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HomeNumeriN° 49, 1I. 1992: un panorama politicoDal Pci al Pds, alla Rete: dinami...

I. 1992: un panorama politico
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Dal Pci al Pds, alla Rete: dinamiche populiste della sinistra italiana nella crisi della Repubblica

Roberto Tesei

Abstract

Affinché si realizzi un “momento populista”, occorre che il sistema istituzionale – ovvero sociale ed economico – si trovi in qualche modo in crisi, scosso. Il saggio ha l’obiettivo di ricostruire criticamente la maturazione “carsica” di un importante filone quale fu la questione morale, che consentì, nella fase di crisi della Repubblica, una emersione populista. Ci si soffermerà in particolare sul confronto tra il Pci (poi Pds) di Achille Occhetto e La Rete di Leoluca Orlando.

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Testo integrale

“Leoluca Orlando” by www.dati.camera.it on Wikimedia Commons(CC BY 2.5)Visualizza l'immagine
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1. Premessa

  • 1 SCOPPOLA, Pietro, La repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico. 1945-1996, (...)
  • 2 Lo storico britannico Eric J.E. Hobsbawm definì il secondo dopoguerra come una nuova «età dell’oro» (...)
  • 3 Cfr. ACQUAVIVA, Gennaro (a cura di), La politica economica italiana negli anni ottanta, Venezia, Ma (...)
  • 4 VIESTI, Gianfranco, «Che succede nell’economia del Mezzogiorno? Le trasformazioni 1990-1995», Mezzo (...)

1Le diverse interpretazioni che si sono susseguite nel corso degli ultimi trent’anni hanno generalmente inteso rappresentare l’Italia nella crisi della Repubblica come il momento di una nuova liberazione, del ritorno del «Paese migliore», di un bagno di purificazione collettiva dalla corruzione, dalle prepotenze, dagli sperperi di quella che venne efficacemente definita «la repubblica dei partiti»1. Sarebbe tuttavia ingeneroso non ricordare come quello stesso sistema, prima che degenerasse, fu alla base della fondazione dello Stato repubblicano e della sua tenuta democratica, dell’approdo dell’Italia tra le grandi potenze mondiali, fra gli stati fondatori della Comunità economica e dell’Unione Europea, di due “miracoli economici”, il primo e principale tra gli anni Cinquanta e Sessanta2, il secondo nel decennio d’oro degli anni Ottanta3. Questo secondo, tuttavia, più che per la crescita sociale, economica e industriale, fu trainato dall’espansione della macchina statale, da una spesa pubblica che era arrivata ad assorbire circa il 50% del prodotto interno lordo e dal debito pubblico che dal 35% del Pil nel 1970, livello inferiore alla media europea, passava al 100% alla fine del decennio. Una corsa verso la bancarotta4. Ma nell’immaginario collettivo, esso rappresentava il trionfo del successo economico, della piccola iniziativa imprenditoriale, dell’avvento di nuove e diversificate forme di consumo.

  • 5 Confido mi sia perdonato l’utilizzo qui declinato di un celebre passaggio di Antonio Gramsci nei su (...)
  • 6 GUALTIERI, Roberto, Il PCI, la DC e il vincolo esterno, in GUALTIERI, Roberto (a cura di), Il PCI n (...)
  • 7 CECI, Giovanni Mario, «Verso il crollo della “Repubblica dei partiti”: le conseguenze della morte d (...)
  • 8 COLARIZI, Simona, Politica e antipolitica dalla Prima alla Seconda Repubblica, in COLARIZI, Simona, (...)
  • 9 ORSINA, Giovanni, L’antipolitica dei moderati. Dal qualunquismo al berlusconismo, in COLARIZI, Simo (...)

2Nel cuneo del principio degli anni Novanta, almeno quattro crisi sistemiche – internazionale, economica, istituzionale e politica – interagirono tra loro, determinando non solo il collasso della Prima Repubblica, ma l’avvio di un nuovo corso nel quale, mentre il vecchio non moriva ancora del tutto, il nuovo faceva fatica a nascere5, ovvero sarebbe nato solo alla fine della transizione, in una veste inedita e inattesa. Le ragioni e i fattori che portarono alla fine di una così lunga e stabile stagione politica furono diversi e complessi, endogeni ed esogeni rispetto al sistema politico italiano. La cornice entro la quale «tutte le altre cause [trovarono] spazio e significato» fu la fine della Guerra Fredda – che costituì nei decenni precedente un oggettivo vincolo esterno6 al sistema, tenendolo bloccato – avviando innanzitutto un «fondamentale processo di secolarizzazione e desacralizzazione delle culture politiche»7: il venir meno di uno fra i due modelli – quello comunista – che resse lo scontro politico e culturale in Italia, trascinò con sé «nella rovina anche l’altro asse portante dell’edificio partitico, il partito cattolico», che dell’anticomunismo – attraverso la conventio ad excludendum – fece un collante fondamentale sul quale consolidò il proprio potere per oltre quarant’anni8. Per di più, «enfatizzando le fratture ideologiche verticali», la contrapposizione Est-Ovest spinse «in secondo piano quelle orizzontali fra élite politica e popolo»9: ma fiaccate le prime, queste trovarono la libertà di riemergere proprio all’inizio degli anni Novanta.

  • 10 RIDOLFI, Maurizio, “Tangentopoli”: storia e memoria nella crisi di transizione dell’Italia repubbli (...)
  • 11 CECI, Giovanni Mario, «Verso il crollo della “Repubblica dei partiti”: le conseguenze della morte d (...)

3All’interno di tale perimetro, limitandoci ad indicare solo alcuni fra gli altri fattori decisivi, si possono ricordare: «gli impensati livelli di corruzione politica svelati all’opinione pubblica dall’inchiesta giudiziaria di Mani pulite»; le strette economiche imposte all’Italia per porre freno all’indebitamento pubblico e convergere in direzione delle politiche da adottare con la ratifica del Trattato di Maastricht; l’attacco della mafia allo Stato, con l’assassinio dei giudici Falcone e Borsellino; gli effetti dei referendum sull’abolizione della preferenza unica del 1991 che favorirono comportamenti di voto più liberi rispetto al passato10, dando la possibilità ai cittadini di «esercitare appieno la propria accountability elettorale»11.

  • 12 SCOPPOLA, Pietro, La repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico. 1945-1996, (...)
  • 13 CARTOCCI, Roberto, «L’Italia unita dal populismo», Rassegna Italiana di Sociologia, XXXVII, 3/1996, (...)

4Nel contesto, la moralità collettiva, passata nella fonte battesimale e purificatrice degli scandali politico-affaristici, assumeva un respiro etico, come se il mondo di prima avesse visto una separazione netta tra pubblico e privato, anziché una loro ovvia e necessaria compenetrazione: «con lo sdegno diffuso verso corrotti e corruttori, largamente alimentato dalla stampa, un popolo intero si illudeva di riscattarsi in qualche modo dai suoi vizi proprio sul terreno dell’etica civile»12. Le istituzioni assursero al contempo al ruolo di «vittime e carnefici» di questo processo. Con la chiave del populismo, si aprì la strada a una «gigantesca assoluzione collettiva e rimozione delle responsabilità politiche che le inchieste giudiziarie indirettamente imputavano a ciascun elettore»13.

5Ciò premesso, obiettivo del presente contributo è quello di cercare di analizzare come in quelle specifiche “condizioni ambientali” elementi di populismo possano aver trovato un humus favorevole alla propria emersione anche nel campo della sinistra italiana per come essa si andava definendo in quel frangente.

  • 14 CANOVAN, Margaret, Populism, New York - London, Harcourt Brace Jovanovich, 1981.
  • 15 In particolare, ma non solo: ALLIEVI, Stefano, Le parole della Lega: il movimento politico che vuol (...)
  • 16 Come afferma Simona Colarizi, infatti, la «storiografia marca un certo ritardo negli studi sui movi (...)
  • 17 RAVVEDUTO, Marcello (a cura di), 1992. L’anno che cambiò l’Italia, Roma, Castelvecchi, 2015, p. 6.

6A tal fine, da una parte si intende indagare su quella specifica fase della storia italiana attraverso le lenti interpretative dei nutriti studi sul populismo e, dall’altra, partendo da alcune esperienze sviluppatesi all’inizio degli anni Novanta, restituire attraverso una via descrittiva, comparativa e pluralista14 taluni elementi populisti di contesto. A differenza della fiorente letteratura che individua correttamente il fenomeno della Lega Nord15 come un caso eccellente di (neo)populismo nel quadro italiano ed europeo dei movimenti nazionalisti (nella fattispecie, etnonazionalista) e xenofobi, in questo intervento seguiremo un sentiero anomalo e poco battuto16. Partendo dalla «questione morale» avanzata da Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista italiano, si intende ripercorrere, nei limiti che sono concessi, l’evoluzione e la trasposizione di questo concetto mobilitante in chiave populista. Entrato in sordina nel dibattito pubblico della prima metà degli anni Ottanta, latente per tutto il decennio, esso si impose nella battaglia politica e ideale di una parte della sinistra (ma non solo), in particolare con l’avvicendarsi delle indagini di decine di procure italiane, a partire da quella di Milano, sulla corruzione quale parte integrante del contesto istituzionale nazionale17. Dal bagaglio della questione morale attinsero quasi tutti i soggetti che volevano dare, per diverse ragioni e obiettivi, una spallata al sistema partitocratico. Fra essi, daremo particolare rilievo, da una parte al Pci/Pds, dall’altra all’esperienza del Movimento per la Democrazia – La Rete, promosso su tutti dal già sindaco di Palermo Leoluca Orlando.

  • 18 LACLAU, Ernesto, La ragione populista, Roma-Bari, Laterza, 2005, p. 169.

7Inquadrando il fenomeno mediante l’impianto speculativo del filosofo argentino Ernesto Laclau, il populismo si presenta generalmente con un «doppio volto»: da una parte quale «movimento sovversivo dello stato di cose preesistente», dall’altra quale «punto di partenza per la ricostruzione» di un diverso ordine, laddove il precedente sia stato scosso. È pertanto nella situazione di crisi del sistema che un appello di natura populista può trovare spazio e terreno fertile. Secondo questa impostazione non si avrà mai una situazione nella quale esso possa emergere da un “fuori assoluto” (come, ad esempio, una rivoluzione o una insurrezione) «in modo tale da dissolvere uno stato di cose precedente», ma raccoglie, riassembla e porta a un atto performativo «domande frammentate e dislocate» già presenti nella società, attorno a un nuovo soggetto capace di rappresentarne i bisogni. Così, afferma Laclau, «un certo livello di crisi della vecchia struttura è un requisito imprescindibile del populismo»18.

  • 19 MENY, Yves, «La costitutiva ambiguità del populismo», in Filosofia politica, 18, 3/2004, pp. 359-37 (...)
  • 20 Cfr. TAGUIEFF, Pierre-André, L’illusione populista, Milano, Bruno Mondadori, 2006, pp. 83-84.
  • 21 DAMIANI, Marco, Il populismo di sinistra, la variante europea, in MASALA, Antonio, VIVIANI, Lorenzo (...)

8Nella fase in cui la democrazia, nel suo concerto di attori, non è più in grado di offrire risposte adeguate ai bisogni di vasti strati della popolazione, ovvero le cui aspettative divergono oltre determinati limiti, può presentarsi un «momento populista». Il cittadino contesta il principio di delega, a partire dal fatto che le proprie aspettative risultano deluse oltre un limite accettabile. Il populismo si configura quindi come «specifica forma di mobilitazione politica che differisce sia dai modelli classici di espressione degli interessi, sia dall’azione politica incanalata dai partiti politici» e, in determinate condizioni, è possibile coglierne l’elemento di «reazione alla disfunzione dei sistemi politici»19. Lo stesso Laclau, inoltre, distingue tra un populismo delle classi dominanti, «le quali strumentalizzano l’appello alle masse secondo i propri interessi», e un populismo più vicino al socialismo, orientato dall’interno delle classi dominate20. Tuttavia, il concetto di classe, in questo caso, si disloca dalla sua formulazione originale, per arrivare ad abbracciare il popolo quale soggetto protagonista del cambiamento. Si può parlare a tal proposito di “populismo di sinistra” laddove una sua declinazione aperta e inclusiva possa rappresentare una «possibile modalità di riarticolazione dello scontro politico, capace di preservare e non indebolire le forme della democrazia negli anni della sua più acuta crisi sistemica»21.

2. Le radici della «questione morale» e il suo periodo di latenza

  • 22 «Il governo messo sotto accusa. Drammatica denuncia di Pertini», in l’Unità, 27 novembre 1980.
  • 23 VALENTINI, Chiara, Berlinguer, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 317.

9Il 23 novembre 1980 un violento sisma colpì vaste zone tra la Campania e la Basilicata. L’area martoriata fu vastissima: Palazzo Chigi, il Viminale e le prefetture non si dimostrarono pronti per far fronte alla situazione e organizzare adeguatamente i soccorsi. Il Presidente della Repubblica Pertini, dopo aver visitato i luoghi del disastro, denunciò apertamente le responsabilità dei diversi governi: «ci sono state delle mancanze gravi, non vi è dubbio, e quindi chi ha mancato deve essere colpito»22. Berlinguer, ascoltando le parole di Pertini, commentò: «Dobbiamo farci avanti noi. Dobbiamo proporre un’alternativa democratica a questo sistema»23.

  • 24 Sulla nascita della componente migliorista del Pci, cfr. TESEI, Roberto, Diversità, alternativa, la (...)
  • 25 ISTITUTO GRAMSCI, Archivio Partito Comunista Italiano (d’ora in poi, IG, APC), 1980, Direzione, riu (...)
  • 26 Una bibliografia sulla Democrazia Cristiana sarebbe troppo lunga. Si consideri, tra gli altri: GIOV (...)

10Il successivo 27 novembre venne convocata in modo straordinario la Direzione comunista, per discutere un documento già predisposto dal segretario. Con la giustificazione di evitare lo scivolamento verso elezioni anticipate, Berlinguer propose un nuovo schema in cui il Pci avrebbe dovuto costituire «il perno della soluzione di governo» e che avesse al primo posto il tema della «questione morale». Diversi dirigenti, in particolare il raggruppamento vicino a Napolitano (quella che poi sarà definita la componente «migliorista»24), ammonirono sull’opportunità di «aprire un vuoto nel momento del terremoto», rischiando una strumentalizzazione e l’incomprensione da parte delle masse laddove «si lanciano parole d’ordine in cui non si crede»25. In prima battuta, quindi, potrebbe essere visto come un tentativo di reazione alla linea del «Preambolo» proposto da Forlani e Donat Cattin al congresso democristiano del 1980, che escluse qualsiasi alleanza con il Partito comunista26. Ma con esiti che furono, come vedremo, diversi.

  • 27 «Un’altra Italia deve governare. Documento della Direzione Pci», in l’Unità, 28 novembre 1980.
  • 28 La «seconda svolta di Salerno» è spesso usata dalla storiografia come uno dei più significativi ese (...)
  • 29 «Berlinguer: noi proponiamo un’alternativa democratica. La conferenza stampa del compagno Berlingue (...)

11Il comunicato licenziato da Botteghe Oscure fu netto nel chiamare in causa le responsabilità «di un sistema di potere, una concezione e un metodo di governo che hanno generato e generano di continuo inefficienze e confusione nel funzionamento degli organi dello Stato, corruttele e scandali nella vita dei partiti governativi», alla cui soluzione si poneva l’assunzione della questione morale e un nuovo governo di «uomini capaci e onesti dei vari partiti e anche al di fuori di essi»27. Il giorno seguente, dopo aver incontrato i dirigenti comunisti delle zone terremotate, si svolse a Salerno la conferenza stampa del segretario del Pci, nella quale rafforzò pubblicamente questa linea, facendo subito parlare di «seconda svolta di Salerno»28, affermando che «la Dc, avendo ormai dimostrato di non essere in grado di guidare un’azione di risanamento morale e di rinnovamento della società e dello Stato, non è in grado più di dirigere il governo del Paese. La funzione dirigente spetta – quindi – al Pci in quanto secondo partito italiano, leale alla Costituzione, forza che – dall’opposizione – ha dato prova di non essere compromessa con gli scandali»29.

  • 30 NAPOLITANO, Giorgio, «Parliamo sul serio della crisi dei partiti», in Rinascita, 7 novembre 1980.
  • 31 COLARIZI, Simona, Un paese in movimento. L’Italia negli anni Sessanta e Settanta, Bari, Laterza, 20 (...)

12Il Partito Comunista, dopo il XV congresso (1979), con la conclusione della solidarietà nazionale e con la sconfitta della linea Zaccagnini-Andreotti nella Dc, colpito nel suo insediamento dalle trasformazioni sociali, arrivava a poco a poco ad alzare la questione morale e a proclamare la propria diversità quali issues di posizionamento politico. Napolitano rilevava le difficoltà del partito da un lato con «la tradizione ideale e culturale, col nostro insediamento sociale e col nostro modo di essere tradizionali», e dallaltro con «mutamenti profondi, di vario segno, via via intervenuti o delineatosi nella società»30. Il partito iper-burocratizzato si stava dimostrando una macchina lenta, elefantiaca per le novità che stavano emergendo allinizio del decennio, legate alla scomparsa del mondo industriale e alla «società che su questo modello di produzione si era articolata da più di un secolo»31.

13In questo frangente la «questione morale», quale questione politica, fece il suo ingresso non solo nella strategia comunista degli anni Ottanta, come fattore propulsivo dell’iniziativa e della mobilitazione del partito, ma nel complesso della società italiana. O, per meglio dire, si insinuò a livello carsico nell’inconsapevolezza di un Paese spinto in avanti dal successo economico e dal trionfo del nuovo clima individualista. Il rinvio a un futuro mai prossimo delle decisioni impopolari, la costante crescita dell’indebitamento pubblico necessario ad alimentare il consenso elettorale e una ricchezza nazionale al di sopra delle proprie capacità produttive, segnalano che l’elettorato accettava – considerata la sostanziale tenuta nel corso del decennio dei partiti di governo – lo scambio tra benessere immediato e indebolimento della partecipazione politica, maggiore debito a valere sulle future generazioni, trasformismo e malaffare.

  • 32 Eurobarometro, rilevazioni raccolte in The Mannheim Eurobarometer Trend File, 1970-2000, Data Set E (...)
  • 33 PARISI, Arturo, PASQUINO, Gianfranco, Relazioni partiti-elettori e tipi di voto, in PASQUINO, Gianf (...)

14Un consenso così stabile rivolto ai partiti di governo, d’altronde, risulterebbe in contraddizione con i giudizi prevalentemente negativi sul funzionamento della democrazia italiana (nel 1987, il 71,5% dei soggetti intervistati da Eurobarometro si dichiarava poco o per nulla soddisfatti al riguardo)32, se non si tenesse in debita considerazione la presenza maggioritaria nel comportamento elettorale italiano del voto di appartenenza e del voto di scambio, a discapito delle scelte adottate sulla base di un’opinione maturata da una valutazione consapevole o quantomeno critica33, come stava avvenendo, ad esempio, nel caso dei referendum.

  • 34 ORSINA, Giovanni, La democrazia del narcisismo. Breve storia dell’antipolitica, Venezia, Marsilio, (...)
  • 35 Ibidem. «La mitologia greca narra dell’empio re di Tessaglia Erisittone che, condannato da Demetra (...)

15Berlinguer capì prima di altri che la «denuncia dell’inadeguatezza del sistema politico e istituzionale» potesse rappresentare un «potente strumento di mobilitazione del consenso popolare»34. A valere su tutto il sistema, Orsina definisce questa condizione come «sindrome di Erisittone»35 che, entro la fine del decennio, contagerà buona parte degli attori politici.

  • 36 SCALFARI, Eugenio, «Dove va il Pci? Intervista a Berlinguer», in la Repubblica, 28 luglio 1981.

16La centralità di questo nuovo impianto fu confermata da Berlinguer in una celebre intervista rilasciata al direttore de «la Repubblica», Eugenio Scalfari. Senza troppe distinzioni, il leader comunista rispondeva che i partiti erano diventati «macchina di potere e di clientela», senza «passione civile», «federazioni di correnti» ciascuna con «un “boss” e dei “sottoboss”», a tal punto che «gran parte degli italiani è sotto ricatto». Rivendicò la «diversità» del Pci, che non aveva seguito i partiti nella «degenerazione» perché aveva messo al centro della propria azione gli interessi «delle masse lavoratrici» e «degli strati emarginati della società»36.

  • 37 GUISO, Andrea, Dalla politica alla società civile. L’ultimo Pci nella crisi della sua cultura polit (...)
  • 38 Ibidem, pp. 201-211.

17L’intervista-programmatica a Scalfari rappresentò, secondo Andrea Guiso, il primo di tre momenti-chiave nella «mutazione genetica»37 comunista degli anni Ottanta. Il secondo fu la grande mobilitazione del Pci sul tema della pace fra il 1983 e il 1984: attraverso il nuovo movimento pacifista, esso finì per «incorporare alcuni elementi di quel “pregiudizio verso la politica”» che vedremo riaffiorare negli anni successivi con la vicenda del nucleare seguita all’incidente di Cernobyl, che tenne insieme pacifismo e ambientalismo. Questa ci conduce al terzo momento, ovvero lo strumento referendario: dapprima sul cosiddetto «decreto di San Valentino», successivamente sul nucleare (ma anche sulla responsabilità civile dei giudici e, ancora dopo, sulle preferenze elettorali). Il referendum, pur rappresentando «la più radicale negazione della concezione politica e della cultura dei comunisti», ma assumendo un ruolo «concorrenziale con il monopolio comunista dell’opposizione», portò il Pci a politicizzare con più forza «le consultazioni referendarie subite e agite»38.

  • 39 BASSI, Giulia, «Tutto il popolo sotto la bandiera della democrazia: il Partito comunista italiano e (...)
  • 40 Ad esempio, negli interventi pubblici e interni al partito di Pietro Folena (ma non solo), segretar (...)
  • 41 TROTTA, Mauro, Il gentismo, malattia matura del populismo, in BIANCHI, Sergio (a cura di), La sinis (...)

18Accanto a questi cambiamenti, mutava al contempo il soggetto politico di riferimento. Dopo il partito di una classe, la classe operaia, e il partito di massa, nazionale e popolare avviato da Togliatti con la parola d’ordine del «partito nuovo» nel 194439, si passò all’ingresso, dalla seconda metà degli anni Ottanta, nel linguaggio e nei riferimenti comunisti di un nuovo termine, una diversa categoria: la “gente”. In particolare, nei dirigenti più giovani, passati nei movimenti della seconda metà degli anni Settanta e cresciuti nel vivaio berlingueriano40. Non si tratta qui di affermare che tale cambiamento di entità referente abbia determinato una variazione populista del Pci; tuttavia, un avvicinamento esiste: «la gente, come il popolo, non si divide in classi o ceti sociali», ma assume anch’essa, in modo ancor più indistinto, le virtù morali, il «buon senso», la «tradizione»41.

  • 42 LUPO, Salvatore, «Il mito della società civile. Retoriche antipolitiche nella crisi della democrazi (...)

19Il Pci degli anni successivi al 1984, nel passaggio dalla segreteria di Alessandro Natta al nuovo corso disegnato da Achille Occhetto, caratterizzati dalle pesanti sconfitte elettorali alle amministrative del 1985 e alle politiche del 1987, si distinse soprattutto per un attendismo, un atteggiamento di elevata prudenza. La «questione morale», quale fulcro di quella che avrebbe dovuto essere la “diversità comunista”, rimase latente nel popolo di Botteghe Oscure, aizzata all’occorrenza nei confronti degli avversari politici, Craxi in particolare, e nel substrato carsico degli italiani, distratti da un Paese che guardava altrove. La società italiana, tra l’altro, costituiva di per sé un terreno già estremamente fertile per far attecchire severi giudizi morali nei confronti dei politici e dei rispettivi partiti. Infatti, al di là delle peculiarità di ciascun periodo, nella cultura politica nazionale costituisce un filone solido la «retorica tesa a delegittimare partiti, classi politiche professionali, istituzioni rappresentative e relativi ludi cartacei» esaltando, di contro, il «contatto immediato tra le masse e il leader»42.

  • 43 GUISO, Andrea, Dalla politica alla società civile. L’ultimo Pci nella crisi della sua cultura polit (...)

20Berlinguer, insomma, pose le premesse per un «rovesciamento di paradigma» nella cultura politica comunista: la «diversità» del Pci venne posta al servizio di una «società civile», quale «società degli onesti e dei capaci», «entità ineffabile, multiforme, eppure già dotata all’interno del discorso pubblico italiano, di una sua autoreferenziale coerenza e prescrittività»43.

  • 44 Ora in SARESELLA, Daniela, Tra politica e antipolitica: la nuova società civile e il movimento dell (...)

21All’interno di questa ricostruzione, può essere utile citare una vicenda che coinvolse direttamente il Pci, il cosiddetto affaire Zampini. In seguito a una denuncia presentata da una società italo-americana circa le richieste di tangenti da parte di funzionari degli uffici del comune di Torino, nel marzo 1983 venne arrestato il geometra Adriano Zampini, a cui fecero seguito amministratori comunali e regionali, in particolare di area socialista, ma non solo, anche esponenti della Dc e del Pci. L’atto venne presentato grazie anche alle sollecitazioni del sindaco del capoluogo piemontese, il comunista Diego Novelli. Segno che la questione morale era presente nelle corde di una parte del gruppo dirigente, sia in termini politici sia di legalità. Lo scandalo provocò la fuoriuscita dalla giunta del Psi e, neanche due anni dopo, Novelli venne sfiduciato e dovette lasciare la guida del municipio a un’alleanza in linea con il governo nazionale di pentapartito. Nel corso di un Comitato Centrale del Pci, che si svolse poche settimane dopo l’emersione dello scandalo, Novelli affermò che nel caso di Torino non si trattava di un «incidente di percorso», bensì che vi fosse «qualche cosa nelle leggi, nei rapporti politici, nelle relazioni tra governanti e governati, nel costume politico che lascia spazi per l’insorgere di degenerazioni», rappresentando tale sistema come un «cancro» che divora il governo e lo Stato nel suo complesso44.

  • 45 Ibidem, p. 69.

22L’esperienza politica di Diego Novelli ci consente di richiamare un’altra personalità, anch’essa per un periodo militante nel Pci, il sociologo Nando Dalla Chiesa – figlio del generale Carlo Alberto, ucciso per mano mafiosa nel 1982 – che a metà degli anni Ottanta promosse a Milano la costituzione del circolo Società Civile, al centro del cui impegno vi era il proposito di battersi contro lo strapotere dei partiti, attraverso la riscoperta dei valori di tolleranza, onestà, rigore, correttezza e verità, per «difendere con intransigenza i principi generali, combinare la modernizzazione con la moralità»45.

  • 46 In realtà, fra i due c’erano già stati dei contatti che successivamente vennero consolidati. In par (...)

23Novelli e Dalla Chiesa si incontreranno46, all’inizio degli anni Novanta, insieme a Leoluca Orlando, già sindaco di Palermo, e ad altri esponenti del mondo politico, associativo, intellettuale, per dar vita a quella che fu tra le esperienze più originali di quel periodo, il Movimento per la Democrazia - La Rete.

3. Tra Prima e Seconda repubblica: le difficoltà dei post-comunisti e l’originalità dell’esperienza della Rete

  • 47 Cfr. NAPOLITANO, Giorgio, Dal Pci al socialismo europeo. Un’autobiografia politica, Roma-Bari, Late (...)
  • 48 RIDOLFI, Maurizio, «“Al di là della destra e della sinistra”? Tradizioni e culture politiche nell’I (...)

24Pur autodefinendosi «parte integrante della sinistra europea»47 e riuscendo a conseguire l’inserimento nell’Internazionale socialista, il Partito comunista, soprattutto con l’ascesa alla segreteria di Achille Occhetto, condusse una traumatica transizione verso il passaggio al nuovo soggetto: gli eredi del Pci, gli appartenenti Pds, manifestarono «un difficile rapporto con la loro storia ed una intrinseca tendenza a rimuovere piuttosto che a riconsiderare criticamente il loro passato», non volendo esplicitare con maggiore chiarezza il richiamo all’originaria tradizione socialista48.

  • 49 IGNAZI, Piero, Dal Pci al Pds, Bologna, Il Mulino, 1992, p. 132.
  • 50 Dati, giudizi e opinioni del gruppo dirigente comunista sono relativi a un campione di delegati par (...)
  • 51 ORSINA, Giovanni, La (auto)distruzione del politico, 1968-2008, in MASALA, Antonio, VIVIANI, Lorenz (...)

25Come sappiamo, il percorso prese le mosse da una causa esterna, il crollo del Muro di Berlino e con esso del mondo sovietico, riconoscendo implicitamente il legame fra tale crisi e il partito stesso. Occhetto intendeva muovere la nuova formazione verso un modello di «partito radicale di massa», nel quale rispetto all’ideologia marxista fino ad allora prevalente assunsero maggiore rilievo singole issues: la centralità del cittadino e dei diritti individuali, l’apertura alle nuove forme di associazionismo e di partecipazione civica49, i movimenti femministi e pacifisti. I diritti, in qualche modo «borghesi», acquisirono nel passaggio dal Pci al Pds un peso specifico maggiore nel corpo del partito piuttosto che nel suo gruppo dirigente centrale (escludendo il segretario e i suoi collaboratori più stretti), a discapito delle battaglie più tipicamente laburiste e di “classe”. Segno che quell’apparato diffuso era quanto mai influenzato dai cambiamenti complessivi che stavano investendo le società occidentali nel corso degli anni Ottanta. Pertanto, la centralità data da Occhetto ai diritti individuali trovò certamente accoglimento nel livello mediano del partito e un’attenzione da parte di soggetti esterni interessati a queste novità50. Fu un carattere comune dei partiti progressisti – ma per il Pci più evidente proprio perché fuori dalla tradizione socialdemocratica – trovare un’alternativa al marxismo spostando l’accento dalla classe operaia ormai in crisi al ceto medio, in particolare inserendo «un’anima etica alla propria linea politica»: «insistendo sui diritti, i partiti progressisti [favorirono] la colonizzazione del politico ad opera delle logiche etiche e giudiziarie»51.

  • 52 Cfr., BIORCIO, Roberto, Il populismo nella politica italiana: da Bossi a Berlusconi, da Grillo a Re (...)
  • 53 TARCHI, Marco, Italia populista. Dal qualunquismo a Beppe Grillo, Bologna, Il Mulino, 2015, p. 207.

26L’idea era quindi tentare di recuperare un mondo, a sinistra, insofferente verso la forma del partito-chiesa, attento a pochi temi ma qualificanti, di civismo ma anche di protesta. Questo terreno, tuttavia, fu conteso con maggiore successo dalle Leghe e, alle elezioni del 1992, dalla Lega Nord. Sotto la guida di Umberto Bossi, l’iniziale protesta etnoregionalista fu trasformata in battaglia popolare contro la partitocrazia. L’originalità di questa nuova formazione politica fu la sua capacità di rileggere il regionalismo in chiave populista, costruendo un appello al popolo inteso sia come demos, nell’accezione di gente comune, di masse contrapposte alle élite, sia come ethnos, ovvero quale entità etnonazionale52. Per tali sintetiche ragioni la Lega Nord ha rappresentato probabilmente il maggior caso di studio sul populismo in Italia: fino a quel momento, infatti, per circa quarant’anni dal secondo dopoguerra – se si esclude l’esperienza del movimento de L’Uomo Qualunque e la particolarità del fenomeno Achille Lauro – il populismo si attestava nel quadro della politica italiana solo «in forma latente», senza coagularsi attorno a uno o più soggetti capaci di farne «un efficace strumento di lotta politica»53.

  • 54 LUPO, Salvatore, «Il mito della società civile. Retoriche antipolitiche nella crisi della democrazi (...)

27Come è stato già sottolineato, la partecipazione e l’impegno dei cittadini non passava più soltanto attraverso le sezioni di partito o le associazioni collaterali, ma trovava uno sbocco fecondo nel terzo settore, nell’associazionismo di stampo volontarista, ambientalista, civico, nei comitati locali e territoriali. Si iniziò a parlare cioè di una nuova società civile, il cui “mito” prendeva corpo in questo humus di contrapposizione alla politica dei partiti, «inutile alla gente ma utile a mantenere e riprodurre indefinitamente se stessa»54.

  • 55 GIOVAGNOLI, Agostino, Cattolici e politica dalla prima alla seconda fase della storia repubblicana, (...)
  • 56 Cfr. SANTAGATA, Alessandro, La contestazione cattolica: movimenti, cultura e politica dal Vaticano (...)

28Da questo clima non fu escluso il mondo cattolico. Al contrario, particolarmente fecondi – seppur a distanza di due decenni – furono i «molteplici effetti della recezione del Concilio Vaticano II nel tessuto ecclesiale e nella coscienza dei fedeli»55. Non potendo soffermarmi a lungo sul tema, si tenga soprattutto presente che il rilancio dell’impegno sociale dei cattolici, slegato dal collateralismo con la Dc, prese forma in modo particolare sulla base di quel «dissenso cattolico»56 fondato sul recupero di una dimensione popolare della Chiesa.

  • 57 GAVINI, Diego, «L’utopia palermitana: i gesuiti nella “primavera” dell’antimafia», in Laboratoire i (...)

29In tal senso, un terreno fertile, seppur complesso, si dimostrò la Sicilia, Palermo in particolare, dove, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, operavano in sintonia i gesuiti padre Ennio Pintacuda e padre Bartolomeo Sorge. Pintacuda, sin dal decennio precedente, era animatore del Centro studi sociali dei gesuiti palermitani, alla cui guida subentrò padre Sorge (dal 1973 direttore de «La Civiltà Cattolica») per molti su volere diretto di Giovanni Paolo II. La nomina avvenne negli stessi giorni dell’estate del 1985 in cui nel capoluogo siciliano veniva eletto sindaco Leoluca Orlando57.

  • 58 Secondo Padre Pintacuda, l’esperienza politica venne subito definita «anomala» perché aveva «come o (...)
  • 59 SCHNEIDER, Jane, SCHNEIDER, Peter, «Dalle guerre contadine alle guerre urbane: il movimento antimaf (...)
  • 60 Si veda SARESELLA, Daniela, Tra politica e antipolitica: la nuova società civile e il movimento del (...)
  • 61 GAVINI, Diego, «L’utopia palermitana: i gesuiti nella “primavera” dell’antimafia», cit., § 13.
  • 62 Cfr. BLANDO, Antonino, «Percorsi dell’antimafia», in Meridiana, 25, 1996, pp. 77-91, pp. 80-82. Sul (...)
  • 63 VALENTINI, Chiara, Il nome e la cosa. Viaggio nel Pci che cambia, Milano, Feltrinelli, 1990, pp. 17 (...)

30Orlando era un uomo politico con una carriera consolidata alle spalle, iniziata alla fine degli anni Settanta come stretto collaboratore di Piersanti Mattarella, quando questi si trovò alla guida della Sicilia. Dopo la morte per mano mafiosa del presidente della regione, Orlando si fece strada nella Democrazia Cristiana, prima come consigliere comunale a Palermo, poi dal 1985 come sindaco della città. Due anni dopo, in seguito alla crisi della maggioranza che lo sosteneva, inaugurò un’esperienza amministrativa innovativa o anomala58, in base al punto di vista, dapprima con una giunta formata da una parte della Dc, Sinistra indipendente, Verdi, Socialdemocratici e dalla lista civica cattolica di Città per l’Uomo e successivamente con l’allargamento al Partito Comunista, dando vita al cosiddetto “esacolore”. Per il leader di quella che venne definita la “primavera di Palermo” non si trattava di un compromesso storico, ma di un’esperienza che si sforzasse «di perseguire il cambiamento espresso dalla società civile», in quel contesto impegnata soprattutto nel movimento antimafia. Infatti, il municipio palermitano rappresentò un punto focale nel sostegno alle attività promosse dal Coordinamento antimafia59. Inoltre, l’ingresso dei comunisti in giunta volle rappresentare, da una parte, la conferma che il rinnovamento dell’azione politica potesse passare attraverso l’assunzione della questione morale quale punto centrale della vita pubblica60, dall’altra, la sfida che Orlando lanciò nei confronti della Democrazia cristiana nazionale, che nel 1989 passò in mano al centro retto dall’asse Forlani-Andreotti, emarginando la sinistra di De Mita61. Ma anche per il Pci l’esperienza assunse un valore particolare: il suo rinnovamento si mescolò, nei fatti, alla «primavera palermitana». Tuttavia, in quel periodo non c’era un solo modo «di essere comunisti nel regno della mafia più potente del mondo»: da un lato, il «partito del rigore» partecipò alla giunta di Orlando, battendosi al fianco dei movimenti antimafia – come storicamente aveva fatto sin dalle lotte agrarie, anche se, successivamente, con alterna tensione62 – e degli ambientalisti; da un altro, c’era il «partito pigliatutto», subalterno ai socialisti e ai ciellini nel sindacato, che favoriva operazioni speculative e trattava con «partner ambigui»63.

  • 64 «Butterò Andreotti fuori dalla Dc», in Avvenimenti, 2 maggio 1990, pp.14-15.

31Rottura dell’unità politica dei cattolici, trasversalità ideologica, moralità e onestà nell’azione pubblica, lotta alla mafia e alla corruzione, rappresentarono i principali elementi che accompagnarono Orlando – dopo il mancato sostegno Dc, nel 1990, a una nuova giunta sulla scia dell’esperienza della “primavera” – verso la fuoriuscita dal partito democristiano e la fondazione di un nuovo movimento. In realtà, Orlando non aveva intenzione di lasciare la Dc, se è vero che puntava a una rapida scalata fino a Piazza del Gesù, ai vertici: «io voglio fare il segretario nazionale della Dc, altro che mollare, alle mie condizioni però, non a quelle di Andreotti. Io mai uscirò dal partito. Semmai cerco di buttare fuori loro»64.

  • 65 Novelli, quasi come Orlando, mostrava già da tempo difficoltà e insoddisfazione nei confronti del p (...)

32Ma Palermo non era Roma, e viceversa. Cosicché, il 21 marzo 1991 venne presentato il nuovo movimento, La Rete: promotori, insieme a Orlando, Diego Novelli65, Nando Dalla Chiesa, Alfredo Galasso e Carmine Mancuso.

  • 66 «Manifesto costitutivo del Movimento per la Democrazia La Rete», ora in CANTIERI, Raffaello, Rete I (...)
  • 67 SARESELLA, Daniela, Tra politica e antipolitica: la nuova società civile e il movimento della rete (...)

33Come emerse dal “Manifesto costitutivo”, l’obiettivo era mettere in relazione tra loro «istanze largamente diffuse nel corpo sociale del Paese», in una «rete» fatta di associazioni, comunità, volontariato, che già da anni avevano «posto al centro della propria riflessione e del proprio impegno i temi della persona e dell’etica pubblica, il rapporto uomo-ambiente e il rapporto società civile-partiti-istituzioni». Il sistema dei partiti, degenerato per l’assenza di alternanza e per le pratiche consociative, era diventato «una cappa soffocante per le fondamentali libertà dei cittadini», in preda a «spinte antidemocratiche provenienti da oligarchie partitiche, da presenze crescenti di economie illegali e, in forme più brutali, dai poteri occulti e criminali mafiosi, che assaltano pressoché indisturbati lo Stato di diritto»66. Emerse sin da subito l’influenza dei gesuiti Sorge e, soprattutto, Pintacuda. Quest’ultimo, senza particolari nascondimenti, assunse di fatto il ruolo di padre nobile e ideologo della Rete67. Ancor prima della fondazione, il gesuita di Prizzi così scriveva nel suo Breve corso di politica:

  • 68 PINTACUDA, Ennio, Breve corso di politica, Milano, Rizzoli, 1988, p. 173.

I giudizi di apprezzamento della politica, l’affezione o il distacco da essa, la sua crisi e l’opera di rivalutazione non riguardano qualcosa di astratto né si riferiscono a miti o a simboli generici ma, piuttosto, ad attività concrete svolte da uomini. […] La partitocrazia non ha il volto di un mostro sacro indefinibile ma è la risultante di attività messe in atto dagli uomini che fanno parte delle istituzioni politiche, i quali hanno potere all’interno di esse e ne guidano le sorti.
L’opera di rinnovamento nella società e la mobilitazione delle masse non scaturisce dai movimenti collettivi così come l’acqua sgorga dalle fonti ma è suscitata dai
leaders che guidano e trascinano le masse. Inoltre, se oggi la questione morale si pone come uno dei fatti fondamentali della politica e se il nodo centrale di essa consiste nella reintegrazione del suo rapporto con l’etica, il problema non riguarda istituzioni anonime o entità organizzative a sé stanti, ma coloro i quali fanno parte di esse e ne sono a capo, prendono decisioni e sono capaci di responsabilità morali e penali68.

34La prima sfida a cui la Rete si trovò di fronte furono le elezioni siciliane del 16 giugno 1991. Ci fu una grande mobilitazione, Orlando si candidò capolista a Palermo mentre a Catania fu scelto Claudio Fava, tra i fondatori, figlio del giornalista Giuseppe Fava, ucciso dalla mafia nel 1984, anch’egli impegnato come il padre nella lotta alla criminalità organizzata.

35Come esordio, fu un più che discreto successo: a livello regionale, la Rete ottenne il 7,3%, mentre a Palermo toccò quota 25,8. Considerato che la Democrazia cristiana non fu scalfita da questo risultato, i flussi più consistenti provennero dal Pds, a sottolineare lo spazio comune che i due soggetti tendevano ad occupare. Ad ogni modo, molta era la strada ancora da compiere, soprattutto perché l’appuntamento principale era rappresentato dalle elezioni del 1992.

  • 69 I riferimenti sono tratti da «La Rete Movimento per la Democrazia: il programma, le candidate, i ca (...)
  • 70 CANTIERI, Raffaello, Rete Italia, cit., p. 47.

36Nel programma elettorale per quelle consultazioni, che si svolsero il 5 e il 6 aprile, la trasversalità del movimento emerse con un appello a «tutto il corpo elettorale» e in modo particolare a quei cittadini «rimasti privi di un credibile punto di riferimento», intenti a non «rassegnarsi di fronte allo sfascio prodotto dal regime, che mal governa l’Italia da troppi anni». Si specificava che la direzione dovesse essere quella dell’economia di mercato e che l’emergenza economica, alla vigilia del Trattato di Maastricht, doveva imporre di coniugare «efficienza e solidarietà, trasparenza ed equità, giustizia e regole» nella selezione della spesa pubblica, alla quale non si poteva più rispondere violando «sistematicamente il vincolo del bilancio». Si metteva, inoltre, esplicitamente in chiaro che la Rete sarebbe stata all’opposizione, per «governare domani»: occorreva cambiare le regole del gioco e solo successivamente sarebbe stato «possibile governare rispettando le persone». Infine, un monito rivolto agli elettori a non «cercare una risposta alla crisi attuale nel voto alle Leghe», poiché protesta e rabbia avrebbero dovuto «trovare uno sbocco intelligente e costruttivo facendo appello alla ragione e non all’emotività e ricordando che il bene comune non può essere la somma degli egoismi»69. Anche per evitare di finire nel calderone dei qualunquisti, la Rete teneva particolarmente a distinguersi dalla Lega Nord, pur essendo nate in un medesimo brodo di coltura dell’Italia a cavallo fra gli anni ’80 e ’90: ma, come vollero subito sottolineare gli animatori “retini”, mentre «la Lega nella esaltazione della libertà privilegia l’identità culturale, la Rete la responsabilità»70.

  • 71 BESSON, Jean, GENEVIÈVE, Bibes, Né maggioranza, né opposizione: le elezioni politiche del 5 e 6 apr (...)

37Ma le elezioni politiche del 1992, le prime dopo la caduta del muro di Berlino e la fine del comunismo, non portarono i risultati attesi: la Rete si fermò poco sotto il 2%, eleggendo dodici deputati e tre senatori. Una fra le possibili ragioni di questo dato potrebbe risiedere nella scelta di presentare candidati solo nelle circoscrizioni dove vi era un radicamento territoriale, ovvero riferimenti chiari che garantissero indipendenza, trasparenza, onestà. Tuttavia, così si impedirono di beneficiare di un possibile voto di opinione – e di elettori in libera uscita dai partiti – in mancanza sostanzialmente del simbolo sulla scheda elettorale in decine di collegi. Andò meglio soprattutto in quei territori dove era maggiormente presente, come in Sicilia (8,8%) e specificamente nel palermitano (24,5%); raggiunse un buon risultato nella provincia di Trento (8,9%), ma da nessuna altra parte superò il dato nazionale. Non sfondò neanche nell’elettorato tradizionalmente cattolico, ma la maggioranza degli elettori che scelsero il partito di Orlando proveniva dalla sinistra, in particolare ex comunista. Questo elemento spiazzò senz’altro Occhetto e il Pds nel loro ambizioso progetto di costituire un polo attrattivo per una sinistra sommersa71. Fu la Lega Nord, nei fatti, a presentarsi come l’agente più credibile agli occhi degli elettori, in particolare del centro-nord, del cambiamento e del rovesciamento del sistema dei partiti.

  • 72 LUPO, Salvatore, «Il mito della società civile. Retoriche antipolitiche nella crisi della democrazi (...)

38L’esperienza della Rete, così come il nuovo campo che intese poter occupare il Pds, mise in evidenza le difficoltà nel «creare in quella temperie ideologica nuovi movimenti di sinistra»: in particolare, gli appelli all’opinione pubblica attraverso il meccanismo referendario (già operanti negli anni Ottanta), quello ai magistrati, ai tecnocrati, ai sindaci non «corrispondevano alla tradizionale linea della sinistra italiana», ovvero non trovarono conferma nella tradizione e nelle subculture ancora sufficientemente radicate72.

4. Conclusioni

39Nelle sue molteplici forme, esiste un populismo portatore di un «incitamento a “rigenerare” la democrazia», soprattutto laddove una mobilitazione populista sorga nel cuore di una crisi della legittimità della politica che colpisce l’insieme del sistema della rappresentanza.

  • 73 TAGUIEFF, Pierre-André, L’illusione populista, cit., p. 85.

40La Rete, più del Pds, con Orlando “uomo del popolo” contro i suoi nemici, con il rifiuto del governo nazionale, delle mediazioni, delle élite partitocratiche, con l’esaltazione della gente comune verso la quale «raddrizzare la bilancia del potere»73, ha potuto rappresentare una via d’uscita populista alla crisi della Repubblica. Vi erano i presupposti. Ma lo sfondamento non avvenne.

  • 74 LACLAU, Ernesto, La ragione populista, cit., pp. 88-117.

41In particolare, mediante il portato della moralizzazione pubblica, che si ritiene divenne ciò che Laclau chiama «significante vuoto»: la questione morale, pur restando una domanda singola, si fece al contempo «significante di un’universalità più ampia», portando con sé una catena di «domande equivalenziali»74. È ipotizzabile come il profondo richiamo alla moralizzazione abbia in qualche modo costruito un popolo, o perlomeno unito una maggioranza quasi totale della popolazione entro un denominatore comune. Tuttavia, la catena equivalenziale – ovvero i soggetti che si candidavano a farne un atto performativo – rappresentata dalla questione morale fu talmente vasta ed eterogenea – un gigante dai piedi d’argilla – che, da sola, non poté portare a compimento la creazione di un fronte antagonista duraturo, cosicché divenne un “massimo comune divisore” utile a tutti quei soggetti pronti a colpire il vecchio sistema partitocratico della Prima Repubblica.

  • 75 MASTROPAOLO, Alfio, La mucca pazza della democrazia. Nuove destre, populismo, antipolitica, Torino, (...)

42Sia il Pds di Occhetto, sia la Rete di Orlando tentarono di intercettare l’atmosfera di «furibonda eccitazione antipolitica» che attraversava la società75. Ci riuscirono solo in parte. Infatti, emerse piuttosto velocemente come tale “magma” mosse più agevolmente verso destra, preparando il terreno alla «discesa in campo» di Silvio Berlusconi.

  • 76 Cfr. ZANATTA, Loris, «Il populismo. Sul nucleo forte di un’ideologia debole», in Polis, Ricerche e (...)

43Con il 1992, una parte significativa della popolazione aveva maturato «la percezione che il pilastro costituzionale», ovvero il sistema che nel suo concerto aveva fino ad allora organizzato e governato la società, avesse «svuotato di contenuto la volontà popolare». Quella frattura tra il popolo – gente comune, maggioranza – e la minoranza delle élites politiche sembrava quindi compiuta e irrecuperabile, continuando tra l’altro ad alimentarsi negli anni successivi, così da poter parlare – per quel periodo, da quel 1992 – di un «momento populista»76 di cui non si vede, ancora oggi, del tutto esaurita la sua spinta propulsiva.

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Note

1 SCOPPOLA, Pietro, La repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico. 1945-1996, Bologna, Il Mulino, 2021.

2 Lo storico britannico Eric J.E. Hobsbawm definì il secondo dopoguerra come una nuova «età dell’oro», di «straordinaria crescita economica e di trasformazione sociale, che probabilmente hanno modificato la società umana più profondamente di qualunque altro periodo di analoga brevità», in HOBSBAWM, Eric J., Il secolo breve, Milano, Rizzoli, 1995.

3 Cfr. ACQUAVIVA, Gennaro (a cura di), La politica economica italiana negli anni ottanta, Venezia, Marsilio, 2005. Per un quadro più generale, si veda: ROSSI, Salvatore, La politica economica italiana dal 1968 a oggi, Roma - Bari, Laterza, 2020.

4 VIESTI, Gianfranco, «Che succede nell’economia del Mezzogiorno? Le trasformazioni 1990-1995», Mezzogiorno oggi, 26-27, 1996, pp. 91-130, p. 94.

5 Confido mi sia perdonato l’utilizzo qui declinato di un celebre passaggio di Antonio Gramsci nei suoi Quaderni: «Se la classe dominante ha perduto il consenso, cioè non è più “dirigente”, ma unicamente “dominante”, detentrice della pura forza coercitiva, ciò appunto significa che le grandi masse si sono staccate dalle ideologie tradizionali, non credono più a ciò in cui prima credevano ecc. La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati». GRAMSCI, Antonio, Quaderni del carcere, (edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura di Valentino Gerratana), vol. I, Torino, Einaudi, 1975, pp. 351-352.

6 GUALTIERI, Roberto, Il PCI, la DC e il vincolo esterno, in GUALTIERI, Roberto (a cura di), Il PCI nell’Italia repubblicana 1943-1991, Roma, Carocci, 2001, pp. 73-99.

7 CECI, Giovanni Mario, «Verso il crollo della “Repubblica dei partiti”: le conseguenze della morte di Falcone sulla politica italiana», Meridiana, 97, 1/2020, pp. 35-57, pp. 55-56. Si veda anche FORMIGONI, Guido, Storia d’Italia nella guerra fredda (1943-1978), Bologna, Il Mulino, 2016.

8 COLARIZI, Simona, Politica e antipolitica dalla Prima alla Seconda Repubblica, in COLARIZI, Simona, GIOVAGNOLI Agostino, POMBENI Paolo (a cura di), L’Italia contemporanea dagli anni Ottanta a oggi, vol. III, Istituzioni e politica, Roma, Carocci, 2014, pp. 333-347, p. 337.

9 ORSINA, Giovanni, L’antipolitica dei moderati. Dal qualunquismo al berlusconismo, in COLARIZI, Simona, GIOVAGNOLI Agostino, POMBENI Paolo (a cura di), L’Italia contemporanea dagli anni Ottanta a oggi, III. Istituzioni e politica, cit., pp. 403-421, p. 410.

10 RIDOLFI, Maurizio, “Tangentopoli”: storia e memoria nella crisi di transizione dell’Italia repubblicana, in COLARIZI, Simona, GIOVAGNOLI Agostino, POMBENI Paolo (a cura di), L’Italia contemporanea dagli anni Ottanta a oggi, vol. III, Istituzioni e politica, cit., pp. 67-84, p. 70.

11 CECI, Giovanni Mario, «Verso il crollo della “Repubblica dei partiti”: le conseguenze della morte di Falcone sulla politica italiana», cit., p. 56. Cfr. ALMAGISTI, Marco, Una democrazia possibile. Politica e territorio nell’Italia contemporanea, Roma, Carocci, 2016.

12 SCOPPOLA, Pietro, La repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico. 1945-1996, cit., p. 477.

13 CARTOCCI, Roberto, «L’Italia unita dal populismo», Rassegna Italiana di Sociologia, XXXVII, 3/1996, pp. 287-295, pp. 292-293.

14 CANOVAN, Margaret, Populism, New York - London, Harcourt Brace Jovanovich, 1981.

15 In particolare, ma non solo: ALLIEVI, Stefano, Le parole della Lega: il movimento politico che vuole un’altra Italia, Milano, Garzanti, 1992; DIAMANTI, Ilvo, La Lega. Geografia, storia e sociologia di un nuovo soggetto politico, Roma, Donzelli, 1996; BIORCIO, Roberto, La Padania promessa, Milano, Il Saggiatore, 1997; ID., La rivincita del Nord: la Lega dalla contestazione al governo, Bari, Laterza, 2010.

16 Come afferma Simona Colarizi, infatti, la «storiografia marca un certo ritardo negli studi sui movimenti politici degli anni Ottanta, Novanta e Duemila, a eccezione di quelli relativi al leghismo, oggetto di ricerche che si sono via via approfondite», in COLARIZI, Simona, Politica e antipolitica dalla Prima alla Seconda Repubblica, cit., p. 334. Si cercherà, con questo saggio, di offrire un modesto contributo in tale direzione.

17 RAVVEDUTO, Marcello (a cura di), 1992. L’anno che cambiò l’Italia, Roma, Castelvecchi, 2015, p. 6.

18 LACLAU, Ernesto, La ragione populista, Roma-Bari, Laterza, 2005, p. 169.

19 MENY, Yves, «La costitutiva ambiguità del populismo», in Filosofia politica, 18, 3/2004, pp. 359-376, p. 370.

20 Cfr. TAGUIEFF, Pierre-André, L’illusione populista, Milano, Bruno Mondadori, 2006, pp. 83-84.

21 DAMIANI, Marco, Il populismo di sinistra, la variante europea, in MASALA, Antonio, VIVIANI, Lorenzo (a cura di), L’età dei populismi, Roma, Carocci, 2020, pp. 255-275, p. 259. A tal proposito, si vedano le considerazioni di Marc Lazar, secondo il quale tracce di populismo si possono trovare nei partiti e nei movimenti di sinistra quando hanno la necessità di raccogliere un “popolo” sano da contrapporre a un contesto istituzionale degradato: cfr. LAZAR, Marc, «Du populisme à gauche: les cas français et italien», in Vingtième Siècle, revue d’histoire, 56, 1997, pp. 121-131.

22 «Il governo messo sotto accusa. Drammatica denuncia di Pertini», in l’Unità, 27 novembre 1980.

23 VALENTINI, Chiara, Berlinguer, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 317.

24 Sulla nascita della componente migliorista del Pci, cfr. TESEI, Roberto, Diversità, alternativa, laicità: Napolitano e la nascita di un «raggruppamento critico» nel Pci di Berlinguer (1980-1981), in BOCALE, Ruben, CARBONE, Laura, MACCHIONI, Mario et al. (a cura di), L’Italia al crocevia. Questioni interpretative e percorsi di ricerca fra anni settanta e ottanta, Roma, Pigreco Edizioni, 2018, pp. 105-140.

25 ISTITUTO GRAMSCI, Archivio Partito Comunista Italiano (d’ora in poi, IG, APC), 1980, Direzione, riunione del 27 novembre 1980, mf. 8109, pp. 3-18.

26 Una bibliografia sulla Democrazia Cristiana sarebbe troppo lunga. Si consideri, tra gli altri: GIOVAGNOLI, Agostino, Il partito italiano. La Democrazia cristiana dal 1942 al 1994, Roma-Bari, Laterza, 1996, con particolare riferimento ai capitoli XI e XII.

27 «Un’altra Italia deve governare. Documento della Direzione Pci», in l’Unità, 28 novembre 1980.

28 La «seconda svolta di Salerno» è spesso usata dalla storiografia come uno dei più significativi esempi della tendenza alla gestione personalistica del partito negli ultimi anni della vita di Berlinguer. Sulle modificazioni delle regole di mediazione interna nel Pci, cfr. TURI, Paolo, L’ultimo segretario: vita e carriera di Alessandro Natta, Padova, CEDAM, 1996. p. 393.

29 «Berlinguer: noi proponiamo un’alternativa democratica. La conferenza stampa del compagno Berlinguer a Salerno», in l’Unità, 29 novembre 1980.

30 NAPOLITANO, Giorgio, «Parliamo sul serio della crisi dei partiti», in Rinascita, 7 novembre 1980.

31 COLARIZI, Simona, Un paese in movimento. L’Italia negli anni Sessanta e Settanta, Bari, Laterza, 2019, pp. 149-150. A tal riguardo, si vedano inoltre: COLARIZI, Simona (a cura di), Gli anni Ottanta come storia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004; BARTOLINI, Francesco, La terza Italia: reinventare la nazione alla fine del Novecento, Roma, Carocci, 2015.

32 Eurobarometro, rilevazioni raccolte in The Mannheim Eurobarometer Trend File, 1970-2000, Data Set Edition v.2.0.1. Cfr. FRUNCILLO, Domenico, «Gli italiani populisti», in Democrazia e Diritto, 3/2010, pp. 235-295.

33 PARISI, Arturo, PASQUINO, Gianfranco, Relazioni partiti-elettori e tipi di voto, in PASQUINO, Gianfranco (a cura di), Il sistema politico italiano, Roma-Bari, Laterza, 1985, pp. 215-249.

34 ORSINA, Giovanni, La democrazia del narcisismo. Breve storia dell’antipolitica, Venezia, Marsilio, 2018, pp. 121-122.

35 Ibidem. «La mitologia greca narra dell’empio re di Tessaglia Erisittone che, condannato da Demetra a una fame inesauribile, finì per divorare se stesso. Possiamo chiamare “sindrome di Erisittone” quella di cui cade vittima la repubblica dei partiti, rinchiudendosi in un circolo vizioso dentro il quale la sua già fragile legittimità s’indebolisce sempre di più».

36 SCALFARI, Eugenio, «Dove va il Pci? Intervista a Berlinguer», in la Repubblica, 28 luglio 1981.

37 GUISO, Andrea, Dalla politica alla società civile. L’ultimo Pci nella crisi della sua cultura politica, in ACQUAVIVA, Gennaro, GERVASONI, Marco (a cura di), Socialisti e comunisti negli anni di Craxi, Venezia, Marsilio, 2011, pp. 181-220, p. 201.

38 Ibidem, pp. 201-211.

39 BASSI, Giulia, «Tutto il popolo sotto la bandiera della democrazia: il Partito comunista italiano e la costruzione discorsiva del popolo, 1943-45», in Storica, XIII, 67-68, 2017, pp. 31-81.

40 Ad esempio, negli interventi pubblici e interni al partito di Pietro Folena (ma non solo), segretario della Federazione giovanile comunista dal 1985 al 1988, il termine «gente» ricorre con estrema frequenza. Cfr. IG, APC, 1986, Comitato Centrale, riunione del 19 e 20 novembre 1986, MF 0582, p. 493.

41 TROTTA, Mauro, Il gentismo, malattia matura del populismo, in BIANCHI, Sergio (a cura di), La sinistra populista. Equivoci e contraddizioni del caso italiano, Roma, Castelvecchi, 1995, pp. 32-43.

42 LUPO, Salvatore, «Il mito della società civile. Retoriche antipolitiche nella crisi della democrazia italiana», in Meridiana. Rivista di storia e scienze sociali, 38-39, 2000, pp. 17-43, p. 23. Sul tema si veda in particolare TULLIO-ALTAN, Carlo, La coscienza civile degli italiani. Valori e disvalori nella storia nazionale, Udine, Paolo Gaspari Editore, 1997.

43 GUISO, Andrea, Dalla politica alla società civile. L’ultimo Pci nella crisi della sua cultura politica, cit., pp. 194-197.

44 Ora in SARESELLA, Daniela, Tra politica e antipolitica: la nuova società civile e il movimento della rete (1985-1994), Firenze, Le Monnier, 2016, pp. 77-78. 

45 Ibidem, p. 69.

46 In realtà, fra i due c’erano già stati dei contatti che successivamente vennero consolidati. In particolare, dal fondo archivistico “Diego Novelli” presso la Fondazione Istituto Piemontese “Antonio Gramsci” emerge una lettera, datata 8 giugno 1988, con la quale Dalla Chiesa ringraziava l’ex sindaco di Torino per aver preso parte a un dibattito organizzato da Società Civile a Milano. Cfr. Fondazione Istituto Piemontese “Antonio Gramsci” (d’ora in poi, FIPAG), Fondo Diego Novelli, II, Lettera di Dalla Chiesa a Novelli, 8 giugno 1988, Corrispondenza politica e personale, 1975-2011, “Posta”, Fasc. 4, b. 24.

47 Cfr. NAPOLITANO, Giorgio, Dal Pci al socialismo europeo. Un’autobiografia politica, Roma-Bari, Laterza, 2006.

48 RIDOLFI, Maurizio, «“Al di là della destra e della sinistra”? Tradizioni e culture politiche nell’Italia repubblicana», in Memoria e Ricerca, 41, 2/2012, pp. 37-67, pp. 61-62. Cfr. PONS, Silvio, Berlinguer e la fine del comunismo, Torino, Einaudi, 2006; POSSIERI, Andrea, Il peso della storia. Memoria, identità, rimozioni dal Pci al Pds (1970-1991), Bologna, Il Mulino, 2007.

49 IGNAZI, Piero, Dal Pci al Pds, Bologna, Il Mulino, 1992, p. 132.

50 Dati, giudizi e opinioni del gruppo dirigente comunista sono relativi a un campione di delegati partecipanti al XIX Congresso (Bologna, 7-11 marzo 1990), post svolta della Bolognina, raccolti in Ibidem, pp. 127-164.

51 ORSINA, Giovanni, La (auto)distruzione del politico, 1968-2008, in MASALA, Antonio, VIVIANI, Lorenzo (a cura di), L’età dei populismi, cit., pp. 127-140, pp. 132-135.

52 Cfr., BIORCIO, Roberto, Il populismo nella politica italiana: da Bossi a Berlusconi, da Grillo a Renzi, Milano-Udine, Mimesis, 2015, in particolare il capitolo 3.

53 TARCHI, Marco, Italia populista. Dal qualunquismo a Beppe Grillo, Bologna, Il Mulino, 2015, p. 207.

54 LUPO, Salvatore, «Il mito della società civile. Retoriche antipolitiche nella crisi della democrazia italiana», cit., p. 19.

55 GIOVAGNOLI, Agostino, Cattolici e politica dalla prima alla seconda fase della storia repubblicana, in COLARIZI, Simona, GIOVAGNOLI Agostino, POMBENI Paolo (a cura di), L’Italia contemporanea dagli anni Ottanta a oggi, vol. III, Istituzioni e politica, cit., pp. 185-204, p. 188.

56 Cfr. SANTAGATA, Alessandro, La contestazione cattolica: movimenti, cultura e politica dal Vaticano II al ’68, Roma, Viella, 2016.

57 GAVINI, Diego, «L’utopia palermitana: i gesuiti nella “primavera” dell’antimafia», in Laboratoire italien, 22, 2019, URL: < http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/laboratoireitalien/2837 > § 56 [consultato il 16 febbraio 2022].

58 Secondo Padre Pintacuda, l’esperienza politica venne subito definita «anomala» perché aveva «come obiettivi i contenuti del programma» ed era espressione più delle «forze vive della società che delle segreterie dei partiti». Cfr. SARESELLA, Daniela, I cattolici democratici e la fine dell’unità politica dei cattolici, in COLARIZI, Simona, GIOVAGNOLI Agostino, POMBENI Paolo (a cura di), L’Italia contemporanea dagli anni Ottanta a oggi, vol. III, Istituzioni e politica, cit., pp. 205-225, p. 221.

59 SCHNEIDER, Jane, SCHNEIDER, Peter, «Dalle guerre contadine alle guerre urbane: il movimento antimafia a Palermo», in Meridiana, 25, 1996, pp. 47-75.

60 Si veda SARESELLA, Daniela, Tra politica e antipolitica: la nuova società civile e il movimento della rete (1985-1994), cit., pp. 32-33.

61 GAVINI, Diego, «L’utopia palermitana: i gesuiti nella “primavera” dell’antimafia», cit., § 13.

62 Cfr. BLANDO, Antonino, «Percorsi dell’antimafia», in Meridiana, 25, 1996, pp. 77-91, pp. 80-82. Sull’«identità debole» del Pci siciliano, cfr. RIOLO, Claudio, Istituzioni e politica: il consociativismo siciliano nelle vicende del Pci e del Pds, in MORISI, Massimo (a cura di), Far politica in Sicilia. Deferenza, consenso e protesta, Milano, Feltrinelli, 1993, pp. 181-204.

63 VALENTINI, Chiara, Il nome e la cosa. Viaggio nel Pci che cambia, Milano, Feltrinelli, 1990, pp. 172-175.

64 «Butterò Andreotti fuori dalla Dc», in Avvenimenti, 2 maggio 1990, pp.14-15.

65 Novelli, quasi come Orlando, mostrava già da tempo difficoltà e insoddisfazione nei confronti del proprio partito e della fase costituente del Pds. Tant’è vero che ancora nell’autunno del 1990 preparava una mozione congressuale in vista della XX assise comunista, che tuttavia non presentò mai. In FIPAG, Fondo Diego Novelli, I, Mozione per il XX Congresso del Partito Comunista Italiano (non presentata), 16 novembre 1990, Interventi, 1990, Fasc. 17/2, b. 123, 18.

66 «Manifesto costitutivo del Movimento per la Democrazia La Rete», ora in CANTIERI, Raffaello, Rete Italia, Trento, Publiprint, 1993.

67 SARESELLA, Daniela, Tra politica e antipolitica: la nuova società civile e il movimento della rete (1985-1994), cit., pp. 58-59.

68 PINTACUDA, Ennio, Breve corso di politica, Milano, Rizzoli, 1988, p. 173.

69 I riferimenti sono tratti da «La Rete Movimento per la Democrazia: il programma, le candidate, i candidati per le elezioni del 5-6 aprile 1992», contenuto presso l’archivio privato «Marcello Bigerna», Acquasparta (TR). I fondi contenuti nel presente archivio sono in corso di catalogazione e studio da parte dell’autore del presente saggio.

70 CANTIERI, Raffaello, Rete Italia, cit., p. 47.

71 BESSON, Jean, GENEVIÈVE, Bibes, Né maggioranza, né opposizione: le elezioni politiche del 5 e 6 aprile 1992, in HELLMAN, Stephen, PASQUINO, Gianfranco (a cura di), Politica in Italia: i fatti dell’anno e le interpretazioni, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 57-71.

72 LUPO, Salvatore, «Il mito della società civile. Retoriche antipolitiche nella crisi della democrazia italiana», cit., p. 28.

73 TAGUIEFF, Pierre-André, L’illusione populista, cit., p. 85.

74 LACLAU, Ernesto, La ragione populista, cit., pp. 88-117.

75 MASTROPAOLO, Alfio, La mucca pazza della democrazia. Nuove destre, populismo, antipolitica, Torino, Bollati Boringhieri, 2005, pp. 158-165.

76 Cfr. ZANATTA, Loris, «Il populismo. Sul nucleo forte di un’ideologia debole», in Polis, Ricerche e studi su società e politica, 2/2002, pp. 263-292, in particolare pp. 273-277.

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Per citare questo articolo

Notizia bibliografica digitale

Roberto Tesei, «Dal Pci al Pds, alla Rete: dinamiche populiste della sinistra italiana nella crisi della Repubblica»Diacronie [Online], N° 49, 1 | 2022, documento 3, online dal 29 mars 2022, consultato il 21 mars 2025. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/17942; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/130m2

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Autore

Roberto Tesei

Roberto Tesei è dottorando di ricerca (XXXV ciclo) in Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Catania. Si occupa di storia politica e sociale, di partiti e movimenti, di populismo, con particolare riferimento agli anni Ottanta in Italia. Nel 2017, ha ricevuto il premio per la miglior tesi di laurea dalla Fondazione Craxi, per una ricerca sul riformismo italiano tra Craxi e Napolitano. Collabora con la Commissione Antidiscriminazioni del Senato della Repubblica circa le questioni connesse al fenomeno dell’hate speech.
URL: < http://www.studistorici.com/progett/autori/#Tesei >

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