Gli attori della crisi del 1992
Abstract
Raccontare la crisi del 1992 espone a un rischio: conoscerne l’epilogo. Così cadere nella tentazione di ricercare i sintomi che l’avevano preannunciata e cause che spieghino gli accadimenti successivi. A tutt’oggi, infatti, si riscontra un orientamento storiografico che ha evidenziato soprattutto le contraddizioni prodotte da una sedimentazione di elementi degenerativi nei decenni antecedenti all’esplodere di Tangentopoli. L’obiettivo del contributo è proporre una rilettura di quegli eventi non esclusivamente come il prodotto di concatenazioni di cause precedenti al 1992, ma indagando la dinamica conflittuale del tempo e generata in primo luogo dagli attori direttamente impegnati nello spazio pubblico e mediatico: magistrati, giornalisti, imprenditori e forza politiche emergenti. Senza seguire la trama degli scontri di potere durante il dispiegarsi di “Mani pulite” si può mancare di comprendere le ragioni di quegli attori e delle forze motrici che vi hanno preso parte, quindi le dinamiche che hanno condizionato in maniera determinante le circostanze del momento, come d’altronde le ricadute successive.
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1. Introduzione
- 1 Sul «Corriere della Sera», per esempio, le notizie riguardanti il caso Chiesa rimasero confinate al (...)
- 2 Era il 9 febbraio 1991 e così Umberto Bossi concludeva il suo intervento durante il primo congresso (...)
1A pochi giorni dalle elezioni politiche del 5 e 6 aprile del 1992 il tracollo del sistema politico italiano era un’eventualità assolutamente non presente nei calcoli delle élite detentrici del potere, né prevista da analisti e osservatori. L’affaire Chiesa, d’altronde, era un tema che, per quanto avesse fatto scalpore, era rimasto piuttosto marginale nella campagna elettorale e prevalentemente relegato alle pagine della cronaca cittadina milanese1. Neppure le forze politiche d’opposizione avevano colto quanto potesse essere potenzialmente destabilizzante per il sistema il tema della corruzione politica; solo Umberto Bossi della Lega Nord aveva scelto di utilizzare retoriche dai toni ultimativi e drammatici profetizzando che «la Prima repubblica è morta!»2. Tuttavia, la Lega non si poteva ancora considerare una forza capace di egemonizzare la narrazione nelle opposizioni.
- 3 Lucio Colletti scriveva sul «Corriere della Sera» che i «leader in ascesa devono ancora dar prova d (...)
- 4 Cfr. PIAZZESI, Gianfranco, «La svolta necessaria», in Corriere della Sera, 4 aprile 1992.
2Se vengono rilette le cronache di quei giorni gli esponenti della Dc e del Psi respingono queste critiche richiamando gli elettori alla responsabilità e alla necessità di garantire continuità al governo del paese3. Ipotesi sostenuta da alcuni grandi quotidiani come il «Corriere della Sera», che benché si augurasse una «svolta necessaria», chiariva che ciò era auspicabile si verificasse nel quadro «dell’alleanza tra democristiani e socialisti, che è stata la struttura portante degli equilibri politici della presente legislatura» e «la punta di aggregazione per gli uomini e partiti di buona volontà»4. Gli editoriali e gli articoli dei quotidiani, così come le dichiarazioni dei leader, restituiscono un contesto in cui fino ancora all’aprile del 1992 non c’era percezione di quello che sarebbe successo nelle settimane immediatamente successive.
3D’altra parte, il tramonto del comunismo sovietico generava l’impressione di essere entrati in una fase in cui i governi e le forze politiche che avevano accompagnato i loro paesi verso il traguardo della libertà politica e di un relativo benessere economico avrebbero beneficiato di quella fase storica favorevole consolidandosi al potere. Nulla poteva far presagire che di lì a breve una crisi avrebbe travolto il sistema dei partiti; invece, in meno di due anni, tra la primavera del 1992 e i primi mesi del 1994, i principali partiti che avevano governato il paese dalla caduta del fascismo sarebbero scomparsi o si sarebbero radicalmente trasformati. Sembrava un paradosso che proprio mentre venivano meno i fattori che avevano sostenuto i conflitti più violenti in epoca repubblicana – e le ragioni per cui si era paventato il crollo – si potesse aprire una fase di profondo rivolgimento del sistema politico italiano.
- 5 Le opere che trattano in vario modo della crisi del 1992 sono piuttosto numerose, in questa sede pr (...)
- 6 Cfr., TILLY, Charles, Le rivoluzioni europee 1492-1992, Roma-Bari, Laterza, 2002; ID., Conflitto e (...)
- 7 DOBRY, Michel, Sociologie des crises politiques, Paris, Presses de la Fondation Nationale des Scien (...)
- 8 TACKETT, Timothy, In nome del popolo sovrano, Roma, Carocci, 1997.
4Questo articolo vuole provare a comprendere alcuni caratteri di quella rottura concentrandosi sugli imprevedibili eventi succedutisi nel brevissimo periodo tra le elezioni politiche – 5 e 6 aprile – e la formazione del governo – 28 giugno –, e scegliendo una chiave interpretativa piuttosto inedita. A tutt’oggi, infatti, le tante pregevoli ricostruzioni sul 1992 hanno privilegiato per la gran parte il modello dell’analisi delle “cause”5: le ragioni della crisi sarebbero da ricercare nelle disfunzioni lungamente maturate nel sistema politica, una combinazione di fattori prossimi o remoti, ma comunque concatenazioni di cause ben precedenti alla primavera del 1992. Al contrario, in questa sede, tali fattori saranno lasciati sullo sfondo, mentre ci si focalizzerà su quella che potremmo definire “fenomenologia degli eventi” e in particolare su alcuni degli “attori della crisi”, ovvero magistrati, giornalisti e imprenditori, e la rapida evoluzione delle loro percezioni e scelte durante la primavera del 1992. All’interno, infatti, del canone storiografico delle «fragilità strutturali» o «dell’anomalia italiana», la mobilitazione congiunturale del ’92 rischia di non essere considerata una fase degna di approfondimento interpretativo in quanto contenuta in germe nell’evoluzione di altri fattori di lunga durata. Come se la crisi dovesse solo deflagrare e quindi non fosse perciò necessario spiegarla: un evento conclusivo di trasformazioni storiche ben più profonde. Tuttavia, crediamo sia fondamentale anche l’ipotesi teorizzata da Charles Tilly secondo il quale sono i repertori conflittuali “dentro” le mobilitazioni a determinare i flussi del capovolgimento6, che si tratti di una rivoluzione o di un importante scandalo, per quanto fenomeni in apparenza differenti. A questo comune senso interpretativo si intende muovere le stesse osservazioni che Michel Dobry ha rivolto agli studi francesi sui capovolgimenti e le crisi politiche: concentrare l’attenzione verso i “sintomi” può impedire di comprendere dei fattori altrettanto importanti come i calcoli e le percezioni degli attori coinvolti nei momenti di frattura7. Stimolo che, per esempio, è stato colto da Timothy Tackett che ha riletto gli accadimenti della Rivoluzione francese in un’ottica comparabile agli schemi interpretativi proposti da Dobry8; una storia ispirata da particolari “momenti”: momenti di mobilitazione e momenti di trasformazione inattesa.
- 9 «Frattura» secondo l’accezione utilizzata da Goffman e dunque riferita ad atti e comportamenti indi (...)
5Si proporrà, dunque, una prospettiva in cui le ragioni della crisi non sono da ricercare esclusivamente, e neppure in modo privilegiato, nelle patologie già presenti nel sistema politico, pur senza volerle negare, ma piuttosto nei comportamenti e negli accadimenti prodotti dagli attori coinvolti dalla crisi nel momento in cui questa si realizzava9. Un approccio inedito che può contribuire a completare le acquisizioni e le conoscenze sulla frattura del 1992.
2. La primavera del 1992
- 10 L’espressione «terremoto elettorale» fu utilizzata da Pierferdinando Casini per descrivere l’avanza (...)
- 11 PALOMBELLI, Barbara, «Craxi, colto di sorpresa, perde per la prima volta», in la Repubblica, 7 apri (...)
- 12 CAVALLARI, Alberto, «I sei paradossi del voto d’aprile», in la Repubblica, 12 aprile 1992.
6Le elezioni del 5 e 6 aprile del 1992 sono state consegnate alla storia come un «terremoto politico»10. La Dc arretrava del 4,6%, ma era un calo simile a quello avvenuto nel 1983, poi recuperato nelle elezioni successive, mentre il Psi subiva un’erosione di pochi decimi di punto11. Sorprendeva la Lega Nord che con l’8,7% diventava il quarto partito italiano e la seconda forza politica del settentrione. La flessione più importante era registrata dal Pds, il principale partito d’opposizione. Alla chiusura delle urne il quadripartito aggregato raggiungeva il 49% dei voti e la maggioranza dei seggi in entrambi i rami del parlamento e «al centro del sistema c’era sempre il pianeta Dc»12.
- 13 Andreotti per il 18,4%, Spadolini per il 15,2%, Craxi 8,7%. Non figurava Scalfaro. «Chi al Quirinal (...)
7Le settimane post-elettorali, al di là del determinismo retrospettivo con cui spesso sono state analizzate, rappresentarono quindi una fase aperta in cui non era già segnato il destino della «Repubblica dei partiti». Non lo era neppure nelle percezioni dell’opinione pubblica, infatti, il 30 aprile il «Corriere della Sera» pubblicava un sondaggio della società Makno in cui risultava che fosse ancora Andreotti il favorito per la carica di prossimo presidente della Repubblica, seguito da Giovanni Spadolini13.
- 14 FAZZO, Luca, COLAPRICO, Piero, «Otto imprenditori in manette per lo scandalo Chiesa», in la Repubbl (...)
- 15 ID., «Gli imprenditori vuotano il sacco», in la Repubblica, 24 aprile 1992.
- 16 Ibidem.
- 17 Sul concetto di «forte oscillazione delle percezioni del possibile», cfr., RAYNER, Hervé, L’événeme (...)
8La sensazione in quei giorni fu persino che lo scandalo potesse esaurirsi nelle indagini sul Pio Albergo Trivulzio. Da settimane non giungevano notizie dalla procura milanese quando, improvvisamente, il 22 aprile, otto imprenditori furono arrestati, portati nella caserma dei carabinieri di via Moscova e qui tenuti in isolamento in camera di sicurezza14. Il giorno successivo dalle cronache si apprendeva che gli imprenditori avevano «parlato, aggiungendo nomi e storie di mazzette»15. L’inchiesta, quel giorno presentata dalla stampa come “operazione Mani pulite”16, diventava decisamente più concreta ed entrava nei calcoli dei protagonisti del sistema politico determinando una prima oscillazione delle «percezioni del possibile»17.
- 18 «Quirinale, risse e scrutini a vuoto», in La Stampa, il 14 maggio 1992.
- 19 «Al via al Quirinale tra pugni e voti», in Corriere della Sera, 14 maggio 1992.
9In una tale contesto, Francesco Cossiga si dimetteva sorprendentemente da presidente della Repubblica, determinando un evento “imprevedibile” che alterava le valutazioni delle forze politiche che, invece, immaginavano di poter stemperare le turbolenze in atto con la rapida nomina di un presidente del Consiglio. Sicché, in un ribaltamento del calendario istituzionale, le votazioni per la presidenza della Repubblica inauguravano l’attività del nuovo parlamento con i partiti d’opposizione che colsero l’occasione per una serie di proteste clamorose e talvolta pittoresche18. Tuttavia, l’aspetto probabilmente più interessante fu la convergenza sulla «questione morale» tra partiti tradizionalmente distanti politicamente: Achille Occhetto chiedeva di ascoltare la richiesta di «cambiamento e di pubblica moralità che viene da paese» e Gianfranco Fini prometteva una dura resistenza ai rappresentanti della «tangentocrazia»19. Era la premessa alla formazione di nuclei trasversali di sostenitori dell’azione giudiziaria che, superando steccati ideologici e culturali, si congiunsero diventando attori fondamentali del capovolgimento.
- 20 GEREMICCA, Federico, «Tutto sull’ultima corsa», in la Repubblica, 6 maggio 1992; «Dietro Forlani sc (...)
10Eppure, tali avvenimenti non ci devono muovere alla conclusione che il quadripartito fosse allo sbando. Infatti, dopo i tentativi falliti di Forlani e Vassalli, era attesa la candidatura di Andreotti per districare l’intricata matassa dell’elezione del Presidente20. Invece, nuovamente intervenne un fatto tanto drammatico quanto imprevisto a scompaginare nuovamente ogni previsione. Il 23 maggio veniva assassinato il giudice Giovanni Falcone con sua moglie e altri tre agenti della scorta.
- 21 «L’elezione di Scalfaro fu certamente agevolata, anzi fu per molti versi persino determinata, dalla (...)
11Per quanto fossero eventi disgiunti, è difficile non cogliere quanto l’attentato modificasse le condizioni del voto21. In meno di quarantotto ore i principali partiti convergevano sulla candidatura di Oscar Luigi Scalfaro, le cui possibilità di accedere al Quirinale, senza questi eventi, era assolutamente improbabile. Politico democristiano di lungo corso, ex magistrato, era in parlamento dai tempi dell’Assemblea costituente sebbene non avesse mai raggiunto una grande riconoscibilità pubblica o un ruolo dominante nell’apparato di partito. La scelta ricadde su di lui perché era una figura atipica ai margini dei gruppi di potere del quadripartito, ma «istituzionale» e necessaria in un contesto eccezionale.
- 22 Cfr. anche: BRAMBILLA, Michele, BUCCINI, Goffredo, «Tempesta su Craxi», in Corriere della Sera, 4 g (...)
- 23 BONSANTI, Sandra, «Per Craxi si allontana la guida del governo», in la Repubblica, 4 giugno 1992.
- 24 ID., «Non sarà il quadripartito: Craxi in calo», in la Repubblica, 9 giugno 1992.
12Tuttavia, neppure dopo la scelta di Scalfaro era segnato il destino del quadripartito. Craxi sembrava il favorito per ottenere l’incarico esplorativo. Fu un intervento del pool a riorientare le opzioni delle forze politiche: giunse in parlamento la documentazione per l’autorizzazione a procedere nei confronti di Tognoli, Pillitteri e Massari del Psi con un allegato che conteneva anche la deposizione di Mario Chiesa sulla raccolta occulta di finanziamenti per la campagna elettorale di Bobo Craxi22. In quel momento la candidatura di Craxi subì «una oggettiva e pericolosa battuta d’arresto»23, poiché «in questo momento» un incarico al segretario del Psi «sarebbe interpretato come uno stop all’inchiesta di Di Pietro»24. Dopo alcuni giorni, Craxi comprese di non avere possibilità e la scelta ricadde su Giuliano Amato.
- 25 DAMILANO, Marco, Eutanasia di un potere, Roma-Bari, Laterza, 2012, p. 144.
13Questi straordinari eventi, talvolta anche accidentali e inaspettati, durante il breve periodo tra le elezioni e la formazione del governo sono fondamentali per ricostruire una corretta cronologia del processo di capovolgimento del 1992 senza condizionamenti retrospettivi, ma non ci spiegano ancora come sia avvenuta e si sia affermata l’improvvisa emersione del clivage etico-morale. Un fatto assolutamente anomalo, in quanto nella recente storia repubblicana si erano verificate numerose vicende politico-giudiziarie piuttosto gravi e opache – scandalo Lockheed, P2, fondi neri Iri, caso Teardo, etc. – senza che il tema della corruzione politica diventasse un problema tale da poter mettere in discussione una classe politica. Sicuramente nella primavera del 1992 giocarono un ruolo fondamentale i quotidiani interventi giornalistici, tanto da diventare una parte della mobilitazione al punto di condizionarne gli esiti trasformando un caso di cronaca in un grande scandalo politico. Il supporto dei media fu decisivo per imporre nel senso comune la pregiudiziale di “moralità”, ci fu «l’idea che avessimo un ruolo decisivo nella rinascita del Paese»25. Ciò nonostante, rimangono ancora da indagare le ragioni per cui emerse l’urgenza di esercitare il ruolo di “agenti morali e civili”, poiché non era immediatamente evidente nelle logiche politiche ed economiche che avevano regolato storicamente i rapporti tra i mezzi di comunicazione e politica in Italia.
3. Giornalisti
14Le relazioni tra i media e detentori del potere apparivano diffuse e solide all’inizio del 1992. La proprietà della maggior parte delle società d’informazione era detenuta da pochi grandi gruppi che intrattenevano stretti rapporti con la classe politica. L’orientamento della quasi totalità delle redazioni era favorevole al quadripartito e una rottura con i partiti dominanti sembrava inconcepibile.
- 26 Cfr., BECHELLONI, Giovanni, La difficile identità dei giornalisti, in La Stampa italiana nell’età d (...)
15Il mondo dei media era certamente sfaccettato e diversificato, impossibile intendere come omogeneo un settore che contava undicimila giornalisti professionisti, cui aggiungere circa trentamila pubblicisti e altri collaboratori più o meno regolari tra le migliaia di redazioni sparse in tutto il paese. Tuttavia, neppure era verosimile intendere quel settore come eccessivamente frammentato, esistendo nel 1992 evidenti casi di concentrazione26. Nel campo televisivo i primi due gruppi, Rai e Fininvest, convogliavano oltre il 90% dell’ascolto complessivo, formando un “duopolio” di fatto, mentre la gran parte della stampa nazionale e locale era riconducibile a pochi gruppi finanziari e/o alcune dinastie familiari.
- 27 MURIALDI, Paolo, TRANFAGLIA, Nicola, I quotidiani negli ultimi venticinque anni. Crisi, sviluppo e (...)
- 28 Salvatore Lupo ha indagato in profondità una serie di retoriche e temi che attraverso «la Repubblic (...)
- 29 Cfr., STEFANINI, Maurizio, Il partito «Repubblica». Una storia politica del giornale di Scalfari e (...)
16Il «Corriere della Sera» era controllato dalla holding Gemina, una società finanziaria nel cui azionariato comparivano le famiglie Agnelli, Ferruzzi, Rizzoli e Pirelli. Il direttore era Ugo Stille che si era attestato su «una linea politica assai cauta, sempre vicina alle posizioni dei governi in carica»27. «la Repubblica», concorrente del giornale di via Solferino per il primato delle vendite nazionali, aveva come editore Carlo De Benedetti, ma la guida del quotidiano era affidata a Eugenio Scalfari, che aveva massima libertà nel definire la linea politica. Scalfari scelse di rappresentare la voce dell’opinione pubblica progressista e sin dall’inizio degli anni Novanta intensificò l’opposizione al pentapartito28, diventando un potente sostenitore della moralizzazione della vita pubblica29. Per quel che riguarda gli altri grandi quotidiani nazionali, «la Stampa» era detenuta da Fiat; «il Messaggero» dalla famiglia Ferruzzi; «il Mattino» era controllato da editori molto vicini alla Dc; l’associazione degli industriali – Confindustria – stampava il «Sole-24ore». Gli altri quotidiani a diffusione nazionale erano essenzialmente organi di partito: «l’Unità», «il Popolo», «Il Secolo d’Italia» e «Avanti!». Infine, anche l’imprenditore televisivo Berlusconi attraverso l’acquisizione di Mondadori nel 1990 era entrato nel mondo della carta stampata come editore del settimanale «Panorama» e del quotidiano «il Giornale». Insomma, con l’eccezione del gruppo Espresso-Repubblica, la gran arte delle redazioni della stampa nazionale erano collegate da rapporti amichevoli, se non di aperto sostegno, alla coalizione di maggioranza.
- 30 Neologismo coniato da Alberto Ronchey. Cfr., Archivio storico del Senato della Repubblica, Fondo Al (...)
17L’informazione televisiva era dominata dalla Rai, la cui gestione, con la riforma del 1975, era passata da un controllo più strettamente governativo al parlamento, col fine di garantire un maggior pluralismo dell’informazione. Quel passaggio avviò invece innanzitutto la «lottizzazione»30, ovvero la spartizione dei canali radiotelevisivi pubblici su base elettorale: Rai 1 nella sfera di influenza DC e Rai 2 al Psi. Rai 3 era lo spazio di tribuna lasciato al Pci. Inoltre, in ogni redazione dei telegiornali – e non solo – si sentiva fortemente l’influenza delle segnalazioni politiche, anche personali oltre che di tipo politico.
18All’inizio del 1992 il presidente della Rai era Enrico Manca, Psi, che però lasciava l’incarico il 19 febbraio per ricoprire la carica di parlamentare. L’avvicendamento con un designato in quota socialista, Walter Pedullà, avveniva rapidamente e senza alcun contraccolpo. Una conferma dell’egemonia del quadripartito sulle scelte dell’emittente nazionale nonostante fosse già partita, seppur solo da qualche giorno, l’inchiesta Mani pulite. Lo scenario non era molto dissimile sulle reti Fininvest, anzi era considerato perfino più favorevole per i socialisti. L’editore Silvio Berlusconi era percepito come un convinto sostenitore del quadripartito e in particolare di Bettino Craxi. Enrico Mentana, direttore del neonato Tg5, era stato in gioventù anche presidente della Federazione dei giovani socialisti.
- 31 Sulla legge Mammì cfr.: GIACALONE, Davide, La guerra delle antenne, Milano, Sperling & Kupfer, 1992 (...)
19Invece, questi equilibri si sfaldarono in un periodo sorprendentemente breve. Un primo elemento che alterò gli assetti di quel rapporto fu l’emergere di forti tensioni legate alla concorrenza commerciale. In particolare, lo stesso pentapartito – con la Legge Mammì del 1990 – aveva favorito l’espansione del mercato dell’informazione televisiva consentendo a ogni emittente privata di avere un suo telegiornale31. Lo scandalo di Tangentopoli scoppiò proprio nel momento in cui la dimensione commerciale dell’informazione diventava fondamentale per reti private e, infatti, le testate che diedero maggiore spazio alla sua copertura furono proprio i nuovi Tg di Rete4 e Canale5.
- 32 MAZZOLENI, Gianpietro, «Towards a “videocracy”? Italian political communication at a tunrning point (...)
- 33 «Le reti Rai e quelle Fininvest appartengono entrambe alla Tv commerciale, la cui ragione sociale è (...)
20Il Tg5 è un esempio perfetto: in onda dal 13 gennaio 1992 mirava a una rapida collocazione nel mercato dell’informazione, e banalmente Tangentopoli era il tema che attirava maggiormente il pubblico, quindi maggiori introiti pubblicitari32. Tra i quotidiani fu l’«Indipendente», prima edizione del 14 novembre 1991, a dare maggiore copertura allo scandalo, anche più de «la Repubblica», a conferma che le redazioni appena nate trovarono in Mani pulite un tema per aumentare le tirature e accrescere gli introiti pubblicitari. A quel punto anche le altre redazioni e il servizio pubblico non potevano evitare di occuparsi di uno scandalo che riempiva l’agenda dei concorrenti. Non fu dunque l’improvvisa politicizzazione delle redazioni, ma piuttosto la depoliticizzazione e l’apertura a logiche commerciali che produsse le condizioni per un diverso allineamento dei media verso l’élite politica33.
21In poche settimane le coordinate in cui i partiti si erano mossi per decenni persero completamente di significato. Denunciare gli scandali aumentava l’audience e i media assunsero il ruolo di agenti "morali e civili” neppure quindi per convinzioni ideologiche, ma perché ciò rispondeva a stringenti esigenze di mercato. La commercializzazione dei media assumeva dunque i caratteri di una dinamica profonda e sarebbe errato dedurre che preesistesse nel comportamento dei giornalisti la percezione che ci fosse un mercato degli scandali giudiziari. Il 17 febbraio molte redazioni “bucano” la notizia, dando scarsa o nessuna importanza alla vicenda Chiesa: fu solo con l’allagarsi dello scandalo, e non viceversa, che i telegiornali Mediaset decisero di dare maggiore risalto all’inchiesta.
- 34 «La rivolta al “Giorno” fa affondare Damato», in la Repubblica, 30 aprile 1992.
- 35 «Scontro proprietà-giornalisti, Il Messaggero non esce», in la Repubblica, 13 giugno 1992.
- 36 «Dopo Mattera si è dimesso anche Polese», in la Repubblica, 28 novembre 1992.
- 37 «Svolta al Mattino. Pasquale Nonno va via» in la Repubblica, 10 giugno 1993; «Sergio Zavoli nominat (...)
- 38 È stata anche avanzata l’ipotesi che Giulio Anselmi non avesse ottenuto la direzione del Corriere p (...)
- 39 ANSELMI, Giulio, «Di chi è la giustizia», in Corriere della Sera, 28 giugno 1992.
- 40 ID., «Craxi e Di Pietro. Con chi sta il paese», in Corriere della Sera, 28 giugno 1992.
- 41 La tiratura media sarebbe passata dalle circa 600 mila copie di febbraio alle 730 mila di luglio. « (...)
22Quel cambiamento di contesto produsse una mobilitazione anche tra i giornalisti della carta stampata. Il primo caso fu lo sciopero del 29 aprile dei redattori de «Il Giorno», quotidiano di proprietà dell’Eni, per contestare le scelte editoriali del direttore Francesco Damato: secondo i redattori erano troppi i silenzi sul Psi e Craxi, «con quei titoli tenacemente confinati nelle pagine interne»34. L’11 giugno incrociavano le braccia per 72 ore pure i giornalisti de «Il Messaggero» che accusavano i loro dirigenti di aver causato un calo delle tirature imponendo una linea “morbida” sugli argomenti legati alla corruzione politica35. Infine, anche la linea editoriale de «il Mattino» era ribaltata in seguito a uno sciopero dei giornalisti36, cui seguì un clamoroso avvicendamento nella direzione del quotidiano tra Pasquale Nonno e Sergio Zavoli37. Tuttavia, il principale riorientamento avvenne al «Corriere della Sera». Il ruolo del quotidiano di via Solferino, e del suo reggente Giulio Anselmi, incaricato di dirigerlo durante l’assenza di Ugo Stille, sarebbe stato decisivo per la credibilità dell’inchiesta Mani Pulite. Mentre il «Corriere» di Ugo Stille era stato ritenuto fin troppo vicino al Psi, quello di Anselmi assunse una posizione di indubbio sostegno al pool di Milano38, chiaramente manifestata pure dai suoi editoriali. Nel giugno del 1992, rispondendo al senatore socialista Gennaro Acquaviva scriveva che il «Corriere» «non era il partito di Di Pietro. Ma l’opinione pubblica ha individuato in Di Pietro e nei suoi colleghi che conducono le inchieste sulle tangenti i vendicatori per anni di soprusi, di corruzione, di inefficienza»39, oppure il 28 agosto aggiungeva che «tutte le speranze di rinnovamento della politica sono affidate all’attività giudiziaria»40. La nuova linea editoriale fu indubbiamente anche premiata dalle vendite, con tirature da record durante la tarda primavera e l’estate del 199241.
- 42 La «muta» di capovolgimento differisce dalla «massa» perché è nucleo umano che non ha l’ampiezza e (...)
- 43 SANSONETTI, Piero, «L’ultimo dei politici», in Mondoperaio, 1/2010, pp. 29-31.
23Per molti giornalisti l’inchiesta di Mani pulite fu l’occasione per ottenere una rapida riconoscibilità pubblica, il momento per emanciparsi da caporedattori e direttori percepiti come troppo cauti verso la politica – magari provando a scalzarli – oppure ribaltare posizioni gerarchiche in poche settimane. Per molti sicuramente anche l’occasione per sostenere una battaglia morale che percepivano come legittima e necessaria, tuttavia non considerare pure le altre motivazioni significherebbe non indagare fino in fondo le motivazioni alla base delle mobilitazioni e dei rivolgimenti conseguenti. Tali accadimenti e atteggiamenti furono il combustibile che diede energia al motore della dinamica dello scandalo favorendo un processo di moltiplicazione e accelerazione della crisi nel quale i giornalisti – consapevolmente, inconsapevolmente, con nobili fini o anche meramente opportunistici – diventarono però una delle principali «mute del rivolgimento»42. Una rapida successione di eventi che produsse un riorientamento nella maggior parte delle redazioni spingendo i giornalisti verso nuove prassi: prima di tangentopoli era usuale avere estrema cautela nel denunciare vicende giudiziarie collegate al ceto politico; invece, nel volgere di qualche settimana, divenne una pratica abituale pubblicare anche le indiscrezioni che provenivano dalle Procure, anzi una condotta simile era considerata una garanzia di coraggio e professionalità. A rafforzare questa dinamica vi fu la crescita generalizzata della tiratura dei quotidiani che seguivano con interesse tangentopoli: ciò rendeva quella strategia editoriale efficace pure dal punto di vista commerciale. Infatti, anche un editore come Berlusconi, nonostante i legami politici con esponenti dei partiti di maggioranza, attraverso il Tg4 e Tg5 cominciò a dare ampio spazio alle notizie relative agli scandali. L’onda mediatica non era prevedibile e ineluttabile, ma divenne irreversibile dopo le inversioni di campo delle redazioni a partire dalla tarda primavera del 1992. Addirittura, i grandi quotidiani nei mesi più intensi dell’inchiesta giunsero a un’intesa informale per cui i responsabili di redazione si «consultavano alle sette di sera e decidevano come fare la prima pagina»43. In questa prospettiva fu determinante per il processo di rovesciamento la scelta di campo dei media verso un sostegno sempre più generalizzato all’azione giudiziaria che, nondimeno, rimaneva decisiva nel creare le oscillazioni negli altri campi con la prospettiva di altre inchieste verso i partiti di governo. Infatti, un “fatto scandaloso” non produce automaticamente un capovolgimento politico destabilizzante, ciò avviene quando l’evento scandaloso si riesce a collegare con le interferenze di altri segmenti sociali. E nella primavera del 1992 si stavano configurando rapidamente quelle connessioni che potevano tramutare un affare locale come il caso Mario Chiesa nello scandalo politico nazionale di Mani pulite.
4. Magistrati
- 44 DELLA PORTA, Donatella, Lo scambio occulto. Casi di corruzione politica in Italia, Bologna, Il Muli (...)
24Nella nostra prospettiva interpretativa l’azione della procura milanese nella primavera del 1992 fu decisiva nel provocare l’innesco del capovolgimento. La magistratura divenne un attore della vita pubblica assumendo una condotta inedita e in discontinuità con orientamenti precedenti. Durante la storia repubblicana non erano mancate inchieste sulle élite al potere, ma senza produrre effetti destabilizzanti sul sistema così profondo44. Per tali ragioni è fondamentale analizzare composizione, orientamenti e limiti giurisdizionali della magistratura italiana alla vigilia del 1992, anche per comprendere quanto anche in questo campo fosse inattesa una “rivoluzione dei giudici”.
- 45 DI PIETRO, Antonio, Intervista su tangentopoli, Roma-Bari, Laterza, 2001 p. 19.
- 46 VAUCHEZ, Antoine, «Le magistrats dans l’espace pubblique. Eléments pour une analyse du role politiq (...)
25Un importante evento contingente di svolta fu l’entrata in vigore nell’ottobre del 1989 del nuovo codice di procedura penale che aboliva il Codice Rocco del 1930. La riforma era stata voluta dal ministro socialista Giuliano Vassalli e predisposta da giuristi attenti alle prerogative dei diritti della difesa: l’obiettivo di fondo era il passaggio dal sistema inquisitorio a quello accusatorio per offrire maggiori garanzie giuridiche all’imputato; quindi, nulla nel codice faceva presumere che potesse diventare uno strumento per condurre indagini inquisitorie, tanto più verso il potere politico. D’altronde, rispetto al Codice Rocco, era prevista una restrizione del ricorso alla carcerazione preventiva, che doveva essere convalidata da un terzo giudice neutrale, ovvero il GIP, giudice per le indagini preliminari. Il nuovo codice limitava però le prerogative di avocazione per le figure apicali della procura, che precedentemente potevano decidere o meno del prosieguo dei processi per alcuni reati più gravi. Nel Codice Vassalli fu ridotta la possibilità – da parte del procuratore della Repubblica – di avocare le inchieste, creando così una maggiore libertà nella gestione delle indagini dei sostituti procuratori. Inoltre, si attribuivano a essi poteri investigativi estremamente efficaci, come la dipendenza funzionale tra polizia giudiziaria e magistratura, creando le sezioni di polizia giudiziaria presso le Procure. «Prima il pm era il notaio che controllava l’attività di polizia, mentre ora è il capo della polizia giudiziaria e coordina direttamente il lavoro investigativo»45. L’efficacia delle inchieste sulla corruzione fu però determinata, nonostante queste innovazioni che le favorivano, soprattutto dalle pratiche dei magistrati milanesi. A Milano, d’altronde, numerosi magistrati erano da tempo coinvolti nella mobilitazione civile e alcuni di loro avevano partecipato alla nascita dell’associazione Società civile. Sentivano di doversi impegnare verso un rinnovamento delle istituzioni prima che il paese si avviasse verso una degradazione morale di cui erano responsabili principalmente le élite politiche46.
- 47 BRUTI LIBERATI, Edmondo, Magistratura e società nell’Italia repubblicana, Roma-Bari, Laterza, 2009, (...)
- 48 Cfr. CANOSA, Romano, Storia della magistratura in Italia da piazza Fontana a Mani pulite, Milano, B (...)
26Nondimeno, la magistratura contava nel 1992 circa settemila componenti, quindi era impossibile intenderla come un blocco compatto. Alcuni avevano ereditato l’appartenenza alla professione dai genitori, molti d’estrazione alto-borghese, ma dall’inizio anni Settanta stava progressivamente cambiando la composizione sociale della magistratura con l’accesso alla categoria «un nuovo ceto sociale che non si sentiva vincolato ad alcun tributo di fedeltà a quegli interessi sociali e di casta che percorrevano la corporazione»47. Notevoli erano le differenze all’interno della categoria per quel che riguardava la cultura, la mentalità e le ideologie. In generale, però, lo stato della giustizia in Italia, alla vigilia del 1992, era considerato preoccupante dallo stesso Csm. Infatti, nella Relazione al parlamento sullo stato della giustizia era scritto «che la giustizia sia in crisi è un fatto pacifico ed evidente per tutti, organi istituzionali e cittadini»48. In quel momento, la credibilità dei magistrati nell’opinione pubblica era pure piuttosto bassa: un dato emerso chiaramente al momento del referendum sulla responsabilità civile dei giudici del 1987, quando l’80% dei votanti aveva seguito la posizione proposta dai socialisti e dai radicali. Insomma, nonostante l’attivismo civile dei procuratori milanesi – magari si è stati indotti ad amplificarlo ex post sulla base degli eventi successivi –, erano scarsi gli indizi che potevano far immaginare che la magistratura potesse diventare la protagonista di un momento di così profonda trasformazione della società italiana.
- 49 «Ecco i nomi dei giudici eletti», in la Repubblica, 26 marzo 1992.
- 50 «Non ci può essere questione morale senza pm indipendente», in Corriere della Sera, 12 maggio 1992.
- 51 Ibidem.
- 52 D’AVANZO, Giuseppe, «Basta con gli ergastolani a spasso», in la Repubblica, 3 giugno 1992.
27Un importante momento di transizione per la categoria coincise proprio con l’inizio di Mani pulite. Tra il 22 e il 25 marzo del 1992 i 6600 iscritti all’Associazione nazionale magistrati furono convocati per rinnovare il direttivo centrale, il “parlamento” dei giudici, ma non ne derivò alcuna grande discontinuità con il recente passato. Otteneva il maggior numero di preferenze Unità per la Costituzione – 15 eletti –, la corrente centrista; Magistratura Indipendente, altro gruppo moderato, subiva una flessione, ma comunque eleggeva nove rappresentanti; modesta la progressione della corrente riconducibile alla “sinistra”, Magistratura Democratica – otto seggi –; infine, Movimenti Riuniti portava quattro esponenti in assemblea49. Però, l’11 maggio, quando i rappresentanti eletti si riunirono per eleggere la giunta esecutiva fu ribaltato l’equilibrio politico che da decenni dominava l’organizzazione e Unità per la Costituzione venne relegata all’opposizione. La nuova coalizione di maggioranza era formata dalle tre correnti minoritarie di Magistratura indipendente, Movimenti Riuniti e Magistratura democratica. Questo rivolgimento inatteso avveniva nel contesto storico della “primavera di Tangentopoli” e fu un ulteriore sintomo che fosse in atto una fase di scompaginamento generale. L’eco delle azioni del pool di Milano giunse anche in assemblea, dove fu invocata una maggiore indipendenza per i pubblici ministeri per poter «proseguire efficacemente la lotta a corrotti e corruttori»50, insomma come era scritto sul «Corriere della Sera» l’effetto Di Pietro si faceva sentire «dentro la magistratura, di nuovo protagonista»51. Infine, il 3 giugno, pure il capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro rafforzava quella posizione dichiarando al Csm che «l’autonomia e indipendenza del potere giudiziario sono intoccabili, assolutamente intoccabili»52.
- 53 Antonio Di Pietro non era neppure iscritto all’Anm.
- 54 Cfr, LUPO, Salvatore, Antipartiti, cit., p. 192.
28Al centro, comunque, dell’avvio della dinamica giudiziaria del 1992 vi era naturalmente il pool di Milano: un gruppo eterogeneo per provenienze geografiche, traiettorie di vita, convinzioni politiche e appartenenze sindacali. La diversità di orientamenti politici, nel caso di Di Pietro anche la difficoltà di trovare un’appartenenza53, fu uno dei principali elementi di forza, verosimilmente fu una contingenza accidentale senza alcuna strategia, ma per tale ragione nessun partito poteva indicarli come espressione di uno specifico orientamento politico. Viceversa, al crescere della popolarità dei procuratori, numerosi dirigenti – in particolare del Msi, La Rete, Lega Nord e Pds – provarono a “adottare” i componenti che percepivano più vicini alle loro sensibilità, favorendo in tal modo un sostegno trasversale agli inquirenti in una fase decisiva dell’inchiesta. A dimostrazione del fatto che «le sovrapposizioni tra politica e giustizia non derivavano da logiche di partito», ma nondimeno potevano determinare «logiche di schieramento»54. Tuttavia, il punto di convergenza rimaneva Antonio Di Pietro: il “magistrato poliziotto” senza appartenenze politiche e non iscritto ad alcuna corrente interna. È interessante notare come gli stessi fattori di marginalizzazione all’interno della magistratura – atteggiamenti polizieschi, mancata appartenenza a una corrente e orientamenti politici poco definiti – divennero le caratteristiche più apprezzate da giornalisti e opinione pubblica.
- 55 Per esempio, la tesi del connubio tra “toghe rosse” e alcune forze politiche di cui ha scritto CICC (...)
29Dalla nostra prospettiva, quindi, Mani pulite non è stata il risultato di un complotto della magistratura55: quel rivolgimento era il risultato di molteplici accadimenti fluidi, talvolta causati da azioni che non avevano finalità predeterminate. Eventi che però si combinarono tra loro facendo montare una mobilitazione crescente: ciò alterò le percezioni degli altri attori – innanzitutto giornalisti, ma poi anche imprenditori e gruppi politici emergenti – che a quel punto parteciparono attivamente alla produzione di momenti conflittuali amplificandone gli effetti. Cresceva la sensazione di vivere un momento storico di rivolgimento generale e di volerne farne parte. Gli attori della mobilitazione provenivano da traiettorie differenti e avevano strategie proprie, ma cominciavano a saldarsi prospettive, tendenze e opportunità che avrebbero dato lievito alla formazione di gruppi emergenti e antagonisti che, cogliendo l’apertura di una “finestra di possibilità”, avrebbero scelto di sfidare l’élite detentrice del potere.
5. Imprenditori
30La narrazione dominante sulla crisi del 1992 ha descritto gli imprenditori come una categoria che aveva tollerato lungamente i partiti, ma che accolse favorevolmente l’azione dei giudici che appagava quella richiesta di legalità agognata da tempo. Eppure, la cronologia degli eventi dimostra come il riorientamento degli imprenditori abbia reagito in conseguenza degli imperativi imposti dallo scandalo e non viceversa.
- 56 Procura della Repubblica di Milano, Verbale di assunzione di informazioni di Cesare Romiti, 24/04/1 (...)
- 57 Lettera di Cesare Romiti, «Aiutiamoli, questi giudici stanno cambiando l’Italia», in Corriere della (...)
- 58 SCALFARI, Eugenio, «Il rimorso di un grande imprenditore. Conversazione di Eugenio Scalfari con Leo (...)
31La collaborazione con il pool fu imprevista e frettolosa: orientata a legittimare l’immagine di vittime di un sistema le cui regole erano imposte dei partiti. Paradigmatica, infatti, la reazione alle indagini sulla Fiat di Cesare Romiti, il quale, durante il suo interrogatorio, dichiarò che «la pretesa di tangenti era diventata un fenomeno ambientale» e che in Italia si era «sviluppato un sistema altamente inquinato entro il quale le imprese hanno dovuto convivere per lavorare»56. Romiti decise anche di scrivere una lettera aperta al «Corriere della Sera» nella quale incitò tutti gli imprenditori «ad aiutare i giudici» perché «le azioni giudiziarie sono state uno strumento di accelerazione di un processo di cambiamento largamente desiderato»57. In un’intervista nel 1999 Leopoldo Pirelli metteva in luce proprio questo aspetto contradditorio e puntualizzava nonostante molti imprenditori avessero «sostenuto cioè di essere stati vittime di una concussione generalizzata. […] No, non è stato così». Soprattutto «non le maggiori imprese del paese»58.
- 59 Sul malessere delle categorie produttive settentrionali vedi BERTA, Giuseppe, La questione settentr (...)
32Maggiori tensioni, infatti, si erano osservate nel variegato mondo della piccola impresa settentrionale. E la stessa Tangentopoli era stata avviata dalla denuncia del piccolo imprenditore Luca Magni e non da un capitano della grande industria. Un’inquietudine che si era manifestata elettoralmente attraverso il sorprendente successo della Lega Nord alle amministrative del 1990 – a Milano il 12,9% e a Brescia oltre il 20% – e confermato poi dal 20 per cento alle politiche del 1992. Il successo della Lega Nord non era accidentale e poteva essere percepita come una protesta di una parte delle periferie produttive settentrionali, quelle sì insofferenti59. Eppure, questa parte del mondo produttivo rimaneva marginale negli organi di rappresentanza industriale e non sembrava poter esercitare all’epoca un ruolo determinante nelle lotte di potere italiane. Viceversa, nella grande impresa, fino al maggio del 1992, neanche i gruppi più esposti alla concorrenza internazionale avevano mostrato una reale insofferenza verso i partiti di governo o denunciato il problema della «concussione ambientale».
33Confindustria era l’organizzazione sindacale dell’imprenditoria italiana e il canale specifico attraverso il quale si esprimeva l’azione politica collettiva di quella categoria. Nel 1992 i principali gruppi nell’associazione erano Iri, Fiat, Eni, Ferruzzi-Montedison, Fininvest, Pirelli e Olivetti. Comparivano quindi due grandi conglomerate pubbliche come Iri ed Eni, e dei gruppi privati però legati alla regolamentazione governativa e parlamentare. La politica di Confindustria era quindi stata tradizionalmente filogovernativa e il presidente dell’epoca, Sergio Pininfarina, si era dimesso da eurodeputato del Pli per essere nominato a capo dell’organizzazione.
- 60 «Pininfarina all’attacco. “Governo datti da fare”», in la Repubblica, 14 dicembre 1991.
34Durante il 1991 si era effettivamente mossa qualche critica al momento della pubblicazione dei dati sull’inflazione e le previsioni negative sulla crescita del Pil per l’anno successivo. Il presidente di Confindustria Sergio Pininfarina avrebbe accusato il governo di non aver agito efficacemente sull’inflazione, invitava a intervenire sul tema del costo del lavoro e pensare all’abolizione definitiva della scala-mobile60. Un confronto su alcuni temi specifici con la speranza di migliorare le posizioni della categoria in vista di una trattativa con i sindacati, ma nessuna rottura con le forze politiche di maggioranza.
- 61 CARLI, Guido, Cinquant’anni di vita italiana, Roma-Bari, Laterza, 1993, p. 437. Vedi pure CASTRONOV (...)
- 62 PIRANI, Mario, «Una sola moneta una sola Europa», in la Repubblica, 6 dicembre 1991; «Novantanove n (...)
- 63 «Craxi a palazzo Chigi piace anche agli industriali», in la Repubblica, 31 dicembre 1991.
- 64 «Il potere a Ciampi», in L’Espresso, 23 giugno 1992, pp. 12-15.
35Non creò tensioni evidenti neppure l’approvazione dei trattati di Maastricht, anche se successivamente sarebbe diventato un argomento fondamentale per spiegare la crisi del 199261. All’epoca il presidente Pininfarina dichiarava che gli obiettivi della moneta unica europea erano «pienamente condivisi» dal mondo delle imprese e in generale la partecipazione italiana alla «Nuova Europa» fu salutato come un successo del governo, di cui Andreotti e Craxi erano i principali artefici62. Non fu una sorpresa, quindi, che in un sondaggio interno alla Confindustria pubblicato da «L’Espresso» nel dicembre 1991, settimanale che non poteva neppure essere sospettato di simpatie verso il pentapartito, Craxi fosse indicato dal 45% degli industriali come il personaggio più indicato a ricoprire l’incarico di presidente del Consiglio, seguito da Segni e La Malfa, rispettivamente all’11% e 8%. Mentre per la presidenza della Repubblica era preferito Spadolini per il 48%, avanti ad Andreotti col 18%63, ma lo stesso sondaggio ripetuto dopo cinque mesi, nel maggio del 1992, mostrava un rapido mutamento degli orientamenti: Bettino Craxi calava dal 45 all’11%, mentre Mario Segni arrivava ad essere gradito dal 49% degli imprenditori64, dimostrando quanto incidesse rapidamente sulle percezioni degli imprenditori il processo di rovesciamento in atto.
- 65 «Di Pietro sferza gli imprenditori», la Repubblica, 6 giugno 1992.
- 66 BOCCONI, Sergio, «Gli imprenditori e il degrado morale nel sistema di dazione ambientale», RIBAUDO, (...)
36Furono in particolare i giovani di Confindustria coloro che spinsero l’associazione verso un sostegno più deciso all’azione della magistratura invitando anche come relatore Di Pietro al convegno del giugno 1992 a Santa Margherita. Il magistrato ebbe toni concilianti riconoscendo che «la nostra democrazia si regge sul sistema delle imprese», però invitando gli imprenditori a «una scelta di campo, isolando e denunciando i casi di malcostume»65. Aldo Fumagalli, il segretario dei giovani industriali che lo aveva invitato, chiarendo il suo pensiero dichiarava che «bisognava avere il coraggio di schierarsi col cambiamento. Di Pietro ci dà fiducia»66.
- 67 «Abete: “Sì, collaboriamo”», in la Repubblica, 11 giugno 1992.
- 68 PIRANI, Mario, «Da Romiti ad Abete», in la Repubblica, 29 maggio 1992.
37Pochi giorni dopo, il 10 giugno, «con la volontà di dare un seguito ai messaggi lanciati dal convegno di Santa Margherita», Confindustria annunciava la volontà di redigere un documento sulla questione morale e Luigi Abete, neoeletto presidente, appena entrato nelle sue funzioni esprimeva la sua volontà di «collaborare» con il pool milanese67. Abete era un quarantacinquenne romano proveniente dal settore tipografico, per quanto considerato vicino alla Dc, era stato preferito a Cesare Romiti proprio perché considerato meno compromesso col il potere del quadripartito68.
- 69 «Le privatizzazioni, se fatte in modo serio, possono rappresentare un’occasione per cambiare il mod (...)
38Soprattutto gli imprenditori seguendo la tendenza al rinnovamento sollecitata dal rivolgimento suggerivano ad Amato di orientarsi nella designazione dei ministri verso opzioni tecniche piuttosto che politiche, ma soprattutto di innovare il settore delle imprese pubbliche immaginando una vasta opera di privatizzazioni69, mettendo in discussione due cardini del modello repubblicano: il primato della politica sul mondo produttivo e la forte presenza dell’impresa pubblica nell’economia italiana.
- 70 Al centro dei sospetti dei fautori della tesi “complottista” degli imprenditori il famoso incontro (...)
39La congiuntura – giudiziaria e mediatica – aveva chiaramente condizionato anche le percezioni degli imprenditori che, a loro volta, con le loro reazioni ne erano diventati strumenti rompendo i legami con gli interlocutori politici del quadripartito. Eppure anche il rivolgimento degli imprenditori non appariva la conseguenza finale di un accumulo di fattori problematici – come, per esempio, l’insostenibile corruzione del sistema politico – o l’esito di un oscuro «complotto»70, ma il riadattamento, cogliendone anche i vantaggi, degli improvvisi eventi della primavera-estate del 1992. Tali rapidi riposizionamenti erano dovuti alla precarietà del contesto e favorivano la formazione di nuove relazioni e strategie, ma soprattutto l’imprevedibile rottura di legami di sedimentata lealtà con i detentori del potere politico.
6. Conclusioni
40Durate le fasi di rapido cambiamento politico si riscontra frequentemente un disorientamento tra le parti coinvolte e in conflitto, cui corrisponde una mobilitazione di attori precedentemente inattivi, marginali o ossequiosi verso i detentori del potere. Nel 1992 gli accordi e le consuetudini tra attori che per decenni avevano garantito la stabilità del sistema, preservando fin dal dopoguerra le stesse élite dominanti e impedendo che altri momenti traumatici o di scandalo sfociassero in rotture violente, si alterarono rapidamente, disfacendo equilibri che apparivano immutabili. Durante la mobilitazione del 1992 improvvisamente molteplici attori furono disponibili a ridefinire le proprie strategie e prassi, consentendo di aprire una fase che avrebbe consentito l’ingresso di outsiders prima esclusi o marginali, innescando delle opportunità inedite di accedere a delle posizioni in precedenza difficilmente scalabili, rendendo così possibile in numerosi settori che il “nuovo” prendesse il posto del “vecchio” con una rapidità inedita. L’obiettivo di questo contributo è stato proprio spostare l’attenzione sui fattori della crisi italiana del 1992 da un’analisi delle sue cause verso una fenomenologia degli eventi e in particolare sulle percezioni e i comportamenti conseguenti di alcuni degli attori della crisi. Non si è voluto affermare che le strutture del potere italiano non fossero affette da carenze e debolezze, quanto piuttosto considerare gli eventi e gli attori come caratteri costitutivi e non marginali del rivolgimento politico del 1992.
- 71 Su crolli, evenemenzialità e «zone dense» sono fondamentali le riflessioni contenute in MACRY, Paol (...)
41Secondo l’interpretazione proposta l’azione mediatico-giudiziaria risulta fondamentale nell’indirizzare la crisi attraverso gli attori che vi si collegano e ne amplificano le ricadute dislocandosi nel campo dei sostenitori dell’azione giudiziaria. Non fu l’impatto di alcune manifestazioni della società civile o un’ampia adesione popolare a dare efficacia al rivolgimento contro i partiti, ma la scelta degli attori della crisi di collocarsi in quella mobilitazione. Il crollo dei partiti italiani, dunque, si concretizza poiché una massa di capovolgimento si convince di poter stravolgere gli assetti politici e disfare gli accordi che ne avevano assicurato il funzionamento e le interazioni abituali. Alcuni attori agiscono con l’obiettivo di ribaltare posizioni di forza e assetti di potere servendosi delle opportunità generate delle crisi e dell’aspirazione al cambiamento come leva per imporre un’interpretazione che avrebbe legittimato il loro ruolo nel nuovo ordine in formazione. Altri in maniera più fortuita perché trascinati da un flusso a cui non riescono a opporsi oppure perché manca la capacità di contrastare tutto questo, da cui anche la scelta miope e autolesionistica di legittimare e amplificare l’insoddisfazione, facendone lo strumento principale della successiva competizione elettorale. Imponendo in tal modo come interpretazione preponderante la contrapposizione tra ciò che ancora durante la crisi è individuato come ideale di cambiamento71.
42In conclusione, l’azione dei magistrati scatenò un conflitto settoriale interno ai circoli del potere pubblico/politico, che avrebbe portato all’emersione di nuovi gruppi emergenti. Ma, al di là delle aspirazioni di alcuni settori particolarmente motivati dell’opinione pubblica, la crisi della Prima repubblica non avrebbe determinato delle trasformazioni sostanziali nelle strutture politiche, nella gestione del potere politico, o nei comportamenti dei nuovi detentori delle leve istituzionali e dei circuiti a loro collegati, proprio perché la crisi non era stata causata da un processo politico di lunga durata che aveva modificato l’atteggiamento dell’opinione pubblica o gli orientamenti di voto nei confronti del sistema politico.
Note
1 Sul «Corriere della Sera», per esempio, le notizie riguardanti il caso Chiesa rimasero confinate alle pagine della Cronaca di Milano. BRAMBILLA, Michele, «Gli uomini d’oro di Chiesa», in Corriere della Sera : Cronaca di Milano, 26 marzo 1992; BUCCINI, Goffredo, «Chiesa, l’ora della verità», in Corriere della Sera : Cronaca di Milano, 2 aprile 1992; ID., «Tremano i boiardi della tangente», in Corriere della Sera: Cronaca di Milano, 4 aprile 1992.
2 Era il 9 febbraio 1991 e così Umberto Bossi concludeva il suo intervento durante il primo congresso della Lega Nord. «I due tempi del Senatore tarantolato dalla logorrea», in la Repubblica, 9 febbraio 1991.
3 Lucio Colletti scriveva sul «Corriere della Sera» che i «leader in ascesa devono ancora dar prova di sé. Quando infatti nello scafo vi sono falle, a gridare che la stiva si sta riempiendo d’acqua son buoni tutti». Pertanto, «di tutto il paese ha bisogno, meno che di un’ulteriore iniezione di incertezza e confusione». Cfr. COLLETTI, Lucio, «Anche io temo il caos», in Corriere della Sera, 3 aprile 1992.
4 Cfr. PIAZZESI, Gianfranco, «La svolta necessaria», in Corriere della Sera, 4 aprile 1992.
5 Le opere che trattano in vario modo della crisi del 1992 sono piuttosto numerose, in questa sede proponiamo solo una breve selezione di alcune tra le principali: AMATO, Giuliano, GRAZIOSI, Andrea, Grandi illusioni, Bologna, Il Mulino, 2013; CAFAGNA, Luciano, La grande slavina. L’Italia verso la crisi della democrazia, Venezia, Marsilio, 2012; COLARIZI, Simona, GERVASONI, Marco, La cruna dell’ago, Roma-Bari, Laterza, 2005; CRAINZ, Guido, Autobiografia di una Repubblica. Le radici dell’Italia attuale, Roma, Donzelli, 2009; ID., Il paese reale. Dall’assassinio di Moro all’Italia attuale, Roma, Donzelli, 2012; CRAVERI, Pietro, La Repubblica dal 1958 al 1992, Torino, UTET, 1995; GENTILONI SILVERI, Umberto, Storia dell’Italia contemporanea 1943-2019, Bologna, Il Mulino, 2019; GINSBORG, Paul, L’Italia del tempo presente. Famiglia, società civile, Stato (1980-1996), Torino, Einaudi, 2007; DE BERNARDI, Alberto, Un paese in bilico. L’Italia degli ultimi trent’anni, Roma-Bari, Laterza, 2014; LANARO, Silvio, Storia dell’Italia repubblicana, Venezia, Marsilio, 1997; LEPRE, Aurelio, Storia della Prima repubblica. L’Italia dal 1943 al 2003, Bologna, Il Mulino, 2004; LUPO, Salvatore, Antipartiti. Il mito della nuova politica nella storia della Repubblica (prima, seconda e terza), Roma, Donzelli, 2013; SANTARELLI, Enzo, Storia critica della Repubblica. L’Italia dal 1945 al 1994, Torino, Feltrinelli, 1996; SCOPPOLA, Pietro, La Repubblica dei partiti, Bologna, Il Mulino, 1991.
6 Cfr., TILLY, Charles, Le rivoluzioni europee 1492-1992, Roma-Bari, Laterza, 2002; ID., Conflitto e democrazia in Europa, Milano, Bruno Mondadori, 2007; vedi pure: TILLY, Charles, TARROW, Sidney, La politica del conflitto, Milano, Bruno Mondadori, 2008.
7 DOBRY, Michel, Sociologie des crises politiques, Paris, Presses de la Fondation Nationale des Sciences Politiques, 1986, pp. 48-61.
8 TACKETT, Timothy, In nome del popolo sovrano, Roma, Carocci, 1997.
9 «Frattura» secondo l’accezione utilizzata da Goffman e dunque riferita ad atti e comportamenti individuali o collettivi che avranno la proprietà di influenzare le aspettative dei protagonisti di un conflitto riguardo al comportamento di altri attori. Cfr. GOFFMAN, Erwin, La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, Il Mulino, 1969, pp. 292 et seq.; ID., Il comportamento in pubblico, Torino, Einaudi, 1971.
10 L’espressione «terremoto elettorale» fu utilizzata da Pierferdinando Casini per descrivere l’avanzata della Lega Nord; PIAZZESI, Gianfranco, «L’Italia protesta, elezioni terremoto», in Corriere della Sera, 7 aprile 1992; GEREMICCA, Federico, «Waterloo della Dc», in la Repubblica, 7 aprile 1992. Per gli articoli de «la Repubblica» utilizzati nel saggio è stato consultato l’archivio online [ultima consultazione 2 marzo 2022].
11 PALOMBELLI, Barbara, «Craxi, colto di sorpresa, perde per la prima volta», in la Repubblica, 7 aprile 1992.
12 CAVALLARI, Alberto, «I sei paradossi del voto d’aprile», in la Repubblica, 12 aprile 1992.
13 Andreotti per il 18,4%, Spadolini per il 15,2%, Craxi 8,7%. Non figurava Scalfaro. «Chi al Quirinale?», in Corriere della Sera, 30 aprile 1992.
14 FAZZO, Luca, COLAPRICO, Piero, «Otto imprenditori in manette per lo scandalo Chiesa», in la Repubblica, 23 aprile 1992.
15 ID., «Gli imprenditori vuotano il sacco», in la Repubblica, 24 aprile 1992.
16 Ibidem.
17 Sul concetto di «forte oscillazione delle percezioni del possibile», cfr., RAYNER, Hervé, L’événement comme forte oscillation des perceptions du possible, in AMIOTTE-SUCHEZ, Laurent, SALZBRUNN, Monika (eds.), L’événement (im)prévisible. Mobilisations politiques et dynamiques religieuses, Paris, Beauchesne, 2019, pp. 79-108.
18 «Quirinale, risse e scrutini a vuoto», in La Stampa, il 14 maggio 1992.
19 «Al via al Quirinale tra pugni e voti», in Corriere della Sera, 14 maggio 1992.
20 GEREMICCA, Federico, «Tutto sull’ultima corsa», in la Repubblica, 6 maggio 1992; «Dietro Forlani scalpita Andreotti», in la Repubblica, 14 maggio 1992.
21 «L’elezione di Scalfaro fu certamente agevolata, anzi fu per molti versi persino determinata, dalla strage di Capaci di qualche ora prima». Cfr. CECI, Giovanni Mario, «Verso il crollo della «Repubblica dei partiti»: le conseguenze della morte di Falcone sulla politica italiana», in Meridiana, 97, 2020, pp. 35-58. Su Scalfaro cfr.: CECI, Lucia, Oscar Luigi Scalfaro, in CASSESE, Sabino, BARBAGALLO, Francesco, MELLONI, Alberto (sotto la direzione di), I presidenti della Repubblica. Il Capo dello Stato e il Quirinale nella storia della democrazia italiana, Bologna, Il Mulino, 2018.
22 Cfr. anche: BRAMBILLA, Michele, BUCCINI, Goffredo, «Tempesta su Craxi», in Corriere della Sera, 4 giugno 1992.
23 BONSANTI, Sandra, «Per Craxi si allontana la guida del governo», in la Repubblica, 4 giugno 1992.
24 ID., «Non sarà il quadripartito: Craxi in calo», in la Repubblica, 9 giugno 1992.
25 DAMILANO, Marco, Eutanasia di un potere, Roma-Bari, Laterza, 2012, p. 144.
26 Cfr., BECHELLONI, Giovanni, La difficile identità dei giornalisti, in La Stampa italiana nell’età della Tv, CASTRONUOVO, Valerio, TRANFAGLIA, Nicola (a cura di), Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 639-666.
27 MURIALDI, Paolo, TRANFAGLIA, Nicola, I quotidiani negli ultimi venticinque anni. Crisi, sviluppo e concentrazioni, in La Stampa italiana nell’età della Tv, cit., p. 37.
28 Salvatore Lupo ha indagato in profondità una serie di retoriche e temi che attraverso «la Repubblica» di Eugenio Scalfari diventeranno dominanti all’inizio degli anni Novanta. Cfr., LUPO, Salvatore, Antipartiti, cit., pp. 85 et seq.
29 Cfr., STEFANINI, Maurizio, Il partito «Repubblica». Una storia politica del giornale di Scalfari e Mauro, Milano, Boroli Editore, 2010.
30 Neologismo coniato da Alberto Ronchey. Cfr., Archivio storico del Senato della Repubblica, Fondo Alberto Ronchey, b. 26, s. 4, Lettera di Alberto Ronchey a Ugo La Malfa, 14 ottobre 1968.
31 Sulla legge Mammì cfr.: GIACALONE, Davide, La guerra delle antenne, Milano, Sperling & Kupfer, 1992.
32 MAZZOLENI, Gianpietro, «Towards a “videocracy”? Italian political communication at a tunrning point», in European journal of communication, 10, 3/1995, pp. 291-319.
33 «Le reti Rai e quelle Fininvest appartengono entrambe alla Tv commerciale, la cui ragione sociale è vendere spettatori agli inserzionisti pubblicitari». Cit. in GOZZINI, Giovanni, La mutazione individualista. Gli italiani e la televisione 1954-2011, Roma-Bari, Laterza, 2011, p. 132.
34 «La rivolta al “Giorno” fa affondare Damato», in la Repubblica, 30 aprile 1992.
35 «Scontro proprietà-giornalisti, Il Messaggero non esce», in la Repubblica, 13 giugno 1992.
36 «Dopo Mattera si è dimesso anche Polese», in la Repubblica, 28 novembre 1992.
37 «Svolta al Mattino. Pasquale Nonno va via» in la Repubblica, 10 giugno 1993; «Sergio Zavoli nominato nuovo direttore del Mattino», in la Repubblica, 17 luglio 1993.
38 È stata anche avanzata l’ipotesi che Giulio Anselmi non avesse ottenuto la direzione del Corriere proprio per la sua intransigenza verso il Psi. PASSALACQUA, Guido, «Al “Corriere” via Stille arriva Mieli», in la Repubblica, 3 settembre 1992.
39 ANSELMI, Giulio, «Di chi è la giustizia», in Corriere della Sera, 28 giugno 1992.
40 ID., «Craxi e Di Pietro. Con chi sta il paese», in Corriere della Sera, 28 giugno 1992.
41 La tiratura media sarebbe passata dalle circa 600 mila copie di febbraio alle 730 mila di luglio. «Tangenti da edicola», in L’Espresso, 13 settembre 1992.
42 La «muta» di capovolgimento differisce dalla «massa» perché è nucleo umano che non ha l’ampiezza e la densità della massa ma vorrebbe averle, e delle masse condivide la concentrazione ossessiva su una meta da raggiungere. Il concetto di «muta» è sempre ripreso dalle categorie proposte da ORSINA, Giovanni, «Le spine del potere. Tangentopoli secondo Elias Canetti», in Ventunesimo Secolo, 39, 2/2016, pp. 113-136.
43 SANSONETTI, Piero, «L’ultimo dei politici», in Mondoperaio, 1/2010, pp. 29-31.
44 DELLA PORTA, Donatella, Lo scambio occulto. Casi di corruzione politica in Italia, Bologna, Il Mulino, 1992.
45 DI PIETRO, Antonio, Intervista su tangentopoli, Roma-Bari, Laterza, 2001 p. 19.
46 VAUCHEZ, Antoine, «Le magistrats dans l’espace pubblique. Eléments pour une analyse du role politique des juges dans l’Italie contemporaine», in Laboratoire italien, 2/2001, pp. 71-87.
47 BRUTI LIBERATI, Edmondo, Magistratura e società nell’Italia repubblicana, Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 142. Per una storia complessiva e articolata della magistratura italiana dall’età liberale fino all’epoca repubblicana, cfr., MENICONI, Antonella, Storia della magistratura italiana, Bologna, Il Mulino, 2013.
48 Cfr. CANOSA, Romano, Storia della magistratura in Italia da piazza Fontana a Mani pulite, Milano, Baldini & Castoldi, 1996, p. 175.
49 «Ecco i nomi dei giudici eletti», in la Repubblica, 26 marzo 1992.
50 «Non ci può essere questione morale senza pm indipendente», in Corriere della Sera, 12 maggio 1992.
51 Ibidem.
52 D’AVANZO, Giuseppe, «Basta con gli ergastolani a spasso», in la Repubblica, 3 giugno 1992.
53 Antonio Di Pietro non era neppure iscritto all’Anm.
54 Cfr, LUPO, Salvatore, Antipartiti, cit., p. 192.
55 Per esempio, la tesi del connubio tra “toghe rosse” e alcune forze politiche di cui ha scritto CICCHITTO, Fabrizio, La linea rossa. Da Gramsci a Bersani l’anomalia della sinistra italiana, Milano, Mondadori, 2012.
56 Procura della Repubblica di Milano, Verbale di assunzione di informazioni di Cesare Romiti, 24/04/1993. Cfr. anche: «Fuga di notizie, s’indaga», in Corriere della Sera, 24 aprile 1993.
57 Lettera di Cesare Romiti, «Aiutiamoli, questi giudici stanno cambiando l’Italia», in Corriere della Sera, 24 aprile 1993. Nel suo libro intervista Romiti avrebbe gettato un’ombra su quell’intervista dichiarando che gli era stata chiesta dai giudici di Milano, seppur precisando che non ebbe difficoltà scriverla perché ne condivideva i contenuti. ROMITI, Cesare, MADRON, Paolo, Storia segreta del capitalismo italiano, Milano, Longanesi, 2012, p. 138.
58 SCALFARI, Eugenio, «Il rimorso di un grande imprenditore. Conversazione di Eugenio Scalfari con Leopoldo Pirelli», in la Repubblica, 27 ottobre 1999.
59 Sul malessere delle categorie produttive settentrionali vedi BERTA, Giuseppe, La questione settentrionale: economia e società in trasformazione, Milano, Feltrinelli, 2007; BONOMI, Aldo, Il rancore. Alle radici del malessere del nord, Milano, Feltrinelli, 2008. Infine, anche il numero monografico Meridiana : Questione settentrionale, XVI, 1993.
60 «Pininfarina all’attacco. “Governo datti da fare”», in la Repubblica, 14 dicembre 1991.
61 CARLI, Guido, Cinquant’anni di vita italiana, Roma-Bari, Laterza, 1993, p. 437. Vedi pure CASTRONOVO, Valerio, L’avventura dell’unità europea. Una sfida con la storia e il futuro, Torino, Einaudi, 2004.
62 PIRANI, Mario, «Una sola moneta una sola Europa», in la Repubblica, 6 dicembre 1991; «Novantanove nuovo mito», in Corriere della Sera, 11 dicembre 1991; «La nuova Europa c'è. Ora bisogna portarci l’Italia», in l’Unità, 12 dicembre 1991.
63 «Craxi a palazzo Chigi piace anche agli industriali», in la Repubblica, 31 dicembre 1991.
64 «Il potere a Ciampi», in L’Espresso, 23 giugno 1992, pp. 12-15.
65 «Di Pietro sferza gli imprenditori», la Repubblica, 6 giugno 1992.
66 BOCCONI, Sergio, «Gli imprenditori e il degrado morale nel sistema di dazione ambientale», RIBAUDO, Claudio (a cura di), in 1992-2012. Mani pulite. L’inchiesta che ha cambiato l’Italia, vol. 1, Milano, Corriere della Sera, 2012, pp. 58-62.
67 «Abete: “Sì, collaboriamo”», in la Repubblica, 11 giugno 1992.
68 PIRANI, Mario, «Da Romiti ad Abete», in la Repubblica, 29 maggio 1992.
69 «Le privatizzazioni, se fatte in modo serio, possono rappresentare un’occasione per cambiare il modello di sviluppo del Paese». Luigi Abete, presidente della Confindustria, «Privatizzazioni la grande occasione», in la Repubblica, 10 luglio 1992.
70 Al centro dei sospetti dei fautori della tesi “complottista” degli imprenditori il famoso incontro del 2 giugno 1992 a bordo del royal yacht Britannia. ROMANO, Sergio, «La crociera del Britannia tra affari e sospetti, Corriere della Sera, 16 giugno 2009. Recentemente l’ex ministro Paolo Cirino Pomicino scriveva: «il 2 giugno 1992 sul Britannia, il grande yacht della regina Elisabetta, dove grandi società finanziarie inglesi riunirono i più autorevoli personaggi del mondo finanziario italiano tra cui i capi delle partecipazioni statali, delle banche pubbliche e private e del Tesoro per discutere delle privatizzazioni. All’epoca l’Italia aveva in mani pubbliche il 25% dell’economia nazionale. Dieci mesi dopo il governo Amato fu mandato a casa per affidare a Carlo Azeglio Ciampi la guida di un esecutivo che avviò la svendita di alcune eccellenze finanziarie». Cfr. CIRINO POMICINO, Paolo, «Quel complotto dell’alta finanza che annientò il Pentapartito», in Cultura Identità, 30 giugno 2020.
71 Su crolli, evenemenzialità e «zone dense» sono fondamentali le riflessioni contenute in MACRY, Paolo, Gli Ultimi giorni. Stati che crollano nell'Europa del Novecento, Bologna, Il Mulino, 2019.
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Notizia bibliografica digitale
Andrea Marino, «Gli attori della crisi del 1992», Diacronie [Online], N° 49, 1 | 2022, documento 1, online dal 29 mars 2022, consultato il 17 mars 2025. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/17848; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/130m0
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