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I. Dibattito storico: storia e digitale
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“Sopravviverà la storia all’ipertesto?”

Qualche spunto sulla scrittura della storia ai tempi di internet1
Anita Lucchesi

Abstract

L’articolo analizza aspetti teorici e metodologici relativi alla scrittura della Storia nell’era digitale. Si tratta di un approccio di carattere introduttivo ad alcune tematiche e problemi propri delle relazioni tra storia e internet nei primi anni del secolo XXI (2001-2011). Verranno analizzati, principalmente, i problemi relativi all’utilizzo delle fonti storiche e documentarie disponibili nel cyberspazio. Analizzeremo, soprattutto, le questioni relative all’uso del ipertesto come nuovo percorso per un sistema di riferimenti, per quanto virtuale, rispetto alle classiche note a piè di pagina.

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Note della redazione

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Una parte del presente articolo è comparso sulla rivista Cadernos do Tempo Presente e viene pubblicato in traduzione italiana nell’ambito del progetto di collaborazione tra le due riviste.

Testo integrale

Plongeoir malgache (b&w version)Visualizza l'immagine
Credits: by REMY SAGLIER – DOUBLERAY on Flickr (CC BY-NC-ND 2.0)
  • 1 L’articolo è frutto della rielaborazione di concetti già sviluppati dall’autrice nell’articolo «His (...)

1Stiamo cambiando, o meglio, alcuni di noi stanno cambiando la natura dei polverosi archivi e delle silenziose biblioteche: lo stiamo facendo da qualsiasi “angolino” semplicemente dotato di un computer collegato al World Wide Web. Cari amici storici, questo rappresenterà qualcosa di speciale per noi? Alcuni stanno sostituendo gradualmente le schede cartacee, gli schedari ed i cataloghi con i database in linea, i file indicizzati da etichette intelligenti (i tag), che permettono di abbinare infiniti tipi di documenti. Stiamo imparando a “googlare” ogni cosa. Inviamo meno lettere e telegrammi e utilizziamo ogni giorno di più e-mail, Facebook, Skype. Visitiamo più spesso gli archivi stranieri, solamente con una piccola differenza: lo facciamo senza lasciare il nostro posto ed abbandonare altre faccende, ovvero viaggiamo virtualmente. Troviamo e leggiamo più facilmente articoli, libri e periodici in altre lingue. Condividiamo documenti senza dipendere dall’ufficio postale, dal tempo e dalle risorse finanziarie necessarie per lo spostamento reale di migliaia di pagine avanti e indietro, tra un istituto e l’altro o direttamente fra i ricercatori. Tutto ciò significherà qualcosa? Non conosciamo ancora le risposte, ma il fatto è che, anche se questo non comporta la sostituzione assoluta dei mezzi e degli spazi tradizionali per fare storia, Internet è sempre più presente nella nostra officina della storia. È da notare, tuttavia, che questo non è un processo omogeneo ed uniforme: sono tanti i fattori che concorrono a fare in modo che, da paese a paese, da università a università, l’avvio di ricerche propriamente realizzate con l’ausilio dei media digitali avvenga in tempi, velocità e condizioni diverse.

2La riflessione che qui sviluppiamo si riferisce in particolare ad una delle fasi del mestiere che abbiamo appreso nei nostri laboratori, più propriamente legata al nostro lavoro “quasi artigianale”, vale a dire la scrittura della storia.

3Uno dei principali problemi che emerge in questo spazio – particolare perché non è materiale, ma è virtuale (non analogico) – dotato di elevata dinamicità, è proprio l’assenza di criteri e vincoli archivistici di raggruppamento o di classificazione comprensivi di tutta l’enorme e plurale offerta di risorse disponibili sul Web.

  • 2 Si veda: CRISCIONE, Antonino, «Sopravviverà la storia all’ipertesto?», in Memoria e Ricerca, 12, 20 (...)

4Secondo Antonino Criscione, la miglior metafora per pensare la “storia su internet” sarebbe quella dell’archivio, proprio per restituire l’idea di questa natura dinamica e aperta che caratterizza l’offerta di materiali non convenzionali sulla storia (tutti i tipi di documenti multimediali) spesso messi online, non in ordine, ma almeno potenzialmente ordinabili (anche se dal singolo utente, una volta stabilito lo scopo della sua ricerca)2.

5Pensare un’organizzazione, un’impostazione e una classificazione per i file, i siti e i vari media presenti nel cyberspazio ci porta a pensare che ci sia anche una dimensione fisica in questo ambiente virtuale. O almeno a trasporre l’idea di spazio fisico e/o di materialià a questo concetto.

6Vale la pena, prima di andare avanti, di chiarire che cosa intendiamo definire con cyberspazio. In una parola: internet, la rete delle reti. Il creatore del termine nella letteratura, William Gibson, nel 1980 si esprimeva a proposito del cyberspazio in questi termini:

  • 3 Cit. in MONTEIRO, Drumond Silvana, «O Ciberespaço: o termo, a definição e o conceito» in DataGramaZ (...)

Una allucinazione consensualmente vissuta ogni giorno da miliardi di operatori autorizzati, in ogni nazione, da bambini che imparano complessi concetti matematici... Una rappresentazione grafica di dati ricavati dai database di tutti i computer del sistema umano. Una complessità impensabile. Linee di luce che coprono il non-spazio della mente, nebulose costellazioni di dati senza fine. Come maree di luci della città3.

7Già secondo Pierre Lévy – uno dei molti autori che si appropria e riformula il concetto di Gibson – il cyberspazio è:

  • 4 LÉVY, Pierre, Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, Milano, Feltrinelli, 1999, p. 9 (...)

[…] lo spazio di comunicazione aperto dall’interconnessione mondiale dei computer e delle memorie informatiche. Questa definizione comprende l’insieme dei sistemi di comunicazione elettronici (incluso l’insieme delle reti hertziane e telefoniche classiche), nella misura in cui convogliano informazioni provenienti da fonti digitali o in via di digitalizzazione. Insisto sulla codifica digitale perché essa condiziona il carattere plastico, fluido, calcolabile e raffinatamente modificabile in tempo reale, ipertestuale, interattivo e, per concludere, virtuale dell’informazione che è, mi pare, il tratto distintivo del cyberspazio. Questo nuovo ambiente ha come tendenza fondamentale di mettere in sinergia e di interfacciare tutti i dispositivi di creazione, registrazione, comunicazione e simulazione dell’informazione. La perspettiva di digitalizzazione generalizzata delle informazioni e dei messaggi farà probabilmente del cyberspazio il principale canale di comunicazione e il principale supporto mnemonico dell’umanità agli inizi del prossimo secolo4.

8Per noi è utile la rilettura del concetto fatta da Lévy, perché l’autore assegna, al di là del forte valore desumibile già da Gibson, una caratteristica di concretezza a quanto già presente nella nostra vita quotidiana quando ci si riferisce a qualcosa che è in internet o che facciamo. Cioè, la nozione stessa di spazio di per sé. Detto ciò, dobbiamo prestare attenzione all’ultima citazione; dalla descrizione concettuale di Lévy, ricaviamo corrispondenze con ciò che Silvana Drumond Monteiro (2007) ha elencato nella sua ontologia del concetto come elementi fondamentali del cyberspazio: 1) il Web; 2) l’ipertesto; 3) il browser; 4) i motori di ricerca.

  • 5 LÉVY, Pierre, Il virtuale, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1997.

9Se fin dai tempi di Erodoto muoversi nello spazio era una condizione necessaria per raccontare una storia, oggi, data la deterritorializzazione dei testi, dei corpi e delle economie5, siamo portati a riflettere sulle escursioni degli storici, ai confini tra un testo e l’altro, tra un file e un altro, fra le librerie, i contesti storici e i tempi diversi nel cyberspazio. Ma per “raccontare storia”, come ci hanno insegnato gli antichi, non basta soltanto viaggiare e basta. È necessario andare, tornare e riferire: “ho visto”. Ossia, viaggiare e narrare.

  • 6 CRISCIONE, Antonino, op. cit.

10Pertanto, ci è molto utile la concettualizzazione del Web come una struttura aperta, un media, un mezzo o uno spazio di interazione, comunicazione, cooperazione e produzione, come ci ricorda Criscione6. Spazio dove, quindi, si può viaggiare virtualmente tra i file o i dati di un testo e, allo stesso tempo, spazio dove oggigiorno, si può realizzare anche la tappa finale della nostra operazione storica: la scrittura.

11Pensiamo allora alla storia, che è in qualche modo dipendente dai viaggi. Sarà interessante, riprendere alcuni presupposti da quello che viene considerato uno dei primi – se non il primo e il padre della storia – storici: Erodoto. Torniamo allora indietro di alcuni secoli per ricordare alcuni insegnamenti ineludibili lasciati dalle storie di Erodoto, sopratutto, per quello che riguarda l’utilità dei viaggi e dei riferimenti (anche se a quel tempo non esisteva questa definizione) per la storia. Riferimenti molto significativi per quello che vogliamo discutere qui, dato che l’avvento di internet ci offre un’immensa sorta di spazialità (e quindi di possibilità di viaggiare) e nuove forme o nuovi sistemi di riferimento nel contesto delle produzioni fatte in locus, su Internet, cioè, tra i testi già prodotti nella forma elettronica digitale.

12Va ricordato che uno dei più importanti, se non il principale, scopo della scrittura nella storia nell’antichità era quello di registrare e comunicare le grandi gesta degli uomini. Con Erodoto, la narrazione dei fatti non è più solo l’ennesima storia delle Muse, ma assume una sorta di impegno: raccontare i fatti per come si sono svolti. Per differenziarsi dalle narrazioni fantasiose e poetiche scritte fino ad allora, il controverso padre della storia dovette ricorrere al meccanismo di “far credere” per potere legittimare la verità delle sue narrazioni, anche se contenevano ancora qualche traccia di fantastico o residuo di mito.

  • 7 HARTOG, François, Lo specchio di Erodoto, Milano, Il saggiatore, 1992, p. 222.
  • 8 Ibidem, p. 249.

13È con questa intenzione, quella per cui è necessario “comprovare” il racconto, che Erodoto si rivolge al procedimento dell’autopsia come a quello che François Hartog ci presenta nel suo Specchio di Erodoto come uno dei mezzi possibili per rendere credibile il racconto7. Attraverso il riferimento “ho visto” fu possibile convincere il lettore che l’autore fosse stato, in realtà, testimone di tutto quanto narrato. Così si sarebbe potuta garantire affidabilità al racconto. Il “vedere”, quindi, rappresentava per quella concezione di storia una sorta di marchio di qualità, di affidabilità, una caratteristica «marca di enunciazione» (marque d’énonciation)8. Oggi definiamo riferimento ciò che leggiamo e la voce “ho letto” è implicita nelle nostre note a piè di pagina. In questo scenario di “storia digitale”, questo “ho letto” si presenta sotto forma di link, ossia di collegamento ipertestuale.

  • 9 HUXLEY, Aldous, Il mondo nuovo, Milano, Mondadori, 2007 [ed. originale Brave New World, London, Cha (...)

14Pensiamo alla rete di differenti connessioni esistenti nel mondo digitale che sostuiscono il viaggio “reale” (in opposizione a quello “virtuale”), spesso essenziale per condurre una ricerca, con micro spostamenti del mouse nello spazio fisico di una scrivania, che si traducono in grandi movimenti nel cyberespazio, evitando di percorrere chilometri, risparmiando il tempo e le spese dei viaggi del ricercatore. Una sostituzione di tale ordine non cambia in qualche modo il lavoro dello storico? Una tra le tante domande che restano sospese in questo Brave new world, per ricordare l’espressione di Aldous Huxley9.

15È importante sottolineare che i viaggi virtualmente possibili nel cyberspazio non sono solo limitati alla navigazione attraverso il browser dei diversi siti web messi a disposizione da istituzioni o, come è sempre più comune, indirizzi individuati tramite i motori di ricerca (come Google). La realizzazione di questo tipo di “scollamento” porta a costruire ponti e connessioni tra testi e dati diversi attraverso quelli che chiamiamo ipertesti.

  • 10 AYERS, Edward L., «History in Hypertext», Virginia Center for Digital History, 1999. Disponibile al (...)

16Nel 1999, lo storico americano Edward L. Ayers ci avvertiva che i file digitali e la scrittura della storia – la costruzione della narrazione stessa – nei media digitali ci avrebbero necessariamente condotto ad un nuovo tipo di redazione, che prenda in considerazione le caratteristiche – la capacità di costruire connessioni e manipolare i dati nel contesto elettronico – che ci permettano di scrivere una storia che possa essere letta e compresa attraverso diversi livelli e stratificazioni. Una narrazione che, in questo modo, permetterebbe un coinvolgimento molto maggiore dei lettori, in confronto a quello generato dai tradizionali libri cartacei (sul modello dei codici). Ayers ha così attribuito alla storia narrata e scritta in questo modo l’appellativo di «ipertestuale»10.

17È proprio il rapporto tra storia ed ipertesto che vogliamo, attraverso alcune domande, ripensare. Che storia è quella che stiamo facendo nel nostro Tempo Presente? Quale creatura ibrida, infine, apparirà nei nostri testi, così orgogliosamente gutenberghiani, e già così indelebilmente segnati dal paradigma postmoderno della scrittura digitale/ipertestuale – più soggettivo, non lineare – e, ironicamente, ancora tenuti prigionieri nel chiostro della stampa?

  • 11 Per quanto riguarda la distinzione tra il passato e la storia e altri aspetti teorici e pratici del (...)

18Sarà utile puntualizzare, a scanso di equivoci, alcune questioni prima di indugiare sugli usi dei termini storia e della storiografia . In primo luogo, si noti come: 1) la storia e il passato non siano la stessa cosa; 2): la storiografia, l’atto di trasformare il passato nella storia, sia il lavoro base degli storici, che si attua attraverso la scrittura; 3) la scrittura della storia sia un’operazione storiografica dotata di metodi e procedure specifiche, che possono variare a seconda del ricercatore e delle sue preferenze ideologiche e teoriche, senza mai perdere il loro carattere operativo11.

  • 12 RICOEUR, Paul, La memoria, la storia, l’oblio, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2003, p. 193.
  • 13 Ibidem.
  • 14 Ibidem, p. 194.

19A titolo di sintesi per l’idea generale di questa operazione storiografica, prendiamo come riferimento le fasi evidenziate da Paul Ricoeur, che si appoggia alla lettura della storia operata dal maestro del rigore operativo Michel de Certeau. Esiste una prima fase, documentaria, ossia quella che «[...] si svolge dalla dichiarazione dei testimoni oculari alla costituzione degli archivi»12 e riguarda l’accertamento della «prova documentaria»; successivamente ha luogo una fase esplicativa/comprensiva, un passo nel quale lo storico risponde ai “perché” che hanno motivato la sua ricerca13, e infine si ha una fase rappresentativa, che riguarda la messa in forma letteraria, vale a dire, la scrittura stessa, e che porterà a conoscenza del lettore ciò che è stato prodotto. Si noti che per quel che riguarda questa suddivisione «non si tratta di stadi cronologicamente distinti, ma di momenti metodologici che si intrecciano gli uni negli altri [...]»14.

20Detto questo, torniamo alla questione principale che anima questo testo: le pratiche del mondo digitale interferiscono in alcune di queste fasi del lavoro dello storico? Pensando senza soffermarsi, guardando solo alla superficie di questo fiume, qualcuno potrebbe dire, per esempio, che l’attuale e straordinario fenomeno di digitalizzazione attuato da librerie, musei e archivi in tutto il mondo non cambi in nulla i nostri compiti, ma li renda semplicemente più veloci e meno costosi, evitando i tempi e i costi dei viaggi fisici, sostituendoli con il repertorio fisico di queste o quelle fonti. Ma la corrente storica digitale – che continuo a pensare che in Brasile (e altrove) sia marginale – di cui proponiamo di discutere, va ben oltre la digitalizzazione e ciò che ci giunge evidente sullo schermo dei nostri computer, tablet e simili.

21Stiamo parlando della trasformazione dei media, dei nuovi media digitali, le cui qualità ci interessa mettere in evidenza – nei limiti di questo testo – e che possono essere meglio comprese se le consideriamo nelle loro dimensioni ipertestuali.

  • 15 MATTA, Alfredo Eurico Rodrigues, Procedimentos de autoria hipermídia em rede de computadores, um am (...)

22Secondo Alfredo Matta, l’ipermedia apporta un’esplicita non linearità ai testi ed alla lettura15. È da questa non-linearità dei testi ipermediali che vogliamo riformulare la domanda sul mondo digitale e sul funzionamento del lavoro dello storico.

23Criscione ritiene che l’ipertesto trasformi anche i fondamenti della conoscenza alla base della cultura dei libri e dei testi a stampa. A suo parere, l’ipertestualità cancella le distinzioni tra “inizio”, “parte centrale” e “conclusione” di un testo: tutto diventa circostanziale, modificabile. Ovvero, un testo scritto in formato digitale, utilizzando le risorse multimediali e la capacità di creare dei rimandi data dai link, diventa più o meno fluido, più o meno rigido. L’elemento centrale nel rapporto tra i vecchi e i nuovi media, per Criscione, è l’immediatezza del rapporto stesso tra i media e l’accesso contemporaneo (o quasi) di varie informazioni da parte del nuovo lettore del testo digitale.

  • 16 CRISCIONE, Antonino, op. cit.

24Tale immediatezza dei nuovi media in confronto con quelli tradizionali dà luogo, per Criscione, a due tendenze opposte. Una di queste è la nozione di trasparenza (o l’illusione di trasparenza) che sorge quando vi è la possibilità di accesso alle fonti da parte del lettore stesso, praticamente istantaneamente, poiché gli basta fare un clic su un collegamento elettronico e verificare la fonte di riferimento di una nota ipertestuale. L’altra è l’opacità, che può derivare dalla frammentazione dei diversi punti di vista messi a disposizione dalla tecnologia di accesso mediato16.

25Sono limiti e possibilità del lavoro nella rete. Si corre sempre il rischio di annegamento – in mezzo a questi molteplici punti di vista – nel mare di informazioni in cui ci spingono le reti di link. Allo stesso tempo, i non accorti possono ritenersi più vicini alla “Verità” semplicemente in considerazione del fatto di poter controllare subito alcuni riferimenti. Credere a questo significherebbe rinnegare ogni lezione di metodo e di teoria della storia che abbiamo ricevuto fino ad oggi. Tuttavia, vi è qualcosa di più o meno concreto che possiamo affermare: cioè che queste possibilità di trasparenza o opacità diventano elementi frequenti nella pratica di chi ha scelto di lavorare con la storia della rete. I pericoli offerti dal fascino seducente dell’anacronismo delle narrative lineari in termini cronologici, si tramutano nella trappola della facile capacità di creare rimandi su internet attraverso il link, che, tuttavia, non garantiscono, un’altrettanto facile esercizio della critica. Osiamo dire che l’ermeneutica delle rappresentazioni del passato in rete aggiunge al lavoro dello storico aspetti piuttosto complessi a causa di tutti i problemi di cui abbiamo trattato fino ad ora, come, per esempio, le novità portate dall’ipertestualità, la multimedialità ed anche l’immediatezza che contraddistingue l’offerta di dati digitali-elettronici.

  • 17 DECEMBER, John, «Living in Hypertext», in EJournal, 6, 3, August 1996. Disponibile all’URL: < http: (...)

26La scrittura discontinua e frammentata, caratteristica dell’ipertesto, sembra anche comportare un nuovo rapporto tra autore e lettore, dal momento che l’interazione del lettore con le fonti e il testo completo può essere distinta dalla forma immaginata a priori dal suo autore. In questo senso, va superata la vecchia convinzione secondo cui ogni lettura vuol dire una rilettura. I lettori sono in grado di lavorare con il testo e diventare, in una certa misura, coautori dello stesso17. Questo supera i confini del mondo accademico e può arrivare alla scuola, producendo riflessi sulle pratiche di insegnamento della comunità storica:

  • 18 ROSENZWEIG, Roy, BRIER, «Steven. Historians and Hypertext: Is It More than Hype?», in American Hist (...)

la tecnologia informatica può rendere possibile (anche se non garantisce tale possibilità) per gli studenti e gli altri lettori avere più controllo sul loro apprendimento e muoversi secondo il proprio ritmo, prendendo le decisioni su quale direzione si voglia seguire ed attraverso quali collegamenti si voglia approfondire. Le nuove tecnologie possono anche liberare gli insegnanti da alcuni degli aspetti più ripetitivi dei sistemi di istruzione e permettere loro di trascorrere del tempo a lavorare direttamente e creativamente con gli studenti18.

27Come notato da Lévy nei confronti nel contesto della virtualizzazione del testo, sembra esserci uno spazio maggiore per la costruzione di una modalità autonoma per le connessioni tra i testi dei lettori:

  • 19 LÉVY, Pierre, Il virtuale, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1997, p. 26

I passaggi del testo mantengono virtualmente tra loro una corrispondenza, quasi un’attività epistolare, che noi in qualche modo attualizziamo, servendoci o meno delle indicazioni dell’autore. Operatori del testo, viaggiamo da una sponda all’altra dello spazio del senso servendoci del sistema di indirizzamento e di link di cui l’autore, l’editore e il tipografo lo hanno dotato. Ma possiamo disobbedire alle istruzioni, imboccare scorciatoie, creare pieghe non autorizzate, tessere reti segrete, clandestine, far emergere altre geografie semantiche19.

28A questo punto, la domanda iniziale – sull’avvento del digitale nella scrittura storica – può essere riformulata, tenuto conto che la forza rappresentata dal digitale risieda particolarmente in ciò che abbiamo commentato sopra: la scrittura ipertestuale. Quello che vogliamo sapere è se la frammentazione della narrazione – che si verifica a causa della natura non lineare dell’ipertesto negli ambienti Web – così come la possibile “liberazione interpretativa del lettore” e la possibilità di presentare il passato in diversi layout, grazie alla pluralità di supporti in grado di associare lo stesso testo attraverso l’ipermedia, possano essere segni della comparsa di un nuovo stile narrativo o, almeno, di un stile di scrittura molto diverso, non soltanto all’apparenza, ma anche negli aspetti cognitivi di costruzione dei testi.

  • 20 CERTEAU, Michel de, La scritura della storia, Roma, Il pensiero scientifico, 1977, p. 61 cit. in RI (...)

29Ora, se si accetta che la storia come operazione preveda un «posto (un reclutamento, un ambiente, una mestiere ecc.), delle procedure di analisi (una disciplina) e la costruzione di un testo (letteratura)»20 e, come abbiamo visto sopra, che questa operazione avvenga attraverso l’esecuzione di una serie di compiti correlati metodologicamente è ragionevole supporre quanto segue. Almeno per quanto riguarda una delle fasi – la terza fase, quella rappresentativa, la scrittura stessa – l’ipertesto apporta cambiamenti significativi come, per esempio, la possibilità di costruire testi multimediali: dobbiamo quindi cominciare a pensare di approfondire le nostre indagini sulle ramificazioni del nostro artigianato digitale. Ma perché? Perché capiamo che interferendo in una delle fasi del lavoro dello storico, molto probabilmente la forza dell’ipertesto si farà sentire anche in altre fasi del lavoro storiografico. Tutto ciò, certamente, richiede ancora molte riflessioni.

30Non vogliamo sostenere qui che s’inventino fantasie sui meravigliosi usi che possiamo fare dei computer e di Internet nelle nostre ricerche quotidiane: il fascino acritico nei confronti del “superelaboratore” è dannoso. Tuttavia questo non significa che dobbiamo opporre resistenza alle nuove tecnologie e, soprattutto, non vuol dire che dobbiamo, a causa delle nostre riserve nei confronti di tutti i progressi nelle tecniche elettroniche, sussumerle come coloro che già hanno introiettato il gesto di tastare sui telefoni con i pollici e non più con il dito indice, come era normale negli anni Novanta. L’avvento di Internet e dell’ipertesto deve essere storicizzato e pensato alla luce delle riflessioni fatte da storici, filologi, archivisti, sociologi e altri ricercatori che hanno cominciato a pensare a questi problemi come oggetti delle proprie ricerche.

31Rendiamoci conto che ci sono diverse personalità influenti a livello internazionale nel nostro campo di studi – come Robert Darnton, Carlo Ginzburg e Roger Chartier – che, in misura maggiore o minore, hanno espresso commenti provocatori sul connubio fra storia ed Internet, il che suggerisce che ci sia qualcosa in più da indagare al di là della discussione, in una certa misura già superata, sul rapporto tra storia e il computer (che non copre gli aspetti legati specificatamente all’interconnessione tra migliaia di computer sul World Wide Web).

  • 21 Il termine «Google Age» è stato utilizzato da Carlo Ginzburg nel corso suo intervento del seminario (...)
  • 22 DARNTON, Robert, «A Historian of Books, Lost and Found in Cyberspace», in American Historical Assoc (...)

32È Ginzburg, ad esempio, che conia il termine «Google Age»21 per fare riferimento al momento ipermediatico che stiamo vivendo nel XXI secolo. Darnton, studioso della storia dei libri e dell’informazione, richiama la nostra attenzione sulla «rivoluzione storiografica»22 che il processo di scrittura elettronica e il digitale possono provocare. Per lui, «scrivere digitale» è comporre un tipo di testo differente, pensando anche ad un nuovo pubblico: i lettori digitali. È consentire al pubblico di navigare in un testo costruito su più piani e livelli (quelli che potremmo chiamare diversi livelli semantici, di complessità differenti, per lo stesso testo).

33Chartier è un altro non specialista che, pur adottando prospettive diverse da quelle di Darnton, ritiene che la modifica subita dai classici dispositivi di prova nella storia – la nota, il riferimento e la citazione – suggerisca una mutazione epistemologica sostanziale per la costruzione e la legittimazione dei discorsi della conoscenza:

  • 23 CHARTIER, Roger, A aventura do livro do leitor ao navegador: conversações com Jean Lebrun, São Paul (...)

Nel mondo della stampa, un libro di storia presuppone un patto di fiducia tra lo storico e il suo lettore. Le note fanno riferimento ai documenti che il lettore, in generale, non potrà leggere. I riferimenti bibliografici citano libri che il lettore, in molti casi, non può trovare, se non nelle biblioteche specializzate. Nei libri cartacei, le citazioni sono frammenti modulati dalla mera volontà dello storico: non è possibile per il lettore di conoscere subito tutti i testi da cui sono stati estratti i frammenti. Questi tre dispositivi classici di prova della storia (nota, riferimento, citazione), sono molto cambiati nel mondo della testualità digitale, dal momento in cui il lettore si trova in grado di leggere, direttamente – ed in qualsiasi momento – i libri e le fonti che lo storico ha consultato per fare il suo lavoro. I primi usi di questi nuovi modi di produzione e certificazione dei discorsi propri della conoscenza mostrano l’importanza delle operazioni cognitive che conseguono all’aver optato per il testo elettronico. Qui ha luogo una mutazione epistemologica fondamentale che trasforma profondamente le tecniche e le procedure di prova per la costruzione e la validazione dei discorsi della conoscenza storica23.

  • 24 LÉVY, Pierre, Il virtuale, cit., p. 38.
  • 25 Si vedano, ad esempio, le offerte e proposte didattiche sulle sito del King’s College “Digital Huma (...)

34E già da qui si intravede una possibile risposta alle nostre domande: sì, qualcosa cambia con l’adozione della testualità digitale. Un’analisi preliminare della letteratura sulla “storiografia digitale” può farci rendere conto che ci sono molti punti di fragile consenso tra coloro che vanno ripensando al rapporto tra storia e Internet. Problemi come l’accelerazione del tempo, la verificabilità e la fluidità delle fonti, così come la «deterritorializzazione»24 dei testi implicita nel mondo virtuale, si sono fatti spazio nel dibattito in Italia, fin dalla fine degli anni Novanta. La conservazione e la manipolazione dei file digitali, aspetti tecnici ed estetici della scrittura multimediale, così come i dilemmi più complessi – come i software, il layout, il copyright, le lingue utilizzate – relativi alla condivisione del sapere storico su Internet sono oggetto di riflessioni sempre più intense negli Stati Uniti. Rilevante è anche la nascita di centri di studio sulle Digital Humanities, come il Dipartimento di Digital Humanities del King’s College of London, che è stato uno dei primi centri in Europa a proporre un’ampia offerta formativa nelle Digital Humanities, incluso il caso specifico dei Digital Historical Studies (master e PhD)25.

  • 26 COHEN, Daniel J., ROSENZWEIG, Roy, Digital History: A Guide to Gathering, Preserving, and Presentin (...)
  • 27 ROSENZWEIG, Roy, BRIER, Steven, op. cit.

35Per quanto riguarda la “scrittura multimediale”, Roy Rosenzweig, uno dei curatori del manuale Digital History26, e Steven Brier, sono categorici: «Per gli storici, i vantaggi di questa [scrittura digitale] sono evidenti. Se il passato ha visto la compresenza di più di un medium, allora perché non rappresentarlo in più dimensioni?»27. Più assertivo ancora, è l’italiano Dario Ragazzini, nel presentare il volume Storiografia Digitale, quando scrive:

  • 28 RAGAZZINI, Dario (a cura di), La Storiografia Digitale, Torino, UTET, 2004, p. VII.

[Ne] consegue che l’attività quotidiana – alta o bassa, eccezionale od ordinaria – lascia tracce di tipo informatico, che saranno i documenti e le fonti della storia futura del nostro presente. Come la storiografia di una cultura alfabetica à diversa da quella di una cultura orale, così la storiografia di una cultura digitale sarà – ed è già – diversa da quella di una alfabetica28.

  • 29 Per quello che riguarda il rapporto tra storia e informatica, si vedano TAVARES, Célia Cristina da (...)

36Abbiamo visto come la nostra domanda non possa ancora trovare una risposta assoluta, forse proprio perché questo è un momento di transizione. Ciò che abbiamo bisogno di sapere è, non solo se cambia qualcosa, ma anche che cosa cambia al di là degli aspetti più immediati dell’uso di Internet come strumento e mezzo per la ricerca storica e la diffusione dei risultati. Possiamo farlo comprendendo alcuni aspetti più immediati, come quelli già intravisti dagli autori che hanno lavorato sul rapporto tra storia e informatica29, o considerando l’avanzamento nel campo delle risorse computazionali per fare storia – sviluppatesi fin dal boom della storia quantitativa (negli anni Settanta la Cliometria negli Stati Uniti) – come ad esempio: l’uso di software per il calcolo, la catalogazione, la scansione e la classificazione delle fonti, la semplice trasposizione di materiale stampato in versioni elettroniche (le cosiddette “ristampe digitali”), la facilità di accesso e conservazione delle fonti online (dai PC o notebook, ecc.).

  • 30 HARTOG, François, op. cit., passim.
  • 31 GRAFTON, Anthony, La nota a piè di pagina. Una storia curiosa, Milano, Sylvestre Bonnard, 2000.
  • 32 Si veda COHEN, Dan, «The Blessay», disponibile all’URL: < http://www.dancohen.org/2012/05/24/the-bl (...)

37Se pensiamo alle note come a quella marque d’énonciation30 – come Hartog ha chiamato il procedimento autoptico (o di far credere) di Erodoto – comprendiamo come risuti importante per il nostro mestiere questa procedura, come già ribadito da Anthony Grafton31. Senza il rigore metodologico implicito in esse, cosa differenziarebbe il lavoro dello storico da una fiction o da un articolo opinionistico in un giornale? In tempi di “blessay”, come avverte Dan Cohen32, la classificazione dei testi è molto soggettiva. Ma sarà possibile che si proceda in direzione della sostituzione di quel classico “ho visto, ho letto”, con paroline sottolineate in blu, attraverso le quali i lettori possano immediatamente vedere con i propri occhi ciò di cui stiamo scrivendo? Tutto avverrebbe abbandonando l’intera tradizionale base di autorevolezza che abbiamo costruito col tempo.

  • 33 BRENT, Doug, «Stevan Harnad’s “Subversive Proposal”», in EJournal, 5, 1, June 1995, cit. in ANDERSE (...)

38Non siamo convinti che le note verranno abbandonate in un prossimo futuro per far posto esclusivamente a link. Il problema è, ancora una volta, quello di mettere in discussione il nostro atteggiamento nel creare collegamenti ipertestuali e nel viaggiare attraverso di essi – come se stessimo lavandoci i denti – con tutta la naturalezza possibile. Crediamo, invece, che queste note siano parte di una serie di codici e tecniche professionali che non abbandoneremmo tanto presto; tuttavia, riteniamo che l’atto di collegare parole a fonti differenti non possa essere ingenuamente considerato come un procedimento neutro, senza ripercussioni in altri ambiti della nostra ricerca. Come le glosse, antenate classiche del nostro strumento moderno, le note non devono svanire; ciò nonostante, quando si tratta di un testo scritto e pubblicato esclusivamente in ambienti digitali, si deve ammettere che non è del tutto fuori luogo la prospettiva di una graduale fusione delle note ai riferimenti diretti alle fonti e alla letteratura attraverso l’uso di un collegamento ipertestuale (link). Tuttavia, per ora, «soprattutto in articoli di riviste, di qualsiasi tendenza accademica siano, [gli usi dell’ipertesto digitale] tendono ad essere più vicini ai formati lineari. [...] Tendono a mantenere una struttura lineare di base e a usare l’ipertesto solo per espandere note e appendici»33.

  • 34 DECEMBER, John, «Living in Hypertext», in EJournal, 6, 3, August 1996. Disponibile all’URL: < http: (...)

39Indipendentemente da tutto ciò, quello che cerchiamo di presentare qui è la fragile, ma insistente idea, che l’ipertesto digitale apra nuove possibilità per la semantica storica, consentendo una rappresentazione del passato in prospettive diverse ed allo stesso tempo, secondo distinte percezioni temporali, diverse scale di osservazione, layout, ecc. Tutto questo grazie alla possibilità di scrivere in modo stratificato, grazie alla costruzione di testi su più livelli, che vadano oltre la superficie apparente e lineare dei nostri schermi. John December, in «Living in Hypertext», ci racconta come concepisce l’ipertesto: «Da un lato, io vedo l’ipertesto come un modo per giocare con la metafora e l’associazione; ad un livello più pragmatico, vedo l’ipertesto come un modo per disporre informazioni su più livelli»34.

40Bisogna porre un’ultima domanda, alla luce dei concetti di stratificazione, frammentazione e possibilità di dispersione dell’informazione, dato che il collegamento ipertestuale prende corpo nello spazio senza frontiere del Web: scegliere la scrittura digitale nelle nostre contemporanee officine della storia sarà soltanto una semplice ed ingenua questione estetica o stilistica oppure dovremmo pensare a questa scelta come ad una decisione anche scientifica e/o etica e/o metodologica specifica?

41Abbiamo quindi bisogno di esaminare le possibilità di costruzione di significato del passato che vogliamo realizzare su Internet, facendo attenzione a non far passare la falsa idea di trasparenza che ci porterebbe a ricadere ulteriormente nell’opacità, già citata in precedenza da Criscione, in risposta alla domanda «sopravviverà la storia all’ipertesto?».

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Bibliografia

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Note

1 L’articolo è frutto della rielaborazione di concetti già sviluppati dall’autrice nell’articolo «Histórias no Ciberespaço: viagens sem mapas, sem referências e sem paradeiros no território incógnito da Web» in Cadernos do Tempo Presente, 6, Janeiro 2012 (URL: < http://www.getempo.org/revistaget.asp?id_edicao=32&id_materia=111 > [consultato il 28 dicembre 2012]) e nell’intervento «Do texto ao hipertexto: notas sobre a escrita digital da história no século XXI» tenuto a Buenos Aires il 29 novembre nel corso dell’evento VIII Jornadas de Historia Moderna y Contemporánea.Encuentros entre la política, la economía,la cultura y la sociedad. 29-30 de noviembre de 2012.

2 Si veda: CRISCIONE, Antonino, «Sopravviverà la storia all’ipertesto?», in Memoria e Ricerca, 12, 2003, p. 165. Disponibile all’URL: < http://www.fondazionecasadioriani.it/modules.php?name=MR&op=showfascicolo&id=30 > [consultato il 18 novembre 2011]. Si noti che è proprio da questo articolo che abbiamo preso in prestito l’incipit del nostro titolo.

3 Cit. in MONTEIRO, Drumond Silvana, «O Ciberespaço: o termo, a definição e o conceito» in DataGramaZero - Revista de Ciência da Informação,8, 3/2007, URL: < http://www.dgz.org.br/jun07/Art_03.htm > [consultato il 26 dicembre 2012].

4 LÉVY, Pierre, Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, Milano, Feltrinelli, 1999, p. 91.

5 LÉVY, Pierre, Il virtuale, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1997.

6 CRISCIONE, Antonino, op. cit.

7 HARTOG, François, Lo specchio di Erodoto, Milano, Il saggiatore, 1992, p. 222.

8 Ibidem, p. 249.

9 HUXLEY, Aldous, Il mondo nuovo, Milano, Mondadori, 2007 [ed. originale Brave New World, London, Chatto & Windus, 1932].

10 AYERS, Edward L., «History in Hypertext», Virginia Center for Digital History, 1999. Disponibile all’URL: < http://www.vcdh.virginia.edu/Ayers.OAH.html > [consultato il 10 settembre 2012].

11 Per quanto riguarda la distinzione tra il passato e la storia e altri aspetti teorici e pratici della materia, vale la pena fare riferimento a JENKINS, Keith, O que é a história? in ID., A História Repensada, São Paulo, Editora Contexto, 2001, p. 17 et seq. [ed. originale, Re-thinking history, London-New York, Routledge, 1991].

12 RICOEUR, Paul, La memoria, la storia, l’oblio, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2003, p. 193.

13 Ibidem.

14 Ibidem, p. 194.

15 MATTA, Alfredo Eurico Rodrigues, Procedimentos de autoria hipermídia em rede de computadores, um ambiente mediador para o ensino-aprendizagem de história, tesi di dottorato in Educação, Universidade Federal da Bahia, 2001, p. 61.

16 CRISCIONE, Antonino, op. cit.

17 DECEMBER, John, «Living in Hypertext», in EJournal, 6, 3, August 1996. Disponibile all’URL: < http://www.ucalgary.ca/ejournal/archive/v6n3/december/decht.html > [consultato il 29 settembre 2012].

18 ROSENZWEIG, Roy, BRIER, «Steven. Historians and Hypertext: Is It More than Hype?», in American Historical association, Column Computers and Software, March 1994. Disponibile all’URL: < http://www.historians.org/perspectives/issues/1994/9403/9403COM.cfm > [consultato il 28 settembre 2012].

19 LÉVY, Pierre, Il virtuale, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1997, p. 26

20 CERTEAU, Michel de, La scritura della storia, Roma, Il pensiero scientifico, 1977, p. 61 cit. in RICOEUR, Paul, op. cit., pp. 235-236.

21 Il termine «Google Age» è stato utilizzato da Carlo Ginzburg nel corso suo intervento del seminario internazionale “Fronteiras do Pensamento 2011”, in Brasile, per affrontare il rapporto tra Internet e Storia nel XXI secolo. Disponibile all’URL: < http://www.fronteirasdopensamento.com.br/portal/noticias/2011/03/13/fronteiras-no-youtube-carlo-ginzburg > [consultato il 29 settembre 2012].

22 DARNTON, Robert, «A Historian of Books, Lost and Found in Cyberspace», in American Historical Association, March 1999, Disponibile all’URL: < http://www.historians.org/prizes/gutenberg/rdarnton.cfm > [consultato il 28 settembre 2012].

23 CHARTIER, Roger, A aventura do livro do leitor ao navegador: conversações com Jean Lebrun, São Paulo, Imprensa Oficial do Estado-UNESP, 1999, pp. 60-61 [ed. originale Le livre en révolutions: entretiens avec Jean Lebrun, Paris, Textuel, 1997] (traduzione dell’autrice).

24 LÉVY, Pierre, Il virtuale, cit., p. 38.

25 Si vedano, ad esempio, le offerte e proposte didattiche sulle sito del King’s College “Digital Humatinies – Inpiring research, transforming scholarship”. URL: < http://www.kcl.ac.uk/artshums/depts/ddh/index.aspx > [consultato il 9 settembre 2012].

26 COHEN, Daniel J., ROSENZWEIG, Roy, Digital History: A Guide to Gathering, Preserving, and Presenting the Past on the Web, Washington D.C., Center for History and New Media, George Mason University, 2005. URL: < http://chnm.gmu.edu/digitalhistory/ > [consultato il 10 settembre 2012].

27 ROSENZWEIG, Roy, BRIER, Steven, op. cit.

28 RAGAZZINI, Dario (a cura di), La Storiografia Digitale, Torino, UTET, 2004, p. VII.

29 Per quello che riguarda il rapporto tra storia e informatica, si vedano TAVARES, Célia Cristina da Silva, História e Informática, in CARDOSO, Ciro Flamarion, VAINFAS, Ronaldo (Orgs.), Novos domínios da história, Rio de Janeiro, Elsevier, 2012, pp. 301-317; FIGUEIREDO, Luciano Raposo, História e Informática. O uso do computador, in CARDOSO, Ciro Flamarion, VAINFAS, Ronaldo (Orgs.), Rio de Janeiro, Campus, 1997, cap. 19. URL: < http://api.ning.com/files/kJfASdjgEFs0qXtVylbQg-SLOtqhZ*3626w1GlNbujpFl86jAPp3kmXWPLfl7PHFn*L6AavVfi8*Xrt08F*sdVCo7FaAVJjU/CiroFlamarionCardosoRonaldoVainfasDominiosdaHistria.pdf > [consultato il 26 dicembre 2012].

30 HARTOG, François, op. cit., passim.

31 GRAFTON, Anthony, La nota a piè di pagina. Una storia curiosa, Milano, Sylvestre Bonnard, 2000.

32 Si veda COHEN, Dan, «The Blessay», disponibile all’URL: < http://www.dancohen.org/2012/05/24/the-blessay/ > [consultato il 18 dicembre 2012].

33 BRENT, Doug, «Stevan Harnad’s “Subversive Proposal”», in EJournal, 5, 1, June 1995, cit. in ANDERSEN, Richard, «Hypertext Notes» in EJournal, 6, 3, August 1996. Disponibile all’URL: < http://www.ucalgary.ca/ejournal/archive/v6n3/andersen/frames.html > [consultato l’8 ottobre 2012] (traduzione dell’autrice).

34 DECEMBER, John, «Living in Hypertext», in EJournal, 6, 3, August 1996. Disponibile all’URL: < http://www.ucalgary.ca/ejournal/archive/v6n3/december/decht.html > [consultato il 29 settembre 2012] (traduzione dell’autrice).

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica digitale

Anita Lucchesi, «“Sopravviverà la storia all’ipertesto?”»Diacronie [Online], N° 12, 4 | 2012, documento 2, online dal 29 décembre 2012, consultato il 09 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/2467; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/diacronie.2467

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Autore

Anita Lucchesi

Anita Lucchesi si è laureata in Storia presso l’Universidade Federal do Rio de Janeiro (2011); nel 2008 ha compiuto un soggiorno di studi di un anno presso l’Università degli Studi di Firenze, nell’ambito di uno scambio culturale fra le due istituizioni. Attualmente è studente borsista del Programma di Programa de Pós-Graduação em História Comparada da Universidade Federal do Rio de Janeiro e membro del Grupo de Estudos do Tempo Presente (GET-UFS). Ha già avuto esperienze nell’insegnamento della storia; le sue ricerche vertono in particolare sulla teoria e la metodologia storica, specificamente sulla storiografia digitale, su internet e sui nuovi media.
URL: < http://www.studistorici.com/2012/29/12/anita_lucchesi/ >

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