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III. Comunicazione e media: il 1992 come tornante storico?
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I loro incubi sono i nostri sogni. Il movimento della Pantera tra critica al neoliberismo e nuovi modi di comunicare

Michele Sgobio

Abstract

Spesso si tende a considerare quello della Pantera come un mero movimento studentesco rinchiuso nelle università. Per questo, a differenza che per quello del 1968, o del 1977, poco è stato scritto su di esso. Eppure, a immergersi nei documenti prodotti nelle facoltà occupate nel 1990, ci si imbatte nelle prime critiche al neoliberismo elaborate in Italia, in analisi della precarizzazione del mondo del lavoro, in pratiche mediatiche che, ancora oggi, caratterizzano i movimenti sociali. Il mondo universitario, e le riforme che lo hanno riguardato, sembra essere un osservatorio privilegiato per studiare, in Italia, il divenire egemone del pensiero neoliberista in un momento in cui le imprese private hanno l’esigenza di mettere maggiormente a valore il sapere. Forse, studiare quel movimento, può aiutare a comprendere meglio i nostri giorni.

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Testo integrale

“La Pantera siamo noi” by Tusco on Wikimedia Commons (CC BY-SA 3.0)Visualizza l'immagine
Credits: Wikimedia Commons
  • 1 «Il ritorno», in Nightmare, fanzine autoprodotta, numero 0, Bologna, 18 febbraio 1990.

Pensavano di aver rinchiuso i sogni nei recinti del loro zoo e parchi pubblici, e invece la pantera è scappata. È tornata incubo. Credevano che la tecnologia fosse la “gabbia d’acciaio” contemporanea, invece è divenuta veicolo di comunicazione altra1.

1. Introduzione

1Gli occhi sgranati di Totò Schillaci e la delusione per l’eliminazione della nazionale nella semifinale contro l’Argentina di Maradona. Forse, nell’immaginario collettivo degli italiani, del 1990 resta poco più di questo: i mondiali di calcio giocati nel nostro Paese.

  • 2 I Pooh vinsero il Festival con il brano Uomini soli. Marco Masini, invece, concorse nella sezione g (...)

2A Sanremo, andato in onda dal 28 febbraio al 3 marzo, quell’anno vincono la solitudine cantata dai Pooh e la disperazione d’amore di Marco Masini nella sezione giovani2. Eppure, nell’inverno del 1990, studentesse e studenti, occupando le università, trasformandole in luoghi di socialità, oltre che di elaborazione politica, e invadendo le strade delle città, dalla solitudine e dalla disperazione che, per molti versi, avevano caratterizzato il decennio precedente, cercano di liberarsi collettivamente. Mentre cantano, i Pooh e Masini forse non lo sanno, ma negli atenei italiani si pensa addirittura di irrompere al Festival, per dare visibilità mediatica alla protesta studentesca:

  • 3 Una proposta di manifestare a Sanremo giunge da Bologna, dal Coordinamento delle facoltà scientific (...)

Il Coordinamento delle Facoltà Scientifiche invita tutti gli atenei occupati ad attuare una prova di forza a Sanremo, organizzando una manifestazione in coincidenza con la finale del Festival della Canzone Italiana3.

3Dopo il parziale assopimento degli anni Ottanta, è in quell’anno che, in Italia, si risvegliano i movimenti sociali, dando vita a teorizzazioni e pratiche che attraverseranno tutto il decennio successivo e, per alcuni versi, continuano a caratterizzare ancora oggi gli eredi, a volte inconsapevoli, di quella stagione.

4Lotte studentesche e del movimento dei lavoratori si intrecciano. Tematiche come la precarietà, il neoliberismo, la globalizzazione, l’antirazzismo o l’antimafia sociale cominciano a comparire, o a essere più frequenti, nei documenti, acquisendo centralità nelle lotte.

5Il movimento studentesco della Pantera, al quale questo articolo è dedicato, nasce a Palermo sul finire dell’anno precedente, ma è proprio nel primo mese del 1990 che si diffonde a macchia d’olio lungo tutta la Penisola, e assume un nome a Roma, nelle aule de La Sapienza occupata.

6La protesta, nata per opporsi alla riforma dell’università voluta dall’allora ministro Antonio Ruberti, ben presto si intreccia con altre lotte che in quel momento attraversano il Paese, come quelle contro le privatizzazioni o contro la legge Jervolino-Vassalli, che prevede la detenzione per i consumatori di sostanze stupefacenti. Le elaborazioni che in quei giorni nascono nelle facoltà occupate non si limitano esclusivamente a una critica del sistema universitario, ma inseriscono la riforma in un contesto più ampio, quello della ristrutturazione neoliberista della società, anticipando tematiche ancora oggi centrali per decifrare la contemporaneità.

7Studiare quel movimento da tale prospettiva, permette di analizzare come una determinata mentalità, e alcuni principi organizzativi, tendono a imporsi in un mondo, quello accademico, in un momento nel quale il sapere diviene centrale nel processo di accumulazione capitalistico. Un osservatorio per molti versi privilegiato, che permette di mettere in luce sia alcune dinamiche che caratterizzano la società contemporanea, sia le elaborazioni e le pratiche di chi ha provato a contrastarle.

8Non di rado, chi parla o scrive della Pantera, tende a sottolineare che quel movimento è stato rimosso, sia dai media, sia dalla ricerca storiografica. Eppure, tracce di quell’esperienza, sono ancora presenti nell’Italia contemporanea: le troviamo nelle interpretazioni dell’ideologia neoliberista; nei centri sociali, che proprio dalla Pantera trassero nuova linfa, e ancora oggi sono presenti in molti comuni italiani; nella memoria dei collettivi studenteschi, all’interno dei quali si tramanda una storia che, nei libri, è stata poco narrata; nella musica rap, oggi in cima alle classifiche discografiche, la quale, seppur basata su tematiche molto diverse da quelle attuali, si diffuse in quei giorni, grazie al tam tam tra le università occupate e alla loro permeabilità alla società esterna; nei graffiti e nella street art che colorano i muri delle periferie, che, proprio dopo quel movimento, cominciarono a entrare, in Italia, nel panorama culturale.

9Il 17 gennaio del 2020, la sala Odeion della Facoltà di Lettere de La Sapienza di Roma ha ospitato il convegno Il movimento studentesco del 1990. Storia, memoria, forse uno dei primi tentativi di storicizzare l’esperienza della Pantera. Il primo intervento dopo la relazione introduttiva è affidato a Marica Tolomelli, che lo intitola: Storia e Memoria della Pantera. Questa una delle sue riflessioni:

  • 4 Intervento di Marica Tolomelli (Università di Bologna) al Convegno “1990-2020. Il movimento student (...)

Il movimento della Pantera è stato un movimento che ha tentato di sviluppare una critica, fondata, informata, approfondita, sull’impatto che si stava rivelando una prima manifestazione concreta delle politiche neoliberiste4.

10Su tale considerazione ruoterà gran parte di questo contributo, che non ha la pretesa di essere una storia esaustiva del movimento studentesco del 1990, ma si prefigge di essere una mia prima, parziale, ricognizione di quell’esperienza. Nelle pagine che seguono, cercherò di mettere in luce, grazie a documenti, riviste e fanzine prodotti all’interno del movimento, e in parte inediti, le critiche al neoliberismo elaborate nelle facoltà occupate, che portarono la Pantera a configurarsi come il primo movimento italiano che si oppose alle politiche da esso ispirate e all’ideologia che le indirizza. Molti episodi, anche se cruciali, saranno trascurati, o solo accennati, mentre tenterò di concentrarmi soprattutto sull’elaborazione teorica e su come questa prese forma in pratiche di lotta che allora si diffusero, per arrivare, in parte, fino ai nostri giorni.

11In questo contesto, dopo aver indagato le ragioni per le quali il movimento è stato “rimosso”, e il contesto nel quale è nato, cercherò di analizzare la critica al potere mediatico elaborata all’interno della Pantera, la quale, per molti versi, anticipa tematiche che diverranno centrali con la nascita di Forza Italia e con l’ingresso in politica di Silvio Berlusconi. Una critica che indirizzerà le strategie comunicative del movimento, per l’epoca fortemente innovative, e che, ancora oggi, sono alla base del modo di comunicare dei movimenti sociali e della pratica del mediattivismo.

2. La memoria è un ingranaggio collettivo

  • 5 ALBANESE, Carmelo, C’era un’Onda chiamata Pantera, Roma, Manifestolibri, 2010, p. 49.
  • 6 SIMEONE, Nando, Gli studenti della Pantera. Storia di un movimento rimosso, Roma, Alegre, 2010.
  • 7 ID., La Pantera. 30 anni portati bene. Dalla rimozione all’azione efficace, Roma, NeP, 2020.
  • 8 ID., Gli studenti della Pantera, cit., pp. 9-10.

12Nando Simeone, nel 1990, era tra gli occupanti della Facoltà di Psicologia de La Sapienza di Roma, la prima a essere presa in quell’ateneo dagli studenti il 12 gennaio di quell’anno5. Al movimento della Pantera ha dedicato due libri, uno pubblicato da Alegre nel 20106, l’altro nel 2020 da NeP7. In entrambi, fin dal titolo, sottolinea che, quello che ha contribuito ad animare, è un movimento “rimosso”, del quale poco hanno parlato i mass media negli anni successivi e che gli storici hanno scarsamente indagato. Per lui, le ragioni sono prettamente politiche: chi ha animato la Pantera – scrive – in seguito non ha narrato la propria esperienza, e, non essendoci una narrazione dei vinti, come per il 1968 o il 1977, le «strutture egemoni dell’industria culturale e della comunicazione» non hanno sentito la necessità di proporne una dei vincitori8.

  • 9 ALBANESE, Carmelo, op. cit., p. 103.

13Anubi Lussurgiu d’Avossa, in quell’anno poco più che maggiorenne, ha vissuto il movimento nella Facoltà di Lettere de La Sapienza. Anche secondo lui le ragioni della rimozione sono meramente politiche: dopo il 1989 – dice intervistato da Carmelo Albanese – la modernità doveva essere declinata al mercato, a una depauperazione del pubblico e a una standardizzazione del rapporto tra le persone. Ogni possibile forma di cambiamento e partecipazione politica doveva essere oscurata. Il movimento del ’90, in questo contesto, era una realtà scomoda.9.

  • 10 FALCIOLA, Luca, Le premesse di una nuova sinistra, in La meglio gioventù. Dalla Pantera ai nuovi mo (...)

14Luca Falciola, invece, è un ricercatore contemporaneo. In una recente raccolta di saggi sulla Pantera, pubblicata dalla rivista «Left», riconosce a quel movimento di aver cercato di ricostruire un’identità politica della Sinistra italiana, di aver ripensato le forme dell’impegno militante e della politica stessa. La rimozione – scrive – c’è stata perché, in molti casi, non si è saputo interpretare quel movimento, considerandolo o limitato alla sola università, o «una riproposizione fuori tempo massimo degli anni Sessanta»10.

15Adolfo Scotto di Luzio, al contrario, dell’interpretazione contestata da Falciola è convinto, e, anche se non parla apertamente di rimozione, spiega così la fine del movimento:

  • 11 [libro digitale: epub] SCOTTO DI LUZIO, Adolfo, Nel groviglio degli anni Ottanta, Torino, Einaudi, (...)

Colpisce nel movimento studentesco del Novanta un che di claustrofobico. È uno strano movimento quello della Pantera, che si muove poco. Tutti stanno dentro invece che fuori. L’università è la loro tana. Gli studenti diventano ben presto prigionieri di una scelta tattica, l’occupazione, che è il tutto del loro modo di essere. Tanto che la Pantera finisce quando finiscono le occupazioni. Fin dalla scelta dell’animale totemico c’è come l’inconsapevole assunzione di un destino, quello appunto di finire in gabbia11.

16Ma davvero la Pantera fu un movimento che si rinchiuse nelle università senza dialogare con l’esterno? Davvero, finite le occupazioni, quella spinta si esaurì? E, la rimozione, è stata totale, o riguarda solo la presenza sui media e nei libri di storia, soprattutto a causa di una perdita di interesse da parte di studiosi e giornalisti per i movimenti sociali?

17Ascoltando e leggendo le interviste ai protagonisti di quei giorni, confrontandosi con il materiale che hanno prodotto, si ha la sensazione di un movimento che cerca di aprirsi alla società, che non ha come unico obiettivo il ritiro della riforma universitaria, ma quello di opporsi complessivamente alle politiche neoliberiste. Che si confronta con una situazione internazionale del tutto nuova e cerca di interpretarla. Nella società contemporanea si individuano ancora tracce di memoria di quell’esperienza e di quanto al suo interno fu elaborato.

18Prima di conoscere le protagoniste e i protagonisti del movimento, prima di sezionare il materiale prodotto al suo interno è utile descrivere il contesto all’interno del quale la Pantera nasce.

3. Non si esce vivi dagli anni Ottanta

  • 12 [libro digitale: epub] HARVEY, David, Breve storia del neoliberismo, Milano, Il Saggiatore, 2007, p (...)

19David Harvey ha studiato a lungo il neoliberismo, la sua storia, le politiche che lo caratterizzano e i conflitti che produce. Secondo lui «molto probabilmente in futuro gli storici guarderanno al biennio tra il 1978 e il 1980 come a un punto di svolta rivoluzionario nella storia sociale ed economica del mondo»12.

  • 13 Ibidem, p. 6.

20Sono quelli gli anni – afferma – nei quali i dettami neoliberisti cominciano a diffondersi a livello globale, dalla Cina all’Africa; dall’Europa, all’Australia, passando per le Americhe. È da allora, secondo Harvey, che «la deregolamentazione, la privatizzazione e il ritiro dello stato da molte aree d'intervento sociale sono stati estremamente diffusi»13.

  • 14 DE LUNA, Giovanni, La marcia dei quarantamila: come finisce il Novecento, Milano, Fondazione Giangi (...)

21In Italia, gli anni Ottanta del Novecento si aprono con la strage di Bologna e la sconfitta degli operai della Fiat Mirafiori, che, in seguito alla cosiddetta «marcia dei quarantamila», sono costretti a lasciare la fabbrica che avevano occupato senza ottenere il ritiro dei licenziamenti contro cui lottavano, né alcuna altra conquista14.

  • 15 Marica Tolomelli fa notare come la categoria di “riflusso”, utilizzata per descrivere questo fenome (...)

22Comincia così una complessa stagione, durante la quale, all’impegno politico diffuso, segue un parziale rinchiudersi nel privato15. Immagini contraddittorie e confuse si accavallano in questo periodo, rendendolo ancora oggi di difficile lettura: da un lato la crescita economica, l’aumento degli investimenti in borsa, l’edonismo craxiano e lo yuppismo; dall’altro la guerra di mafia, l’eroina che infesta le città e miete migliaia di vittime, la disoccupazione crescente. Sullo sfondo una controcultura giovanile e movimenti sociali che, pur agendo nella società, tendono a esserne ghettizzati, a scomparire dalla visuale collettiva e da un immaginario condiviso.

3.1 Produci, consuma, crepa!

23Secondo Fernando Salsano, che cita Vittorio Vidotto, è in quel decennio che

  • 16 SALSANO, Fernando, Consumi e stili di vita degli italiani dalla ricostruzione agli anni Ottanta: da (...)

la dimensione simbolica del benessere “con i suoi idoli e le sue icone”, acquistò un peso sempre maggiore nell’immaginario collettivo, oscurando drasticamente le tematiche dell’austerità, della solidarietà sociale e della critica al consumismo che avevano influenzato il dibattito pubblico nel decennio precedente16.

  • 17 Ibidem, p. 289.

24L’imperativo pare essere quello di consumare. E apparire. Sembrano essere questi i nuovi paradigmi propagandati soprattutto dalle televisioni commerciali, che divengono, attraverso le pubblicità e i programmi di intrattenimento ed evasione, «il principale veicolo di diffusione dei nuovi modelli culturali dominanti», spingendo anche la Tv pubblica ad adeguarsi a quegli standard e a diffondere i medesimi valori17.

  • 18 SCARAMUZZI, Sergio, I consumi e lo stile di vita, in PACI, Massimo (a cura di), Le dimensioni della (...)

25Gli stili di consumo assurgono così a «un modo per innalzarsi al di sopra del proprio gruppo di appartenenza»18, si tende sempre più ad acquistare per quel che il prodotto rappresenta, comunica, non per la sua utilità.

  • 19 GINSBORG, Paul, L’Italia del tempo presente. Famiglia, società, stato 1980-1996, Torino, Einaudi, 2 (...)

I valori trionfanti dell’imprenditorialità, del consumismo e dell’individualismo – scrive Paul Ginsborg – dovevano essere celebrati in quanto tali, senza passare attraverso alcun filtro di riflessione19.

26Anche la politica cambia, cominciando ad assumere quelle caratteristiche che si affermeranno poi, a metà del decennio successivo, segnato dal “berlusconismo”:

  • 20 Ibidem.

Sotto la leadership di Craxi la politica avrebbe attraversato un processo di personalizzazione e di semplificazione, avrebbe acquisito una forte componente spettacolare, e il suo principale mezzo di comunicazione sarebbe divenuto quello televisivo20.

3.2 Neotelevisione

  • 21 [Libro digitale: epub] ECO, Umberto, TV: la trasparenza perduta, in ECO, Umberto, Sulla televisione (...)

27«Neotelevisone» è un termine coniato da Umberto Eco nel 1983 per descrivere come quel media stesse mutando. Appare per la prima volta in un articolo scritto per «l’Espresso». La televisione – scrive – si trasforma «da veicolo di fatti (ritenuto neutrale) in apparato per la produzione di fatti, da specchio della realtà a produttore di realtà»21.

  • 22 VANZINA, Carlo, Vacanze di Natale, Filmauro, Italia, 1983, 97’.
  • 23 RISI, Dino, I mostri, Mario Cecchi Gori, Italia-Francia, 1963, 120’.
  • 24 MONICELLI, Mario, RISI, Dino, SCOLA, Ettore, I nuovi mostri, Dean Film, 1977, 108’.

28I conflitti sociali scompaiono dall’orizzonte televisivo. Acquisiscono centralità l’individualismo, il rampantismo, l’edonismo, lo yuppismo, che tendono a plasmare la mentalità collettiva. Cambia anche il cinema: da una commedia all’italiana che mette a nudo e critica alcuni comportamenti della borghesia, si passa a una commedia che attorno a quei comportamenti costruisce simpatia, li rende accettabili: Vacanze di Natale22 dei fratelli Vanzina prende il posto de I mostri23 di Dino Risi e I nuovi mostri24 di Mario Monicelli, Dino Risi ed Ettore Scola. Probabilmente, non è un passaggio indifferente per comprendere le logiche culturali del periodo e la mentalità che producono.

  • 25 GOZZINI, Giovanni, La mutazione individualista, Roma-Bari, Laterza, 2011, p. 13.
  • 26 Ibidem, p. 158.

29La «neotelevisione» – scrive Giovanni Gozzini – «cancella l’idea del futuro come frutto di progetti comuni e di scelte condivise fra molti per sostituirgli un eterno presente fatto di soddisfacimento immediato di (presunti) bisogni personali. Cancella, cioè, la politica»25. Valori e comportamenti promossi dalle Tv «attraversano i confini di classe, reddito e ideologia»26, portando milioni di individui a far coincidere i propri interessi, il proprio stile di vita, con quello delle classi dominanti.

  • 27 DI FRAIA, Guido, STEFANIZZI, Sonia, Motivazioni di voto e comunicazione politica: il ruolo dei medi (...)

30È in questo contesto che avviene «la caduta della partecipazione e dell’impegno politico tradizionali, la valorizzazione delle disuguaglianze, l’affermarsi di comportamenti acquisitivi e particolaristici che hanno contribuito a sgretolare i tradizionali riferimenti normativi, politici e ideali»27.

  • 28 Legge 9 maggio 1989, n. 168, Istituzione del Ministero dell’università e della ricerca scientifica (...)

31Mentre la mentalità collettiva va plasmandosi in questo senso, le misure di welfare e l’intervento pubblico in economia tendono a contrarsi progressivamente: la riduzione dei punti di contingenza, la riforma in senso privatistico della sanità e delle ferrovie, l’uscita del pubblico dalle aziende partecipate o possedute, sono alcuni dei temi al centro del dibattito politico degli anni Ottanta. Quando, nel maggio del 1989, venne approvata la legge numero 16828, che, tra le altre cose, prevedeva l’istituzione del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, oltre che l’autonomia universitaria, anche dal punto di vista finanziario, il dibattito ruotava ancora attorno a questi argomenti.

4. La proposta di legge Ruberti

32All’approvazione della legge numero 168 del 1989 seguì una delle tante crisi di governo che caratterizzarono la Prima Repubblica e, quando, nel luglio di quell’anno, fu varato il VI governo Andreotti, a ricoprire la carica, appena istituita, di Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, venne chiamato il socialista Antonio Ruberti, uno degli ideatori di quella norma. Tra i suoi primi atti ci fu quello di promuovere un disegno di legge, che prese il suo nome, per attuare l’autonomia universitaria prevista nel provvedimento del quale era stato tra gli ispiratori.

33Tra le novità più significative introdotte dalla sua proposta c’era l’ingresso di servizi e capitali messi a disposizione da privati nelle università.

34I privati potevano collaborare «all’organizzazione delle biblioteche, dei sistemi informativi e di altri servizi e attrezzature» (art. 2 comma 1), all’istituzione di «centri interuniversitari per le attività di comune interesse» (art. 2 comma 3), all’assicurazione di «servizi culturali e ricreativi, residenze e strutture di vita collettiva, servizi complementari, assistenza agli studenti durante il corso di studi e orientamento degli studenti nell’accesso, nel corso degli studi e per la scelta della professione, nonché il conferimento di borse per la prosecuzione degli studi dopo la laurea» (art. 2 comma 4).

35Le università, inoltre, avrebbero potuto concludere accordi anche con privati «per ogni forma di cooperazione didattica» (art. 5 comma 2), accettare finanziamenti privati per ricerche specifiche (art. 7 comma 2) e sviluppare con privati «ogni forma di collaborazione scientifica» (art. 7 comma 3).

36Con l’articolo 11, infine, si prevedeva l’autonomia finanziaria degli atenei e si consentiva loro di accettare ulteriori finanziamenti privati.

37Spesso, la riforma proposta da Ruberti è considerata esclusivamente come uno tra i tentativi di innovazione e riordino del sistema universitario italiano. Eppure, se si volge lo sguardo verso il dibattito che la proposta suscitò nel mondo accademico, è possibile rendersi conto che il disegno di legge è la prima presa d’atto formale di una mentalità che, in quel periodo, va radicandosi anche tra i docenti, come nel resto della società. Una mentalità che avrebbe indirizzato le successive riforme dell’istruzione e che vede nella massimizzazione dei profitti privati lo scopo principale, se non l’unico, verso il quale la società deve tendere. L’ideologia neoliberista, da cui deriva, predica che solo perseguendo questo scopo si potrà garantire a ogni individuo maggior benessere e un funzionamento efficiente dei servizi. È in questo contesto che diverse strutture statuali cominciano a essere concepite come aziende, perdendo la loro funzione di enti con lo scopo di garantire dei diritti.

  • 29 HARVEY, David, op. cit.

38Al neoliberismo, e alle sue conseguenze sociali, sono stati dedicati diversi studi29; lo scopo di questo saggio è, invece, far emergere come la mentalità descritta abbia permeato il corpo docente, anche se non integralmente, delle università italiane e come questo sia solo un aspetto di un contesto molto più ampio all’interno del quale quei principi cominciavano a divenire egemoni.

39Il 30 novembre e il 1° dicembre del 1989 l’Università di Siena ospitò un convegno dedicato alla riforma universitaria. I lavori della seconda giornata furono dedicati ad analizzare la “fase costituente” dell’università italiana che andava avviandosi in quel periodo. Tra le altre, queste furono forse le parole più significative pronunciate da Luigi Berlinguer, allora rettore dell’ateneo senese:

  • 30 BERLINGUER, Luigi, L’autonomia: statuti e regolamenti, in BALESTRACCI, Duccio, MIRRI, Mario (a cura (...)

Le Università sono cambiate, hanno compiti organizzativi e promozionali che le hanno trasformate in enti, in strutture che in qualche parte assomigliano ad aziende, naturalmente ad aziende particolari, che producono cultura e che quindi sono per mille motivi assai diverse dalle aziende produttive ordinarie. Avere l’autonomia significa costruire una struttura che si autogestisce, che si propone degli obiettivi e che individua i mezzi per realizzarli: per questo necessitano organi e metodologie adeguati allo scopo. La metodologia fondamentale, in questo caso, è fondata su programmazione e controllo, che è un modello istituzionale e culturale di provenienza aziendalistica30.

40Le università – affermava Berlinguer – devono essere concepite come aziende, recepirne alcuni modelli istituzionali e culturali. Solo sfogliando i giornali di quei giorni, nei quali si parla di privatizzare poste, sanità e ferrovie, ci si rende conto che concepire ogni servizio in termini aziendalistici non è un dibattito che riguarda la sola istruzione.

41Le parole di Berlinguer sono esplicative di una mentalità che, in questi anni, tende a permeare la sfera pubblica; di un processo di portata amplissima che in quel periodo sta investendo le intere società a livello globale.

42La struttura degli stati, in tutte le sue diramazioni, tende a essere organizzata secondo modelli nati per l’organizzazione di aziende private. È un’inversione di rotta significativa all’interno delle società che fanno proprio il modo di produzione capitalistico: se, agli albori del capitalismo, le aziende si erano ispirate alla struttura burocratica degli Stati, in particolare a quella degli eserciti; se, con il fordismo, quella struttura burocratica era stata affinata e “potenziata”, e quel modello era stato trasmesso agli stati, per la prima volta, dalle aziende private; tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento è il modello organizzativo reticolare delle imprese private, ormai molto diverso dalle strutture burocratiche che avevano caratterizzato il Novecento, estremamente più snello e flessibile, che viene adottato dagli Stati, quasi a sancire il predominio dell’economia sull’intera società.

43Da un lato, questo processo è abbastanza ovvio: sono le imprese private che hanno sentito la necessità di adeguare la propria struttura organizzativa a una nuova fase dello sviluppo capitalistico; è in quel contesto che le teorie dell’organizzazione hanno raggiunto un grado di sviluppo più avanzato, ed è comprensibile che altre strutture tendano a organizzarsi in base a principi più moderni; d’altro canto, però, e questo, forse, è meno scontato, gli Stati adottano quei modelli in maniera totalmente acritica, facendo propri non solo i principi meramente organizzativi, ma anche la cultura e le ideologie che caratterizzano le aziende private. Ogni cosa deve essere in grado di autosostenersi in termini economici, altrimenti non ha ragione di essere, anche se, attraverso essa, vengono garantiti diritti che, fino a quel momento, erano stati considerati inalienabili.

44Anche le borse di studio, indispensabili per garantire il diritto al sapere, in base a questi principi, divengono esclusivamente uno strumento per trasformare il mondo universitario in un mercato e, anche quando si critica il concetto di mercato come poco adatto a descrivere la situazione delle università italiane, lo si fa evidenziando i limiti che tendono a non renderlo tale, non criticando i principi che portano a considerarlo in quei termini:

  • 31 MIRRI, Mario, Intervento al convegno Università oggi: l’avvio di una fase costituente, in ibidem, p (...)

Mercato significa un determinato rapporto tra imprese e consumatori: se concepissimo le Università come imprese destinate a fornire un certo prodotto ai consumatori, nel senso di apparato produttivo e organizzazioni sociali bisognose di personale laureato, si potrebbe parlare correttamente di mercato solo se le Università con prodotti scadenti fossero destinate a fallire, a chiudere, come vogliono le regole del mercato. In un sistema come il nostro, in cui le Università, persino quelle esistenti sulla carta o quasi, ricevono comunque finanziamenti e risorse dallo Stato, l’uso del termine «mercato» non mi sembra proponibile. In più, secondo questa impostazione, l’Università concepita come impresa dovrebbe considerare gli studenti solo come «materia prima» per confezionare un prodotto (laureato) consumato da altre imprese e istituzioni sociali; ed anche questo mi sembra un po’ forte. Io ritengo che, in parte almeno, questa idea di materia prima-prodotto, non possa essere rifiutata, ma occorra combinarla con un’altra (e questa combinazione necessaria mostra, per un altro verso, quanto sia complicata e difficile quindi da gestire razionalmente, il sistema universitario italiano): quella di impresa che eroga servizi, di cui gli studenti sono utenti. Da questo punto di vista, ancora, il termine «mercato» e il principio della concorrenza difficilmente possono essere utilizzati: perché occorrerebbe predisporre le condizioni per cui gli utenti (studenti) potessero veramente e liberamente accedere all’erogatore dei servizi (Università) meglio attrezzato, quale che fosse la sua collocazione sul territorio nazionale. […] Per assicurare una reale e totale mobilità degli studenti per accedere all’Università, che offra migliori servizi, occorrerebbe predisporre, di nuovo, un numero elevatissimo di borse di studio (e questo è quello che preferirei nella mia «utopia universitaria»); ma non mi sembra che questo oggi sia possibile. E in ogni caso, occorrerebbe, di nuovo, collegare a questo tipo di «mercato», la possibilità di chiusura delle Università prive di utenti31.

45Strutture, come quelle universitarie, concepite dal secondo dopoguerra come strumenti per garantire un diritto, quello allo studio, e per favorire, attraverso il sapere, la crescita della società nel suo complesso, che in un contesto nel quale si tende a credere che le società possano svilupparsi solo se vengono massimizzati i profitti privati, divengono uno strumento per la massimizzazione di tali profitti, parte della struttura produttiva, e non patrimonio dell’intera società. Il radicarsi di una mentalità individualista porta, poi, a concepire il percorso di crescita universitaria come esclusivamente indirizzato a garantire a chi lo intraprende un buon lavoro, un posto privilegiato nella struttura economica della quale l’università ormai è considerata parte. Questo cambio di paradigma, tra le altre cose, viene evidenziato anche dal dibattito sulla fiscalità generale, che, secondo alcuni, non dovrebbe contribuire a finanziare gli «sterili privilegi acquisiti da una minoranza della popolazione giovanile»:

  • 32 DAL LAGO, Alessandro, «Dal patrimonialismo alla democrazia», in Aut Aut, 260-261, 1994, pp. 14-26, (...)

Anche le famiglie che non mandano i propri figli all’università (mediamente diciassette contro una) sostengono le spese dell’istruzione degli studenti universitari. […] In altri termini la collettività paga gli studi a una minoranza della popolazione giovanile32.

46Come se – anche chi non manda i propri figli all’università – non avesse bisogno di medici, docenti per le scuole di ogni grado, ingegneri, umanisti in grado di sviluppare un pensiero critico, e molto altro. Da queste parole appare più chiaro come, nella mentalità che va diffondendosi in quegli anni, l’università vada perdendo la propria funzione sociale e tenda a divenire esclusivamente parte dell’apparato produttivo. Una struttura che al massimo può permettere ai pochi privilegiati che la frequentano un posto nell’élite.

47A partire dagli anni Settanta del Novecento, la conoscenza, il sapere, sono divenuti centrali nel processo di accumulazione capitalistica; essenziali per garantire alle imprese un’innovazione continua, che possa permettere loro di proporre in brevi lassi di tempo sempre nuovi prodotti e servizi, non di rado ad alto contenuto tecnologico:

  • 33 LOMBARDI, Giancarlo, Il ruolo delle Università nello sviluppo industriale secondo le aspettative de (...)

La ragione che induce il mondo imprenditoriale a prestare concreta attenzione ai problemi dell’Università e della ricerca scientifica è il passaggio netto e avvertibile da una civiltà dei consumi a una civiltà del sapere: cioè dal privilegio della produzione dei beni materiali a un sistema produttivo più sofisticato e dominato da quell’immateriale che definiamo servizi, know how, informazione, ricerca per lo sviluppo, formazione di risorse umane, produzione e diffusione di conoscenze33.

48In altri termini, il sistema produttivo ha bisogno di mettere maggiormente a valore la conoscenza. In questo contesto, anche l’autonomia finanziaria delle università diviene uno strumento per raggiungere lo scopo: permette alle imprese private di finanziare esclusivamente le ricerche utili alla loro crescita e, venendo meno molte delle risorse derivanti dalla fiscalità generale, rende gli atenei estremamente dipendenti da tali contributi.

  • 34 Politecnico di Torino, Conferenza di Ateneo: «Il Politecnico verso l’autonomia universitaria», (Tor (...)
  • 35 Queste preoccupazioni, per esempio, vengono espresse nel documento redatto il 31 gennaio 1990 dalla (...)

49Secondo chi sostiene questa forma di autonomia, ciò non indirizzerà l’attività didattica delle università, poiché lo Stato continuerà a finanziare la ricerca di base e i servizi essenziali34. Con l’autonomia finanziaria, però – sostengono i suoi oppositori – i fondi destinati alla ricerca di base saranno indirizzati soprattutto verso quelle ricerche che, sviluppandosi, consentiranno alle Università di attrarre maggiori finanziamenti privati, penalizzando tutte quelle facoltà la cui ricerca non è concepita come immediatamente «produttiva»35. Facoltà considerate un «peso morto», alle quali, gli studenti, dovrebbero essere disincentivati a iscriversi:

  • 36 ROSSI, Pietro, Intervento al convegno Università oggi: l’avvio di una fase costituente, in ibidem, (...)

L’Università italiana ha oggi un peso morto rappresentato – dobbiamo riconoscerlo con estrema franchezza in questa sede, e non avere il timore di dirlo fuori – dai corsi di laurea delle Facoltà umanistiche. […] Le Facoltà umanistiche non assolvono oggi nessun reale compito professionalizzante (se si eccettua, forse, Giurisprudenza). Perciò, anche a non voler ricorrere al «numero chiuso» generalizzato, dobbiamo usare strumenti di disincentivazione delle iscrizioni in certi settori e di incentivazione di altri36.

50Molti docenti non accettarono che l’università italiana fosse concepita secondo questa logica. Proprio il timore che l’ingresso dei privati potesse condizionare l’attività didattica, portando all’istituzione di percorsi di studio specifici in base agli interessi delle aziende, e ciò potesse condurre a un sapere parziale e alla limitazione del sapere critico, spinse, poi, gli studenti a mobilitarsi, dapprima a Palermo, poi nel resto d’Italia. Furono, come cercherò di mettere in evidenza più avanti, proprio gli studenti a inserire la riforma universitaria in un contesto più ampio, quello della ristrutturazione neoliberista, e a evidenziare le ragioni per le quali il sapere tende a essere considerato esclusivamente come una materia prima utile alla produzione. Per comprendere in che contesto queste riflessioni furono elaborate, però, restiamo a Palermo, nei primi giorni di dicembre del 1989. Quelli durante i quali la Pantera – che non sa ancora di esserlo – muove i primi passi.

5. Esportare la primavera

51Il 6 dicembre 1989 viene occupata la la Facoltà di Lettere dell’Università di Palermo per protestare contro il disegno di legge proposto da Ruberti. Gli studenti reclamano anche diritto allo studio e strutture decenti nelle quali studiare. In pochi giorni molte altre facoltà dell’ateneo cittadino vengono occupate e, il 20 dicembre del 1989, Palermo è attraversata da un corteo studentesco di oltre diecimila persone.

  • 37 TG1 Sette, Rai 1, gennaio 1990, URL: < https://vimeo.com/630063444/4c59c69e34 [consultato il 12 ot (...)

Non è un caso che il movimento degli studenti sia nato da Palermo – dice uno studente della Facoltà di Lettere intervistato da Tg1 Sette nel gennaio del 1990 – Palermo in questi anni ha vissuto giorni particolari, Palermo ha vissuto in una trincea. Palermo è stata una sfida per la democrazia nel Paese. Ecco, a Palermo è cresciuta anche la consapevolezza della società civile e della gente riguardo ai problemi. A Partire da questa consapevolezza noi studenti, partendo dal nostro particolare, vorremmo lanciare un messaggio: un messaggio di speranza, ai giovani, e non solo ai giovani, un messaggio che vuole dire questo: che possiamo cambiare e dobbiamo cambiare37.

52No, forse non è davvero un caso che il movimento sia nato a Palermo e che, già dalla sua gestazione, tenda a non essere particolaristico, a coinvolgere l’intera società in una battaglia per il cambiamento.

53In quei giorni di dicembre del 1989, la città è riscaldata dall’ultimo tepore della «primavera palermitana». Nel 1985 era divenuto sindaco Leoluca Orlando, esponente della sinistra democristiana. Nel 1987 ha dato vita a una giunta anomala: estromessi socialisti, liberali e repubblicani, emarginate le correnti della destra Dc, ha accolto in maggioranza Sinistra indipendente, Verdi, Socialdemocratici e la lista civica di ispirazione cattolica «Città per l’uomo».

54Due anni dopo, il 15 aprile 1989, allarga l’alleanza al Partito comunista, provocando l’ira della destra democristiana, che, nove mesi dopo, il 25 gennaio del 1990, lo costringe alle dimissioni.

55La «primavera palermitana» è per la città una stagione di rinascita civile, culturale e sociale: le iniziative nei quartieri controllati dalla mafia si moltiplicano; proliferano comitati e associazioni; l’intreccio tra mafia, politica e affari che caratterizzava Palermo, e non solo, viene denunciato pubblicamente.

  • 38 FALCIOLA, Luca, op. cit., p. 27.
  • 39 TOLOMELLI, Marica, L’Italia dei movimenti, cit.

56Un movimento sorto in un mondo che mutava profondamente, in grado di dare un lessico e strumenti nuovi alla Sinistra italiana38, probabilmente non poteva non nascere lì: a Palermo. In quella Palermo, che cercava di riscattarsi da mafia e oppressione, dando vita, assieme a quelle contro il nucleare e gli euromissili, a una delle lotte più significative degli anni Ottanta italiani39.

57Il 24 gennaio del 1990, il giorno prima di dimettersi, Leoluca Orlando interviene all’assemblea sul “caso Palermo” nella Facoltà occupata di Giurisprudenza. Pronuncia parole di speranza, non di resa:

  • 40 DE SIMONE, Titti, «E ora il rettorato», in L’Ora, Palermo, 25 gennaio 1990, p. 19.

Si può fare della buona musica anche con una grondaia che cade a pezzi, basta avere “il notturno” in testa. Ed io come voi, adesso, ho voglia di insistere e di continuare a suonare40.

58Mentre su Palermo tornava l’inverno, si cercò di esportare la primavera in tutto il Paese. E i suoi fiori, nel decennio che seguì gli anni Ottanta, sarebbero sbocciati più volte.

59Paul Ginsborg offre un affresco della composizione sociale della «primavera palermitana», indicandola come la radice dei moti antimafiosi che, nel 1992, seguirono le stragi di Capaci e via D’Amerio:

  • 41 GINSBORG, Paul, op. cit., p. 618.

costituivano una complessa mescolanza di attivisti cattolici di base, ex militanti del Pci e dei gruppi rivoluzionari degli anni ’70, femministe, studenti medi e universitari, sindacalisti41

60Anche se il lessico è diverso, non si può che tendere a sovrapporre questa mappa a quelle tracciata da Ciuffo e da Daniele Vicari per descrivere la composizione del movimento studentesco del 1990:

  • 42 CIUFFO, Facoltà di memoria, in Detonazione! Percorsi, connessioni e spazi altri nella controcultura (...)
  • 43 ALBANESE, Carmelo, op. cit., p. 66.

Le anime politiche principali furono quelle dell’area dei centri sociali e quelle legate più o meno organicamente al Partito Comunista Italiano; a Roma fu pure particolarmente cospicua la componente trotzkista di Democrazia Proletaria. Ma appariva pure chiaro che la maggioranza era costituita – nel gergo militante del periodo – da “cani sciolti” che erano in quel Movimento grazie esclusivamente alle occupazioni ed alla vita sociale che queste producevano42.

C’erano anche studenti cattolici molto presenti nel movimento, cattolici dichiarati perché frequentavano la cappella universitaria
43.

61Per molte e molti quella della Pantera fu la prima esperienza politica. In precedenza, mai si erano interessati a quei temi e, sovente, non fu facile cominciare, anche a causa della mentalità che aveva permeato gli anni Ottanta.

6. Non sono sola, non siamo sole, non siamo soli

  • 44 PORTELLI, Alessandro et al., L’aeroplano e le stelle. Storia orale di una realtà studentesca prima (...)

62Tra la fine del 1990 e il 1991, Alessendro Portelli, assieme ad alcune studentesse e studenti, ha raccolto le voci di chi aveva partecipato all’occupazione di Villa Mirafiori, sede della Facoltà di Lingue e Filosofia de La Sapienza di Roma44. La vita universitaria prima della Pantera viene dipinta come segnata da un forte competizione e da un individualismo esasperato:

  • 45 Ibidem, p. 26.

Nel mio corso – dice Laura Lombardi – c’erano tutte persone estremamente competitive e molto individualiste; proprio un ambiente schifoso, competitivo e individualista che non dava il minimo aiuto né in senso di disponibilità di studio e né in senso di amicizia45.

  • 46 Testimonianza di Ludovica Mutarelli, Ibidem.
  • 47 Testimonianza di Alessio Trevisani, Ibidem.

63Ognuno era rinchiuso nel proprio «guscio»46, «ognuno era allo sbando, completamente da solo a risolvere i problemi»47.

  • 48 Testimonianza di Beatrice Dondi, Ibidem.

64Sottotraccia, però, si nutriva la speranza per qualcosa di profondamente diverso: «c’era voglia di comunicare con qualcuno [ma] mi sentivo talmente abbandonata»48.

  • 49 Ibidem, p. 28.

65Le notizie che arrivano da Palermo parlano sì di opposizione alla riforma e alle politiche del governo, ma anche di momenti di aggregazione, socialità e festa. Studentesse e studenti di quell’università viaggiano su e giù per l’Italia, ospiti di diverse assemblee. Sono il detonatore che fa esplodere i gusci, che spazza via il senso di isolamento: «Il movimento – dice Anna Gatti – mi ha dato la possibilità di vedere che non sono sola, non siamo sole, non siamo soli»49.

66È anche per questo che i momenti di socialità, durante la Pantera, assunsero la stessa rilevanza di quelli incentrati sulla politica. Bisogni a lungo repressi vennero finalmente soddisfatti nelle facoltà occupate:

  • 50 Ibidem, p. 65.

non c’erano neanche più le distinzioni tra momenti ludici e momenti di organizzazione e confronto politico o le assemblee, i due momenti non erano più in contraddizione tra loro, era un momento nuovo anche per il linguaggio dei movimenti...50

67I luoghi del sapere, poi, si aprono anche all’esterno, diverse forme di opposizione, anche di marginalità, cominciano prima a parlarsi timidamente, poi a intrecciarsi, a immaginare insieme prospettive diverse:

  • 51 ALBANESE, Carmelo, op. cit., p. 118.

Nel ’90 – dice Roberto De Angelis – l’università continua a riempirsi di soggetti marginali, di persone che vengono da fuori l’università, perché tutte le volte che si produce uno spazio liberato, coloro i quali vivono gli spazi della metropoli, che sono spazi di reclusione, ma hanno la sensibilità e non aspettano altro che pollini, flussi di comunicazione che li possano portare a trovare in qualche modo uno spiraglio, entrano in quegli spazi per farne parte...51

68Divengono diffuse nuove pratiche di attivismo, che erano andate strutturandosi, in parte in sordina, lungo tutti gli anni Ottanta. Si genera:

  • 52 DE SARIO, Beppe, Resistenze innaturali. Attivismo radicale nell’Italia degli anni ’80, Milano, Agen (...)

un modo esplorativo di fare politica che ha incorporato i cambiamenti culturali, produttivi, della soggettività, divenendone un sensore non privo di contraddizioni52.

69Nasce un movimento che:

  • 53 Gruppo di lavoro “Normalizzazione e nuove forme del controllo sociale”, 4 maggio 1990. Consultabile (...)

attraverso la forma di lotta dell’occupazione e dell’autogestione è riuscito a rompere con gli schemi normalizzati degli anni ’80 [...] basati sui principi dell’individualismo, dell’arrivismo e dell’indifferenza. […] La nuova socialità emersa ha creato la coscienza e la speranza di un possibile stravolgimento di ciò che era stato fino a quel momento53.

70Si concludono così gli anni Ottanta italiani, con un’altra esplosione, questa volta di gioia: una generazione esce dal «guscio» e cerca di essere artefice del proprio futuro.

7. Novanta, non più Ottanta

71«Rassegna stampa Pantera» è il nome di un fascicolo, l’8.11, custodito dall’Archivio “Marco Pezzi” di Bologna. Contiene articoli di giornale, spesso ritagli senza data, che gli studenti del movimento bolognese esponevano nelle loro facoltà durante l’occupazione. Tra di essi c’è un’intera pagina de «il manifesto» datata 28 gennaio 1990, la 11. A tutta pagina c’è il titolo: «Anni Ottanta, addio». Nell’articolo, Erasmo D’Angelis descrive il corteo studentesco che il giorno prima ha invaso le strade di Firenze:

  • 54 D’ANGELIS, Erasmo, «Anni Ottanta, addio», in il manifesto, 28 gennaio 1990, p. 11.

Quattro monatti incappucciati scortano la bara (sembra vera, chissà come se la sono procurata), col cadavere del decennio appena defunto poggiata su un carretto tutto nero trainato da altri becchini. Dietro, tanti studenti in lacrime (false) con due immagini angoscianti, emblematiche: le facce di Vittorio Sgarbi e Sandra Milo, seguite dal monito: «Usa la testa, non i piedi», e da un’altra parola: «Pace», usato come il classico dei the end54.

72Esattamente cinque mesi dopo, il 28 giugno del 1990, ci si imbatte in un titolo che ha lo stesso suono sfogliando «l’Unità»: «Qui finiscono gli anni Ottanta». Il giorno precedente per le strade di Napoli e Milano hanno marciato i metalmeccanici, rivendicando scala mobile e aumenti salariali. Stefano Bocconetti racconta in questo modo la manifestazione di Napoli:

  • 55 BOCCONETTI, Stefano, «In piazza la rabbia degli operai del Sud anche per difendere la Napoli emargi (...)

C’è un clima di festa, nessuno si aspettava centomila persone in piazza. E così, in questa atmosfera, uno – nessuno saprà dire chi fosse – riesce ad arrivare al microfono. Non ha molto da dire: gli esce solo tre, quattro volte un «viva i metalmeccanici». E poi aggiunge una frase, che suona più o meno così: oggi non è solo il 27 giugno. Oggi sarà una data da ricordare perché con questo sciopero davvero sono finiti gli anni 80. Può sembrare una battuta
sofisticata. Ma la gente che ha già ripiegato le bandiere […] e sta per andarsene, fa in tempo ad applaudire l’imprevisto oratore55.

  • 56 «Novanta, non più Ottanta!» è una frase riportata su diverso materiale custodito presso i tre archi (...)

73Sembra quasi che chi, durante gli anni Ottanta, si era sentito messo ai margini, come gli studenti provenienti da famiglie di estrazione operaia o impiegatizia, o i lavoratori, che avevano progressivamente visto smantellare le conquiste del ventennio precedente, non possano proprio fare a meno di festeggiare la fine di quel decennio56.

  • 57 L’espressione «macelleria messicana» è stata utilizzata da Michelangelo Fournier, nel 2001 viceques (...)

74Forse, sulla scelta di quel metalmeccanico senza nome, sulla sua esigenza di confrontarsi con con la piazza di cui era parte, in qualche modo, hanno influito le proteste studentesche dell’inverno appena trascorso, le assemblee universitarie, dove chiunque poteva intervenire. La Pantera, lungi dal rinchiudersi nelle università, ha contribuito a riportare nell’immaginario collettivo la partecipazione politica, la necessità di prendere parola, anche se si è un anonimo metalmeccanico. E questo immaginario continuerà a caratterizzare una parte della società italiana per tutti gli anni Novanta, fino, almeno, al G8 di Genova del 2001, quando si cercherà di soffocarlo con la «macelleria messicana»57 e con un colpo di pistola sparato in faccia a un ragazzo.

75Studenti e lavoratori si incontreranno spesso nel corso degli anni Novanta, con il comune obiettivo di contrastare la ristrutturazione neoliberista della società. Ma restiamo per un po’ a Napoli, e addentriamoci nella lettura che la Pantera dà degli eventi internazionali che caratterizzano lo scorcio di secolo che la vide nascere. Potrebbe contribuire a decifrare anche questa convergenza.

8. Segnali di futuro

  • 58 CAVALIERE, Riccardo, «I centri sociali come spazio pubblico. Un caso di studi a Napoli», in Rivista (...)

76Il 10 giugno del 1989, nel quartiere napoletano di Soccavo, viene occupato un edificio comunale in disuso. Lo stabile versa in condizioni di grave degrado. È ristrutturato dagli occupanti, tra i quali molti studenti, assieme agli abitanti del quartiere. Insieme decidono di dargli il nome Tien’a ment. In napoletano significa «tieni a mente», ma il riferimento è anche alle proteste di piazza Tien An Men, che in quei giorni infiammano la Cina58.

77Quei fatti, e la dura repressione che ne seguì, entrarono di prepotenza nell’immaginario della generazione che diede vita al movimento della Pantera. Durante le occupazioni, da Palermo a Torino, molte aule furono ribattezzate con il nome della piazza di Pechino teatro della rivolta.

78Assieme all’Intifada palestinese, e alla lotta sudafricana contro l’apartheid, piazza Tien An Men fu uno dei riferimenti internazionali della Pantera, che tendeva a sentirsi parte di un più vasto movimento planetario. Il primo nell’era della globalizzazione.

79Gli ultimi mesi del 1989 furono anche quelli della caduta del Muro di Berlino e delle proteste in quello che fu il Blocco sovietico. Anche questi eventi contribuirono a forgiare l’immaginario del movimento e vennero non di rado richiamati in slogan e volantini.

80Interessante è la lettura di quei fatti che il movimento diede, molto lontana da quelle che comparivano sui media mainstream.

81«Progetto Memoria» era una rivista nata nel maggio del 1988, a dirigerla c’era Valerio Evangelisti, che in seguito sarebbe divenuto celebre nel mondo dei lettori per aver creato il personaggio dell’inquisitore Eymerich e per le sue storie a cavallo tra romanzo storico e fantascienza. Il numero 7 della rivista, uscito nell’estate del 1990, è interamente dedicato al movimento studentesco, che viene considerato parte di una mobilitazione globale contro il neoliberismo:

  • 59 «Ribellione», in Progetto memoria, III, 7, 2/1990, pp. 1-2. Consultabile in: Archivio della nuova s (...)

Quando nel nostro n. 1 annunciavamo la fine di un’epoca, quando nel nostro n. 4 leggevamo la rivolta di piazza Tien An Men quale espressione di un’insofferenza, generalizzata su scala mondiale, contro il neoliberismo e contro le forme fittizie di democrazia, sapevamo che qualcosa sarebbe avvenuto anche nel nostro paese. E, pur senza prevedere una protesta studentesca così ampia, intuivamo e scrivevamo che la rottura con gli anni ‘80 si sarebbe prodotta in primo luogo sul terreno della cultura59.

82Anche l’interpretazione dei movimenti che in quel momento attraversano l’Est Europa è profondamente diversa da quella in voga in quei giorni:

  • 60 Ibidem.

La realtà ci proponeva una ripresa dei grandi movimenti di massa, capaci nuovamente di riempire le piazze con la fiducia di poter modificare l’esistente; una volontà ovunque diffusa di togliere il potere dalle mani delle élites di professionisti per ridarlo alla gente; un malumore crescente verso le politiche economiche deflattive, fossero esse decise dal Fondo Monetario Internazionale o da un governo “socialista” o “socialdemocratico”.
Ciò era vero ad Oriente come ad Occidente, ma mentre oltrecortina – per usare un’espressione desueta – la protesta di massa, troppo a lungo repressa, travolgeva talora il bambino e l’acqua sporca (e ciò riserverà nei prossimi mesi amare sorprese a quelle popolazioni, spinte da decenni di falso comunismo ad invocare un capitalismo di cui ignorano i drammatici risvolti umani e sociali), nei paesi occidentali essa si traduceva in un lucido attacco al retaggio reaganiano e all’autoritarismo mascherato che ne rappresenta il pendant politico60.

83In questo passaggio, tra le altre cose, sono accennati temi, come la critica alle politiche imposte dall’Fmi, che saranno centrali per tutto il decennio e costituiranno la base teorica del movimento che, nel luglio del 2001, attraverserà le strade di Genova.

84Ancora più marcatamente queste tematiche vengono proposte in una fanzine, «Nightmare», autoprodotta da alcuni studenti bolognesi della Pantera. Nel numero 0, datato 18 febbraio 1990, sopra la testata, è scritto: «I loro incubi sono i nostri sogni». Tra le analisi proposte in quel primo numero, si può leggere una prima, embrionale, critica al processo di globalizzazione (anche se non viene ancora chiamato con questo nome) e alla finanziarizzazione dell’economia:

  • 61 «Frammenti in movimento», in Nightmare, numero 0, 18 febbraio 1990. Consultabile in: Archivio della (...)

Il 1989 è stato un grande anno; ha visto non solo il bicentenario della rivoluzione francese, ma pure la ripresa – ora parziale ora molecolarmente invisibile – dei movimenti sociali di opposizione. All’Est come all’Ovest, al Nord come al Sud. Importanti segmenti sociali si sono mossi cercando di impedire che il cerchio della normalizzazione capitalistica si chiudesse. Sono state chiamate lotte difensive, residuali, corporative. Invece sono segnali di futuro. Infatti la vera corporazione è un’altra. È la tendenza oggi dominante nella Forma-Mondo. E si compone di: a) concentrazione finanziaria e relativa speculazione; b) centralizzazione monopolistica delle attività produttive; c) progressivo esautoramento delle sedi di decisione formalmente poste nel “Politico”.
Quindi “qualcosa di più” di prima.
Questo qualcosa di più è rappresentato dalla crescente diffusione di istituzioni neocorporative di governo della lotta di classe, in un tempo in cui il capitalismo finanziario impone la sua egemonia su un mercato che sta acquisendo la compiuta dimensione di un mercato comune mondiale
61.

85La Pantera, come già evidenziato, è considerata uno dei tasselli di un movimento molto più ampio, in lotta contro il neoliberismo, che, in quel momento, percorre il pianeta. Un aspetto che risulta ancora più chiaro continuando a leggere «Progetto memoria»:

  • 62 «Ribellione», in Progetto memoria, numero 7, anno 3, estate 1990, pp. 1-2. Consultabile in: Archivi (...)

Non si comprende nulla della “pantera” italiana se non la si colloca fenomenologicamente alla rivolta inglese contro la poll tax, agli scioperi svedesi contro le misure di austerità, alle marce degli homeless statunitensi, alla sommossa austriaca contro l’arroganza e lo sfarzo dei ceti arricchitisi nel periodo di “trionfo del capitale”. Per non dire della rabbia dei disoccupati napoletani, del malumore degli operai delle grandi fabbriche di tutta Italia, della resistenza – cronologicamente precedente agli episodi citati, ma per tanti versi sintomatica di quanto sarebbe poi avvenuto – dei portuali genovesi.
La rinascita di un movimento studentesco, per quanto ancora poco strutturato e debolmente autoriflessivo, si colloca in questo contesto; e vi si colloca non in posizione marginale, bensì quale cuneo conficcato nel cuore di quel progetto di depauperamento culturale (nessuna cultura smussata delle tensioni antagoniste si può definire tale) che ha costituito un po’ il
leit motiv degli anni Ottanta62.

86Considerazioni che «Nightmare», pur se di area politica diversa, conferma:

  • 63 «Frammenti in movimento», in Nightmare, numero 0, 18 febbraio 1990. Consultabile in: Archivio della (...)

La lotta contro la “Neocorporazione” è la nostra possibilità di rendere intellegibili le forme di molte lotte degli anni ’80 (i più plumbei della nostra vita).
Le lotte dei minatori inglesi, degli autoferrotranvieri francesi ed italiani, dei siderurgici e dei portuali, dei Cobas della scuola e delle strutture di base della P.I., come le lotte contro l’Acna e la Farmoplant, le lotte contro i Tornado a S. Damiano e contro il traffico dei centri storici, sono state e sono tuttora ESTREMAMENTE MODERNE.
Infatti la settorialità delle domande poste (es. No allo smantellamento delle unità produttive, No alla privatizzazione del tal Ente, No a basi militari nel vicino territorio, No all’inquinamento nel tal “insieme ecologico”, fino alla lotta attuale contro la legge Ruberti) pongono da un punto di vista di un soggetto che si è frantumato sotto i colpi della ristrutturazione complessiva della formazione sociale istanze generali: per un mondo denuclearizzato ed ecologico, per un sapere sociale non mercificato, per una finalizzazione della attività umana non codificata dalla logica del profitto63.

  • 64 Significativo in questo senso è il documento redatto al termine dell’incontro nazionale del movimen (...)

87È a partire da queste analisi, elaborate nel seno della Pantera, che temi relativamente nuovi, emersi, seppur in sordina, negli anni Ottanta, come la sensibilità ambientale, l’antimilitarismo, l’antimafia sociale, l’antirazzismo o la lotta alla precarietà, cominciano a intrecciarsi con le tematiche classiche portate avanti dai movimenti studenteschi e da quelli dei lavoratori, dando vita a mobilitazioni e ai primi embrioni di un programma politico che fa i conti con i mutamenti di quegli anni, sia in seno alla produzione, sia nella società nel suo complesso64. Chi oggi segue i dibattiti interni ai movimenti sociali e al sindacalismo di base non potrà non notare come la convergenza delle lotte, attualmente al centro di molte riflessioni, sia presente embrionalmente già in questi scritti. Non sono le uniche analisi elaborate all’interno del movimento ancora oggi attuali.

9. Privatizzare è prima di tutto privare

88Un documento, redatto a Bologna dalla «Commissione Ruberti» della Facoltà di Giurisprudenza occupata, riporta la data del marzo 1990. Si apre con la fotografia di uno striscione nel quale, affiancata a una Pantera che distrugge il simbolo della Finivest, una siringa e delle monete, c’è scritto: «No a Craxi – Jervolino/ No a Ruberti/ No alle privatizzazioni/ Abbattiamo la logica dei Baroni». Sopra la fotografia è riportato lo slogan: «Privatizzare è prima di tutto privare».

89Più di ogni altra cosa, quello striscione e quello slogan rappresentano il tentativo di far convergere diverse lotte e analisi che in quel momento attraversano il Paese: da quella contro la legge Jervolino-Vassalli, che prevede il carcere per i consumatori di sostanze stupefacenti, alla riforma universitaria, alle privatizzazioni e ai licenziamenti che caratterizzano quegli anni. Emerge anche una critica al sistema dell’informazione, in giorni nei quali Mondadori entra a far parte del gruppo Fininvest. La visione è tutt’altro che corporativa, non si nota affatto un rinchiudersi nelle università, ma un tentativo di aprirsi al mondo esterno. Le teorizzazioni del movimento, per molti versi, si configurano come la prima critica strutturata, elaborata in Italia dai movimenti sociali, dell’ideologia neoliberista, delle politiche che ispira e della mentalità che diffonde.

90La riforma Ruberti, per esempio, viene inserita in un contesto più ampio, globale: quello della ristrutturazione capitalistica in senso neoliberista. Alcune delle riflessioni, anche nel lessico, sono molto simili a quelle che condurranno, tra il finire dei Novanta e i primi anni Zero, alle proteste di Seattle e Genova e che, ancora oggi, condizionano le lotte dei movimenti sociali. Emerge, tra le altre cose, una prima analisi del post-fordismo, anche se il termine non viene utilizzato, un’anticipazione dell’attuale configurazione geopolitica, caratterizzata da un mondo multipolare, una riflessione sulla concentrazione monopolistica a livello globale, dibattito ancora oggi in corso, e accenni alla centralità dell’informatica, sia nel processo di ristrutturazione industriale, sia per il rilancio dei consumi. Centrale, nelle elaborazioni del movimento, è, poi, l’importanza che la conoscenza ha assunto nel processo produttivo. Questo è quanto scrivono studentesse e studenti dell’Università di Bologna in un documento dell’aprile del 1990:

  • 65 Il movimento studentesco bolognese, Il disegno di legge Ruberti, aprile 1990, in Centro di document (...)

L’obiettivo, più o meno dichiaratamente espresso, è quello di funzionalizzare l’intera struttura e soggettività sociale alle esigenze dell’accumulazione e dello sviluppo del capitale in nome di una presupposta migliore qualità ed efficienza dei servizi privati. Lo stato e le sue politiche economiche e di bilancio sono lo strumento e l’oggetto di questa grande trasformazione. I disastrosi effetti sociali di questo processo sono sotto gli occhi di tutti: basti ricordare l’esperienza inglese tornata alla ribalta in questi ultimi giorni.
La crisi generale dei paesi capitalisti, durante gli anni ’70, ha determinato un processo di ristrutturazione del capitale su scala planetaria. Nel nostro paese abbiamo assistito al fenomeno del decentramento produttivo e alla massiccia immissione di nuove tecnologie (robotizzazione ed informatica) nelle grandi imprese.
La crisi che investiva i settori portanti dell’economia capitalista (siderurgia e chimica) viene progressivamente superata facendo ricorso ad altri settori d’investimento (informatica e robotizzazione) che pongono come punto centrale dello sviluppo del sistema la ricerca e la produzione di “know how”.
La costruzione di un nuovo settore portante dell’economia del sistema ha necessitato e necessita di un notevole impiego di risorse e di investimenti.
Questo fenomeno ha comportato una riduzione della spesa pubblica per fini sociali a fronte di un parallelo e ben maggiore aumento della spesa pubblica per fini “produttivi”.
Contemporaneamente si è assistito a processi di concentrazione del capitale (formazione di nuovi monopoli transnazionali) e ad un ricompattamento del capitale monopolistico a livello europeo determinato dalla necessità di fare fronte alla concorrenza di altri blocchi capitalisti (USA e Giappone) e dei Paesi socialisti, costretti a svendere i propri prodotti sui mercati internazionali per onorare i debiti contratti con i Paesi imperialisti65.

91A differenza che nel documento bolognese, il quale descrive il contesto globale in cui la riforma si inserisce, nelle indicazioni che provengono dalla prima assemblea nazionale del movimento, tenutasi a Palermo il 1° febbraio del 1990, il progetto di legge Ruberti viene analizzato all’interno della cornice italiana:

  • 66 Indicazioni dell’assemblea nazionale al movimento, Palermo, 1° febbraio 1990. Consultabile in: Arch (...)

i progetti di legge Ruberti rappresentano soltanto un tassello, pur se tra i più rilevanti, di un quadro più ampio di privatizzazione dei servizi pubblici e di contro riforma generale: si prenda, da un lato, alle tendenze privatistiche che coinvolgono le poste, le ferrovie, la sanità e il mondo dell’istruzione nel suo complesso, da un altro lato, la legge repressiva come quella sulla tossico dipendenza, comunemente nota come (legge Russo - Jervolino - Vassalli). In questo il movimento deve impegnarsi in un percorso di interlocuzione complessiva, che approfondisca, attraverso momenti comuni di riflessione con gli altri soggetti interessati un analisi dei processi sociali in atto66.

92In una proposta di documento unitario, approvata dagli occupanti di diverse facoltà della Federico II di Napoli, infine, quanto emerso da Palermo e, in parte, da Bologna, viene sintetizzato con queste parole:

  • 67 Proposta di documento unitario, Napoli, 21 febbraio 1990. Consultabile in: Archivio dei movimenti “ (...)

Nel quadro delle politiche governative di demolizione dello stato sociale, ovvero la riconsegna al capitale di tutto quanto storicamente è venuto qualificandosi come diritto inalienabile del cittadino, il DDL Ruberti, accelera il processo già in atto di asservimento della ricerca e della didattica alla logica del profitto intesa come fine e non come mezzo67.

93Sono solo tre stralci, ma, credo, siano utili per comprendere sia la profondità che la Pantera tende a dare alle proprie analisi, sia la necessità che il movimento sente di non rinchiudersi nelle università, ma di intessere alleanze con altri soggetti sociali, con i quali condividere anche i momenti di riflessione, oltre che di lotta.

94Oltre al quadro nel quale la riforma universitaria è inserita, all’interno del movimento si cerca di comprendere anche come siano cambiati i rapporti di lavoro, gli assetti della produzione e, al loro interno, l’importanza che ha assunto la conoscenza. Se, da un lato, quella che viene osservata è un’estrema precarizzazione delle condizioni lavorative, dall’altro emerge una sempre maggiore esigenza del capitale di mettere a frutto il sapere. Sono analisi, per alcuni versi, ancora oggi attuali e che, in molti casi, sono alla base delle riflessioni su questi aspetti a noi contemporanee:

  • 68 Intervento di Maria Pia Donato (Institut d'Histoire Moderne et Contemporaine di Parigi) al Convegno (...)

Nel ’90 […] - dice Maria Pia Donato - si tematizza il rapporto tra conoscenza e capitale, tra pubblico e privato, come il nodo di qualsivoglia progetto di università e di democrazia. Siamo del resto in un contesto post-fordista, dove la conoscenza forma l’elemento centrale della ristrutturazione dell’economia nei paesi avanzati. Capitalismo, cioè, che incorpora contenuti scientifici crescenti68.

95Anche Giuseppe Allegri e Roberto Ciccarelli sottolineano come quel movimento:

  • 69 ALLEGRI, Giuseppe, CICCARELLI, Roberto, La furia dei cervelli, Roma, ManifestoLibri, 2011, p. 43.

comprese le finalità della trasformazione neo-liberista dell’economia della conoscenza. Fu senza dubbio questa l’esperienza che intuì la trasformazione del lavoro della conoscenza da status professionale a condizione generale della società […]
La Pantera fu il primo atto di resistenza contro le riforme universitarie che avrebbero creato nel ventennio successivo una forza-lavoro intellettuale altamente specializzata, ma altrettanto intercambiabile, precaria, senza diritti
69.

96Sia le parole di Maria Pia Donato, sia quelle di Giuseppe Allegri e Roberto Ciccarelli, trovano conferma, tra le altre cose, in un documento redatto a Bologna nell’aprile del 1990:

  • 70 Il movimento studentesco bolognese, Il disegno di legge Ruberti, aprile 1990, in Centro di document (...)

Il progetto di legge Ruberti si inserisce in un contesto economico-produttivo preciso il mercato comune europeo del ‘92 che a sua volta presenta una caratteristica fondamentale, cioè la concorrenza, la continua innovazione tecnologica, l’incessante modificazione del lavoro sociale.
In questo quadro, in cui ogni impresa dovrà reggere una concorrenza spietata, la ricerca scientifica e le sue applicazioni tecnologiche assumono l’aspetto essenziale, cioè sono la condizione senza la quale si va inevitabilmente verso l’obsolescenza e il declino produttivo
70.

10. L’IBM della contestazione

97L’analisi del capitalismo contemporaneo, le critiche alla ristrutturazione neoliberista e al precariato, si intrecciarono, poi, strettamente, a considerazioni sul potere mediatico. Tracce, per esempio, se ne trovano in una lettera aperta, scritta dagli studenti di Urbino, e rivolta “a tutto il movimento studentesco nazionale”:

  • 71 Le ragioni del movimento studentesco di Urbino: lettera aperta a tutto il movimento studentesco naz (...)

Gli anni 80 sono stati gli anni della normalizzazione, della ristrutturazione capitalistica, della repressione strisciante, del potere incontrastato dei Mass Media che hanno pilotato un linguaggio e una simbologia che sono quelli della rassegnazione e dell’accettazione passiva della coercizione71.

98Analizzare i media, e il potere che deriva dal detenerli, porta, poi, a confrontarsi con alcuni eventi che, in quegli anni, caratterizzano l’Italia. Si sviluppa, così, una critica al berlusconismo. Prima che Berlusconi andasse al potere:

  • 72 ALBANESE, Carmelo, op. cit., p. 109.

Il movimento segnalava – scrive Albanese nel 2010 – con largo anticipo, i rischi e gli aspetti problematici dell’epoca che stiamo vivendo. Avvertiva, ad esempio, i pericoli connessi all’uso monopolistico e in regime di conflitto di interessi delle nuove tecnologie (con le prime contestazioni all’ascesa dell’attuale primo ministro italiano), intuendo che sarebbero state utilizzate per la costruzione del consenso e per il controllo della società, divenuta ormai pubblico televisivo a tutti gli effetti72.

  • 73 Ibidem.

99Gli studenti appaiono preoccupati dalla concentrazione dei media in poche mani (in quei giorni Fininvest acquisisce Mondadori), lo reputano un rischio per la democrazia. Allo stesso modo criticano la Legge Mammì, la quale, a loro avviso, invece che evitare la formazione dei monopoli, norma la loro esistenza73.

100Anche come i media raccontano il movimento è al centro dell’analisi degli studenti:

  • 74 COLACE, Loredana, RIPAMONTI, Susanna, Il circo e la Pantera, Albano Laziale, Led, 1990, p. 64.

Attenti, puntigliosi, supercritici, gli studenti del '90 giorno dopo giorno hanno letto e seguito sulle principali testate tutta la pubblicistica che li ha riguardati [...] Non si sono sottratti al lavoro, faticoso, di leggere la cronaca di tutti i giorni su un'assemblea o su una manifestazione, preoccupati che fosse fornita al lettore un'immagine non fedele, o, ancora peggio, un'immagine distorta del movimento74.

101Parole che trovano conferma in un documento redatto dalla Commissione stampa dell’Università Statale di Milano:

  • 75 Documento redatto dalla commissione stampa, Milano, 8 febbraio 1990. Consultabile in: Archivio dei (...)

Il tipo di informazione data dai mass-media si è rivelata distorta, volutamente oscurante, organizzata per stereotipi di rapido effetto. Palese è il tentativo di scardinare la credibilità e impedire al movimento di diffondere i suoi contenuti. Questa manovra si svolge su tre livelli:
1) veniamo ridicolizzati, si punta al folklore, si fanno ironie;
2) veniamo all’opposto indicati come pericolosamente devianti; è patologizzato il movimento; si colpisce la memoria collettiva con lo spettro del terrorismo;
3) si alterna questa informazione distorta con il silenzio.
Con questa strategia viene diffusa la spinta alla normalizzazione75.

102In alcuni casi, poi, considerazioni simili, portano a organizzare veri e propri boicottaggi:

  • 76 Documento redatto al termine dell’assemblea nazionale di Firenze (27 febbraio – 5 marzo 1990). Cons (...)

Astensione dal consumo. Tale iniziativa è mirata a colpire economicamente il simbolo della concentrazione editoriale, il quotidiano “La Repubblica”, sospendendone l’acquisto a partire dal giorno della mobilitazione generale (11/3)76.

103Anche da queste riflessioni nasce un uso innovativo delle nuove tecnologie e prendono vita pratiche mediatiche, che, per molti versi, ancora oggi caratterizzano i movimenti sociali.

  • 77 Il logo e il nome del movimento furono “donati” al movimento da Fabio Ferri e Stefano Maria Palombi (...)
  • 78 Lo spot Chi ha paura della pantera?, realizzato da Fabio Ferri e Stefano Maria Palombi, può essere (...)
  • 79 ALBANESE, Carmelo, op. cit., p. 114.

104Prima della Pantera nessun altro movimento aveva avuto un logo, un nome77 e, addirittura, prodotto spot pubblicitari78. Durante l’assemblea romana nella quale, per la prima volta, il logo fu proposto, alcuni occupanti si opposero. Consideravano quella una deriva pubblicitaria. Pare che qualcuno disse: diventeremo «l’IBM della contestazione!»79. Erano una minoranza però. La Pantera non rifuggì il rapporto coi mezzi d’informazione, anzi, sfruttò le tecniche pubblicitarie per diffondere i propri contenuti e per fare in modo che parlassero di lei.

  • 80 SIMEONE, Nando, Gli studenti della Pantera. Storia di un movimento rimosso, Roma, Alegre, 2010, p. (...)

105Ogni università occupata si dotò di commissioni stampa, le quali selezionarono gli organi d’informazione con cui comunicare e quelli ai quali, al contrario, non fornire informazioni80.

106Le strategie comunicative del movimento, per molti versi, rispecchiarono le riflessioni che si erano sviluppate, soprattutto all’interno dei centri sociali e nelle aree vicine alla vecchia Autonomia, negli anni Ottanta. Riflessioni che Franszisko riassume con queste parole:

  • 81 FRANSZISKO, Centri sociali occupati autogestiti ’90, in Detonazione! Percorsi, connessioni e spazi (...)

Mettere in campo comunicazione antagonista significava rifiutare il concetto di comunicazione come mera trasmissione di informazioni ma piuttosto valorizzare quello di azione che comunica, chiedendosi chi comunica cosa, a chi, come, perché: comunicazione non è spiegare la giustezza di occupare una casa sfitta o uno spazio abbandonato, comunicazione è occupare la casa o lo spazio81.

107È anche in base a considerazioni come questa che, durante la Pantera, i cortei divennero forme di comunicazione oltre che momenti di protesta. Capita, per esempio, a Roma, il 24 gennaio 1990, con il corteo circense, a Firenze con i funerali degli anni Ottanta e a Bologna con il corteo muto.

108Il corteo circense, scrive Carmelo Albanese:

  • 82 ALBANESE, Carmelo, op. cit., p. 66.

fu un momento di manifestazione-spettacolo nel quale confluirono diverse rappresentazioni teatrali e musicali, attraverso le quali gli studenti spiegarono, in un clima di festa, le ragioni, gli obiettivi della lotta e le loro aspirazioni più profonde, non esprimibili nei linguaggi dell’assemblea o delle manifestazioni canoniche82.

109Nel volantino che rivendica il corteo silenzioso di Bologna, dove i partecipanti erano imbavagliati e portavano striscioni e cartelli bianchi, senza alcuna scritta, se non due punti interrogativi, uno dei quali rovesciato, simbolo di quella che si definiva «Ala dura e creativa», invece, si legge:

  • 83 Ala dura e creativa, A morte li bastardi!, Bologna, 1990. Consultabile in: Archivio della nuova sin (...)

Lo “spettacolo” del movimento studentesco appaga il bisogno primario di ogni suddito: il bisogno di COREOGRAFIA per il programmato balletto delle coscienze. L’omogeneizzazione dei cervelli c’è già stata, non resta che gestirla. […]
Allo “spettacolo rispondiamo” con l’ovvietà del non immaginabile, col virus del non prevedibile che scardina la porta del senso compiuto
83.

110Critiche al sistema mediatico sembrano generare nel movimento nuovi approcci alla comunicazione, che tengono conto delle strategie adottate dagli organi di informazione, o dai pubblicitari, ma, al tempo stesso, le sovvertono, trasformandole in strumenti di lotta. Ciò avviene anche con le nuove tecnologie, delle quali la Pantera si appropria.

10.1 Non credere nei media: essilo!

111Centrale, all’interno del movimento, sia per comunicare tra le facoltà occupate in diverse città, sia per fornire informazioni alla stampa, diviene il fax, una tecnologia allora relativamente recente:

  • 84 RENZI, Alessandra, Hacked Transmissions. Technology and Connective Activism in Italy, Minneapolis, (...)

Faxes were used to circulate mailing lists with updates on the occupations but they were also critical to break into dominant information circuits and reach government and press directly in their offices84.

112Secondo Massimiliano Denaro:

  • 85 DENARO, Massimiliano, Cento giorni. Cronache del movimento studentesco della Pantera, Marsala, Nava (...)

Il fax permetteva di specchiarsi con gli altri studenti che stavano vivendo la stessa situazione, al di là delle difficoltà che l’occupazione quotidiana portava con sé. Ma il fax si trasformò anche in strumento ludico e di socializzazione: dai messaggi demenziali, ai disegni, fumetti, lettere immaginarie, poesie. Tutto ciò serviva a creare condivisione; uno strumento che aiutava a riprodurre la quotidianità della lotta e non solo dei documenti politici85.

113Una rete nazionale, con nodi in ogni ateneo e quasi in ogni facoltà, permise agli occupanti di comunicare tra loro in tempo reale su tutto il territorio nazionale e, probabilmente, questa è una delle ragioni per le quali la strategia comunicativa del movimento verso l’esterno appare abbastanza omogenea a livello nazionale:

  • 86 ID., 1990. Il movimento studentesco della Pantera, tesi di laurea in Scienze politiche, Università (...)

Per tutti i comunicati era usata la carta intestata della facoltà, opportunamente modificata con la dicitura “occupata”, e quasi tutti i messaggi, anche ufficiali, si concludevano con il saluto “Vi amiamo” o “Bacioni” e la firma con la zampa della pantera, quasi come un codice di riconoscimento vicendevole fra gli studenti86.

  • 87 Documento redatto al termine dell’assemblea nazionale di Firenze. Consultabile presso l’Archivio de (...)

114Da strumento di comunicazione, il fax, poi, si trasforma anche in strumento di lotta. Il movimento teorizza pratiche molto simili ai “netstrike” contemporanei, proponendosi, dopo aver bloccato, tra le altre, le comunicazioni del Comune di Firenze, di «congestionare i terminali del Parlamento e del Quirinale con telefonate e fax»87.

115La Pantera porta alla luce quanto si era mosso nei meandri della società italiana negli anni Ottanta, facendo divenire alcune attitudini, che sino ad allora erano state di nicchia, pratiche condivise:

  • 88 RENZI, Alessandra, op. cit., p. 91.

In the late eighties and early nineties, new technologies met DIY punk ethics at the same time as activists had started to understand the shapeshifting character of capital 88.

  • 89 DI CORINTO, Arturo, TOZZI, Tommaso, Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, Roma, Manifesto (...)

116L’hacktivismo, così, sommariamente, descritto da Arturo Di Corinto e Tommaso Tozzi: «l’unione di “hacker” e “attivismo” in “hacktivism” tende a significare un uso del computer, praticato in modo non convenzionale, finalizzato al miglioramento di qualcosa di utile per il mondo con implicazioni sociali, politiche o culturali»89, tende a influenzare il movimento, lo porta a elaborare un utilizzo critico delle nuove tecnologie. Anche della rete, allora agli albori, in un contesto nel quale il web non esiste ancora.

117Andrea Mazzucchi, allora studente di fisica a Pisa, e Simone Botti, che studiava chimica nella stessa università, ispirandosi a questa filosofia, ideano Okkupanet, una rete telematica che mette in contatto tra loro, mediante e-mail, le facoltà scientifiche italiane occupate nelle quali l’accesso a tale tecnologia è disponibile:

  • 90 BOTTI, Simone, «Okkupanet: Un mass media introspettivo e disposto all’autocritica», in il Manifesto(...)

Okkupanet è stato ideato per il movimento 90, creando un archivio nazionale permanente di tutti i documenti rilevanti usciti dalle diverse commissioni, e presentandosi come uno strumento di comunicazione di massa molto più veloce, flessibile e potente del fax90.

  • 91 MAZZUCCHI, Andrea, Okkupanet: quelle notizie così puntuali dalla Cina, in Scene digitali, 4 giugno (...)

118La rete, però, non fu utile solo per archiviare documenti o permettere alle facoltà occupate di comunicare in tempo reale. Si rivelò indispensabile anche per entrare in contatto con gli studenti che, in quei giorni, animavano le proteste in Cina. Ciò permise agli occupanti italiani di ottenere informazioni censurate dal governo di quel Paese91 e di passarle alla stampa, causando lo stupore delle autorità cinesi, le quali non riuscivano a comprendere come gli organi di informazioni italiani riuscissero a ottenere quelle notizie.

119L’attitudine all’hacktivismo, poi, si intrecciò anche con la produzione mediatica del movimento, segnando un passaggio decisivo per le pratiche comunicative dei movimenti sociali. Diego Cavallotti ha analizzato accuratamente i videogiornali prodotti dagli studenti del Dams di Bologna durante l’occupazione del 1990. Secondo lui, l’attitudine all’hacking, in quel caso, si intreccia con l’attivismo audiovisivo:

  • 92 CAVALLOTTI, Diego, «La Pantera siamo noi. Movimento studentesco e mediattivismo», in Zapruder: Hack (...)

Nel caso della Pantera, l’azione degli attivisti-hacker, da un lato, emerge in opposizione al tentativo dei mass media (in particolare, carta stampata e televisione) di raccontare il movimento studentesco del 1990 “dall’esterno” (spesso in modo distorto), dall’altro, si pone l’obiettivo di elaborare un circuito informativo “interno” capace di configurare una precisa “immagine” del movimento con il minor grado di “rifrazione” possibile92.

  • 93 Il videogiornale prodotto dagli studenti del Dams di Bologna, cominciò ad essere realizzato durante (...)
  • 94 È possibile vedere alcune edizioni del videogiornale realizzato dagli studenti di architettura di F (...)

120Videogiornali furono prodotti a Bologna, Firenze e Roma. Quelli romani, anche se velati d’ironia, erano prettamente informativi, incentrati sulla narrazione di assemblee o cortei; quelli realizzati a Bologna, invece, erano sì informativi, ma anche ricchi di citazioni colte e cinematografiche93. Più ironici, invece, quelli realizzati a Firenze, nei quali, alla narrazione di eventi che caratterizzarono l’occupazione, si mescolavano veri e propri sketch e interviste sbeffeggianti a personaggi noti, come Luca Cordero di Montezemolo94.

  • 95 ROSSINI, Ilenia, «Uno spettro si aggira per la rete. Indymedia Italia e il racconto del G8», in Zap (...)

121Si sviluppò così un’altra pratica, quella del mediattivismo, che, ibridandosi con l’hacktivismo, darà vita, negli anni a cavallo tra Seattle e Genova, a esperienze come quella di Indymedia95.

  • 96 Per tutti gli anni Novanta il Luther Blissett Project condusse in tutta Italia azioni fortemente co (...)
  • 97 Dalle moltitudini in marcia contro l’impero, l’appello con il quale si annunciavano le mobilitazion (...)

122La strategia comunicativa del movimento, l’importanza che al suo interno assumo pratiche ispirate dall’hacktivismo, oltre che alcuni accenni alle tattiche di guerriglia mediatica che, in seguito, avrebbero caratterizzato esperienze come quella del Luther Blissett Project96, sono in parte riassunte in due fogli dattiloscritti firmati da Roberto Bui, attualmente, con lo pseudonimo di Wu Ming 1, tra i membri del collettivo di scrittori Wu Ming. Riportano la data del 5 maggio 1990 e hanno per titolo: «Informazione entropica e guerriglia nella città telematica». In esse si trovano molti accenni a prassi che caratterizzeranno i movimenti sociali fino al G8 di Genova del 200197 e che, per alcuni aspetti, li caratterizzano ancora oggi:

  • 98 BUI, Roberto, Informazione entropica e guerriglia nella città telematica, 10 maggio 1990. Consultab (...)

Questo movimento ha potenzialità che i suoi stessi militanti faticano ad immaginare: esso agisce all’interno della “fabbrica del sapere”, sistema limbico dell’industria della rappresentazione. E come agisce? Tramite sistemi di comunicazione sociale orizzontali e decentrati quali sono il fax e l’Okkupanet, sistemi antitetici a quelli del Potere, che sono invece verticali, centralizzati e basati sulla contemplazione del teleschermo (è il sistema del videodromo, della omogenizzazione delle esperienze).
Non voglio dire che il fax è uno strumento situato “altrove” rispetto al sistema: esso è un PRODOTTO, e qualsiasi rete di comunicazione è inglobabile o già inglobata.
Ciò non toglie che si tratta di una evidente contraddizione di cui ci si può servire come arma. Prodotti come il fax, il videotape e l’home computer possono essere usati ad un tempo DENTRO e CONTRO il sistema di comunicazione e controllo della vita (vedi l’attività degli hackers, i programmi virus, le possibilità di una vera e propria guerriglia telematica). […]
Il problema della rappresentazione di ciò che siamo e facciamo, della comunicazione sociale, non può essere affrontato e risolto a prescindere dal passaggio di fase: il Movimento deve essere IMPRENDIBILE, IMPREVEDIBILE, IRRAPRESENTABILE e deve DIROTTARE SU DI SÈ L’ATTENZIONE; non deve inseguire i media, ma farsi inseguire da essi, minando ogni ponte dopo averlo attraversato perché il capitale non recuperi le nostre esperienze usandole come esempi-pilota per il continuo rinnovarsi dei suoi meccanismi di controllo. […]
Basta coi comunicati stampa scritti in movimentese.
Dobbiamo fare comunicati stravolti, esagerati, assurdi. Non scriviamo di ciò che abbiamo fatto, ma giochiamo d’anticipo sulla distorsione degli avvenimenti operati da stampa e TV. L’uso creativo della menzogna, per confondere, sorprendere, dirottare. […]
Se iniziamo a tendere trappole ai media, a togliere l’erba sotto i piedi del gigante spettacolare mediante strategie di INFORMAZIONE ENTROPICA E DIFFERENZIATA, possiamo causare un “blocco” nella rappresentazione, deviarla. […]
Sto parlando di guerriglia comunicativa.
Sporca, perversa, guerriglia98.

11. Conclusioni

123Nell’articolo de «il manifesto» che racconta la manifestazione fiorentina del 27 gennaio 1990, quella con la quale si celebrano i funerali degli anni Ottanta, c’è una nota, solo apparentemente di colore:

  • 99 D’ANGELIS, Erasmo, op. cit.

Se gli ultrà di Baggio (il giocatore della Fiorentina) avevano mutuato il loro slogan dalla politica, gli studenti ieri se li sono ripresi con gli interessi. E così ecco i saltelli ritmati da curva sud99.

  • 100 DENTICO, Michele, Sul tifare il Taranto. Ricerca etnosemiotica intorno ad una disaffezione, Bologna (...)

124È un fatto indicativo, spiega in poche righe come i linguaggi, in questo caso quello della curva e quello delle proteste di piazza100, si ibridino; come alcuni simboli vengano risemantizzati, riempiendosi di significati nuovi a seconda del contesto e delle idee che lo attraversano. Se, sul finire degli anni Settanta, chi popolava le curve degli stadi non poteva che avere un immaginario caratterizzato dalle proteste di piazza, nel decennio successivo proprio le curve fanno da catalizzatore al ribellismo giovanile, sono una valvola di sfogo per chi si sente escluso, un modo per uscire dal proprio guscio almeno una volta a settimana. Divengono parte dell’immaginario di chi ha vent’anni, o poco meno, nei primi mesi del 1990. Pare quasi scontato prendere qualcosa in prestito da quell’ambiente.

125Ancora oggi, durante le manifestazioni di piazza, i cori sono molto simili a quelli che si possono ascoltare negli stadi: cambiano le parole, ma ritmi e melodie sono gli stessi. Anche questa è un’eredità della Pantera, forse ignorata da molti. Non è né l’unica, né la più significativa.

126Attualmente, le critiche al neoliberismo echeggiano delle prime, embrionali, riflessioni elaborate all’interno del movimento del 1990; anche le pratiche del mediattivismo non sono sostanzialmente mutate rispetto ad allora.

  • 101 FALCIOLA, Luca, op. cit., p. 28.

127Luca Falciola, sia nel suo intervento al convegno di Roma, sia nel suo contributo per La meglio gioventù. Dalla Pantera ai nuovi movimenti, sostiene che la Pantera sia stata un tentativo di adeguare la Sinistra italiana ai nuovi tempi che andavano delineandosi, di restituire a essa un’identità. Questa ipotesi di sinistra, però – scrive - «non è cresciuta e non si è strutturata. Non è stata recuperata, se non indirettamente e più tardi. È rimasta intuizione o “stato nascente”»101.

128Certo, da un lato è vero, quel movimento non ha dato vita a un’esperienza politica strutturata. Chi lo ha animato, però, ha portato la propria esperienza in partiti della Sinistra e movimenti, contaminandoli con quanto era stato elaborato durante la Pantera, con le teorie e le pratiche che la hanno caratterizzata. I centri sociali, soprattutto, dove ancora oggi si tramanda storia e memoria di quell’esperienza, dalla Pantera trassero nuovo vigore:

  • 102 PHILOPAT, Marco, op. cit., p. 64.

Una volta finito il movimento della Pantera molti degli attivisti, di qualsiasi fazione, ormai stavano a rota... Perché la dipendenza non è solo causata dalle droghe, ma anche dalle situazioni... Così i centri sociali di colpo si sono riempiti e sono stati riconosciuti come elemento trainante, anche perché nel frattempo si era sviluppato il discorso sulla musica rap in italiano, i campionamenti e l’utilizzo sociale delle nuove tecnologie102.

129In tali spazi, quel movimento, ha lasciato tracce indelebili. Per esempio le posse, nate durante quella protesta, è qui che continuano a fa ascoltare le proprie rime e i propri beat, mentre il mediattivismo è ancora pratica diffusa e non molto dissimile da quella elaborata allora.

130Le contestazioni ai sindacati dopo gli accordi del 1992, le lotte antimafia in Sicilia dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, la denuncia della corruzione e della collusione della politica con le organizzazioni criminali, le lotte contro l’autoritarismo, fino ad arrivare a Genova 2001 e oltre, poi, furono tutte attraversate da ragazze e ragazzi, divenute donne e uomini, che si erano formati nelle aule universitarie occupate dalla Pantera.

  • 103 URL: < www.grafton9.net > [consultato 11 ottobre 2021].

131Dopo la Pantera ci fu, infine, un’esplosione di pubblicazioni. Trattavano dal cyberpunk alle forme di hacktivismo, dal femminismo e le questioni di genere ai temi dell’economia e della precarietà. Molte di esse, da qualche anno, sono consultabili gratuitamente online grazie all’Archivio Grafton 9103 e, forse, analizzarle potrebbe essere utile per comprendere come le elaborazioni interne al movimento studentesco del 1990 hanno attraversato il decennio, per giungere fino ai nostri giorni.

132Nell’intervista concessa nel 2010 a Carmelo Albanese, Anubi Lussurgiu D’Avossa dice:

  • 104 ALBANESE, Carmelo, op. cit., p. 103.

Il vuoto storiografico e mediatico rispetto alla Pantera, corrisponde per inverso ad un pieno di quell’esperienza che ci aiuta a restituire un ponte con le esperienze di dissenso successivo, che sono molte, che ci sono ancora, che ci saranno sempre e con le quali dovranno fare i conti tutte le forze che lavorano contro l’emancipazione degli individui104.

133Storicizzare quel movimento, studiarlo approfonditamente, in modo molto più ampio di quello qui proposto, probabilmente potrebbe essere utile anche per ampliare la conoscenza sul presente.

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Note

1 «Il ritorno», in Nightmare, fanzine autoprodotta, numero 0, Bologna, 18 febbraio 1990.

2 I Pooh vinsero il Festival con il brano Uomini soli. Marco Masini, invece, concorse nella sezione giovani con una canzone dal titolo Disperato.

3 Una proposta di manifestare a Sanremo giunge da Bologna, dal Coordinamento delle facoltà scientifiche, riunitosi il 22 febbraio 1990. Il verbale di quella riunione è consultabile in: Archivio dei movimenti “Via Avesella”, Fondo Movimento Pantera – AVA.MP., Fascicolo n. 01, documento n. 22.

4 Intervento di Marica Tolomelli (Università di Bologna) al Convegno “1990-2020. Il movimento studentesco del 1990, storia, memoria” tenutosi a Roma il 17 gennaio 2020, URL: < https://www.radioradicale.it/scheda/595627/1990-2020-il-movimento-studentesco-del-1990-storia-memoria >. La parte citata può essere ascoltata seguendo il link, URL: < https://vimeo.com/629969951/6182c040d5 > [consultati il 12 ottobre 2021].

5 ALBANESE, Carmelo, C’era un’Onda chiamata Pantera, Roma, Manifestolibri, 2010, p. 49.

6 SIMEONE, Nando, Gli studenti della Pantera. Storia di un movimento rimosso, Roma, Alegre, 2010.

7 ID., La Pantera. 30 anni portati bene. Dalla rimozione all’azione efficace, Roma, NeP, 2020.

8 ID., Gli studenti della Pantera, cit., pp. 9-10.

9 ALBANESE, Carmelo, op. cit., p. 103.

10 FALCIOLA, Luca, Le premesse di una nuova sinistra, in La meglio gioventù. Dalla Pantera ai nuovi movimenti, Roma, Left, 2020, pp. 27-35, p. 27. URL: < https://lucafalciola.files.wordpress.com/2020/07/
falciola_2020_pantera.pdf
> [consultato il 12 ottobre 2021].

11 [libro digitale: epub] SCOTTO DI LUZIO, Adolfo, Nel groviglio degli anni Ottanta, Torino, Einaudi, 2020, cap. “La Pantera. L’occupazione delle università italiane e la fine di un decennio”, par. “La gabbia dell’università”, p. 259.

12 [libro digitale: epub] HARVEY, David, Breve storia del neoliberismo, Milano, Il Saggiatore, 2007, p. 4.

13 Ibidem, p. 6.

14 DE LUNA, Giovanni, La marcia dei quarantamila: come finisce il Novecento, Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2020.

15 Marica Tolomelli fa notare come la categoria di “riflusso”, utilizzata per descrivere questo fenomeno sia poco utile, poiché lotte come quella contro il nucleare, gli euromissili, o la mafia, attraversarono quel decennio e furono significative. TOLOMELLI, Marica, L’Italia dei movimenti. Politica e società nella Prima Repubblica, Roma, Carocci, 2005.

16 SALSANO, Fernando, Consumi e stili di vita degli italiani dalla ricostruzione agli anni Ottanta: dalla miseria alle nuove povertà, in COCCIA, Benedetto (a cura di), La quarta settimana. Storia dei bisogni e dei costumi degli italiani che oggi non arrivano alla fine del mese, Roma, APES, 2009, p. 288.

17 Ibidem, p. 289.

18 SCARAMUZZI, Sergio, I consumi e lo stile di vita, in PACI, Massimo (a cura di), Le dimensioni della disuguaglianza, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 199-210.

19 GINSBORG, Paul, L’Italia del tempo presente. Famiglia, società, stato 1980-1996, Torino, Einaudi, 2007, p. 357.

20 Ibidem.

21 [Libro digitale: epub] ECO, Umberto, TV: la trasparenza perduta, in ECO, Umberto, Sulla televisione. Scritti 1956-2015, Milano, La nave di Teseo, 2018, p. 300.

22 VANZINA, Carlo, Vacanze di Natale, Filmauro, Italia, 1983, 97’.

23 RISI, Dino, I mostri, Mario Cecchi Gori, Italia-Francia, 1963, 120’.

24 MONICELLI, Mario, RISI, Dino, SCOLA, Ettore, I nuovi mostri, Dean Film, 1977, 108’.

25 GOZZINI, Giovanni, La mutazione individualista, Roma-Bari, Laterza, 2011, p. 13.

26 Ibidem, p. 158.

27 DI FRAIA, Guido, STEFANIZZI, Sonia, Motivazioni di voto e comunicazione politica: il ruolo dei media, in LIVOLSI, Marino, VOLLI, Ugo (a cura di), La comunicazione politica tra Prima e Seconda Repubblica, Milano, Franco Angeli, 1995, pp. 91-112.

28 Legge 9 maggio 1989, n. 168, Istituzione del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, Gazzetta Ufficiale – Serie generale n. 108, 11 maggio 1989, Supplemento ordinario n. 34, URL: < https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1989/05/11/089G0202/sg > [consultato il 12 ottobre 2021].

29 HARVEY, David, op. cit.

30 BERLINGUER, Luigi, L’autonomia: statuti e regolamenti, in BALESTRACCI, Duccio, MIRRI, Mario (a cura di), Università oggi: l’avvio di una fase costituente, Milano, FrancoAngeli, 1991, pp. 41-54, p. 45.

31 MIRRI, Mario, Intervento al convegno Università oggi: l’avvio di una fase costituente, in ibidem, pp. 66-76, pp. 75-76.

32 DAL LAGO, Alessandro, «Dal patrimonialismo alla democrazia», in Aut Aut, 260-261, 1994, pp. 14-26, pp. 17-18.

33 LOMBARDI, Giancarlo, Il ruolo delle Università nello sviluppo industriale secondo le aspettative del mondo dell’industria, in BALESTRACCI, Duccio, MIRRI, Mario (a cura di), op. cit., pp. 31-39, p. 31.

34 Politecnico di Torino, Conferenza di Ateneo: «Il Politecnico verso l’autonomia universitaria», (Torino – 27 marzo 1990: documenti di lavoro), in ibidem, pp. 211-225.

35 Queste preoccupazioni, per esempio, vengono espresse nel documento redatto il 31 gennaio 1990 dalla Piattaforma della Consulta dei professori e ricercatori dell’Università di Roma «La Sapienza», in ibidem, pp. 197-203, p. 200.

36 ROSSI, Pietro, Intervento al convegno Università oggi: l’avvio di una fase costituente, in ibidem, pp. 60-63, pp. 61-62.

37 TG1 Sette, Rai 1, gennaio 1990, URL: < https://vimeo.com/630063444/4c59c69e34 > [consultato il 12 ottobre 2021].

38 FALCIOLA, Luca, op. cit., p. 27.

39 TOLOMELLI, Marica, L’Italia dei movimenti, cit.

40 DE SIMONE, Titti, «E ora il rettorato», in L’Ora, Palermo, 25 gennaio 1990, p. 19.

41 GINSBORG, Paul, op. cit., p. 618.

42 CIUFFO, Facoltà di memoria, in Detonazione! Percorsi, connessioni e spazi altri nella controcultura romana degli anni Novanta, Roma, Rave Up Books, 2019, pp. 4-12, p. 6.

43 ALBANESE, Carmelo, op. cit., p. 66.

44 PORTELLI, Alessandro et al., L’aeroplano e le stelle. Storia orale di una realtà studentesca prima e dopo la Pantera, Roma, ManifestoLibri, 1995.

45 Ibidem, p. 26.

46 Testimonianza di Ludovica Mutarelli, Ibidem.

47 Testimonianza di Alessio Trevisani, Ibidem.

48 Testimonianza di Beatrice Dondi, Ibidem.

49 Ibidem, p. 28.

50 Ibidem, p. 65.

51 ALBANESE, Carmelo, op. cit., p. 118.

52 DE SARIO, Beppe, Resistenze innaturali. Attivismo radicale nell’Italia degli anni ’80, Milano, Agenzia X, 2009, p. 203.

53 Gruppo di lavoro “Normalizzazione e nuove forme del controllo sociale”, 4 maggio 1990. Consultabile in: Archivio dei movimenti “Via Avesella”, Fondo Movimento Pantera – AVA.MP., Fascicolo n. 09, documento n. 2.

54 D’ANGELIS, Erasmo, «Anni Ottanta, addio», in il manifesto, 28 gennaio 1990, p. 11.

55 BOCCONETTI, Stefano, «In piazza la rabbia degli operai del Sud anche per difendere la Napoli emarginata», in l’Unità, 28 giugno 1990, p. 3.

56 «Novanta, non più Ottanta!» è una frase riportata su diverso materiale custodito presso i tre archivi bolognesi che ho consultato per questo articolo.

57 L’espressione «macelleria messicana» è stata utilizzata da Michelangelo Fournier, nel 2001 vicequestore aggiunto del primo reparto mobile di Roma, il quale la utilizzò interrogato dai magistrati in merito all’irruzione della polizia nella scuola “Diaz” durante le contestazioni contro il G8 di Genova. URL: < https://www.repubblica.it/2007/06/sezioni/cronaca/g8-genova/g8-genova/g8-genova.html > [consultato il 12 ottobre 2021].

58 CAVALIERE, Riccardo, «I centri sociali come spazio pubblico. Un caso di studi a Napoli», in Rivista geografica italiana, 120, 1/2013, pp. 31-54.

59 «Ribellione», in Progetto memoria, III, 7, 2/1990, pp. 1-2. Consultabile in: Archivio della nuova sinistra “Marco Pezzi”, Fondo “Progetto memoria”.

60 Ibidem.

61 «Frammenti in movimento», in Nightmare, numero 0, 18 febbraio 1990. Consultabile in: Archivio della nuova sinistra “Marco Pezzi”, Fondo “Fabrizio Billi” – Movimento della “Pantera”, fascicolo 8.1.

62 «Ribellione», in Progetto memoria, numero 7, anno 3, estate 1990, pp. 1-2. Consultabile in: Archivio della nuova sinistra “Marco Pezzi”, Fondo “Progetto memoria”.

63 «Frammenti in movimento», in Nightmare, numero 0, 18 febbraio 1990. Consultabile in: Archivio della nuova sinistra “Marco Pezzi”, Fondo “Fabrizio Billi” – Movimento della “Pantera”, fascicolo 8.1.

64 Significativo in questo senso è il documento redatto al termine dell’incontro nazionale del movimento studentesco del 4 maggio 1990. In esso vengono lanciate varie iniziative che attraversano queste e molte altre tematiche, come le morti sul lavoro. Il documento è consultabile in: Archivio dei movimenti “Via Avesella”, Fondo Movimento Pantera – AVA.MP., Fascicolo n. 05, documento n. 1.

65 Il movimento studentesco bolognese, Il disegno di legge Ruberti, aprile 1990, in Centro di documentazione Francesco Lorusso – Carlo Giuliani, Fondo Pantera.

66 Indicazioni dell’assemblea nazionale al movimento, Palermo, 1° febbraio 1990. Consultabile in: Archivio dei movimenti “Via Avesella”, Fondo Movimento Pantera – AVA.MP., Fascicolo n. 07, documento n. 2.

67 Proposta di documento unitario, Napoli, 21 febbraio 1990. Consultabile in: Archivio dei movimenti “Via Avesella”, Fondo Movimento Pantera – AVA.MP., Fascicolo n. 04, documento n. 3.

68 Intervento di Maria Pia Donato (Institut d'Histoire Moderne et Contemporaine di Parigi) al Convegno “1990 - 2020. Il movimento studentesco del 1990, storia, memoria” tenutosi a Roma il 17 gennaio 2020. URL: < https://www.radioradicale.it/scheda/595627/1990-2020-il-movimento-studentesco-del-1990-storia-memoria >. La parte citata può essere ascoltata seguendo il link URL: < https://vimeo.com/629992682/4793c42589 > [consultati il 12 ottobre 2021].

69 ALLEGRI, Giuseppe, CICCARELLI, Roberto, La furia dei cervelli, Roma, ManifestoLibri, 2011, p. 43.

70 Il movimento studentesco bolognese, Il disegno di legge Ruberti, aprile 1990, in Centro di documentazione Francesco Lorusso – Carlo Giuliani, Fondo Pantera.

71 Le ragioni del movimento studentesco di Urbino: lettera aperta a tutto il movimento studentesco nazionale, documento non datato. Consultabile in: Centro di documentazione Francesco Lorusso – Carlo Giuliani, Fondo Pantera. Il maiuscolo è presente nel documento originale.

72 ALBANESE, Carmelo, op. cit., p. 109.

73 Ibidem.

74 COLACE, Loredana, RIPAMONTI, Susanna, Il circo e la Pantera, Albano Laziale, Led, 1990, p. 64.

75 Documento redatto dalla commissione stampa, Milano, 8 febbraio 1990. Consultabile in: Archivio dei movimenti “Via Avesella”, Fondo Movimento Pantera – AVA.MP., Fascicolo n. 03, documento n. 6.

76 Documento redatto al termine dell’assemblea nazionale di Firenze (27 febbraio – 5 marzo 1990). Consultabile presso: Archivio della nuova sinistra “Marco Pezzi”, Fondo Fabrizio Billi – Movimento della “Pantera”, fascicolo 8.9

77 Il logo e il nome del movimento furono “donati” al movimento da Fabio Ferri e Stefano Maria Palombi, due pubblicitari che gravitavano nell’area di Democrazia proletaria. Per idearlo presero spunto dalla notizia secondo la quale, tra la fine del 1989 e i primi mesi del 1990, nelle campagne di Roma si aggirava una pantera. “La pantera siamo noi” fu lo slogan che coniarono, mentre, come logo, utilizzarono quello del Black Panther Party statunitense. La storia del logo la racconta Nando Simeone a pagina 75 del suo Gli studenti della Pantera. Una storia un po’ diversa emerge dal racconto del Duka, all’epoca membro dell’Onda rossa posse, il quale sostiene che il simbolo furono loro a portarlo da Milano, stampato su di un volantino con la traduzione dei testi dei Public Enemy ricevuto al Cox18. PHILOPAT, Marco, Lumi di punk, Milano, Agenzia X, 2006, p. 64.

78 Lo spot Chi ha paura della pantera?, realizzato da Fabio Ferri e Stefano Maria Palombi, può essere visualizzato seguendo questo link: URL: < https://youtu.be/tZFHf1_bdNw > [consultato il 12 ottobre 2021].

79 ALBANESE, Carmelo, op. cit., p. 114.

80 SIMEONE, Nando, Gli studenti della Pantera. Storia di un movimento rimosso, Roma, Alegre, 2010, p. 67.

81 FRANSZISKO, Centri sociali occupati autogestiti ’90, in Detonazione! Percorsi, connessioni e spazi altri nella controcultura romana degli anni Novanta, Roma, Rave Up Books, 2019, pp. 14-22, p. 14.

82 ALBANESE, Carmelo, op. cit., p. 66.

83 Ala dura e creativa, A morte li bastardi!, Bologna, 1990. Consultabile in: Archivio della nuova sinistra “Marco Pezzi, Fondo Fabrizio Billi – Movimento della “Pantera”, fascicolo 8.1. Il maiuscolo è nel documento originale.

84 RENZI, Alessandra, Hacked Transmissions. Technology and Connective Activism in Italy, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2020, p. 91.

85 DENARO, Massimiliano, Cento giorni. Cronache del movimento studentesco della Pantera, Marsala, Navarra Editore, 2007.

86 ID., 1990. Il movimento studentesco della Pantera, tesi di laurea in Scienze politiche, Università degli Studi di Pisa, Pisa, a.a. 2005/2006.

87 Documento redatto al termine dell’assemblea nazionale di Firenze. Consultabile presso l’Archivio della nuova sinistra “Marco Pezzi”, Fondo Fabrizio Billi – Movimento della “Pantera”, fascicolo 8.9

88 RENZI, Alessandra, op. cit., p. 91.

89 DI CORINTO, Arturo, TOZZI, Tommaso, Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, Roma, ManifestoLibri, 2002.

90 BOTTI, Simone, «Okkupanet: Un mass media introspettivo e disposto all’autocritica», in il Manifesto, 28 marzo 1990, p. 12.

91 MAZZUCCHI, Andrea, Okkupanet: quelle notizie così puntuali dalla Cina, in Scene digitali, 4 giugno 2009, URL: < https://archive.fo/YVek3#selection-1167.1-1169.165 > [consultato 11 ottobre 2021].

92 CAVALLOTTI, Diego, «La Pantera siamo noi. Movimento studentesco e mediattivismo», in Zapruder: Hack the system, 45, 1/2018, pp. 100-109.

93 Il videogiornale prodotto dagli studenti del Dams di Bologna, cominciò ad essere realizzato durante i giorni della Pantera. L’iniziativa, però, si protrasse per alcuni anni. Seguendo il link è possibile vederne diverse edizioni, URL: < https://vimeo.com/videogiornale > [consultato il 12 ottobre 2021].

94 È possibile vedere alcune edizioni del videogiornale realizzato dagli studenti di architettura di Firenze, che prendeva il nome di Telesqualo, al link, URL: < https://www.youtube.com/user/GadonSulis/videos > [consultato il 12 ottobre 2021].

95 ROSSINI, Ilenia, «Uno spettro si aggira per la rete. Indymedia Italia e il racconto del G8», in Zapruder : Zona rossa, 54, 1/2021, pp. 96-105; Millennium bug. Una storia corale di Indymedia, Roma, Alegre, 2021.

96 Per tutti gli anni Novanta il Luther Blissett Project condusse in tutta Italia azioni fortemente comunicative e di guerriglia mediatica. Nel 1998 quattro membri bolognesi del progetto scrissero per Einaudi il romanzo storico Q. URL: < http://www.lutherblissett.net/ > [consultato il 13 ottobre 2021].

97 Dalle moltitudini in marcia contro l’impero, l’appello con il quale si annunciavano le mobilitazioni contro il G8 di Genova fu scritto da Wu Ming. URL: < https://archive.org/details/radiogiap-a37 > [consultato il 13 ottobre 2021]. Nel 2009 il collettivo ha elaborato una critica di quell’esperienza, URL:
< https://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap6_IXa.htm > [consultato il 13 ottobre 2021].

98 BUI, Roberto, Informazione entropica e guerriglia nella città telematica, 10 maggio 1990. Consultabile in: Archivio della nuova sinistra “Marco Pezzi”, Fondo Fabrizio Billi – Movimento della “Pantera, Fascicolo 8.1.

99 D’ANGELIS, Erasmo, op. cit.

100 DENTICO, Michele, Sul tifare il Taranto. Ricerca etnosemiotica intorno ad una disaffezione, Bologna, Società editrice Esculapio, 2020.

101 FALCIOLA, Luca, op. cit., p. 28.

102 PHILOPAT, Marco, op. cit., p. 64.

103 URL: < www.grafton9.net > [consultato 11 ottobre 2021].

104 ALBANESE, Carmelo, op. cit., p. 103.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica digitale

Michele Sgobio, «I loro incubi sono i nostri sogni. Il movimento della Pantera tra critica al neoliberismo e nuovi modi di comunicare»Diacronie [Online], N° 49, 1 | 2022, documento 6, online dal 29 mars 2022, consultato il 21 mars 2025. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/18062; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/130m5

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Autore

Michele Sgobio

Michele Sgobio ha conseguito il Master di II livello in Public History presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. I suoi interessi di ricerca sono indirizzati allo studio dei rapporti tra storia e memoria, all’analisi di un contesto sociale caratterizzato dal caos informativo e all’approfondimento delle tematiche relative alla storia economica della seconda metà del Novecento. Al centro dei suoi interessi ci sono anche la storia delle classi subalterne, con particolare attenzione a come è cambiata la loro composizione a partire dagli anni Settanta del Novecento, e quella dei movimenti sociali, a partire dagli anni Ottanta dello stesso secolo.
URL: < http://www.studistorici.com/progett/autori/#Sgobio >

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