Il potere dell'architettura. L’ideologia di regime all’Esposizione Internazionale di Parigi 1937
Abstract
L’inasprimento della situazione politica del XX secolo trova negli eventi internazionali il luogo privilegiato per l’affermazione delle ideologie dei Paesi ospiti da diffondere sia ai visitatori che agli altri Paesi partecipanti. È così che i Padiglioni nazionali diventano inevitabilmente oggetto di propaganda e il linguaggio architettonico utilizzato diventa parte fondamentale di una logica rivendicativa di un’identità collettiva non sempre reale. Il caso specifico dell’Esposizione Internazionale di Parigi del 1937 è paradigmatico, essendo specchio del suo tempo e delle tensioni nazionali, nata sotto gli auspici della pace, risulta il più evidente esempio di binomio tra Potere e Architettura.
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1. Introduzione
1Le Esposizioni Internazionali sono il riflesso della volontà politica di dimostrare la capacità di portare a compimento tanto operazioni emblematiche e reali quanto di creare luoghi immaginari di utopie possibili. A partire dall’Esposizione di Parigi del 1867 si invitano i paesi partecipanti a costruire edifici che rappresentino il loro carattere nazionale, in un momento in cui cambia sostanzialmente l’evoluzione di questi eventi: gli edifici espositivi, precedentemente concepiti come contenitori di oggetti da mostrare al mondo, diventano essi stessi oggetti da esporre agli Stati partecipanti. Il succedersi delle Esposizioni durante la prima metà del secolo XX, strutturate secondo le nuove direttrici stabilite a partire dal 1928 dal Bureau International des Expositions, e dell’evoluzione del linguaggio formale elaborato per la costruzione dei Padiglioni nazionali, trova un punto d’inflessione con l’Esposizione Internazionale di Parigi del 1937, Exposition Internationale des Arts et des Techniques appliqués à la vie moderne. Ultimo evento prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, l’evento è già soggetto a tensioni politiche ed economiche che sono il riflesso della società di quell’epoca. L’inasprimento della situazione politica trova negli eventi internazionali il luogo privilegiato per l’affermazione delle ideologie dei Paesi ospiti, da diffondere sia ai visitatori che agli altri Paesi partecipanti. È così che i Padiglioni nazionali diventano inevitabilmente oggetto di propaganda e il linguaggio architettonico utilizzato è parte fondamentale della logica rivendicativa di un’identità collettiva non sempre reale. Il caso specifico dell’Esposizione di Parigi è paradigmatico, riflesso delle tensioni nazionali del suo tempo, nata sotto gli auspici della pace, risulta il più evidente esempio di binomio tra Potere e Architettura.
- 1 UDOVICKI-SELB, Danilo, The elusive faces of modernity: the invention of the 1937 Paris Exhibition a (...)
2Nonostante questo testo si interessi nello specifico alla ricerca architettonica, risulta necessario comprendere le diverse letture e questioni che emergono dall’Esposizione parigina e quanto esse siano determinanti nel contesto culturale internazionale anche negli anni successivi all’evento. L’Esposizione nel 1937 sarà l’ultima ospitata dalla capitale francese, risultato dell’evoluzione dei concetti ad essa sottesi e in accordo con la trasformazione in corso della società. A partire dalla sua organizzazione, tra il 1932 e il 1935, si succedono una lunga serie di concorsi, aperti alla consulta di architetti e ai professionisti, per definire il luogo e la sua forma nella città. Sono queste le occasioni in cui si riscontrano le antitetiche posizioni di un’implicita rievocazione degli ideali classici in contrapposizione alle idee e alle proposte elaborate dall’Union des Artises Modernes, per la quale l’Esposizione doveva essere l’espressione delle arti e dell’industria applicate alla vita moderna e offrire un riconoscimento alla produzione in serie1.
3A partire dal 1935, a seguito delle nuove tensioni internazionali e al crescente peso del Fronte Popolare e delle associazioni di lavoratori, si assiste a una seconda fase organizzativa che conduce a un pragmatismo istituzionale e decisionale fino ad allora affidato agli esponenti più noti dell’Académie des Beaux-Arts.
4L’Esposizione conferma il luogo storico in cui si sono svolte le grandi esposizioni parigine del sec. XIX, lungo l’asse del Champs des Mars; se alla Tour Eiffel (1889) è definitivamente riconosciuto il ruolo di monumento permanente di Parigi e della modernità, il destino opposto è invece riservato alla Galerie des Machines (1889) di Dutert e Contamin che, malgrado le critiche più illuminate, fu smontata nel 1918 per ospitare nel 1937 i Padiglioni dell’ultima Esposizione parigina.
- 2 Ibidem.
5La partecipazione di quarantadue Paesi caratterizza questa Esposizione rispetto a quelle che l’avevano preceduta2: il predominio della Francia e dell’Inghilterra, potenze coloniali dominanti durante il sec. XIX, è rimpiazzato definitivamente dalla partecipazione di altri Paesi che mirano a una maggiore presenza industriale, economica e politica nel contesto internazionale. Il confronto più noto ai visitatori e diffuso dai media è quello fra i Padiglioni nazionali della Germania e dell’Unione Sovietica, che l’uno di fronte all’altro sono collocati ai margini dell’asse principale che conduce alla collina di Chaillot.
2. Linguaggio architettonico come strumento di propaganda
- 3 Va ricordato che il padiglione spagnolo viene promosso dalla Seconda Repubblica, che vivrà durante (...)
6Esiste sicuramente una grande eterogeneità costruttiva nei Padiglioni nazionali di questa Esposizione, che si può classificare sulla base di alcuni criteri ideologici e formali. Se da un lato è possibile rintracciare gli esiti della ricerca razionalista del movimento moderno, con gli esempi di grande interesse del Padiglione per la Seconda Repubblica Spagnola3 di Sert e Lacasa, del Pavillon des Temps Nouveaux di Le Corbusier e Pierre Jeanneret e ancora del Padiglione della Cecoslovacchia di Jaromir Krejcar; dall’altro troviamo i Padiglioni ispirati alla monumentalità classica come repertorio ideologico in sintonia con gli obiettivi nazionalisti delle imperanti politiche europee. In questo contesto si colloca la partecipazione all’Esposizione di tre paesi totalitari: la Germania, l’Unione Sovietica e l’Italia, nel più ampio rapporto fra Potere e Architettura.
7L’architettura dei Padiglioni di questi Paesi, si appropria dei luoghi legittimando l’ideologia di regime attraverso l’esibizione del potere, proponendo una logica custodita nella tradizione e nella storia, esibite come immagini durature della continuità tra passato, presente e futuro. L’architettura prende le sue distanze dalle influenze del Movimento Moderno, per consolidare l’ideologia e l’architettura di Stato.
- 4 UDOVICKI-SELB, Danilo, «Facing Hitler's Pavilion: The uses of modernity in the Soviet Pavilion at t (...)
8Ad essi andrà tuttavia il riconoscimento di avere completato in tempo i lavori di costruzione dei Padiglioni e degli allestimenti interni, dimostrando di avere fatto fronte compatto ai numerosi problemi derivati dagli scioperi delle manovalanze e dalla scarsezza dei materiali costruttivi a disposizione4. Per comprendere le origini e gli obiettivi di questi edifici, risulta necessario tracciare brevemente l’evoluzione del linguaggio architettonico all’ombra dei dittatori che ne hanno utilizzato le capacità di affermazione e legittimazione politica.
- 5 MILLER LANE, Barbara, «Architects in Power: Politics and Ideology in the Work of Ernst May and Albe (...)
- 6 Ibidem.
9Nel caso della Germania nazista, il Padiglione di Parigi è uno dei pochi edifici costruiti dal giovane architetto Albert Speer che, a partire dal 1934, sostituisce Paul Ludwig Troost, principale architetto del nazismo. Il connubio tra Hitler e Speer si prolungherà fino all’epilogo della dittatura, l’attrazione del Führer per il giovane architetto entusiasta e ambizioso era evidente e ricambiata dallo stesso Speer che vedeva nel dittatore la possibilità di realizzare edifici di grande interesse5. Negli scritti di Speer si legge: «avrei venduto la mia anima […] per l’incarico di realizzare un grande edificio»6.
Fig. 2. Adolf Hitler e Albert Speer discutono i dettagli di un progetto by Bundesarchiv, Bild 183-2004-0312-500/CC-BY-SA
10Il processo di definizione di un’architettura Nazional Socialista, che doveva affondare le sue radici nella tradizione tedesca e di indirizzarsi anche al popolo, si sviluppa attraverso l’elaborazione di alcuni progetti accomunati da un’analoga ricerca della monumentalità e destinati a trasformare Berlino in Capitale.
- 7 WEBSTEK, Robs, Germany versus Russia at the 1937 Paris Expo. URL: <http://www.robswebstek.com/2013/ (...)
- 8 FISS, Karen, Grand Illusion. The Third Reich, the Paris Exposition, and the cultural seduction of F (...)
11Tale ricerca trova le sue origini nel severo linguaggio dorico dell’architettura greca, fino a sviluppare il «valore delle rovine», anteponendo chiaramente la questione dell’apparenza alle esigenze utilitaristiche, funzionali e costruttive. Risultano pertanto più comprensibili gli interventi di Speer, vincolati alla scenografia della propaganda del regime, nel Padiglione tedesco di Parigi: un edificio che si relaziona con l’eredità classica soprattutto attraverso l’uso di una severa geometria. L’associazione di alcuni elementi del linguaggio classico dell’architettura quali: l’ordine gigante dei pilatri e la cornice semplificata che avvolge la torre del corpo principale dell’edifico alto 150 metri è dominato dalla presenza di un’aquila imperiale che, confermando la sensazione di solidità e di forza, sovrasta il Padiglione tedesco e tiene nei suoi artigli l’onnipresente svastica. Il Padiglione avrebbe dovuto contrastare con evidenza il Padiglione sovietico costruito di fronte ad esso; qui si nota distintamente, così come manifestato in molti altri progetti incompiuti di Speer, l’ambizione di superare tutti gli altri edifici, compresi quelli preesistenti se si esclude la Tour Eiffel, e soprattutto di imporsi fisicamente all’ideologia staliniana esibita dal vicino Padiglione sovietico7. Se le vicende legate alla partecipazione della Germania all’evento iniziano con l’invito ufficiale della Francia nel dicembre del 1934, si dovrà attendere fino all’agosto del 1936 per vedere Speer a Parigi visionare il luogo e il lotto destinato alla Deutsches Haus. Alla rinuncia dell’ornamento, come stabilito dal Movimento Moderno che tuttavia era stato ricusato proprio dal nazismo per l’origine ebraica di alcuni suoi principali esponenti, si oppone la ricchezza delle decorazioni e degli ornamenti dispiegati all’interno del Padiglione tedesco per dare lustro della ricchezza dello Stato Nazional Socialista e per mostrare la Germania come la più importante potenza industriale e commerciale al mondo. Dai numerosi scritti di quegli anni, risulta evidente come la partecipazione del Terzo Reich all’Esposizione Internazionale di Parigi fosse un evento davvero straordinario8.
Fig. 3 - Cornice semplificata che avvolge la torre del corpo principale del Padiglione tedesco per l’Esposizione Internazionale di Parigi del 1937 dominata dall’aquila imperiale, L’Illustration, 1937.
12Le vicende che si susseguono in Unione Sovietica, conducono all’uso di un determinato linguaggio architettonico come rappresentazione e legittimazione del potere che sono, per alcuni versi, molto simili a quelli dell’esperienza tedesca, incluso quello adottato in occasione dell’Esposizione di Parigi. Fin da subito si riscontrano molte somiglianze tra i due Padiglioni, tedesco e sovietico, nonostante siano stati progettati con la massima segretezza. Dopo una prima proiezione dell’architettura sovietica, con i focolai culturali delle avanguardie, confermata dagli obiettivi politici della rivoluzione bolscevica e dalla ricca sperimentazione del costruttivismo russo, tale esperienza si disperde in Europa ed altrove fino a quasi scomparire.
- 9 UDOVICKI-SELB, Danilo, op. cit., p. 32.
13All’inizio del 1930, l’intervenzionismo di Stalin riunisce dapprima le associazioni indipendenti sotto il controllo della V.A.N.O., e più tardi, nel 1932, accorpa tutti gli architetti in una unica federazione statale, la S.S.A., che dirige l’attività edilizia del paese e consegna, di fatto, la direzione dell’architettura sovietica agli accademici. Si rafforza in questo modo il Realismo Socialista, caratterizzato da un marcato monumentalismo, accompagnato dall’uso dell’ordine gigante e da decorazioni barocche che recuperano il linguaggio neoclassico a scapito delle sperimentazioni costruttiviste. La dittatura dimostra la necessità di eliminare l’incertezza, la dispersione e l’innovazione che possono scaturire dall’influenza dell’architettura moderna che, anche in Unione Sovietica, viene bandita in quanto ritenuta: controrivoluzionaria, individualista e non marxista. Sebbene in Unione Sovietica non vi sia una figura prevalente al pari di Speer, l’influenza di Boris Iofan ha un significato rilevante nella storia dell’architettura sovietica. Il progetto che realizza per rappresentare l’Unione Sovietica all’Esposizione di Parigi è influenzato dal concorso del 1931 per il Palazzo dei Soviet, il cui esito finale ha molte somiglianze con l’edificio parigino. Il trionfo del comunismo sovietico sul capitalismo viene dichiarato fin dal suo programma: una volta costruito il Padiglione sarebbe divenuto l’emblema di questo periodo grazie alla sua monumentalità, semplicità, integrità ed eleganza. La monumentale piramide a scaloni del Palazzo dei Soviet di Mosca è riproposta a Parigi: la colossale statua di Lenin di circa 420 metri di altezza è rimpiazzata nel Padiglione sovietico dal gruppo scultoreo, simbolo dell’emancipazione del popolo russo, dell’operaio e della contadina che avanzano con in mano falce e martello. Il concorso del Padiglione del 1937 richiedeva la realizzazione di un edificio autoreferenziale, espressione di un paese prospero in cui la creatività, l’arte e la cultura di massa fossero frutto del sistema socialista9. Il progetto di Iofan cade tuttavia nella contraddizione di realizzare un edificio solenne, volumetricamente simile a quello di Speer, anche se tecnicamente meno rilevante.
Fig. 4. Il Padiglione sovietico per l’Esposizione Internazionale di Parigi del 1937 è un enorme edificio verticale sormontato dalla statua dell’Operaio e la kolkhoznitsa » di Véra Muhina, L’Illustration 1937.
14Il confronto, reso possibile dalla situazione politica francese, promuove gli ideali socialisti attraverso l’icona della modernità, in equilibrio tra l’ispirazione americana originata dal grattacielo del Rockefeller Center e l’architettura razionalista e rafforzata inoltre dalle sculture suprematiste presenti nel programma espositivo. Sebbene la guida dell’architettura sovietica fosse nelle mani degli accademici, le opere più significative di questi anni di Iofan non sono tutte riconducibili al linguaggio neoclassico; i progetti del Padiglione sovietico all’Esposizione di New York del 1939 e del Ministero per l’Industria Pesante si avvicinano infatti ai canoni del razionalismo europeo, nonostante il rifiuto da parte dello stesso Stalin.
- 10 CAPANNA, Alessandra., Roma 1932. Mostra della Rivoluzione Fascista, Torino, Testo e Immagine, 2004, (...)
- 11 Ibidem, p. 6.
- 12 STONE, Marla, «Staging Fascism: the exhibition of the Fascist Revolution», in Journal of Contempora (...)
15La partecipazione italiana all’Esposizione del 1937 completa questa rassegna, configurando un quadro di grande interesse sull’uso dell’architettura in favore della legittimazione del potere. Il Ventennio fascista fa uso delle diverse correnti artistiche ed architettoniche in modo ambiguo, sperimentando una trasformazione che può essere seguita attraverso gli interventi in varie manifestazioni e celebrazioni, non ultima l’Esposizione parigina. Sarà lo stesso Pagano ad affermare che «negli anni che vanno dal 1927 al 1932 gli architetti italiani si dovettero accontentare, quasi senza esclusioni, di edifici provvisori per fiere, esposizioni e mostre; da queste intelligenti baracche il pubblico italiano ebbe modo di conoscere i primi passi dell’architettura moderna»10. In questi anni, lo stesso Mussolini sollecita i giovani architetti razionalisti, riuniti nel 1926 nel Movimento Italiano per l’Architettura Razionale (MIAR), a superare «gli stili decorativi del passato» per avvicinarsi al rivoluzionario Movimento Moderno11. In questo modo, si sarebbe sostenuto non soltanto il movimento razionalista ma anche tutti gli altri movimenti dell’epoca, con l’obiettivo di non accostare il Fascismo a quelli che lo avevano preceduto12. A partire dalla metà degli anni 1930, l’ambiguità di ricondurre gli ideali fascisti alla tradizione classica romana e al desiderio di esprimersi attraverso l’arte e la cultura di un sentimento moderno, subisce tuttavia una svolta decisiva. Nel 1932 la Mostra della Rivoluzione Fascista che si celebra a Roma, nell’ottocentesco Palazzo delle Esposizioni, offre l’occasione per il rifacimento della sua facciata in chiave moderna: in rame è realizzata la struttura sormontata da giganteschi fasci littori; in metallo, dipinto di nero, sono i caratteri della scritta principale collocati su un fondo rosso pompeiano. Il progetto e le soluzioni adottate a Roma da Adalberto Libera e Matteo de Renzi saranno più tardi riproposti nelle due successive Esposizioni Internazionali di Chicago del 1933 e di Bruxelles nel 1935.
- 13 Per una storia dell'architettura di Stato durante la decada del 1930 confronta: CIUCCI, Giorgio, Gl (...)
16Sono questi gli anni in cui si sviluppa il dibattito intorno al ruolo dell’architettura come arte di Stato; se tra i promotori di un’architettura classica troviamo Marcello Piacentini, tra i difensori delle idee dei moderni spicca la figura di Pagano insieme ad alcuni giovani architetti più rappresentativi dell’epoca13.
- 14 BENEVOLO, Leonardo, Storia dell'architettura moderna, Roma-Bari, Laterza, 1992, p. 569.
- 15 CIMADOMO, Guido, LECARDANE, Renzo, op. cit.
17Come gli altri regimi totalitari anche il fascismo impone un ritorno al linguaggio neoclassico, anche se in questo caso il processo è lungo, complesso e contradittorio14. Sebbene siano forti le differenze in questo periodo tra Piacentini e Pagano, molteplici sono invece le collaborazioni: con l’ingegnere Cesare Valle progetteranno il Padiglione italiano all’Esposizione del 1937 in cui il rapporto tra geometria e costruzione è sottolineato attraverso l’ordine ritmico dei suoi elementi strutturali e dall’essenziale semplicità dell’impianto derivato da quello della villa romana con patio mediterraneo. Il Padiglione, accompagnato da una torre alta trentacinque metri, mostra i caratteri dell’architettura «modernissima» italiana di questo periodo15. Si tratta di un approccio ideologico distante da quello proposto dalla Germania e dall’Unione Sovietica nei rispettivi Padiglioni nazionali.
3. Architettura e potere
- 16 SCHMIDT, Joseph, «Évènement Fasciste et spectacle mondial : Les jeux olympiques de Berlin en 1936», (...)
- 17 BENJAMIN, Walter, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 196 (...)
- 18 HAIT-DAVIS, Duff, Hitler's games : the 1936 Olympics, New York , Harper & Row, 1986.
18L’Esposizione Internazionale di Parigi nel 1937, così come i Giochi Olimpici di Berlino del 1932, fu il pretesto per diffondere le ideologie dei Paesi partecipanti sotto gli auspici della pace e della solidarietà. In coincidenza dell’affermazione dello Stato nazista si «festeggia la promozione della solidarietà internazionale attraverso una competizione nazionalista»16; di conseguenza, i preparativi e la regia dell’evento sportivo dei Giochi Olimpici sono la scena ideale per mostrare al mondo intero il legame inscindibile tra il nuovo processo politico in atto e lo spettacolo pubblico. Questo binomio tra politica e spettacolo, richiamato da Walter Benjamin nell’analisi dell’arte e della politica fascista, nel suo libro L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica del 1936, mira durante il fascismo a un’estetizzazione della vita politica: «Alla violenza esercitata sulle masse, che vengono schiacciate nel culto di un duce, corrisponde la violenza da parte di un’apparecchiatura, di cui esso si serve per la produzione di valori culturali»17. In questo quadro, lo Stadio Olimpico costruisce la scena per accogliere 20.000 spettatori invitati ad assistere agli spettacoli scritti e diretti da Goebbels. Ideato per impressionare il mondo sportivo e per nascondere il riarmo della Germania, lo spettacolo offriva nella sua versione olimpica della pace, la capacità organizzativa della Germania e testava fino a che punto le direttive internazionali potevano essere impunemente calpestate18. Attraverso la nozione distorta di antichità e nazionalismo nella loro trasposizione in un grande Stato nazionalista, si celano i veri obiettivi nazisti e militari dissimulati dall’aspetto conciliante della manifestazione, dalla partecipazione di numerose discipline sportive, dalla ripresa del mito greco.
- 19 LABBE, Edmond, Exposition internationale des arts et techniques dans la vie moderne. Paris 1937. Ra (...)
19Tale immaginario Olimpico trova più tardi un suo corrispondente nella vistosa contrapposizione della Germania e dell’Unione Sovietica all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1937, in cui la collocazione dei due Padiglioni nazionali, l’uno di fronte all’altro lungo l’asse dei Champs de Mars sulla collina di Chaillot, ribaltano il significato del confronto pacifico internazionale e mostrano ai visitatori un evidente segnale di scontro inevitabile. Il giorno dell’inaugurazione, quando il Commissario dell’Esposizione Labbé annuncia la Festa della Pace19, non vi sono molte ragioni per sperare in una pace duratura fra le Nazioni. Lo stesso Padiglione della Pace, una torre alta 50 metri al centro di un edificio semicircolare, collocato in fondo alla Place du Trocadéro per chiudere l’asse principale, è eretto come monito all’umanità e con i migliori auspici per l’Incontro universale della Pace. Al suo interno una sala accoglie una mostra della Société des Nations dedicata alla sicurezza collettiva e alla sua opera umanitaria; un’altra sala accoglie invece la mostra sugli esiti della Guerra di Spagna e sui diretti responsabili dell’eccidio di massa. Il crollo della Repubblica spagnola è infatti, secondo gli organizzatori, il banco di prova dello scontro che avrebbe di lì a poco contrapposto le dittature nazi-fasciste al regime comunista dell’Unione Sovietica e ai paesi democratici dell’occidente.
- 20 GIEDION, Sigfried, Architektur und Gemeinschaft. Tagebuch einer Entwicklung, Amburgo, Rowohlt, 1956 (...)
- 21 Traduzione dell’autore, cfr.: «Le persone vogliono che gli edifici rappresentino la loro vita socia (...)
- 22 COHEN, Jean Louis, Le Corbusier et la mystique de l'U.R.S.S., Bruxelles, Mardaga, 1988, p. 228, let (...)
- 23 L’edificio realizzato nel 1936 sotto la direzione dell’architetto Français Henri Nénot, Accademico (...)
20Riflesso dei fermenti e delle tensioni di un’epoca, l’Esposizione di Parigi offre ai Paesi partecipanti una vetrina per esibire, da un lato, l’azione politica e culturale nazionale e internazionale, e dall’altro, il potere attraverso la rappresentazione dell’architettura nazionale. È in questo contesto che i Padiglioni della Germania, Italia e URSS riflettono le istanze totalitarie della nuova monumentalità nazionale. Al tema dell’architettura monumentale Siegfried Giedion dedica un intero capitolo intitolato «Una nuova monumentalità», in cui inserisce il manifesto Nine Points on Monumentality (1943)20 scritto con Fernand Leger e Josep Lluis Sert a New York, che recita al punto 7: «The people want the buildings that represent their social and community life to give more than functional fulfillment, They want their aspiration for monumentality, joy, pride, and excitement to be satisfied»21. I primi decenni del sec. XX sono caratterizzati da forti contrasti nella cultura artistica e architettonica: manifesti, concorsi, progetti utopici rivelano l’espressione del confronto continuo di movimenti conservatori o progressisti, rappresentati a volte da testi o da figure di riferimento. Se da una parte, le correnti del moderno, dal Bauhaus di Weimar e Dessau all’Esprit Nouveau di Le Corbusier e Ozenfant, dal Costruttivismo russo alla Neue Sachlichkeit tedesca, fino al De Stijl olandese, tutte affermano la necessità di un radicale cambiamento in nome di un mancato rapporto tra le nuove forme di produzione e il modo di vivere ereditato dal secolo precedente. Dall’altra parte, si evidenzia la ricerca di una nuova monumentalità che segna un ritorno alle regole accademiche. Si riafferma di conseguenza il richiamo alla tradizione Beaux-Arts e neoclassica tedesca attraverso l’immediata riapparizione nelle facciate di colonnati e frontoni dalle forme antropomorfe. L’accademismo sinonimo di rapporti prospettici legati alla facciata principale, all’assialità, al coronamento, alla prospettiva monumentale, insieme alla ridondanza di una nuova retorica architettonica dell’edificio orizzontale e verticale, volge lo sguardo verso i grattacieli americani di quest’epoca, rimpiazzando la metafora organicista a quella tecnicista. Si assiste inoltre alla crescita su più livelli delle facciate, marcate dalla sovrapposizione degli ordini classici, anche se i rapporti proporzionali e prospettici fra il tutto e le parti degli edifici non varia neanche per gli edifici molto alti. Alla metafora del « corpo » per l’edifico e del « vestito » per la sua decorazione, è contrapposta quella della « nudità » costruttiva degli edifici della modernità. Il progetto di Le Corbusier per il concorso internazionale del 1931 per un Palazzo dei Soviet a Mosca è esemplare in questo senso proprio per la critica della giuria che rimprovera a Le Corbusier di « avere fatto uno scheletro, privo di carne e di muscoli, piuttosto che un’architettura monumentale »22. Il progetto è così scartato per la sua proposta estetica degna più a una fabbrica che a un Palazzo dei Soviet, destinato ad accogliere un proposta fortemente simbolica in alternativa a quella del Palais de la Société des Nations di Ginevra23.
21La parodia dell’evidente ostilità dei regimi totalitari al Movimento moderno è mostrata in particolare nella contrapposizione dei due Padiglioni tedesco e sovietico, arrivando entrambi ad adottare i principi dell’architettura neoclassica come stile ufficiale da fronteggiare attraverso il confronto dell’altezza, dell’iconografia scultorea e della magniloquenza. È evidente in questi anni il rifiuto dell’accademia e della modernità nel nome della perennità delle forme architettoniche ereditate dal mondo classico da adattare alle nuove condizioni. Nella ricerca del monumentalismo fascista, nazista o staliniano si assiste al rifiuto di una perdita dell’aura specifica dell’oggetto estetico, come afferma Benjamin, attraverso il costante ricorso a una immagine mitica dell’architettura come simbolo del potere e richiamo alla tradizione artigianale svuotata dal suo contenuto. Proprio nell’epoca della riproducibilità tecnica proiettata verso il futuro, l’industrializzazione e l’artigianato, i binomi classicismo e vernacolare insieme a carattere nazionale e internazionale marcano il processo di trasformazione avviato dai regimi totalitari, distinguendosi dall’universalismo della modernità iconoclasta anche quando essa rivendica la scala monumentale. Fra i temi presenti nel programma dell’architettura totalitaria riconosciamo: l’eliminazione delle forme superflue accumulate dalla storia; la tabula rasa; il colossale e il suo necessario isolamento dal contesto; se a questi aggiungiamo: il ritorno alla trabeazione classica di colonnati e frontoni; il rifiuto del cemento e dell’acciaio, considerati materiali meno nobili del granito e del travertino, si comprende il significato attribuito non soltanto ai materiali utilizzati per i nuovi edifici ma anche le trasformazioni dei grandi viali urbani a Roma (1932), Mosca (1935) e Berlino (1937).
22La dimostrazione della potenza dei nuovi regimi accompagna le irreversibili modificazioni urbane, gli sventramenti di parte del tessuto storico, la costruzione di nuove architetture marmoree fuori scala che evocano la nostalgia dei monumenti funerari. La ricerca dell’architettura di Stato come rappresentazione del potere, mostra tuttavia delle importanti diversità nell’approccio e negli esiti per i regimi tedesco, italiano e sovietico. In Germania, il regime nazista manifesta, secondo Kenneth Frampton, una «schizofrenia stilistica» riscontrabile in particolare nell’architettura delle Officine Heinkel a Oranienburg del 1936-38. Tre sono le formule architettoniche adottate in maniera differente in funzione dell’uso e del conteso sociale sul quale sono applicate. La prima è quella dello « Heimatstil », lo stile architettonico basato su tradizioni locali destinato agli edifici per la formazione dei membri del Partito e alle abitazioni raggruppate in piccoli insediamenti « Kleinsiedlungen », in alternativa di quelli realizzati durante la Repubblica di Weimar. La seconda è quella del funzionalismo industriale destinato alla costruzione di nuove infrastrutture autostradali e officine. La terza è infine quella della monumentalità destinata agli edifici pubblici ispirati alla scuola prussiana di Gilly, Schinkel, von Klenze.
- 24 Fondato nel 1922 da M. Sarfatti con altri sette artisti, va il merito principale di volere coniugar (...)
- 25 Fondato nel 1926 da C.E. Rava, L. Figini, G. Frette, S. Larco, G. Pollini, G. Terragni, A. Libera, (...)
- 26 DE SETA, Cesare, « La cultura e l’architettura fra le due guerre: continuità e discontinuità», in D (...)
23In Italia, il regime fascista prova a moderare gli interessi divergenti di questi anni, guida un movimento di reazione per un « ritorno all’ordine» che si riflette sia nell’accademismo che nel rinnovato razionalismo italiano. L’ideologia fascista, meno costrittiva di quella tedesca, sostiene all’inizio alcuni indirizzi capaci di creare nella gente la coscienza di un nuovo ethos improntato da «uno spirito mediterraneo». In questo contesto, la contrapposizione fra il gruppo Novecento24 e il Gruppo 725 consiste secondo Cesare De Seta ad identificare l’uno o l’altro gruppo come rappresentativi del regime. L’implicazione politica congiunta consente a Terragni e Pagano di definirsi «come autentici fascisti e conducevano la loro battaglia per una nuova architettura nello stesso nome del fascismo, nello stesso modo in cui i loro avversari difendevano nel nome del fascismo i sacri principi della tradizione italica»26. Una corrente di pensiero nasce con l’intesa tra Persico e Pagano alla direzione della rivista « La Casa bella » che consentirà ai giovani architetti di conoscere i vari movimenti contemporanei e di stabilire un dialogo tra il gruppo «Novecento» e il razionalismo, nella condivisione di alcune idee comuni. Bisognerà attendere la seconda metà degli anni 1930 per vedere riaffiorare il trionfo dell’accademismo e con esso la megalomania del regime che non si ritrovava nella raffinata ricerca formale dei giovani razionalisti italiani. Il grandioso progetto dell’Esposizione Universale di Roma (1937-42) tra la città e la costa tirrenica, elaborato per commemorare ed esaltare i venti anni trascorsi del regime fascista, segna una pausa definitiva. Pagano gode ancora della stima politica del regime e si associa nuovamente con Piacentini, ma il risultato conferma il peso crescente occupato dal neoclassicismo nella politica fascista, anche tra alcuni giovani architetti sensibili a questa pomposa retorica.
- 27 KOPPE, Anatole, Città e rivoluzione. Architettura e urbanistica sovietiche degli anni venti, Milano (...)
- 28 BEDARIDA, François, «Sur l’art totalitaire», in Vingtième siècle, Revue d’Histoire, 53, 1997, pp. 1 (...)
24In Unione Sovietica, la condizione dell’architettura ricorda per molti aspetti quella della Germania e dell’Italia. Nel Paese simbolo della Rivoluzione, in cui il sistema politico non ostacola ma consente ogni sorta d’innovazione, si assiste a una proliferazione di esperienze formali che ricordano la ricerca innovativa del Futurismo italiano. La morte di Lenin nel 1924 segna una nuova linea culturale ufficiale nelle arti che si indirizza nella ripresa del realismo ottocentesco e sposta il dibattito culturale verso il conflitto politico e ideologico che conduce, in modo analogo a quando successo in Germania, al fallimento delle tendenze moderne e alla loro successiva esclusione dal servizio del potere. Il Movimento costruttivista, fondato dopo la Rivoluzione del 1917 da Vladimir Tatlin e da Aleksandr Michajlovič Rodčenko, al quale si associano gli architetti A. Ladovskij, El Lissitzky, i fratelli Vesnin, K.S. Mel′nikov, M.J. Ginzburg, I. Leonidov, è un focolaio di riflessione teorica di riferimento per tutta l’Europa, in particolare per le tipologie dell’abitare fondate sulla nozione di «condensatore sociale». Il progetto del Palazzo del lavoro dei fratelli Vesnin del 1923 a Mosca insieme al Padiglione sovietico di Melnikov per l’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative e Industriali del 1925 a Parigi sono i capisaldi principali della strada già tracciata che dall’eclettismo prerivoluzionario conduce a un rinnovamento architettonico27. In questa data sembra che la rottura con l’accademismo sia già stata consumata e che abbia raggiunto il punto di non ritorno. Bisognerà attendere il 1930 per assistere al cambiamento del sistema politico, direttamente coinvolto nel dibattito culturale e sociale in corso, che mira a ridisegnare la struttura tradizionale della società e della città allontanando e tacciando come utopiche e poco realiste le proposte urbane e architettoniche elaborate fino ad allora. Il risultato del concorso internazionale per un Palazzo dei Soviet a Mosca nel 1931 è la conferma del trionfo degli accademici con il progetto di I. Zoltovski e B. Iofan, trasformato più tardi nel 1934 dallo stesso Iofan con V. Chtchouko e V. Gel’freikh. Questo progetto insieme al progetto di Iofan del Padiglione sovietico all’Esposizione di Parigi, non farà che accentuare la tendenza monumentale e classica che soddisfa l’estetica sostenuta dal realismo socialista del regime stalinista28. Il Padiglione sovietico è un enorme edificio verticale «piedistallo» sormontato dalla gigantesca statua, ideale simbolico dell’epoca sovietica, dell’«Operaio e la kolkhoznitsa» di Véra Muhina.
- 29 MATARD-BONUCCI, Marie-Anne, MILZA, Pierre, L’homme nouveau entre dictatures et totalitarismes (1930 (...)
- 30 COHEN, Jean-Louis, Les Années 30, l'architecture et les arts de l'espace entre industrie et nostalg (...)
25L’Esposizione del 1937 riflette attraverso i tre Padiglioni sovietico, italiano e tedesco, la sottomissione dell’arte e dell’architettura agli obiettivi del potere totalitario: la «rigenerazione» per la Germania nazista; la «rinascita» per l’Italia fascista; la «nuova società» per l’Unione Sovietica comunista. In questo contesto, rimane esemplare il tentativo dell’estetica totalitaria di ottenere una grande influenza sulle masse attraverso le «cattedrali per l’uomo nuovo»29 raffigurati a Parigi nei Padiglioni nazionali. L’osservazione di Jean-Louis Cohen sul ruolo pretestuoso delle Grandi Esposizioni nel mostrare gli isterismi architettonici, chiarisce la questione principale della legittimità della monumentalità evidenziando che « i regimi autoritari non sono i soli committenti dei monumenti classici, come lo dimostra la costruzione degli edifici sulla collina di Chaillot a Parigi, del Federal Triangle a Washington e dei grandi edifici pubblici britannici»30.
4. Conclusioni
- 31 LAMBERT, Jacques, «Les sections étrangères», in L’Illustration, journal hebdomadaire universelle, 4 (...)
- 32 «Le pavillon de la République espagnole a été inauguré hier», in L’Humanité, 14087, martedì 13 lugl (...)
26La rappresentazione della «società delle nazioni»31 all’ultima Esposizione di Parigi, impone con l’opera di Guernica di Pablo Picasso, nel Padiglione della Spagna repubblicana il ritorno all’attualità della guerra e la risposta alla viltà e all’atrocità del recente eccidio perpetrato in Spagna, sotto il comando tedesco, appena un mese prima dell’apertura dell’Esposizione. Il discorso inaugurale del Padiglione spagnolo del rappresentante Ossorio Y Gallardo, riportato nelle colonne del giornale L’Humanité testimonia la campagna portata avanti dal partito comunista in favore di una reazione antifascista che tuttavia non riesce a disarticolare il destino della lunghissima dittatura franchista: «questo Padiglione è una testimonianza della volontà della Spagna immortale di difendere i foyers dell’intelligenza con lo stesso ardore con la quale difende la sua terra»32.
- 33 RICHARD-MOUNET, Louis, «Dans les pavillons étrangers», in L’Illustration, 492814, agosto 1937.
- 34 L’Architecture d’Aujourd’hui, 8, agosto 1937, pp. 24-25.
27L’Esposizione del 1937, evento mondiale che riflette l’incertezza e l’ambiguità del suo tempo, con il pretesto della pace invita i Paesi partecipanti ad ostentare il proprio potere attraverso i Padiglioni nazionali: la Germania afferma il nuovo potere, l’Italia afferma il potere imperiale, l’Unione Sovietica afferma la natura del suo potere faro dei popoli. La rappresentazione dei Paesi totalitari presenti all’Esposizione trova un suo consenso anche nella stampa internazionale che definisce la partecipazione di questi tre Paesi in modo assai preciso. Se il Padiglione tedesco impressiona per la sua dimostrazione di forza, l’aspetto architettonico non trova accordo unanime. Il Padiglione italiano, anche se tende a un’estetica di regime, seduce il vasto pubblico di visitatori e beneficerà del consenso di buona parte della stampa francese, ad eccezione del quotidiano comunista «L’Humanité». Il quotidiano Le Figaro e le riviste specializzate di architettura come «L’Illustration» e «L’Architecture d’Aujourd’hui» presentano il Padiglione di Piacentini come una testimonianza della modernità; nelle pagine de L’Illustration, Louis Richard-Mounet, presenta il Padiglione italiano «impregnato della nobile fierezza e delle imperiose discipline romane»33. Anche la rivista L’Architecture d’Aujourd’hui testimonia l’interesse per l’estetica fascista nella descrizione di «impressione di grandezza e di forza» del Padiglione italiano, sottolineando gli aspetti della modernità architettonica dell’edificio34.
Fig. 6 – Padiglione italiano all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1937 di M. Piacentini, G. Pagano e C. Valle, visto dalla Senna, L’Illustration 1937.
- 35 VAILLANT COUTURIER, Paul, «Première journée: succès!», in L’Humanité, 14039, mercoledì 26 maggio 19 (...)
28Quanto all’architettura monumentale e alla rappresentazione artistica del Padiglione sovietico, è il quotidiano del partito comunista francese «L’Humanité» a presentare l’edificio come l’emblema del successo pedagogico ed estetico dell’Esposizione parigina, attribuendo alla Nazione sovietica addirittura la capacità di una società perfetta35. Completamente opposta è invece la critica di Léon-Paul Fargue che, nella sua rubrica «un flâneur à l’Exposition» pubblicata sul quotidiano di destra Le Figaro, scredita l’estetica socialista e in particolare la coppia sovietica dell’Operaio e la kolkhoznitsa. Di fronte alle dimostrazioni di ordine e disciplina provenienti da questi Padiglioni nazionali, la Francia nella sua ultima Esposizione Internazionale francese si presenta fiacca e testimone di una crisi morale in corso che annuncia il tragico epilogo dell’imminente Secondo conflitto mondiale.
Note
1 UDOVICKI-SELB, Danilo, The elusive faces of modernity: the invention of the 1937 Paris Exhibition and the Temps Nouveaux Pavilion, Tesi Dottorale in Architettura, arte e studi ambientali, Massachusetts Institute of Technology, 1995, pp. 75-76.
2 Ibidem.
3 Va ricordato che il padiglione spagnolo viene promosso dalla Seconda Repubblica, che vivrà durante la celebrazione dell'Esposizione i tragici avvenimenti della guerra civile, fino alla capitolazione e istaurazione della dittatura franchista nel 1939. Le vicende che portano alla costruzione di un Padiglione di siffatte caratteristiche, lontane dalle idee originali del Governo spagnolo sono analizzate in: CIMADOMO, Guido, LECARDANE, Renzo, «La arquitectura de los Pabellones expositivos: representación ideológica del régimen», in Las exposiciones de arquitectura y la arquitectura de las exposiciones. La arquitectura española y las exposiciones internacionales (1925-1975), Pamplona, Universidad de Navarra, 2014, pp. 199-208.
4 UDOVICKI-SELB, Danilo, «Facing Hitler's Pavilion: The uses of modernity in the Soviet Pavilion at the 1937 Paris International Exhibition», in Journal of Contemporary History, 47, 1/2012, p. 25.
5 MILLER LANE, Barbara, «Architects in Power: Politics and Ideology in the Work of Ernst May and Albert Speer», in The Journal of Interdisciplinary History, 17, 1/1986, p. 297.
6 Ibidem.
7 WEBSTEK, Robs, Germany versus Russia at the 1937 Paris Expo. URL: <http://www.robswebstek.com/2013/10/germany-versus-russia-at-1937-paris-expo.html> [consultato il 27 marzo 2014].
RÁBANOS FACI, Carmen, «Estética de la representación en los regímenes autoritarios (el marco escenográfico arquitectónico del nazismo, fascismo y franquismo: Albert Speer, Adalberto Libera y Pedro Muguruza)», in Emblemata, 12/2006, p. 279.
8 FISS, Karen, Grand Illusion. The Third Reich, the Paris Exposition, and the cultural seduction of France, Chicago, The University of Chicago Press, 2009, p. 55.
9 UDOVICKI-SELB, Danilo, op. cit., p. 32.
10 CAPANNA, Alessandra., Roma 1932. Mostra della Rivoluzione Fascista, Torino, Testo e Immagine, 2004, p. 10.
11 Ibidem, p. 6.
12 STONE, Marla, «Staging Fascism: the exhibition of the Fascist Revolution», in Journal of Contemporary History, 28, 1993, p. 227.
13 Per una storia dell'architettura di Stato durante la decada del 1930 confronta: CIUCCI, Giorgio, Gli architetti e il fascismo. Architettura e città 1922-1944, Torino, Einaudi, 2002.
14 BENEVOLO, Leonardo, Storia dell'architettura moderna, Roma-Bari, Laterza, 1992, p. 569.
15 CIMADOMO, Guido, LECARDANE, Renzo, op. cit.
16 SCHMIDT, Joseph, «Évènement Fasciste et spectacle mondial : Les jeux olympiques de Berlin en 1936», in ROBIN, Régine (dir.), Masses et culture de masse dans les années trente, Paris, les Éd. ouvrières, 1991.
17 BENJAMIN, Walter, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 1966, pp. 46-48.
18 HAIT-DAVIS, Duff, Hitler's games : the 1936 Olympics, New York , Harper & Row, 1986.
19 LABBE, Edmond, Exposition internationale des arts et techniques dans la vie moderne. Paris 1937. Rapport général, t. I, Paris, Imprimerie nationale, 1939-1940, p. 240.
20 GIEDION, Sigfried, Architektur und Gemeinschaft. Tagebuch einer Entwicklung, Amburgo, Rowohlt, 1956 [trad. it. Breviario di Architettura, Milano, Garzanti, 1961, pp. 28-55].
21 Traduzione dell’autore, cfr.: «Le persone vogliono che gli edifici rappresentino la loro vita sociale e della comunità piuttosto che restituire la loro funzionale realizzazione. Vogliono inoltre che le loro aspirazioni alla monumentalità, all’orgoglio, alla gloria e all’esaltazione siano soddisfatte».
22 COHEN, Jean Louis, Le Corbusier et la mystique de l'U.R.S.S., Bruxelles, Mardaga, 1988, p. 228, lettera di N. Kolli a Le Corbusier.
23 L’edificio realizzato nel 1936 sotto la direzione dell’architetto Français Henri Nénot, Accademico Beaux-Arts, è il risultato del controverso concorso internazionale del 1927, a cui partecipò anche Le Corbusier.
24 Fondato nel 1922 da M. Sarfatti con altri sette artisti, va il merito principale di volere coniugare l'architettura e l'urbanistica nel recupero della monumentalità e della spazialità classica.
25 Fondato nel 1926 da C.E. Rava, L. Figini, G. Frette, S. Larco, G. Pollini, G. Terragni, A. Libera, alla ricerca di un nuovo modo di vedere l'architettura nella sua forma pura, essenziale nel rigetto dell'ornamento e della decorazione e capace di esprimere la funzione degli spazi.
26 DE SETA, Cesare, « La cultura e l’architettura fra le due guerre: continuità e discontinuità», in DANETTI, Silvia, PATETTA, Lucio (dir.), L' architettura in Italia (1919-1943), Milano, Clupguide, 1972, p. 17.
27 KOPPE, Anatole, Città e rivoluzione. Architettura e urbanistica sovietiche degli anni venti, Milano, Feltrinelli, 1987, p. 84.
28 BEDARIDA, François, «Sur l’art totalitaire», in Vingtième siècle, Revue d’Histoire, 53, 1997, pp. 159-162.
29 MATARD-BONUCCI, Marie-Anne, MILZA, Pierre, L’homme nouveau entre dictatures et totalitarismes (1930-1945), Parigi, Fayard, 2004.
30 COHEN, Jean-Louis, Les Années 30, l'architecture et les arts de l'espace entre industrie et nostalgie, Parigi, Éditions du patrimoine, 1997, p. 26.
31 LAMBERT, Jacques, «Les sections étrangères», in L’Illustration, journal hebdomadaire universelle, 4917/fuori serie, 1937.
32 «Le pavillon de la République espagnole a été inauguré hier», in L’Humanité, 14087, martedì 13 luglio 1937, p. 8.
33 RICHARD-MOUNET, Louis, «Dans les pavillons étrangers», in L’Illustration, 492814, agosto 1937.
34 L’Architecture d’Aujourd’hui, 8, agosto 1937, pp. 24-25.
35 VAILLANT COUTURIER, Paul, «Première journée: succès!», in L’Humanité, 14039, mercoledì 26 maggio 1937, p. 1.
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Titolo | Fig. 1. C’est encore eux qui se disputent! by rivista Candide, 15 luglio 1937. |
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URL | http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/docannexe/image/1508/img-1.png |
File | image/png, 496k |
Titolo | Fig. 2. Adolf Hitler e Albert Speer discutono i dettagli di un progetto by Bundesarchiv, Bild 183-2004-0312-500/CC-BY-SA |
URL | http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/docannexe/image/1508/img-2.png |
File | image/png, 453k |
Titolo | Fig. 3 - Cornice semplificata che avvolge la torre del corpo principale del Padiglione tedesco per l’Esposizione Internazionale di Parigi del 1937 dominata dall’aquila imperiale, L’Illustration, 1937. |
URL | http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/docannexe/image/1508/img-3.png |
File | image/png, 688k |
Titolo | Fig. 4. Il Padiglione sovietico per l’Esposizione Internazionale di Parigi del 1937 è un enorme edificio verticale sormontato dalla statua dell’Operaio e la kolkhoznitsa » di Véra Muhina, L’Illustration 1937. |
URL | http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/docannexe/image/1508/img-4.png |
File | image/png, 979k |
Titolo | Fig. 6 – Padiglione italiano all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1937 di M. Piacentini, G. Pagano e C. Valle, visto dalla Senna, L’Illustration 1937. |
URL | http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/docannexe/image/1508/img-5.png |
File | image/png, 1,8M |
Titolo | Fig. 7. Vista notturna dalla Tour Eiffel dalla rivista «L’Illustration», 1937. |
URL | http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/docannexe/image/1508/img-6.png |
File | image/png, 1,3M |
Per citare questo articolo
Notizia bibliografica digitale
Guido Cimadomo e Renzo Lecardane, «Il potere dell'architettura. L’ideologia di regime all’Esposizione Internazionale di Parigi 1937», Diacronie [Online], N° 18, 2 | 2014, documento 14, online dal 01 juin 2014, consultato il 11 décembre 2024. URL: http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/diacronie/1508; DOI: https://0-doi-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/10.4000/diacronie.1508
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