualche altra canzon.
30In un quadro di una politica che ha smarrito ogni vocazione ideale, degenerando in una farsa, gli attacchini si affannano per render manifesti «quei pensieri che alcuno non ha». Il momento più alto della partecipazione democratica degenera in un mercimonio dove si comprano voti «ed un fiume/ non di sangue già scorre, ma d’or». Tutto è lecito per garantirsi il favore popolare: la pressione dei prefetti per non far «restar nella tromba i campioni del lor Minister»; o la corruzione dell’elettorato: «un araldo gli offre una scheda,/ e un biglietto tagliato a metà».
31Nel corso dell’età giolittiana «Il Travaso delle idee» conduce un’opera costante di denuncia del malcostume politico, alimentando l’insoddisfazione per lo scadimento morale di una classe dirigente avvitata in logiche di autoconservazione e di tutela di interessi particolari.
- 27 A riprova dello fama del giornalista romano, prematuramente scomparso nel 1915, due elementi. In pr (...)
32Il considerevole successo che arride a «Il Travaso delle idee», ci fa supporre una forte consonanza tra gli argomenti antipolitici che ispirano le sue pagine e la mentalità dei lettori. Emblematico, in tal senso, il caso del giornalista Luigi Lucatelli che, più di ogni altro, assume gli elementi della retorica antipolitica, trovando l’entusiasta risposta del pubblico27.
- 28 LUCATELLI, Luigi, op. cit., p. 123.
33Il giornalista romano, elevando le logiche dell’uomo della strada a lente attraverso la quale leggere la vita politica e sociale del paese, dà vita alla macchietta di Oronzo E. Marginati, un impiegato dell’amministrazione pubblica che fatica «per attaccare un 27 con l’altro»28. Il personaggio creato da Luigi Lucatelli diviene presto l’alfiere di quel ceto medio urbano che vive una crisi di rappresentanza, stretto tra l’incudine di una classe dirigente sorda e distante e il martello delle crescenti agitazioni proletarie.
- 29 La rubrica appare sul «Travaso delle idee» il 10 gennaio del 1901. Da allora si conquisterà uno spa (...)
- 30 Luigi Lucatelli è consapevole del grado d’immedesimazione che i lettori hanno con il suo personaggi (...)
34Nella rubrica Il cittadino che protesta29, Oronzo E. Marginati indugia sui malfunzionamenti dell’ingranaggio statale, sui ritardi dei trasporti pubblici, sulla sporcizia e il cattivo stato delle strade, sulla poca affidabilità dei servizi postelegrafici o sulla scortesia delle signorine che rispondono al centralino, dando voce ad un modo di pensare in cui molti suoi lettori si riconoscevano30.
- 31 LUCATELLI, Luigi, op. cit., p. 30.
35Prendendo, poi, in esame le considerazioni sul ceto dirigente della macchietta ideata da Lucatelli notiamo come emerga con chiarezza il paradigma del discorso antipolitico e qualunquista. Secondo Oronzo E. Marginati la politica non è un qualcosa al quale si dedicano le persone oneste: «comechè essendo occupati a pagare le tasse, a lavorare e a fare i galantommini, nun si poteva pretendere che perdessero tempo a fare l’ommini pulitichi»31. Piuttosto è l’arena in cui si misura il Corpo Reale degli Sbafatori che
- 32 Ibidem.
seguiterà a magnarsi tutto e a strillare: “Venghino, signori, arimirino si che bell’ideale che ci ho io. Guardino si che fede inconcussa col fischio di dietro, osservino si che sole dell’avvenire a sorpresa, che più te ne magni e più ce n’è!...”. E via di questo passo.
Ora lei mi domanderà, dice: Ma l’omo pulitico ce lo deve avere l’ideale?
Eh no, caro signore, comechè quello è un amico pericoloso che ti pole pure costare la pelle, e l’omo pulitico fa l’omo e non il defunto.
L’omo pulitico nun è, in generale, cattivo. È un omo che ci ha un fisico speciale. Ci ha una panza che c’entra magari tutto il Palazzo di Giustizia, un core come un vago di lenticchia e due occhi che ci vedono tutt’al più dal banco suo a quello del presidente del Cunsiglio. Quello che nun entra là dentro, per lui non c’è.
Quindi l’Itaglia, per esempio, nun ci cape32.
36Questo ritratto squalificante dell’establishment, in cui vengono sottolineati l’assenza di ideali, l’opportunismo, l’avidità e il disinteresse per il paese, non contempla dei distinguo tra i vari schieramenti ed è la premessa per giustificare il disinteresse nei confronti delle vicende politiche:
- 33 Il Travaso delle idee della domenica, 326, 27 maggio 1906.
Per me dammi Fortise, o Sonnin, o Giolitti, o, come sol dirsi, Rudinì, è tutta una boglieria che non ci metto mano. Io ti vivo fra le pareti domestiche, laddove che se alzo la voce contro una profumonata dei pubblici servizi o ti assalisco il boglia pubblico o privato, lo faccio da pubblico cittadino, e ci ho il diritto33.
37Nella celebre rubrica vediamo scorrere, mano a mano, tutti i topoi con i quali la retorica antipolitica tenta di delegittimare la classe dirigente. Anche la frequenza e la disinvoltura con le quali vengono cambiati gli ideali in virtù di logiche d’interesse e di calcolo politico viene stigmatizzata nelle invettive di Oronzo E. Marginati:
- 34 Articolo apparso in occasione della commemorazione anticlericale per la trecentosettesima ricorrenz (...)
Qui in Italia, caro signore, ti impera la politica a mezz’asta, con quale vantaggio dell’incremento della morale pubblica, ce lo lascio dire a lei che sta nella stampa fisso […] col quale ci zompa agli occhi che l’unica divisione fra i partiti è quella che faccio io tra fogliaccia e galantommini.
[…] Abbasta, io ci faccio una modesta proposta: ognuno che è di un partito se lo dovrebbe far tatuare sulla pelle, accosì, quando cambia d’idee, o deve far la fine di S. Bartolomeo, o doppo qualche anno ti diventa come la quarta pagina di un giornale34.
38I politici non sono, come dovrebbero, uomini votati al bene della comunità, ma arrivisti che perseguono i propri interessi, rinnegando senza remore i principi e gli ideali ai quali sembravano così ardentemente pervasi, come spiega Oronzo a suo figlio:
- 35 Il Travaso delle idee della domenica, 703, 17 agosto 1913.
Guarda che la vita pubblica del paese è come chi dicesse una specie di orchestra indove è vero che chi dirige è il maestro, ma il maestro stesso si fa impressionare abbitualmente da quello che sona la grancassa, per cui si può considerare che la direzzione è divisa in due, fra quello che maneggia la bacchetta, e quello che fa bum-bum.
Generalmente la carriera incomincia da bum-bum e fenisce con la bacchetta, […] quasi tutti quelli che ci hanno la bacchetta in mano, quando sonaveno la grancassa pareveno dei veri estratti di belve feroci, ma mano a mano che si avvicinaveno al sedione del direttore, prendeveno un aspetto intermediario fra l’attacchino e il capo-divisione. […] E si presti bene l’orecchio, […] vedrai che quel rumore che pare tutto bum-bum, in fondo è tutto un discorso, il quale tante volte dice: Voglio un posto fisso al Ministero!... oppure: Maestà, me butti un’occhiata da questa parte!... oppure: Guardino, o signore, che bella aria da apostolo pridistinato che ci ho io!...
[…] Oggi è il sindacalista, ieri era il socialista, l’altro ieri era il radicale, o vuoi il ripubblicano, ma la grancassa è sempre quella, e la carriera del sonatore sempre la stessa35.
39Lucatelli, battendo ancora una volta sulle corde che compongono il discorso antipolitico, ci restituisce l’immagine di una classe dirigente distante a tal punto dalla società da rendere impossibile alcuna comunicazione tra quelli che sono diventati due corpi estranei.
- 36 Ibidem.
Ogniqualvolta passo davanti a Montecitorio dico fra me e Oronzo E. Marginati: e pensare che lì dentro si gioca a bazzica e legge, mentre di fori il proletaglio va cercando nei monterozzi di mondezza una spina di pesce che nun sia proprio tirata a pulimento ovverosia un osso del fu abbacchio indove ci sia ancora una rimembranza di carne!...
Vede: nun è che io disprezzi il rappresentante de la nazzione, […] ma tuttavia ne la mia propria capoccia de la testa, quando penso al carro de lo Stato e al rispettivo rippresentante de la nazzione, nun posso fare a meno di figurarmi il suddetto rappresentante de lo Stato come colui il quale deve tirare il prefatto carro. […] E quindi vorrei che all’occhio del cittadino la cosa, diremo cusì, tirata, o carro suddetto, e quella che deve, a bon gioco, tirare, o diputato, fussero a contatto continuvo36.
40I problemi che affliggono quotidianamente le persone comuni, non sono recepiti da una politica parassitaria che si scherma dietro a un linguaggio astruso e alle formule burocratiche:
- 37 LUCATELLI, Luigi, Come ti erudisco il pupo, cit., pp. 44-45.
Invece ti hanno congegnato le questioni in modo, che il cittadino purchessia non ci si ariccapezza più, […] al parlamento è accaduto che si sono fatti un vocabolario complicato per persone intellettuali, per cui loro si parleno e loro si capischeno.
Avviene, putiamo temporaneamente il caso, che il cittadino trova che il pane è troppo caro, raggione per cui spererebbe che un giorno o l’altro un diputato andasse su e dicesse: Egreggio signor guverno, è inutile che lei faccia finta di leggere le carte sul tavolo, guardi da la parte mia e tiri a far poco il miccagliolo: ci crede che si il pane seguita a essere cusì caro, fenisce che diventa un metallo prezzioso?
Ebbene, adesso che te l’ho detto, arimediaci meglio che pòi, si no ti levo il portafoglio e te lo sbatto in testa. E sia la prima e l’ultima volta che fai il profumone!
Viceversa il diputato va su e quando parla, ti tira fori da una parte i centesimi addizzionali, dall’altra la perequazzione, dall’altra il sistema protettivo, e tanti altri scacciapensieri per signora e signorina, con tanti vocabboli novi, parole africane, eschimesi e ciampinesi, che il proletaglio nun capisce gnente, paga il pane un bagliocco di più e abbozza come un sol uomo37.
41Questa drammatica estraneità tra governo e governati mette in dubbio l’utilità stessa della politica nella risoluzione delle istanze che provengono dalla società, e minaccia una palingenesi sistemica che può essere la premessa ad esiti rivoluzionari:
- 38 Ibidem.
Abbasta, che quando il popolo dice pane, voi gli arispondete ordine del giorno!... Scendete in mezzo al proletaglio, il quale da la fame cerca se si pole mozzicare i propri gomiti da sé stesso, buttate un occhio nel suo tugurio ed in quello de la sua scalcagnata signora, nonchè prole, mettete il dito su la piaga e poi aricordatevi che abbozza oggi, abbozza domani, torna ad abbozzare dopodomani, verrà il giorno nel quale agguanteremo la bandiera de la riscossa, la fiaccola, la scure e qualche altro genere commestibbile, per cui se una sera andate a dormire sugli allori, e la mattina vi trovate una mezza dozzina di barricate per casa38.
- 39 PREZZOLINI, Giuseppe, «Che fare?», La Voce, II, 28, 1910, cit. in ROMANÒ, Angelo, (a cura di), La c (...)
- 40 Ibidem.
- 41 Ibidem.
42Attraverso l’analisi degli articoli pubblicati da «Il Travaso delle Idee», ed in particolare della produzione satirica di Luigi Lucatelli, riusciamo a rintracciare le tematiche con le quali si esprimeva il dissenso nei confronti della realtà politica del Paese. Tali temi non sono dissimili da quelli presenti nelle riviste letterarie alle quali abitualmente si fa riferimento per ricostruire la mentalità dell’epoca. Se prendiamo in considerazione l’articolo che più di altri viene citato per rappresentare lo spirito del suo tempo, il Che fare? di Giuseppe Prezzolini, vediamo riproposti gli argomenti presenti sulle pagine del settimanale satirico. Nel celebre articolo pubblicato da «La Voce» il 23 giugno 1910, Prezzolini si scaglia contro un sistema politico che «non contenta più gli animi degli onesti»39, afferma che «nelle elezioni trionfa il denaro, il favore, l’imbroglio; ma non accettare tali mezzi è considerato come ingenuità imperdonabile»40, e sostiene il refrain antipolitico per eccellenza, ovvero che i politici sono tutti uguali e fanno soltanto i propri interessi: «alle clientele clericali succedono i radicali, e mutato il cartello la gente resta la stessa. [...] Tutto cade. Ogni ideale svanisce. I partiti non esistono più, ma soltanto gruppetti e clientele»41.
43Se quanto espresso da Prezzolini in sostanza sintetizza la lettura che il «Il Travaso delle Idee» faceva della realtà socio-politica, cosa ci dice di nuovo lo studio del settimanale satirico?
44Innanzi tutto ci permette di comprendere meglio quanto queste tematiche fossero presenti nel dibattito pubblico. «Il Travaso delle Idee», nel quindicennio dalla sua fondazione alla prima guerra mondiale, non perse mai occasione di battere sul ferro della polemica antipolitica. In un contesto come quello del primo Novecento, dove la carta stampata cominciava ad essere uno strumento di costruzione dell’opinione pubblica nella neonata società di massa, le pagine del «Il Travaso delle Idee» ci forniscono dei dati importanti per ricostruire quel reciproco rapporto tra gli umori presenti nel paese e l’interpretazione e l’orientamento che i “travasatori” intendevano imprimere a quest’ultimi.
- 42 Come conferma del successo che arrideva alle pubblicazioni satiriche, prendiamo atto che tra il 190 (...)
- 43 Ad ulteriore suffragio di quanto detto, riportiamo una testimonianza grazie alla quale apprendiamo (...)
45A tal proposito, dobbiamo, inoltre, considerare che la stampa satirica godeva di una diffusione maggiore e raggiungeva un pubblico molto più vasto e variegato delle riviste letterarie 42; tanto che, confrontando «La Voce» con «Il Travaso delle Idee», costatiamo che la prima aveva una tiratura tra le 2.000 e le 3.000 copie, salvo durante la guerra di Libia quando toccò quota 5.000, mentre la seconda usciva nelle edicole con 50.000 copie43.
46Naturalmente non sono i numeri, pur significativi, della tiratura a decretare l’importanza di questa fonte, ma la capacità che riconosciamo alla satira di far giungere alle nostre orecchie, anche se alterate, le chiacchiere che si facevano nelle osterie, nei tram, i commenti ad alta voce sulle vicende politiche che si potevano ascoltare nei caffè, in una parola il sentimento comune di buona parte della popolazione o, quantomeno, del pubblico al quale la rivista si indirizzava.
47«Il Travaso delle Idee» e i numerosi periodici satirici sorti in quegli anni, ci permettono di risalire con un immediatezza diversa alla mentalità dell’epoca, rispetto alla «La Voce» e alle altre riviste politico-letterarie, che, essendo frutto di un maggior grado di elaborazione intellettuale, sono più lontane dal magma della loro contemporaneità.
Note
1 BAUDELAIRE, Charles, «De l’essence du rire et généralement du comique dans les arts plastiques», in Le Portefeuille, 8 luglio 1855, ora in BAUDELAIRE, Charles, Opere, Milano, Mondadori, 2001, p. 1100.
2 Nella sua attività di critico d’arte Baudelaire fu un fervente sostenitore dell’arte caricaturale. Compose a tal proposito due saggi pubblicati nel 1857 su «Le Present»: Quelques caricaturistes français, Quelques caricaturistes étrangers. Estimatore di Daumier arriva a definirlo, nel saggio dedicato ai caricaturisti francesi, «uno degli uomini più importanti non soltanto, si badi, della caricatura, ma anche dell’arte moderna, un uomo che ogni mattina diverte i parigini e giorno dopo giorno soddisfa i bisogni dell’allegria pubblica e le somministra il debito pasto» cit. in BAUDELAIRE, Charles, Opere, cit., p. 1128.
3 È con la rivoluzione del 1830 che in Francia esplose la “febbre caricaturale”, come la definì lo stesso Baudelaire, e che la satira divenne una delle animatrici della cultura politica transalpina.
4 Per citare i contributi più significativi: FRYE, Northrop, Anatomia della critica, Torino, Einaudi, 2000 [Ed. originale: Anatomy of Criticism, New Jersey, Priceton University press, 1957]; KERNAN, Alvin, Cankered Muse: Satire of the English Reinassance, New Heven, Yale University Press, 1959; PAULSON, Ronald, The Fictions of Satire, Baltimora, The Johns Hopkins Press, 1967; HODGART, Matthew, La satira, Milano, Mondadori, 1969.
5 L’intervento del celebre storico dell’arte è riportato nel volume: SANTILLI, Fabio, MELE, Antonio (a cura di), La tentazione comica, Tolentino, Art&co, 2006, p. 25.
6 A tal proposito FYFE, Gordon, LOW, John, Introduction: On the Invisibility of the visual, in ID., Picturing Power: Visual Depiction and Social Relations, London, Routledge, 1988, e PORTE, Roy, «Seeing the Past», in Past and Present, 1988, cit. in BURKE, Peter, Testimoni oculari, Roma, Carocci, 2002, pp. 11-12.
7 Da testimonianza diretta: Giuseppe Parlato, allievo del celebre storico, racconta che quando compiva delle ricerche riguardo la satira, tema che lo affascinava, veniva esortato da De Felice a dedicarsi a cose più serie.
8 Anche nell’opera di CASTRONOVO, Valerio, TRANFAGLIA, Nicola, La storia della stampa in Italia, 10 voll., Roma-Bari, Laterza, 1976-1995, la stampa satirica viene presa in considerazione solo marginalmente.
9 A tal proposito mutuiamo per la satira le parole di Bergson riguardo l’impossibilità di dare una definizione di comico: «non cercheremo di racchiudere la fantasia comica in una definizione. In essa scorgiamo innanzi tutto qualcosa di vivente. […] Ci limiteremo a guardarla crescere e sbocciare. […] Attraverso questo continuo contatto, del resto, otterremo forse qualcosa di più duttile di una definizione teorica», in BERGSON, Henri, Il riso. Saggio sul significato del comico, Milano, Feltrinelli, 2011, p. 13 [Ed. originale: Le rire, essai sur le signification du comique, Paris, Éditions Alcan, 1924].
10 Tale esclamazione, ormai entrata a far parte del linguaggio comune, trae origine da una vignetta di Casimiro Teja apparsa sul «Pasquino» nel 1861 che commentava in questo modo l’annullamento di una dimostrazione antigovernativa organizzata dai mazziniani torinesi a causa del maltempo.
11 Le leggi sulla stampa, entrate in vigore nel gennaio del 1926, non lasciarono alla satira uno spazio sufficiente per potersi esprimere liberamente e le testate, quando non chiusero, mutarono la propria verve satirica in umorismo. Nonostante l’attività della censura, un certo spirito satirico seppe conservarsi, come un tizzone sotto le ceneri, esprimendosi, più o meno clandestinamente, nelle pasquinate e nel teatro di rivista, per riemergere con tutto il suo fulgore nel 1943 quando il fascismo non controllava più tutta la penisola.
12 In questi anni le testate che nascono non riscuotono un successo tale da garantirgli la sopravvivenza e molte di quelle già presenti nelle edicole chiudono i battenti. Caso emblematico quello dello storico «Il Travaso delle idee», edito dal 1900, che termina le pubblicazioni nel 1966.
13 Per citare i più importati: «Ca Balà» uscito dal 1971 al 1980; «Linus», nato nel 1965, ma che solo nel 1972, con la direzione di Oreste del Buono, dà ampio spazio alla satira politica; «Help!» pubblicato dal 1976 al 1978; «Cannibale» dal 1977 al 1979; «Il Male» edito dal 1978 al 1982 che diventa un fenomeno cult per una generazione. Negli anni Settanta anche i quotidiani danno maggiore spazio alla satira come dimostra la vicenda di Forattini che nei primi anni Settanta inizia a pubblicare le sue vignette su «Paese sera» per poi curare dal 1978 «Satyricon», inserto satirico di «Repubblica» che continuerà le pubblicazioni fino al 1991.
14 Pubblicazioni sulla satira ci furono anche negli anni Sessanta, tuttavia è solo a partire dal decennio successivo che la produzione editoriale sul tema raggiunse una mole significativa: VALLINI, Edio (a cura di), L’Asino di Podrecca e Galantara, Milano, Feltrinelli, 1970; DEL BUONO, Oreste, TORNABUOI, Lietta (a cura di), Il becco giallo dinamico di opinione pubblica: 1924-31, Milano, Feltrinelli, 1972; GUASTA, Guglielmo, La Roma del Travaso, Roma, Editalia, 1973; CHIESA, Adolfo, Antologia del Marc’Aurelio, Roma, Napoleone, 1974; GIANIERI, Enrico, RAUCH, Andrea (a cura di), Cento anni di satira in Italia: 1876 1976, Firenze, Guaraldi, 1976; DEL BUONO, Oreste, Poco da ridere: storia privata della satira politica dall’asino a Linus, Bari, De Donato, 1976; VENE, Gian Franco, La satira politica, Milano, Sugarco, 1976; FOSSATI, Franco, Guida al fumetto satirico e politico, Milano, Gammalibri, 1979; Satira e attualità politica: 41 disegnatori dal 1914 al 1980, Milano, Electa, 1981; PALLIOTTI, Vittorio, La satira a Napoli nei giornali dal 1848 al 1951, Napoli, Langella, 1981; CHIAPPORI, Alfredo, Storie d’Italia: dallo stato liberale all’Italia fascista (1918-1925), Milano, Feltrinelli, 1981; LOCATELLI, Silvio (a cura di), La satira politica dall’Unità alla Repubblica, Novara, De Agostini, 1982; CHIESA, Adolfo, Come ridevano gli italiani: un viaggio nella memoria attraverso cinquant’anni di umorismo italiano in compagnia delle più belle vignette, Roma, Newton Compton, 1984; RATTI, Enrico, Umorismo milanese: nel Guerin meschino, Milano, Il Carrobbio, 1985.
15 Unica eccezione lo studio di CARNAZZI, Giulio, La satira politica nell’Italia del Novecento, Milano, Principato, 1975.
16 BRILLI, Attilio, Dalla caricatura alla satira, Bari, Dedalo, 1985, p. 7.
17 Per citarne alcuni: TEDESCO, Viva, La stampa satirica in Italia 1860-1914, Milano, Franco Angeli, 1990; VIVIANI, Francesca, Satira in Unione Sovietica (1970-1990), Torino, Harmattan, 2004; PASQUINI, Dario, «Tra il serio e il faceto. I giornali satirici italiani del dopoguerra 1944-1963», in Italia Contemporanea, 262, 1/2011, pp. 75-96.
18 BÀRBERI SQUAROTTI, Giorgio, I bersagli della satira: teoria e storia dei generi letterari, Torino, Tirrenia Stampatori, 1987; CHIESA, Adolfo, La satira politica in Italia, Roma-Bari, Laterza, 1990; GONNELLI, Maria Pia (a cura), Caricatura Europa, Firenze, Edizioni Gonnelli 1992; CONTEMORI, Lido, PETTINARI, Paolo, Il segno tagliente. Meccanismi comunicativi e pragmatici della satira politica grafica, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1993; GUARESCHI, Carlotta, Milano 1934-1943: Guareschi e il Bertoldo, Milano, Rizzoli, 1994; MAROSSI, Walter (a cura di), Il Becco Giallo: la satira di sinistra, Milano, M&B publishing, 2002; FERRARI, C. Gian (a cura di), Mario Sironi. Illustrazioni per “Il Popolo d’Italia” edite e inedite, Milano, Charta, 2002; ALOI, Dino, MORETTI, Paolo (a cura di), La storia d’Italia nel pennino della satira, Torino, Ed. Il Pennino, 2006; SANTILLI, Fabio, MELE, Antonio (a cura di), op. cit.; SANTILLI, Fabio (a cura di), In nome della legge: tracce satiriche della polizia italiana tra Otto e Novecento, Roma, Ufficio storico della polizia di stato, 2009; SANTILLI, Fabio (a cura di), L’Italia s’è desta. Stampa satirica e documenti, Montelupone, Centro Studi Galantara, 2011.
19 ALOI, Dino, 10, 100, 1000 vignette, in ALOI, Dino, MORETTI, Paolo (a cura di), op. cit., p. 11.
20 Per citare le più importanti: «Il Regno», «La Voce», «Pagine Libere», «L’Unità», «Lacerba», «Marzocco».
21 La nascita del «Il Travaso delle idee» viene descritta da CHIERICI, Aldo, Il quarto potere a Roma, Roma, Voghera, 1905, pp. 279-283; da BRIGANTE COLONNA, Gustavo, La storia del “Travaso”, in «Rassegna Contemporanea», 25 dicembre 1913, e da GUASTA, Guglielmo, La Roma del Travaso, Editalia, Roma, 1973.
22 Il Travaso delle idee, 1, 25 febbraio 1900, Roma. Capezzatori è una parola mutuata dal lessico di Tito Livio Cianchettini, un «filosofo da marciapiede», così come lo definisce CHIERICI, Aldo, op. cit., p. 283, eletto dai fondatori del «Travaso» a nume tutelare della rivista, che indica «quella classe di individui che secondo il suo modo di vedere erano cagione delle sue infelici condizioni di vita e di quelle dei suoi simili oppressi», in TRIONFI, Alceste, Vita segreta di Tito Livio Cianchettini, Roma, Edizioni del Secolo, 1947, p. 103.
23 Il Travaso delle idee, 32, 1-2 febbraio 1901.
24 MOLINARI, Olga, La stampa periodica romana dal 1900 al 1926, vol. II, Roma, Istituto di studi romani, 1977, p. 789.
25 Consuetudine dei “travasatori” era quella di scrivere questi componimenti partendo da un noto passo letterario. In questo caso l’Inno elettorale riprende il coro che descrive la battaglia di Maclodio, nel II atto del Conte di Carmagnola di Manzoni.
26 «Inno elettorale», Il Travaso delle idee, 14, 27 maggio 1900.
27 A riprova dello fama del giornalista romano, prematuramente scomparso nel 1915, due elementi. In primo luogo, le parole dei colleghi nella prefazione del volume in cui raccolsero gli articoli più significativi della sua rubrica: «Pochi scrittori, come il nostro indimenticabile collega, ebbero il segreto di suscitare attorno alla propria produzione intellettuale, un più largo consenso» cit. in LUCATELLI, Luigi [Oronzo E. Marginati], Come ti erudisco il pupo, Bologna, Cappelli, 1942, p. 6. In secondo luogo, il numero di ristampe di alcune sue pubblicazioni: Così parlarono due imbecilli venne ristampato sei volte, rispettivamente nel 1910, nel 1915, nel 1917, nel 1918, nel 1920, nel 1927; Come ti erudisco il pupo, vero e proprio caso editoriale, venne ristampato nel 1915, nel 1917, nel 1918, nel 1919, nel 1920, nel 1922, nel 1927, nel 1930, nel 1931, nel 1933, nel 1938, nel 1942.
28 LUCATELLI, Luigi, op. cit., p. 123.
29 La rubrica appare sul «Travaso delle idee» il 10 gennaio del 1901. Da allora si conquisterà uno spazio sempre maggiore, grazie all’entusiasta risposta dei lettori, fino a diventare una delle rubriche più celebri del settimanale.
30 Luigi Lucatelli è consapevole del grado d’immedesimazione che i lettori hanno con il suo personaggio tanto che gli farà dire «Cesso di parlare come Oronzo e me faccio portavoce di vari Oronzi che, nun fo per dire, pullulano in città. Lei non pole ignorare che questo dito il quale lo tengo alto, nun lo tengo alto solo per me, ma per commodo de l’umanità, beata lei, intera, col quale sarebbe come un vessillo che serve per raccogliere tutti quelli che patischeno boglierie», cit. in Il Travaso delle idee della domenica, 418, 1 marzo 1908.
31 LUCATELLI, Luigi, op. cit., p. 30.
32 Ibidem.
33 Il Travaso delle idee della domenica, 326, 27 maggio 1906.
34 Articolo apparso in occasione della commemorazione anticlericale per la trecentosettesima ricorrenza della morte del filosofo Giordano Bruno. Il Travaso delle idee della domenica, 364, 17 febbraio 1907.
35 Il Travaso delle idee della domenica, 703, 17 agosto 1913.
36 Ibidem.
37 LUCATELLI, Luigi, Come ti erudisco il pupo, cit., pp. 44-45.
38 Ibidem.
39 PREZZOLINI, Giuseppe, «Che fare?», La Voce, II, 28, 1910, cit. in ROMANÒ, Angelo, (a cura di), La cultura italiana attraverso le riviste, “LaVoce” 1908-1914, Torino, Einaudi, 1960, p. 206.
40 Ibidem.
41 Ibidem.
42 Come conferma del successo che arrideva alle pubblicazioni satiriche, prendiamo atto che tra il 1900 e il 1914 nacquero 141 testate satiriche, che si andarono ad aggiungere a quelle storiche come «Il Fischietto» e «Il Pasquino» a Torino; «Il Capitan Fracassa», «Il Don Chisciotte di Roma», «Il Folchetto», «Il Rugantino in dialetto romanesco» e «L’Asino» a Roma; «Il Vero Monello» a Firenze, «Il Mulo» a Bologna.
43 Ad ulteriore suffragio di quanto detto, riportiamo una testimonianza grazie alla quale apprendiamo che le tirature del primo numero de «Il Travaso delle idee» raggiungevano una cifra mai toccata dalla rivista «La Voce»: «i redattori, incoraggiati dal malinconico ritorno di cinquemila copie, su le settemila che se n’erano stampate, del primo numero, si misero all’opera per stampare il secondo» in BRIGANTE COLONNA, Gustavo, op.cit., p. 966.
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Notizia bibliografica digitale
Valerio Zandonà, «La satira: uno specchio dell’antipolitica nell’Italia giolittiana», Diacronie [Online], N° 11, 3 | 2012, documento 3, online dal 29 octobre 2012, consultato il 10 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/2634; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/diacronie.2634
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